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ISSN 1668 4737 Archivos Departamento de Antropología Cultural XIV - 2016 CIAFIC ediciones Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cultural de la Asociación Argentina de Cultura Notas sobre el Shamanismo

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ISSN 1668 4737

ArchivosDepartamento

de Antropología Cultural

XIV - 2016

CIAFICediciones

Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Culturalde la Asociación Argentina de Cultura

Notas sobre el Shamanismo

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Archivos, Vol. XIV - 2016ISSN 1668 4737

Directora:Dra Ruth Corcuera

Miembros del Consejo Editorial:Dr. Eduardo Crivelli - Universidad de Buenos Aires, ArgentinaDr. John Palmer - Brookes University, Oxford, InglaterraDr. Tadashi Yanai - Universidad de Tenri, Nara, JapónDra. María Cristina Dasso - Universidad de Buenos Aires, Argentina

Archivos es la publicación periódica del Departamento de AntropologíaCultural del Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cul-tural (CIAFIC), que por este medio busca servir a la tarea del conoci-miento y la reflexión sobre las culturas. Con esta finalidad, tiene comocometido difundir las investigaciones del Departamento, publicar cola-boraciones que versen sobre antropología cultural y rescatar trabajos cuyovalor se considera meritorio para la disciplina.

8 2016 CIAFIC EdicionesCentro de Investigaciones en Antropología Filosófica y CulturalAsociación Argentina de CulturaCONICETFederico Lacroze 2100 - (1426) Buenos Aireswww.ciafic.edu.are-mail: [email protected]ón: Lila Blanca Archideo

Impreso en ArgentinaPrinted in Argentina

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* Il presente lavoro è una versione riveduta e modificata di un testo scritto ori-ginariamente in inglese per un volume dal titolo Archaeology of Shamans’ Lan-dscapes and Cosmology, per la cura di Dragos Gheorghiu et alii, in corso dipubblicazione.

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SCIAMANISMO E MITOLOGIA:IL MOTIVO DELLO “SNIDATORE D’UCCELLI”*

Enrico CombaUniversità degli Studi di Torino

1. Introduzione

Lo sciamanismo è un concetto ambiguo e problematico, difficil-mente definibile o circoscrivibile, forse declinabile meglio al plurale(come “sciamanismi”) (cfr. Wilson 2013). In un altro lavoro (Comba2012), si è sostenuto come i concetti di “sciamano” e di “sciamani-smo” non debbano essere interpretati come elementi di una realtà og-gettiva, come qualcosa che esiste “lì nel mondo”, bensì come strumentidi osservazione della realtà, come parte del bagaglio interpretativo del-l’osservatore (Pharo 2011). Sono pertanto giustificate le critiche avan-zate da molte parti sul rischio di “reificazione” che l’impiego delconcetto di sciamanismo può indurre, l’errore cioè di considerare que-sto termine come la delineazione di una “realtà” culturale, qualcosa dioggettivo e circoscrivibile, che può essere presente o meno in determi-nati contesti. Queste critiche, tuttavia, spesso finiscono per portare aconclusioni semplicemente improduttive, negando validità o utilitàall’impiego della nozione stessa di sciamanismo, oppure proponendodi ripiegarsi su una visione strettamente localistica del fenomeno, rin-chiusa in anguste barriere di tipo etnografico e culturale. In quest’ul-timo caso scompare la figura dello “sciamano” per frammentarsi inuna serie infinita di specialisti rituali, ciascuno identificato con il pro-prio termine nella lingua indigena, dei quali si perde però qualsiasipossibilità di individuare connessioni, somiglianze, sovrapposizioni.

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Infatti, il motivo per cui il concetto di “sciamanismo” merita ancora diessere conservato, sia pure con alcune cautele critiche e metodologichenel suo utilizzo, consiste proprio nel fatto che, concetto come si è dettocreato dallo sguardo esterno degli osservatori, esso consente di porreattenzione a una serie di elementi trasversali, che superano gli angustilimiti delle singole comunità culturali, attraversano spesso spazi moltovasti rivelando una serie di interconnessioni trans-culturali che ci con-sentono di collocare i fenomeni in una prospettiva più ampia e com-prensiva.

Questo è il caso particolare del continente americano e delle sueculture, le quali, pur nella fantasmagorica varietà che le caratterizza,presentano una serie di tratti comuni, di elementi ricorrenti, se si vuoledi “somiglianze di famiglia”, tra le quali si annovera quell’insieme dicaratteristiche che si possono generalmente ascrivere allo “sciamani-smo”. L’America, infatti, è “uno dei continenti in cui si è ampiamentesviluppata quella che si è soliti chiamare una concezione sciamanicadel mondo” (Perrin 2007: 15). Citiamo ancora Michel Perrin per deli-neare, con le sue parole, i tratti essenziali di tale visione del mondo:

“Secondo questa concezione, che non è limitata all’America,l’essere umano è fatto di un corpo e di una o più componenti invisibili,spesso qualificate come “anime”, che possono distaccarsi dall’invo-lucro corporeo e sopravvivere alla morte. Il mondo è ugualmente dop-pio. Vi è questo mondo, visibile, quotidiano, profano, e il mondo altro,abitualmente invisibile agli uomini ordinari. A questa rappresentazionebipolare o dualista della persona e del mondo si aggiunge il fatto checerti umani (gli sciamani o i loro equivalenti), sanno stabilire a volontàuna comunicazione con il mondo altro. Per questo essi convocano epadroneggiano delle entità che gli etnologi qualificano come “spiritiaiutanti”. La funzione principale dello sciamano consiste nel prevenireogni squilibrio, di rispondere a qualsiasi incidente, in particolare ditrattare i mali del corpo e dell’anima” (Id.: 15)

A questo quadro si può aggiungere l’idea secondo cui la compo-nente interiore (non-corporea) dell’essere umano è difficilmente di-stinguibile da quella delle altre specie viventi, animali e perfinovegetali o elementi inanimati della natura, che sono qualificabili quindi

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come “persone” o “soggetti”, mentre il legame tra queste componentie il loro involucro corporeo e materiale è piuttosto fluido, e permettetutta una serie di trasformazioni e di metamorfosi (Viveiros de Castro1998; 2005). In questo mondo variegato e sfaccettato, lo sciamano ècolui che ha la possibilità di vedere al di là dello sguardo dell’uomo co-mune, di cogliere il lato invisibile e nascosto delle cose e di fungere daintermediario tra le diverse categorie di esseri.

L’idea che il mondo delle origini fosse abitato da esseri indiffe-renziati, che presentavano caratteristiche composite, parte umane eparte animali, si ritrova da un capo all’altro delle Americhe e costitui-sce uno dei motivi sostanzialmente universali delle mitologie amerin-diane (Viveiros de Castro 2005: 40). Molti racconti narrano come solonel corso del tempo le diverse specie animali e vegetali hanno assuntoquelle caratteristiche fisiche che attualmente le distinguono e differen-ziano dagli esseri umani e gran parte dei miti sono dedicati a raccontarecome ciò sia avvenuto. Ma questi stessi miti ci trasmettono anchel’idea di un mondo fluido, in cui le trasformazioni degli esseri da unaforma a un’altra sono estremamente frequenti e ammissibili, in cuiprendere l’aspetto di un animale significa acquisirne le capacità e lequalità, prerogative che solo lo sciamano è in grado di sviluppare eutilizzare al giorno d’oggi.

Vi è dunque, particolarmente nell’America indigena, una strettacorrelazione tra la mitologia e la visione del mondo che costituisce ilfondamento delle pratiche sciamaniche. Tale connessione, tuttavia, èstata oggetto di ben scarse indagini da parte degli studiosi. Se, da unaparte, gli antropologi che si sono dedicati allo sciamanismo hannoposto in genere l’accento soprattutto sulle perfomance rituali e sullepratiche cerimoniali (rituali terapeutici, organizzazione dello spazio,danze e movimenti del corpo, impiego di oggetti e di simboli), d’altraparte gli studiosi che si sono occupati di studi sulla mitologia hanno,salvo casi sporadici, sostanzialmente trascurato le sue connessioni coni fenomeni sciamanici. Tra i pochi esempi, ricordiamo qui Åke Hul-tkrantz, il grande studioso svedese di religioni comparate, che avevaosservato come:

“Le peregrinazioni dello sciamano e, in misura minore, quelledell’uomo che sogna o che delira, hanno fornito materia a numerosi

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racconti folklorici sul viaggio nel mondo dei morti. Sono le diffi-coltà che ostacolano lo sciamano che cerca di raggiungere il mondodei morti – difficoltà che il malato non prova, dal momento che lasua anima ne viene attirata magneticamente – che forniscono ma-teria alle numerose leggende che descrivono gli spaventevoli osta-coli che si trovano sulla strada che vi porta” (Hultkrantz 1976: 780).

In un altro testo, lo stesso autore ricordava come la figura del-l’eroe culturale, nelle mitologie dei popoli di lingua algonchina delNord-Est degli Stati Uniti, “ha molto in comune con quella dello scia-mano” (Hultkrantz 1979: 36).

Tuttavia, la sistematica correlazione tra i racconti mitici e la fi-gura dello sciamano è stata esplorata molto raramente. Un caso parti-colarmente rimarchevole è quello offertoci da Charles Wagley nellasua monografia sui Tapirapé del Brasile centrale, studiati negli anni1939-40. Egli afferma infatti che le gesta degli antichi eroi ancestrali,raccontate dalla mitologia, sono comprensibili solo se ricondotte allepratiche rituali messe in opera dagli sciamani contemporanei.

“Centrale per la comprensione della religione dei Tapirapé è la co-noscenza dei loro eroi culturali ancestrali e delle attività degli scia-mani tapirapé. In un certo senso, gli eroi culturali che fecero ilmondo così come l’uomo lo conosce e gli sciamani viventi sonostrettamente correlati. Infatti, gli eroi ancestrali del remoto passatoerano sciamani. Talvolta essi vengono descritti esattamente in que-sti termini, come grandi panché. Sia gli eroi leggendari che i pan-ché contemporanei continuano a vivere dopo la morte a Maratawa,il Villaggio degli Sciamani […] I miti descrivono le origini delfuoco e delle piante coltivate e la genesi delle istituzioni in terminidi avventure e viaggi compiuti dagli eroi ancestrali, che eranograndi sciamani” (Wagley 1977: 175).

Se da una parte le avventure degli eroi mitici contribuiscono adescrivere e spiegare il mondo così come viene interpretato dai Tapi-rapé, gli sciamani contemporanei sono la principale fonte attraverso laquale può essere interpretato il mondo che sta al di là dell’esperienzaordinaria, il mondo degli spiriti, dei morti, delle potenze celesti (Id.:180-181).

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In un certo senso si potrebbe affermare che, nelle culture ame-rindiane, tutti i personaggi che popolano le mitologie sono degli scia-mani o presentano caratteristiche e poteri simili a quelli degli attualisciamani, cosa che alcuni popoli amazzonici affermano esplicitamente(Guss 1989: 52; Viveiros de Castro 2005: 40).

Come avremo modo di constatare nel corso del presente lavoro,anche nella considerevole opera dedicata da Lévi-Strauss allo studiodella mitologia amerindiana i riferimenti allo sciamanismo sono estre-mamente scarsi e sporadici. Talvolta l’antropologo francese osservache il protagonista di alcuni miti è un celebre sciamano dei tempi delleorigini, come nel caso di un mito dei Caduveo (Lévi-Strauss 1964:164), o che il racconto descrive l’origine dei poteri sciamanici ad operadi un determinato animale (ad esempio la rana nei miti mundurucu etukuna, Lévi-Strauss 1966: 165). Solo nell’ultimo volume, esaminandole versioni del Nord-Ovest americano accenna al fatto che tali mitifanno riferimento all’iniziazione sciamanica (Lévi-Strauss 1971: 61),ma non sembra attribuire a questi fatti se non un’importanza del tuttosecondaria e trascurabile. Obiettivo di questo lavoro è quello di dimo-strare invece che, indagando a fondo la correlazione tra racconti miticie sciamanismo, è possibile mettere in luce una serie di aspetti che per-mettono di interpretare in modo più soddisfacente il significato di que-sti racconti. In particolare, crediamo di poter dare un significatospecifico a quel motivo che Lévi-Strauss ha ritrovato a varie riprese,dalle boscaglie del Mato Grosso alle pendici delle Montagne Rocciose,dimostrando la sua diffusione sostanzialmente pan-americana, ma dicui non ha saputo offrire un’interpretazione soddisfacente: il motivodel cosiddetto “snidatore d’uccelli”.

2. Lévi-Strauss e lo studio del mito

Nel primo volume della sua monumentale opera dedicata allamitologia americana, Il Crudo e il Cotto (Lévi-Strauss 1964), Lévi-Strauss prende le mosse da un mito dei Bororo del Brasile Centrale,che viene denominato per questo motivo “mito di riferimento”. Loscopo esplicito dell’Autore è quello di iniziare la sua ricerca dai mitiappartenenti a una particolare società, in questo caso da una societàche egli conosce bene, poiché i Bororo furono oggetto di una ricerca

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sul terreno condotta durante il suo periodo di soggiorno in Brasile, nel1935-36. Il lavoro dell’antropologo francese si estende poi successiva-mente all’analisi dei miti di popolazioni vicine, allargando progressi-vamente l’orizzonte, includendo altri miti provenienti da popolazionipiù lontane, fino a coprire virtualmente l’intera estensione del conti-nente americano. Fin dalle prime pagine del primo volume, il progettodi Lévi-Strauss è delineato molto lucidamente, annunciando che l’in-dagine dovrà ampliarsi fino a includere la parte settentrionale del-l’America, cosa che avviene con il terzo e quarto volume della seriedelle “Mythologiques” (Lévi-Strauss 1968; 1971). Le premesse teori-che da cui parte l’Autore sono che le regole che presiedono alla forma-zione dei miti appartengono a meccanismi inconsci del pensiero,analoghi a quelli che operano nel funzionamento del linguaggioumano. Obiettivo principale del suo lavoro è quello di dimostrarecome i miti, ben lungi dall’essere semplicemente il risultato del liberoesercizio della fantasia e dell’immaginazione, sono costruiti seguendouna serie di meccanismi logici rigorosi, che l’analisi strutturale puòconsentire di mettere in luce. In questa prospettiva, il mito di riferi-mento si rivela come la trasformazione, più o meno pronunciata, dialtri miti, che provengono sia dalla stessa società, sia da società anchepiuttosto lontane. Partendo da un mito qualsiasi, sarebbe quindi pos-sibile costruire, per ciascuna sequenza che lo compone, il gruppo ditrasformazioni di cui fa parte, tracciando una serie di relazioni tra le se-quenze che appartengono a miti differenti. In questo modo, l’analisiconsente di passare ad un livello superiore, da quello dei singoli mitia quello delle strutture che li uniscono gli uni agli altri su differentipiani (Lévi-Strauss 1964:10). È possibile, per tale via, secondo Lévi-Strauss, ricostruire una “sintassi della mitologia sud-americana”[1].

Merito indiscutibile di Lévi-Strauss è quello di aver riconosciutoche la mitologia americana costituiva un unico sistema di relazioni,una rete complessa di narrazioni che si intrecciano e che si richiamanole une con le altre, nella quale singoli elementi possono riallacciarsi adaltri che appartengono sia a gruppi contigui e sia a gruppi geografica-mente e culturalmente molto distanti. Tuttavia, il lettore rimane inter-detto quando l’antropologo francese dichiara che il contenuto dellenarrazioni è del tutto privo di importanza e che i miti sostanzialmente

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sono privi di significato. Ciascun mito esiste soltanto come applica-zione ristretta di uno schema, che l’analisi comparativa ci permette didecifrare[2]. Pertanto, l’analisi strutturale non consente di compren-dere come gli uomini pensano attraverso i miti, bensì piuttosto comei miti “si pensano” negli uomini e a loro insaputa (Lévi-Strauss 1964:20). Il mito di riferimento dei Bororo, quindi, costituisce il punto dipartenza dell’analisi di Lévi-Strauss, secondo le parole dell’Autore,solo per motivi puramente contingenti, come parte di un sistema ditrasformazioni logiche, ma di per sé è un elemento privo di qualsivo-glia significato. Le affermazioni dell’antropologo francese risultanoperò difficilmente credibili, se solo si pensa che l’intera struttura delsuo lavoro in quattro volumi sulla mitologia americana si fonda sultentativo di spiegare la presenza dello stesso tema mitico tra i popolidel Mato Grosso brasiliano e tra quelli della regione delle MontagneRocciose in Nord America. Perciò, nonostante l’ostinato rifiuto daparte di Lévi-Strauss di prendere in considerazione il contenuto deimiti, il presente lavoro si propone di dimostrare come egli abbia messoin luce un motivo estremamente importante della mitologia amerin-diana. Il problema non è risolvibile semplicemente sostituendo allaprospettiva ampiamente comparativa di Lévi-Strauss, un approcciostrettamente contestuale, secondo il quale la struttura del mito rivele-rebbe il tipo di correlazioni che uniscono gli elementi simbolici con-tenuti nel mito stesso, collocato nel suo contesto culturale e sociale. Unmodello di questo genere è stato proposto da Terence Turner per inter-pretare lo stesso mito di riferimento, il mito dello “snidatore d’uccelli”(Turner 1980). Ma la fecondità del metodo di Lévi-Strauss sta proprionella sua ampia prospettiva, che gli ha permesso di individuare un temaricorrente nella mitologia americana, che si può rintracciare presso ipopoli appartenenti alla famiglia linguistica Gê, nell’America tropi-cale, come pure presso numerosi gruppi della parte settentrionale delcontinente. Tuttavia, tali motivi non sono riconducibili solamente astrutture formali, vuote di significato, bensì costituiscono parte di uncomplesso sistema cosmologico e sciamanico, che appare condivisodalla maggior parte dei popoli delle Americhe. Per illustrare quali si-gnificati possano nascondersi in questo gruppo di narrazioni miticheoccorre però seguire ancora un poco le tracce di Lévi-Strauss e ripren-dere alcune tappe della sua ricerca.

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3. Lo snidatore d’uccelli

Il mito che Lévi-Strauss chiama “mito di riferimento” è il rac-conto bororo della storia di Toribúgu, personaggio che in un’altra ver-sione è chiamato Geriguiguiatugo (Albisetti-Venturelli 1969: 303-359;Wilbert-Simoneau 1983: 198-209). In sintesi, il racconto comincia conla scoperta, da parte di un uomo sposato, che il figlio ha avuto una re-lazione sessuale con una delle sue mogli, la matrigna del ragazzo, in-frangendo così la regola dell’esogamia di clan. L’uomo cerca allora diuccidere il figlio, mandandolo a compiere varie imprese pericolose,che implicano il sottrarre determinati strumenti magici, sorvegliatidagli spiriti, nella terra dei morti. Seguendo il consiglio di sua nonna,il ragazzo si assicura l’aiuto di alcuni animali (il colibrì, la colomba ela locusta), i quali riescono a compiere l’impresa in sua vece. Infine,il padre prende con sé il ragazzo per andare a caccia di pappagalli ara,lo fa arrampicare su una ripida parete rocciosa per raggiungere il nidodegli uccelli e lo abbandona appeso alla parete, togliendogli il sostegnoche gli permetteva di scendere. Il ragazzo riesce a catturare alcune lu-certole per acquietare la fame, mangiandone alcune mentre le altre leappende alla sua cintura. Queste cominciano a imputridire e il loro fe-tore gli fa perdere i sensi. Alcuni avvoltoi vengono attirati dall’odoredi carne putrefatta e cominciano a divorare l’ano del ragazzo, poi si ac-corgono che è ancora vivo e lo aiutano a scendere a terra. Dopo unalunga ricerca, egli riesce a ritrovare il suo villaggio e compare allanonna e a suo fratello in forma di lucertola. Decide poi di vendicarsidel padre e organizza una caccia al cervo, si trasforma in un cervo e at-tacca il padre con le corna, infilzandolo e spingendolo nelle acque diun lago, dove viene divorato dai piranha. Secondo una versione ripor-tata dal missionario salesiano Antonio Colbacchini e citata da Lévi-Strauss, il protagonista decide di abbandonare il villaggio e diallontanarsi con la nonna in un luogo lontano, dal quale sarebbe ritor-nato solo per portare il vento, la pioggia e il freddo (Colbacchini 1925:236; Lévi-Strauss 1964: 45).

Nel suo commento al mito, Lévi-Strauss sottolinea come il testocontenga alcuni riferimenti all’organizzazione sociale dei Bororo: ladivisione in due metà esogamiche, Ečerae e Tugarége, ciascuna dellequali comprende diversi clan a discendenza matrilineare e residenza

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matrilocale. Si sofferma inoltre sul secondo nome del protagonista,Geriguiguiatugo (che comprende il termine adugo, giaguaro, e gerigui-gui, che si riferisce a una varietà di tartaruga terrestre, ma anche allacostellazione del Corvo) e sulla presenza di animali e uccelli che ap-partengono alla fauna locale. Con riferimento ai pappagalli, egli ri-corda soltanto che essi hanno una doppia importanza: da un latoforniscono le penne con le quali si confezionano gli ornamenti cerimo-niali e, dall’altro lato, sono coinvolti in un complesso ciclo di trasmi-grazioni delle anime. In un determinato momento, le anime dei defuntisi crede si reincarnino in pappagalli ara (Ara chloropterus o Ara ara-rauna)[3]. Lévi-Strauss fa poi riferimento alla cerimonia di iniziazionedei giovani maschi, poiché alcune versioni del mito iniziano rievo-cando il momento in cui le donne si recano a raccogliere le foglie diuna certa palma, con le quali vengono confezionati gli astucci peniciche verranno indossati dai nuovi iniziati. L’antropologo francese nonfa alcun’altra menzione alla vita rituale e cerimoniale dei Bororo e, si-gnificativamente, non si trova alcun accenno alla figura dello sciamano(Lévi-Strauss 1964: 45-56).

Questo atteggiamento, per la verità, non è nuovo per Lévi-Strauss. Quando si accinge a descrivere per la prima volta i risultatidelle sue ricerche sul terreno tra i Bororo, dopo la spedizione effettuatanel 1935-36, egli dichiara esplicitamente di aver lasciato da parte tuttociò che concerneva i poteri spirituali e la vita religiosa[4], focalizzandola propria attenzione esclusivamente sull’organizzazione sociale. Al-cuni anni dopo, ripensando alle proprie esperienze etnografiche inAmerica tropicale, egli ammetteva di essere rimasto sorpreso dall’at-teggiamento disinvolto mostrato dai Bororo nei confronti del sopran-naturale, in aperto contrasto con quelle che furono le sue personaliesperienze infantili nei confronti della religione ebraica della sua fa-miglia[5]. Tale atteggiamento di diffidenza verso il mondo della reli-giosità e della ritualità riappare nei suoi estesi lavori sulla mitologiaamericana, nei quali viene minimizzata se non del tutto trascurata lafunzione dei miti come “storie sacre”, come narrazioni che includonoelementi che facevano parte di credenze condivise da parte di coloroche raccontavano e che ascoltavano questi racconti. Nel suo denso edettagliato lavoro critico sull’opera del grande antropologo, infatti,

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Godelier sottolinea come la nozione di “sacro” sia fondamentalmenteassente nelle analisi che Lévi-Strauss dedica ai miti e alle tradizioni deipopoli indigeni delle Americhe[6]. È inoltre sorprendente che l’Autorenon faccia alcuna menzione alla particolare relazione dei Bororo coni pappagalli, nota fin dal XIX secolo, quando l’etnografo tedesco Karlvon den Steinen riportò che i Bororo asserivano di essere dei “pappa-galli rossi” (Steinen 1894: 352-253)[7]. Grazie alle dettagliate analisidi Jan Cristopher Crocker, condotte sul terreno, sappiamo che per iBororo i colori brillanti e variegati dei pappagalli, particolarmente deipappagalli ara, sono considerati come manifestazioni degli spiriti. Ipappagalli sono infatti connessi con le metamorfosi delle anime dopola morte: durante i riti funebri, si crede che l’anima del morto si incarnisuccessivamente in un giaguaro, in un pappagallo, in una lontra e in unfalco (Crocker 1977: 150 sgg.). Questa è la tradizione su cui si fondal’asserzione di Lévi-Strauss, piuttosto lapidaria e semplicistica, chequesti uccelli sono associati al destino delle anime dopo la morte. Inol-tre, è necessario sottolineare che le caverne che si aprono sui dirupirocciosi, dove i pappagalli sono soliti nidificare, costituiscono per iBororo delle aperture che conducono direttamente nell’altro mondo,dove vivono gli spiriti aroe (Id.: 182). Le coordinate del mondo scia-manico dei Bororo, che Lévi-Strauss ha trascurato completamente, co-minciano così a trasparire negli elementi che costituiscono la sostanzadel racconto esaminato.

La particolarità dei Bororo è che essi hanno due tipi di sciamano:lo sciamano degli aroe e lo sciamano dei bope. Questi spiriti costitui-scono due principi distinti ma complementari nel sistema cosmologicodei Bororo. Gli aroe rappresentano una modalità di esistenza che iden-tifica ogni oggetto fisico nella sua essenza originaria, quale esistevanelle epoche primordiali nel mondo sotterraneo, dal quale gli antenatidei Bororo derivano; essi sono rappresentazioni delle forme immuta-bili e categoriche. I bope sono ciò che induce tutti gli esseri a ripro-dursi, sono il principio di ogni trasformazione e metamorfosi (Crocker1985: 33-37). Lévi-Strauss descrive questi due tipi di sciamani inmodo piuttosto succinto, definendoli come “prete” e “stregone”[8],termini che si adattano piuttosto male sia all’uno che all’altro e ne smi-nuiscono la complessità. Gli sciamani degli aroe, aroe etawara-are,non esistono più tra i Bororo (Id.: 235), ma su di essi disponiamo di nu-

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merosi documenti raccolti diligentemente nel passato dai missionarisalesiani.

Secondo Antonio Colbacchini, lo sciamano degli aroe vienescelto dagli spiriti, i quali si manifestano con fenomeni inusuali:

“quando va a caccia da solo vede, ad esempio, un uccellino mosca[colibrì] che gli svolazza attorno a portata di mano, ma che scom-pare se egli tenta d’afferrarlo, oppure stormi d’arare e di pappagalliche volano sopra di lui e che cadono improvvisamente a terra, comese fossero fulminati e scompaiono, ed altri fenomeni simili. Tornatoal villaggio si sente male, e avendo freddo si pone presso il fuoco,ma a parecchie riprese cade in preda a un tremito convulso, supe-riore alla sua volontà, e mormora parole inintelligibili fra l’ammi-razione e lo spavento degli astanti. Mentre è in questo stato, senteun forte fetore cadaverico uscire da una laguna, unito all’odore ca-ratteristico dell’urucù misto a grasso, come quello usato per tingerele ossa dei morti, e una folata di vento impetuoso lo percuote cosìviolentemente da farlo traballare. Sono le anime che vengono edentrano in lui. Allora parla, ma non è lui che parla; sono gli aroe cheparlano in lui e che per mezzo suo parlano agl’Indi. Da quel mo-mento è un aroettowarari [aroe etawara-are]” (Colbacchini 1925:77).

Se aggiungiamo che gli aroe rappresentano le anime degli ante-nati e che i pappagalli hanno molteplici associazioni con gli aroe(Crocker 1985: 56, 277), possiamo riscontrare una molteplicità di mo-tivi che richiamano esplicitamente il racconto dello snidatore d’uccellie lo collegano in modo diretto al mondo sciamanico dei Bororo. Peressere più precisi, l’ipotesi che avanziamo in questo lavoro è che iltema centrale del mito dello snidatore d’uccelli ha a che fare con l’ini-ziazione dell’apprendista sciamano e che questo fatto può spiegareadeguatamente perché questo mito sia così diffuso attraverso l’interocontinente americano.

Ma ritorniamo al testo del racconto. La storia inizia con un epi-sodio di incesto tra un ragazzo e la sua matrigna, evento che scatenanel padre il desiderio di attuare la sua vendetta su suo figlio. L’incestoperò non è un tema comune nelle varie versioni del mito e anche ilmito dei Bororo sembra trattare questo tema con particolare indiffe-

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renza, tanto che gran parte della vicenda si concentra sul modo in cuiil ragazzo riesce a sfuggire alle trappole tesegli dal padre e alla suavendetta come logica conclusione del racconto. Questo dettaglio sem-bra suggerire, dunque, che l’incesto in quanto tale non costituisca unelemento significativo del racconto, bensì soltanto un espediente let-terario che serve a rappresentare il drastico allontanamento del ragazzodal mondo delle consuete relazioni sociali e dall’ambiente domestico,in cui era vissuto fino a quel momento. Bisogna infatti tenere a menteche lo sciamano è considerato come un individuo che sfugge alle nor-mali cornici del comportamento sociale: “rompe, minaccia o trasformal’ordine sociale” in cui si trova immerso (Parman 1991: 9). D’altraparte, quelli che sono presentati dal racconto come tentativi da partedel padre di uccidere il ragazzo, inviandolo a compiere pericolose im-prese, sono in realtà delle prove, nelle quali l’abilità e i poteri spiritualidel giovane sono sottoposti a verifica.

In particolare, egli deve impadronirsi di determinati oggetti ce-rimoniali che si trovano nella terra degli spiriti, nel mondo degli aroe.L’eroe cerca il consiglio di sua nonna e in questo modo ottiene l’aiutodi alcuni assistenti animali. Il primo di questi è il colibrì, il piccolo uc-cello che compare nelle visioni iniziatiche del futuro sciamano degliaroe, secondo il testo di Colbacchini citato sopra.

Il padre invia il ragazzo nel mondo degli spiriti per prendere unodei loro sonagli, chiamato bapo. Questi strumenti musicali sono utiliz-zati per accompagnare i canti e le danze (Albisetti-Venturelli 1962:216) e sono intimamente associati agli spiriti aroe[9]. All’apprendistasciamano degli aroe veniva ufficialmente consegnato il bapo rogu(“piccolo sonaglio”), nel corso di una cerimonia. Il momento in cuivengono consegnati i sonagli è al tempo stesso un onore e una provaper verificare il grado di conoscenza esoterica acquisito dall’appren-dista sciamano. Subito dopo aver iniziato a cantare, infatti, il nuovosciamano cade improvvisamente in una trance simile a una morte ap-parente (Crocker 1985: 294). Questo sembra essere un tema stretta-mente associato al nostro mito, in cui l’avventura viene ripetuta pertre volte (con strumenti musicali leggermente diversi ogni volta: i so-nagli [bapo], i piccoli sonagli [bapo rogu], e infine il butore, la sona-gliera da caviglia[10]). È opportuno sottolineare anche, a questo punto,

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che il nome del padre del ragazzo, che viene del tutto ignorato da Lévi-Strauss, è Kiáre Wáre. Questo termine indica uno strumento che pro-duce un suono sfrigolante e si riferisce esplicitamente al sonaglio(Albisetti-Venturelli 1969: 1226).

L’episodio successivo è quello che si ritrova più frequentementenelle diverse versioni del mito, in cui il giovane si arrampica lungouna parete rocciosa per raggiungere il nido dei pappagalli. Da questoepisodio deriva anche il nome con cui è più conosciuto il protagonistabororo, Toribúgu. Esso significa infatti letteralmente “possessore dipietra” (Id.: 1262), tuttavia il termine tori indica anche le colline roc-ciose isolate che si ergono sulla selva e che costituiscono lo scenarionel quale si svolge il racconto (Albisetti-Venturelli 1962: 923). Dalmomento che le caverne nelle quali nidificano i pappagalli erano con-siderate dai Bororo le aperture che conducevano nel mondo sotterraneoabitato dagli spiriti aroe (Crocker 1985: 277), le avventure precedenti,che implicano sempre un viaggio nel mondo degli spiriti, possono es-sere interpretate come episodi introduttivi all’impresa principale, nellequali il coraggio e l’abilità del ragazzo vengono messi alla prova dalsuo rabbioso genitore.

Ma chi è questo padre e perché decide di uccidere suo figlio at-traverso un espediente così singolare? Alcuni commentatori hannopensato di trovare in questi racconti la proiezione di reali conflitti tracategorie sociali o di parentela, che caratterizzerebbero l’organizza-zione sociale dei popoli nativi. Ad esempio, Terence Turner insiste sulfatto che il mito dello snidatore d’uccelli tra i Kayapo rivela un con-flitto tra il marito della sorella e il fratello della moglie, che si trova alcentro del ciclo di sviluppo di ogni giovane maschio. In questa società,il matrimonio comporta il trasferimento del marito nel gruppo dome-stico di sua moglie, mentre i giovani ragazzi sono gradualmente spintia ritirarsi dal nucleo famigliare per andare a risiedere nella casa degliuomini, al centro del villaggio (Turner 1980: 89 e passim). Per analo-gia, si potrebbe suggerire che il mito dei Bororo contenga un messag-gio simile, che allude al distanziamento del ragazzo adolescente dalnucleo domestico, caratterizzato da discendenza matrilineare e resi-denza matrilocale[11]. Tuttavia, rimane dubbio che il padre, in questasocietà, possa essere percepito in una posizione così rilevante, dal

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punto di vista dell’autorità sul figlio: quest’ultimo infatti, in una societàmatrilineare, non appartiene al gruppo di discendenza del padre. Inogni caso, gli esempi che provengono dall’America del Nord, di cui ri-parleremo tra poco, ci presentano ancora diverse relazioni tra i prota-gonisti: ad esempio quella tra fratello e fratello, oppure la mancanzadi qualsiasi relazione di parentela, come nel caso in cui il ruolo delcattivo viene svolto dal trickster. Ne consegue che la relazione tra iprotagonisti possa variare ampiamente, mentre la struttura del raccontorimane sostanzialmente la stessa: come Lévi-Strauss ha appropriata-mente osservato, le uniche proprietà invarianti nel gruppo di miti dellosnidatore d’uccelli sembrano essere una relazione di parentela o affi-nità e la differenza d’età tra i due uomini (Lévi-Strauss 1964: 78). Que-ste caratteristiche sono troppo generiche, dal punto di vistadell’organizzazione sociale, per essere interpretate come il punto fo-cale, attorno al quale dovrebbe ruotare tutto il meccanismo del rac-conto.

Probabilmente si deve seguire un’altra strada per risolvere il pro-blema e concentrarsi soprattutto sulle potenzialità metaforiche dellaterminologia di parentela. In molte culture, le relazioni di affinità ven-gono utilizzate per designare il legame tra individui che non sono le-gati da specifici vincoli di parentela, come Lévi-Strauss stesso ebbe ascoprire nel corso delle sue ricerche sul terreno tra gli Indiani del Bra-sile (Lévi-Strauss 1943: 407-408). La parentela fornisce una serie di le-gami che possono essere impiegati per stabilire un’ampia varietà direlazioni, di natura al tempo stesso sociale e cerimoniale o spirituale.In particolare, il termine “padre” viene impiegato in molte culture conun’estensione simbolica e metaforica molto ampia, incluse le stesseculture contemporanee dell’Occidente. Incidentalmente, tra i Bororo,lo sciamano (bari) chiama gli spiriti a cui si rivolge, durante le offerterituali, con l’appellativo “padre mio”, termine giustificato anche dalfatto che questi spiriti appartengono generalmente alla metà oppostaalla sua, quella da cui proviene il padre (Lévi-Strauss 1944: 266).

Se la situazione descritta dal mito, come viene sostenuto in que-sto lavoro, può essere interpretata come una prova iniziatica, nellaquale il giovane apprendista sciamano viene posto di fronte a svariatedifficoltà da superare da parte del suo “padre” simbolico, uno spirito

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iniziatore o un istruttore umano, allora diventa del tutto irrilevante laricerca della chiave del racconto nelle effettive relazioni tra specificiattori sociali o tra categorie di parenti. I protagonisti del mito non sonoparenti reali, che agiscono in modo fantasioso e innaturale, bensì pa-renti simbolici o metaforici, che interagiscono in una situazione realee potenzialmente pericolosa, l’apprendimento della professione scia-manica. Passare la prova, significa riuscire a superare la paura e mo-strare la propria abilità e il proprio potere: l’eroe del mito dimostra diessere in grado di mobilitare i suoi spiriti aiutanti, in forma animale, epoi rivela il potere di trasformarsi lui stesso in animale, prima in lucer-tola e poi in cervo. In forma di cervo egli uccide suo padre, che, ricor-diamolo, porta un nome che significa “possessore di sonaglio”, ilsimbolo della funzione sciamanica. Il padre viene gettato in un lago,ossia viene rimandato nel mondo degli spiriti dei morti, che, secondola concezione dei Bororo, vivono nelle acque.

Ma ci sono ancora altri elementi nella storia che conduconoverso l’iniziazione di un apprendista sciamano. Quando il giovane sni-datore d’uccelli si trova abbandonato sulla cima della parete rocciosa,sentendosi affamato si mette a cacciare alcune lucertole, che vivononumerose in quel luogo. Ne mangia alcune e poi appende il resto allasua cintura e ai bracciali. I corpi cominciano a imputridirsi e il loro fe-tore è tale che il ragazzo sviene e rimane a terra privo di coscienza(Wilbert-Simoneau 1983: 206). L’odore attira gli avvoltoi, i quali co-minciano a divorare le lucertole putrefatte, ma rodono anche il fondo-schiena del giovane. Quando questi si risveglia, gli uccelli sitrasformano in soccorritori, lo afferrano per la cintura con il becco e lotrasportano volando, depositandolo a terra. A questo punto, una frasedel racconto è significativa: “Quando il ragazzo rinvenne, si sentì comese si fosse svegliato da un lungo sonno” (Id.: 207; Colbacchini 1925:235). Qui la storia rivela involontariamente come le avventure del pro-tagonista siano state vissute durante una condizione estatica, onirica.Secondo la descrizione di Crocker, gli sciamani bororo vengono pos-seduti dagli spiriti bope durante le rituali offerte di cibo. “Gli sciamanidicono che la possessione è simile a un sogno. Essi sono ‘coscienti’ maspettatori passivi di un mondo distorto, pieno di bizzarre attività […]Numerosi sciamani hanno confermato questo, comparando la loro con-

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sueta esperienza di possessione con un sogno convulso o con un sonnoincosciente. Solo occasionalmente essi sono consapevoli di quelmondo distorto che abbiamo descritto” (Crocker 1985: 222-23). Du-rante la notte seguente all’offerta, gli spiriti aiutanti dello sciamanovengono a lui durante il sonno e invitano la sua anima-bope a montaresulla loro schiena, salendo con lei nel cielo, mentre tutti i maereboe (glispiriti maligni) si affollano intorno, spesso sotto forma di avvoltoi e difalchi. Dopo essere saliti nel luogo dove vivono il padre e la madre ditutti gli sciamani, l’anima dello sciamano ritorna sulla terra cavalcandoil suo spirito aiutante e rientra nel corpo dello sciamano. “I diversisciamani con i quali ho discusso dell’argomento mi hanno detto che ra-ramente riescono a ricordare, una volta svegli, tutti i dettagli della loroesperienza onirica” (Id.: 225).

Il gesto con il quale l’eroe del racconto mette su di sé i corpidelle lucertole morte non è solo uno strano e irrilevante dettaglio diuna storia fantasiosa, ma segnala la trasformazione dell’eroe in un ca-davere, un’esperienza di morte apparente, che viene rappresentata inaltre varianti di questo mito con l’episodio in cui il protagonista vienericoperto di escrementi d’uccello. Il motivo dello smembramento delcorpo del neofita e della sua successiva ricostituzione è un motivo ri-corrente nelle cerimonie di iniziazione sciamanica presso diversi po-poli (Eliade 1968: 48 e passim). Tra i Bororo, lo sciamano degli aroe,oggigiorno scomparso, quando riceveva per la prima volta i sonaglicerimoniali, cadeva in una trance simile alla morte. Veniva trattatocome se fosse realmente morto e la cerimonia funebre aveva inizio.Secondo l’interpretazione dei Bororo, gli aroe portavano via realmentel’anima dell’apprendista sciamano, proprio come facevano quandoqualcuno moriva (Crocker 1985: 294). “Durante questo periodo gliaroe alternativamente ‘uccidevano’ e resuscitavano il nuovo sciamano.Mentre era ‘morto’, gli spiriti portavano via la sua anima, facendole vi-sitare gli otto settori in cui vivevano le forme aroe di ciascun clan e ifiumi dell’altro mondo dove vivono i veri aije [gli spiriti più potenti],istruendolo in tal modo sulle vie che conducono al mondo degli aroe”(Id.: 295). Uno dei segnali dell’iniziazione di un bari (lo sciamano deibope) consiste nell’odore che emette, simile a un corpo in decompo-sizione e la possessione che si impadronisce di lui (Id.: 316). Questa

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situazione è straordinariamente simile a quella descritta nel mito diToribúgu, dove l’eroe sviene a causa dell’odore delle lucertole decom-poste che egli porta su di sé e, in seguito, viene portato in volo, inun’esperienza simile a un sogno, dagli avvoltoi nel cielo.

Al suo ritorno nel villaggio, l’eroe dimostra i nuovi poteri che haacquisito, mostrandosi capace di trasformarsi in animale. In primaistanza, si trasforma in una lucertola, prima di farsi riconoscere dallanonna e dal fratello, poi si muta in cervo, dopo aver organizzato unacaccia collettiva, con l’intenzione di uccidere suo padre. Tra le nume-rose abilità mistiche attribuite agli sciamani dai Bororo, vi era infattiil potere di trasformarsi in determinati animali. “Nella credenza popo-lare, ogni sciamano maturo può, grazie ai buoni uffici del suo spiritoaiutante, mutarsi a volontà in giaguaro, alligatore, o serpente a sonagli,sia durante il sogno, sia durante gli stati di trance” (Id.: 243). Inoltre,si credeva che lo sciamano degli aroe fosse capace di trasformarsi intapiro, o a volte in maiale selvatico o in certi tipi di pesce. In questaforma egli spingeva la preda verso i cacciatori o consentiva alla suaforma animale di essere uccisa. Faceva questo solo durante le caccecollettive in cui gli uomini rappresentavano i Bororo defunti (Id.: 298).L’episodio finale del mito descrive una di queste cacce collettive, in cuil’eroe si trasforma nell’animale da cacciare e attacca il “padre”, la fi-gura iniziatica, alla quale può dimostrare la propria mancanza di timoree i nuovi poteri acquisiti.

4. Un nido di aquile

Lévi-Strauss ha dimostrato come il motivo dello snidatore d’uc-celli sia diffuso dall’America tropicale fino al Nord America. In par-ticolare, egli ha identificato un gruppo di miti nelle regioni delNord-Ovest, nella regione compresa fra le Montagne Rocciose e laCosta del Pacifico, dove vivono i Klamath, Chinook e Salish (Lévi-Strauss 1971: 30). Nel presente lavoro prenderemo in esame alcunidocumenti molto simili, provenienti dalle Pianure settentrionali e dalleForeste del Nord-Est[12].

Tra i Crow del Montana, la storia di Big-Iron si presta adegua-tamente allo scopo, poiché presenta molti punti di contatto con il mito

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dei Bororo. Il racconto parla di un ragazzo, che viene condotto dalpadre presso una scoscesa collina, dalla sommità della quale si scorge,a metà altezza, un nido di aquila attaccato alla parete. Il ragazzo vienecalato con una corda fino a raggiungere il nido, ma, quando si trova inquesta scomoda posizione, il padre getta la corda, lasciandolo nell’im-possibilità di ritornare su. Alla fine, le aquile sono mosse a compas-sione e decidono di portarlo fino a terra. Egli allora uccide un bisonte,ne squarta il corpo e lo lascia come offerta per le aquile soccorritrici.Ritornato al villaggio, uccide il padre e ordina che nessuno si avvici-nari al cadavere. Quando uno dei parenti dell’ucciso cerca di prele-varne le ossa per sotterrarle, improvvisamente si scatena uno scrosciodi pioggia, sebbene non vi fossero nuvole, e un fulmine si scarica sudi lui e lo uccide. Il racconto rivela, a questo punto, che il ragazzo eraun “medicine-man”, ossia uno sciamano (Lowie 1918: 288-290). Unaversione più lunga di questa storia mette in luce alcuni importanti det-tagli. Il ragazzo viene gettato giù da un precipizio, mentre stava guar-dando per individuare dei cervi, secondo le istruzioni ricevute dal suopatrigno, e rimane appeso a una sporgenza della roccia, a metà del pre-cipizio, dove viene abbandonato. Il ragazzo piange per tutto il giornoe alcuni animali vengono a visitarlo “in una visione”: uno sparviero(Falco sparverius), uno scoiattolo e un’aquila. Tutti questi animali di-cono la stessa frase: “Intendevo prenderti come mio figlio adottivo,ma ora non lo voglio più” (Id.: 291). Alla fine il ragazzo viene salvatoda quattro pecore di montagna (Ovis canadensis)[13], le quali affer-mano: “Tuo padre ci ha detto di venirti a salvare” e lo portano fino aun’isola, dove viene posto di fronte a un uomo anziano. Il ragazzo eraormai ridotto a uno scheletro per la fame. Il vecchio uomo si immergenell’acqua per quattro volte e ne esce, prima come giovane e poi comeuomo più anziano. Queste scene avevano il significato di predire algiovane che sarebbe vissuto per quattro volte. Il nome dell’uomo an-ziano era Big-Iron, lo stesso che verrà acquisito dal protagonista dellastoria (Id.: 292). Negli episodi successivi, l’eroe dimostra i suoi poterinello sconfiggere uno sciamano, poi riportandolo in vita con un me-todo singolare: gli scorreggia in viso. Annuncia poi ai Crow una seriedi profezie che riguardano il futuro arrivo dell’uomo bianco nelle loroterre. Quando divenne anziano, l’eroe chiese ai suoi compagni di get-tarlo nell’acqua e in tal modo divenne nuovamente giovane. Egli si

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permetteva di giocare anche con le cose più pericolose e si divertiva ascherzare con il Tuono, che veniva da lui chiamato “mio fratello” (Id.:294).

La situazione descritta da questo mito è piuttosto simile a quelladel mito di riferimento dei Bororo: la relazione che viene descritta al-l’inizio è quella tra un ragazzo e il suo padre o patrigno. Nella primaversione non si cerca neppure di dare una spiegazione ragionevole perl’azione del patrigno, ma si afferma semplicemente che “egli era sem-pre arrabbiato con il suo figliastro” (Id.: 288). Come abbiamo già sot-tolineato, è del tutto inutile cercare di riscontrare in questo fattoqualche aspetto peculiare della vita sociale dei Crow: piuttosto dob-biamo riconoscere che si tratta di un episodio iniziale indispensabileper lo svilupparsi dell’avventura iniziatica che sta al centro del rac-conto. La storia, poi, sdoppia la figura del patrigno “cattivo”, aggiun-gendovi quella del “padre buono”, il vecchio uomo che vive sull’isola,che donerà il suo nome e i suoi poteri al ragazzo. Ma anche gli animali,che compaiono al ragazzo “in una visione”, sono disposti ad adottarlocome proprio figlio, ossia essi desiderano essere suoi “padri” adottivi.Il mito evoca esplicitamente lo schema della ricerca della visione, conl’implicito presupposto che essa è un’impresa essenziale per un uomodi potere, per un futuro sciamano. Nella ricerca della visione, il richie-dente deve mostrarsi come un essere incompleto, deve sembrare unorfano, chiedendo agli spiriti di mostrare la propria compassione e diaiutarlo. Colui che cercava una visione doveva rimanere in un luogoisolato, senza cibo né acqua, in una condizione miserevole e indifesa,proprio come un ragazzo abbandonato su una rupe, su una collina o suun’isola. Il principale strumento per ottenere una visione consistevanel digiuno, nel rimanere senza cibo e acqua per diversi giorni. “Coluiche digiuna è in condizione di privazione, solo, bisognoso di aiuto,come un ‘orfano’, akéeleete, che significa ‘una persona che non pos-siede nulla, che non ha nulla’. Una delle espressioni più comunementeusate nelle preghiere, durante i bagni di vapore, prima di un pasto, onel corso della Danza del Sole, è ‘sono povero, degno di pietà, biso-gnoso’ (biiwaatcheeshkáatak)” (Frey 1987: 80-81). Se il sacrificio disé offerto dal richiedente è considerato degno di attenzione, qualchepotere spirituale si prenderà compassione di lui (o di lei) e invierà una

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visione, con le istruzioni da seguire per acquisire conoscenza e potere.La visione stabilisce così una relazione del tipo figlio-padre tra il ri-chiedente e lo spirito, il quale viene regolarmente chiamato con l’ap-pellativo iilápxe, “padre mio” (Id.: 85, 184). L’acquisizione di potereattraverso la visione produce quindi una trasformazione nel suppli-cante, il quale ritorna dal suo periodo di digiuno con un sé rinnovato,come un essere trasformato. L’uccisione finale del patrigno segnalaquesto distacco dalla propria esistenza precedente, l’acquisizione dinuovi poteri e sicurezza di sé.

Ma dobbiamo ancora porci un’ulteriore domanda: chi è quel-l’uomo anziano che dà il nome di Big-Iron all’eroe del racconto? Ilnome Big-Iron (ū’wut-isā’c, “Grande Ferro”) è di oscuro significato:letteralmente si riferisce a un materiale (il ferro) che non era cono-sciuto dai Crow nel periodo in cui si svolge il racconto e allude pro-babilmente alle capacità profetiche dell’eroe di predire avvenimentifuturi. L’uomo anziano afferma che “Tutti gli animali sono miei figli”,presentandosi con uno scudo dipinto e una lancia. Egli dona poi al ra-gazzo una mazza da guerra, legata a una coda di pecora di montagna(Lowie 1918: 292). Tutti questi elementi sembrano indicare che questopersonaggio abbia qualcosa a che fare con il Tuono, il potere spiritualeassociato alla guerra e la cui arma è generalmente una mazza. Inoltre,il vecchio dice al ragazzo: “Tu sei mio figlio e potrai prendermi in girofinché vorrai” (Id.: 292). La storia riferisce infatti che il protagonistaera solito prendersi gioco del Tuono, che considerava come suo fra-tello. È possibile che questo racconto alluda alla funzione dei clown ri-tuali (akbī’arusacarica) (Lowie 1913: 207-211; Lewis 1982), che,nella maggior parte delle culture delle Pianure, acquisivano i propripoteri attraverso un contatto con lo spirito del Tuono. Nel corso dellacerimonia a cui Lowie poté assistere, i clown esprimevano a gestil’idea di essere venuti dal cielo (Lowie 1935 [1983: 97]). L’episodioin cui il ragazzo sconfigge uno sciamano e poi lo riporta in vita con unascorreggia in viso potrebbe benissimo essere attribuito a un clown ce-rimoniale. Infine, quando l’eroe ha ucciso il padre, proibendo a chiun-que di muovere il cadavere, l’individuo che cerca di seppellirlo vienepunito con la pioggia e il fulmine. Incidentalmente, possiamo ricordareche l’eroe del mito bororo, quando abbandona definitivamente il

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mondo umano, si trasforma in uno spirito, che si manifesta attraversoil vento, la pioggia e la tempesta. Perciò, è per lo meno plausibile cheil nome Big-Iron possa alludere al colore plumbeo delle nuvole tem-poralesche. Se le cose stanno così, allora diventa più chiaro perché ilnome del patrigno del ragazzo venga dato come Good Clouds (a’bā’x-ítsic, “Buone Nuvole”). Si tratta infatti di una sorta di duplicato del“padre” che adotta il ragazzo dopo la prova, donandogli i suoi poteri.

In numerose versioni del mito provenienti dalla regione dellePianure, il ruolo del “cattivo”, che invia il protagonista a compiereazioni pericolose e poi lo abbandona, è svolto dal trickster. Ad esem-pio, in un racconto degli Arapaho, il trickster (nih’oothoo) invita uncacciatore ad arrampicarsi su un’altura rocciosa per raggiungere unnido e catturare gli aquilotti. Mentre l’eroe si trova in alto, il tricksterfa magicamente innalzare la collina, in modo che il cacciatore non siapiù in grado di discendere. Poi il trickster si impadronisce delle armie dei vestiti del cacciatore e si reca nella tenda di quest’ultimo, doveprende il suo posto come marito e padre. Gli abitanti del villaggiovanno alla ricerca del cacciatore, lo trovano e chiedono l’aiuto delleoche selvatiche, le quali lo portano a terra sul proprio dorso. Tornatoa casa, egli uccide l’impostore, il quale successivamente, come sempreaccade al trickster nelle sue avventure, torna nuovamente in vita (Dor-sey-Kroeber 1903: 78-81).

Un analogo racconto si trova tra i Dakota del Canada, presso iquali il trickster assume il nome di “Ragno” (iktomi). L’eroe del mitodakota nasce da una ragazza che era stata trasportata in cielo per spo-sare il Tuono, e che poi è caduta nel tentativo di tornare sulla terra e siè sfracellata al suolo. Il bambino che era nel suo ventre, tuttavia, sisalva e prende il nome di Ragazzo Tuono (Wallis 1923: 85-88). Ilnome del personaggio è particolarmente significativo, poiché se ilRagno era considerato una delle più potenti creature della terra, i Tuonierano i signori del mondo superiore e governavano tutti gli esseri chevolano nell’aria. In particolare, gli sciamani venivano istruiti daiTuoni, i quali trasmettevano loro le istruzioni ricevute dal Grande Po-tere superiore (wakan tanka) (Id.: 57). Secondo un documento raccoltoda Wallis (Id.: 45):

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“Un uomo di medicina sosteneva che i Tuoni gli avevano detto cheil Grande Potere aveva donato loro il fuoco e li aveva istruiti a nondire e a non mostrare a nessuno dove essi lo tenevano, ma di man-tenere queste informazioni per loro stessi. Perciò, nessuno conoscedove e come essi conservino il fulmine. L’uomo di medicina avevachiesto il fuoco ai Tuoni. Costoro gli avevano detto che il GrandePotere aveva donato loro il fuoco, con cui potevano incendiarequalsiasi cosa, e aveva donato loro anche l’acqua”.

Questi elementi sono di particolare interesse, dal momento cheil mito bororo di riferimento è associato a una serie di miti provenientidalle popolazioni di lingua Gê, che raccontano l’origine del fuoco(Wilbert 1978: 160-171). In questi miti, lo snidatore d’uccelli vienesalvato dal giaguaro, il signore del fuoco, che lo porta nella sua casa,dove vive con la moglie. Il giaguaro dona all’eroe i primi strumenti perla caccia e la conoscenza del fuoco, che a quel tempo gli umani ancoranon possedevano (Lévi-Strauss 1964: 74-86).

Ma, tornando ai Dakota del Canada, essi ritenevano che quasitutti gli sciamani abitassero con i Tuoni nel cielo prima di venire sullaterra per incarnarsi nel mondo umano. Mentre erano con i Tuoni, essiviaggiavano con le nuvole della tempesta, cercando un posto dove ri-nascere (Wallis 1947: 81). Sebbene i clown cerimoniali fossero diffusiampiamente presso i popoli delle Grandi Pianure, i Dakota attribui-vano loro specifici poteri sciamanici. Erano infatti considerati i piùpotenti uomini di medicina (Id.: 111). La figura mitica del trickster siconfigura così come la personificazione narrativa del clown cerimo-niale e rivela quindi una molteplicità di relazioni con l’esperienza scia-manica.

“Gli Ojibway riconoscono come possibile che una persona sia so-praffatta da poteri personalistici, eppure considerano la ricerca dipoteri personalistici come un mezzo per alleviare l’intrinseca debo-lezza della condizione umana. La personalità ideale è quella chediviene così potente, da poter vantare di incorporare lo stesso Ma-nitou [essere spirituale], come Nanabozho [il trickster degliOjibwa], il quale persegue audacemente il potere e sfrontatamentepretende lo stesso status dei Manitou” (Grim 1983: 88).

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È pertanto comprensibile come, in questi racconti, il tricksterpossa essere impiegato per rappresentare ciò con cui l’apprendista sideve confrontare e deve dimostrare di saper superare, per poter diven-tare uno sciamano.

5. Da solo su un’isola

Secondo un’antica versione di questa storia, raccolta tra gliOjibwa da Henry R. Schoolcraft e pubblicata nel 1839[14], i motiviche abbiamo messo in luce trovano una combinazione del tutto parti-colare. Il giovane protagonista è un orfano, che viene rapito da un“mago” e portato su un’isola al centro di un lago, dove viene presen-tato alle due figlie del mago come il loro futuro marito. Poi il rapitoreporta il ragazzo su un’altra isola, con l’intento di raccogliere uova digabbiano, e qui lo abbandona, lasciando agli uccelli il compito di uc-ciderlo. Il ragazzo riesce tuttavia a convincere i gabbiani a risparmiarloe ad aiutarlo a tornare alla capanna del mago, facendosi trasportare avolo sul loro dorso. Il giorno successivo viene nuovamente abbando-nato su un’isola, con il pretesto di raccogliere sassolini (un probabileduplicato delle uova) e destinato ad essere divorato dai pesci. Anchein questo caso l’eroe riesce a farsi soccorrere e portare a casa sul dorso.Alfine, il ragazzo viene trasportato su un’isola e deve arrampicarsi suun albero per raggiungere un nido d’aquila e catturare i piccoli. Il magofa crescere l’albero con il suo potere e lo abbandona in questa posi-zione. Le aquile si lasciano persuadere a riportarlo indietro sul lorodorso, fino all’abitazione dove vivono il mago e le sue figlie. A questopunto, l’eroe decide di “mettere alla prova il proprio potere” e il magosconfitto viene trasformato in un platano[15], mentre l’eroe si prendele due figlie come mogli.

Questo racconto è notevole per il fatto di presentare la stessa si-tuazione, sostanzialmente simile a quella del mito bororo, ripetuta pertre volte. Inoltre, nel racconto ojibwa l’avventura dell’eroe implica siaun allontanamento in senso orizzontale, poiché deve attraversare unospecchio d’acqua, e sia un allontanamento verticale, dovendo arram-picarsi su un albero. È plausibile supporre che le due modalità sianosoltanto espressioni differenti dello stesso tema: l’attraversamento bru-sco e potenzialmente pericoloso di un limite, che separa questo mondo

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da un altro mondo, un mondo abitato da potenze spirituali e da aiutantipotenziali, sempre che siano disposti a prendersi cura dell’eroe abban-donato.

Questa prospettiva può essere corroborata da un mito degli Hi-datsa, che appartiene al gruppo delle cosiddette “versioni Putifarre”(Lévi-Strauss 1968: 458), nelle quali la motivazione per l’abbandonodell’eroe è determinata dalla falsa accusa mossa contro di lui dalla mo-glie di suo fratello. Il ragazzo viene abbandonato dopo aver attraver-sato un corso d’acqua, durante una spedizione di guerra. In base alleistruzioni ricevute da uno spirito, che in realtà è il Tuono, l’eroe chiedea un Serpente Acquatico di portarlo sull’altra riva. Durante la traver-sata deve nutrire il serpente con alcune palline di mais. Quando il ser-pente raggiunge la sponda, il ragazzo salta rapidamente a terra e, inquel mentre, il Tuono scaglia due colpi di fulmine che uccidono il mo-stro. Il Tuono viene usualmente raffigurato come un uccello, ma inquesta versione compare come un normale essere umano e dona alprotagonista un coltello, con il quale egli deve fare a pezzi il corpo delserpente e offrirlo agli uccelli, poiché il Tuono è il “capo di tutti gli uc-celli” (Beckwith 1938: 81-91). Così, nuovamente, il protagonista delracconto acquisisce la protezione del Tuono, che viene rappresentatoda vari uccelli, tra i quali specialmente dall’aquila. Infatti, “gli Indianisono dell’opinione che gli Uccelli del Tuono siano aquile o per lomeno che assumano l’aspetto di aquile” (Hultkrantz 1979: 50). Questoconferma ulteriormente la nostra interpretazione del mito crow di Big-Iron, che ottiene la compassione e il soccorso delle aquile e riceve isuoi poteri dal Tuono e dalla tempesta[16]. Si tratta degli stessi poteriattribuiti al protagonista del mito di riferimento dei Bororo.

È particolarmente sorprendente che Lévi-Strauss non abbia rico-nosciuto questi fondamentali elementi di origine sciamanica nel rac-conto, dal momento che egli aveva potuto osservare, durante la suaseconda spedizione etnografica nel Brasile Centrale, tra i Nambikwara,come le comunicazioni soprannaturali avvenissero preferibilmente du-rante i temporali e le tempeste. Tali visioni erano attribuite, anche inquesta regione, al Tuono, raffigurato come una presenza quasi perso-nale. Tra i Nambikwara, ogni individuo poteva stabilire delle relazionicon queste forze cosmiche, tuttavia gli sciamani erano coloro che pos-

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sedevano la funzione specifica di intermediari tra il gruppo umano eil mondo soprannaturale[17].

L’atto del salire su un albero si ritrova nella pratica della ricercadella visione tra gli Ojibwa dei Grandi Laghi. Un nativo descrisse inquesto modo le sue esperienze giovanili, nel XIX secolo:

“Il nonno allora mi prese per mano e mi condusse nel profondodella foresta. Qui egli scelse un albero elevato, come un pino rosso,e preparò per me un giaciglio tra i rami, sul quale io dovevo rima-nere durante il digiuno. Tagliammo alcuni cespugli e li intrec-ciammo con i rami del pino […] Mi fu anche concesso di allacciarealcuni rami tra loro sopra la testa, come una sorta di protezione dalvento e dalla pioggia” (Kohl 1860: 234).

Questa usanza era ancora viva nella memoria degli Ojibwa ca-nadesi di Big Trout Lake negli anni intorno al 1980. Quando raggiun-gevano l’età di dieci-dodici anni, i ragazzi e le ragazze venivano portatinei boschi. Qui essi dovevano salire su un albero, generalmente unabete particolarmente alto, dove era stata precedentemente costruitauna piattaforma, quasi sulla cima. Qui essi dovevano rimanere, espostialle intemperie e nell’assoluta solitudine, digiunando e aspettandol’esperienza della visione per diversi giorni, da quattro fino a dieci se-condo gli informatori[18]. Questa procedura era particolarmente im-portante per i futuri sciamani e il luogo dove si effettuava il digiuno erausualmente denominato il “nido”: wa’dissan, “nido d’uccello” (Hilger1951: 42; Barnouw 1977: 136)[19]. Risulta immediatamente evidentecome questa pratica rituale sia una riproduzione del motivo miticodello snidatore d’uccelli, come è stato sottolineato a più riprese da Em-manuel Désveaux (1998; 2001: 73). L’esperienza del giovane abban-donato su un albero, nel mezzo della foresta, mentre il padre o il nonnosi allontanava lasciandolo per alcuni giorni senza cibo e senza acquadeve essere stata molto simile a quella descritta nei miti del ciclo di cuici stiamo occupando. Questo senso di disperazione, di impotenza, diabbandono, era reputato un passo assolutamente necessario, al fine dirisvegliare l’attenzione compassionevole di un aiutante spirituale, ilquale avrebbe allora “adottato” il digiunante e deciso di donargli partedel suo potere e del suo sapere.

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Nella sua autobiografia, il capo dei Crow Plenty Coups raccontala storia di The Fringe (“la Frangia”) “uno dei più potenti uomini cheio abbia mai conosciuto” (Linderman 1930 [1961: 299]). Questo po-tente sciamano ottenne il suo grande sogno, da cui derivava il suo po-tere, presso una sorgente, chiamata dai Crow l’Acqua di Medicina, perle sue qualità curative. La sorgente si trovava ai piedi di una modestacollina, e al centro di essa si trovava una piccola isola. The Fringe sirecò in questo luogo per avere una visione e raggiunse l’isoletta cam-minando su un palo, che due amici lo aiutarono a sistemare dallasponda. Quando ebbe raggiunto l’isola, gli amici, dietro sua richiesta,se ne andarono lasciandolo da solo in quel luogo. La terza notte unamisteriosa persona venne a visitarlo e gli chiese di seguirlo, mentre siimmergeva nelle acque spumeggianti dell’Acqua di Medicina. Il gio-vane si trovò all’interno di una capanna, dove vide una Lontra e unOrso Bianco, entrambi minacciosi nei suoi confronti. Ma la personache lo aveva invitato disse che era suo “figlio”. Quando si risvegliò,egli si trovò non più sull’isola, ma sulla riva. Fu così che the Fringe di-venne un potente e rispettato guaritore e veniva spesso chiamato pertrattare gravi ferite ricevute in battaglia (Linderman 1930 [1961: 299-304]).

Le differenti versioni del gruppo di miti che contengono il mo-tivo dello “snidatore d’uccelli”, diffuse in tutto il continente ameri-cano, non sono quindi soltanto trasformazioni logiche che si muovonosu una serie di coordinate spaziali: sopra/sotto, verticale/orizzontale,e così via, come Lévi-Strauss ha brillantemente illustrato. Essi descri-vono anche, e soprattutto, un insieme di modalità in cui le fondamen-tali esperienze sciamaniche di comunicazione con un’altra realtàpossono essere realizzate. Queste esperienze comportano una sorta disalto nel vuoto, rappresentato dall’abbandono dell’apprendista, chepuò contare solo sulle proprie risorse e sull’aiuto di poteri spiritualiche si prendano compassione di lui o di lei, che si commuovano per lasua condizione deplorevole e forniscano il loro aiuto e supporto.

Ma c’è ancora un particolare di questi miti che merita di esserepreso in considerazione. Nel mito bororo di riferimento, gli avvoltoiscendono sul protagonista e prima gli divorano una parte dell’ano, poidiventano i suoi salvatori e lo trasportano a terra. L’eroe sostituisce la

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parte divorata con un tubero e prosegue nelle sue avventure. Lévi-Strauss (1964: 56) segnala che il motivo mitico del “tappo anale” si ri-trova in diversi contesti mitologici, particolarmente nella regionedell’Oregon e dello stato di Washington. Tuttavia, questi racconti sonoin realtà storie che hanno come protagonista il trickster e hanno pocoa che fare con il racconto dello snidatore d’uccelli. Fabian suggerisce,invece, di cercare la spiegazione di questo motivo mitologico nei ritiiniziatici per i giovani. Gli iniziati sono spesso considerati fisicamente“chiusi”, ma spiritualmente “aperti”. Tra i Barasana della Colombia,gli iniziati devono seguire tabu alimentari molto rigorosi, affinché illoro ano non debba “aprirsi” (Fabian 1982: 60). Comunque, il trattofondamentale di questo episodio non è tanto l’ano del protagonista,quanto la comparsa degli avvoltoi. In numerose culture del Sud Ame-rica, l’avvoltoio ha una speciale affinità con lo sciamano e talvolta ap-pare agli sciamani in forma umana, dopo essersi tolto il suo mantellodi penne. In quanto mangiatore di cadaveri, l’avvoltoio ha una specialeconnessione con la morte e il mondo sotterraneo dei morti, che è unodei luoghi in cui lo sciamano si reca nel corso dei suoi viaggi extra-cor-porei. Ma gli avvoltoi, come tutti gli altri rapaci, tra cui le aquile, sonoanche uccelli che possono volare molto alto nel cielo, fino al puntoche sembrano scomparire alla vista degli umani, come se fossero pas-sati attraverso la volta del cielo. “L’avvoltoio è esso stesso uno scia-mano, poiché come lo sciamano può viaggiare attraverso i diversi pianidi un cosmo a più livelli ed è dotato della speciale vista con la qualegli sciamani possono guardare dentro altri mondi” (Furst 1991: 104).Questo è confermato da un gruppo di miti appartenenti ai gruppi dilingua Gê, che raccontano di un uomo malato, abbandonato dai suoicompagni di villaggio, che viene soccorso dagli avvoltoi, i quali gua-riscono le sue ferite e lo trasportano fino al cielo. In una versione degliApinaye, egli è ricevuto dal Tuono, che gli dona una spada-mazzaprima che gli avvoltoi lo riportino sulla terra. Egli dimostra il suo po-tere trasformandosi in vari animali e sconfiggendo il suo avversariocon la sua abilità magica (Wilbert 1978: 385-399).

Nel mito dei Bororo, gli avvoltoi scambiano l’eroe per un corpoin decomposizione, che puzza come le lucertole morte che egli avevaposto su di sé, poi si prendono compassione di lui e lo aiutano a scen-

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dere a terra. Questo corrisponde all’esperienza di quasi-morte cheviene affrontata dall’apprendista sciamano e che trova espressione inqueste storie. Anche tra gli Ojibwa (chiamati anche Chippewa) delNord America è possibile ritrovare un racconto che mostra molti puntidi contatto con quello dei Bororo. Ancora una volta si tratta di un’av-ventura del trickster, che nel mondo ojibwa è chiamato Wenebojo (Na-nabozho o varianti simili). L’ “avvoltoio-tacchino” (Cathartes aura)mostra a Wenebojo come egli possa usare le sue braccia come fosseroali e in tal modo volare nell’aria come un uccello, ma poi lo abbandonanel cielo. Egli riesce a raggiungere la terra e decide di prendersi la suavendetta sull’avvoltoio. Si trasforma quindi in un caribù o un alce efinge di essere morto. Quando l’avvoltoio si avvicina, credendo trat-tarsi di una carogna, e comincia a divorare l’ano del trickster, questichiude il suo retto e intrappola così la testa dell’avvoltoio, lasciandololibero solo dopo un certo periodo di tempo. Questo spiega perché l’av-voltoio ha la testa e il collo rossi e coperti di croste, e perché emana uncattivo odore (Barnouw 1977: 89-90).

Sebbene trasformato dalle iperboliche avventure del trickster,lo schema tipico è ancora riconoscibile: l’avvoltoio è il signore delcielo e può insegnare al suo protetto l’arte di volare come un uccello.Per attirare l’attenzione dell’avvoltoio, ci si deve trasformare in un ca-davere, sperimentare quell’esperienza di quasi-morte che è tipica del-l’iniziazione sciamanica. Nella storia, l’avvoltoio è trattato con pocorispetto da Wenebojo, poiché il trickster non riconosce altro potere senon il suo e non ha bisogno di chiedere aiuto o protezione a nessuno,dal momento che egli possiede già (o crede di possedere) tutti i poteridi cui ha bisogno.

Non sembrano esserci documenti che aiutino a mettere in chiaroil ruolo che l’avvoltoio aveva nella visione del mondo degli Ojibwa,tuttavia un vecchio articolo contiene un riferimento particolarmenteinteressante a questo proposito. Vi viene riportato che, durante il di-giuno, i Chippewa praticavano diversi riti “per smuovere i sentimentifino all’adeguato grado di suscettibilità”, e prosegue affermando: “IlManitou [essere spirituale] guardiano appare finalmente in sogno, as-sumendo la forma di qualche animale, che nel corso della vita sarà og-getto di adorazione e governerà la vita futura del sognatore. Se si tratta

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di un’aquila, egli diventerà un guerriero, se è un lupo sarà un caccia-tore, se un avvoltoio-tacchino sarà un profeta o un medico” (Ranking1828: 335). Sebbene in maniera un po’ semplicista e con un linguaggioimpreciso e inadeguato, questo documento rivela una relazione tral’avvoltoio e lo sciamano (colui che è in grado di guardare nel futuroe di guarire i malati), che si avvicina moltissimo a quella descritta dalgruppo di miti dei Gê menzionati sopra.

6. Conclusioni

In base alla discussione dei documenti che abbiamo propostosopra, il ruolo centrale del motivo dello “snidatore d’uccelli” nella mi-tologia amerindiana sostenuto da Lévi-Strauss risulta ampiamente con-fermato. Tuttavia, tale posizione non deriva tanto, a nostro avviso,dalla posizione che questo racconto occupa all’interno di un gruppo ditrasformazioni, quanto piuttosto dal fatto che esso include alcune con-cezioni di base riguardo al modo in cui un apprendista sciamano af-fronta la sua esperienza iniziatica ed ottiene un incremento diconoscenza e di potere. Secondo l’interpretazione offerta da Lévi-Strauss, la relazione tra il mito bororo di riferimento e il gruppo deimiti gê sull’origine del fuoco consiste nel fatto che il primo trasformail tema dell’origine del fuoco in quello dell’origine della pioggia e delvento, modificando quindi l’elemento fuoco con il suo contrario, “unasorta di anti-fuoco” (Lévi-Strauss 1964: 147). Nel corso della nostraanalisi abbiamo rilevato che lo spirito che presiede alla pioggia, allatempesta e al vento, che molto spesso assume le caratteristiche delloSpirito del Tuono, è associato in numerosi casi con l’acquisizione deipoteri sciamanici. La stessa cosa può essere affermata per quanto ri-guarda il giaguaro, il signore del fuoco secondo i miti gê, che rappre-senta anche uno degli spiriti più potenti che possono trasferire ilproprio potere allo sciamano e in cui lo sciamano può trasformarsi(Reichel-Dolmatoff 1975, Wright 2013).

L’ampia distribuzione del mito, tanto nel Sud quando nel NordAmerica, suggerisce come questo racconto affondi le sue radici in unpassato molto lontano. Le differenti varianti descrivono uno schemagenerale, al quale la maggior parte delle esperienze sciamaniche deipopoli amerindiani può essere ricondotta. Non si deve quindi cercare

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in questi racconti la rappresentazione di specifiche istituzioni sciama-niche, tipiche di un particolare gruppo culturale. Ad esempio, il mitodi riferimento dei Bororo non mette in evidenza la peculiare distin-zione degli sciamani in due gruppi: i bari e gli aroe etawara-are, chenon sono mai menzionati direttamente nella narrazione; piuttosto evi-denzia determinati tratti comuni che possono essere applicati ad en-trambi i tipi di sciamani. In modo molto simile, le varianti degliOjibwa che abbiamo esaminato mostrano uno schema generale, e nondicono nulla circa le specifiche figure sciamaniche di quella cultura:il tcisaki (il divinatore che utilizza il rito della “tenda tremante”), ilwabeno (manipolatore del fuoco) o il nanandawi (guaritore che uti-lizza l’aspirazione attraverso un tubo). Il mito dello snidatore d’uccellioffre quindi una cornice generale, all’interno della quale l’esperienzadell’apprendista sciamano può essere inserita e plasmata.

Prese nel loro complesso, le diverse varianti del mito descrivonoi tratti generali di una configurazione cosmografica, un universo com-posto da diversi strati o livelli (Smith 1995), insieme con la sconcer-tante esperienza che l’apprendista sciamano deve realizzare:oltrepassare i confini tra un mondo e l’altro ed entrare in contatto conesseri potenti, che possono mostrare la propria benevolenza e disponi-bilità a soccorrere, ma possono anche mostrarsi minacciosi e temibili.In seguito all’abbandono e rimanendo senza cibo e senza acqua, l’eroedel racconto, come i giovani che si accingono a intraprendere la ricercadi una visione o un’iniziazione sciamanica, diviene “povero” e impo-tente, bisognoso di aiuto, al fine di suscitare la compassione delle po-tenze spirituali e ottenere la loro attenzione e il loro interventosoccorritore. Il protagonista viene collocato in una posizione di “limi-nalità”, allontanato dalle principali relazioni sociali, nella speranza distabilire nuove e più significative relazioni con gli spiriti che gli com-paiono in visione o in sogno (Irwin 1994: 110). In questo senso, l’eroedel mito, che all’inizio viene abbandonato da un “padre” o da un altroparente, alla fine della storia trova un altro “padre”, disposto a trasmet-tergli poteri e conoscenze, trasformandolo in una nuova persona, cheha la capacità di effettuare azioni straordinarie, di ottenere la selvag-gina, di trasformarsi in animale o di provocare il vento e la pioggia. Ilpovero ragazzo abbandonato è divenuto un potente sciamano.

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Notas

[1] “Or, c’est bien une syntaxe de la mythologie sud-américaine dont nous avonsvoulu faire l’ébauche“ (Lévi-Strauss 1964 : 16). Una più ampia presentazionedelle teorie di Lévi-Strauss sull’analisi dei miti è contenuta in un nostro prece-dente lavoro : Comba 2000.[2] “Chaque mythe pris en particulier existe comme application restreinte d’unschème que les rapports d’intelligibilité réciproque, perçu entre plusieurs mythes,aident progressivement à dégager“ (Lévi-Strauss 1964 : 21).[3] “Les Bororo croient en un cycle compliqué de transmigrations des âmes ;pendant un temps, celles-ci sont censées s’incarner dans les aras” (Lévi-Strauss1964 : 55).[4] “Nous laissons complètement de côté tout ce qui se rapporte au pouvoir spi-rituel et à la vie religieuse” (Lévi-Strauss 1936 : 285, note 1). Per un bilanciocritico sulle spedizioni e i lavori etnografici di Lévi-Strauss nel Brasile centrale,si veda Benzi Grupioni 2005.[5] “Ce sans-gêne vis-à-vis du surnaturel m’étonnait d’autant plus que mon seulcontact avec la religion remonte à une enfance déjà incroyante” (Lévi-Strauss1955 : 260).[6] “La notion de « sacré » est cruellement absente des analyses que Lévi-Straussa consacrées aux mythes et aux religions, presque toutes tribales et polythéistes,qu’il a étudiés” (Godelier 2013 : 430).[7] Su questo tema si è accumulata ormai una letteratura piuttosto copiosa, fin daitempi di Durkheim e Lévy-Bruhl. Utili sintesi sono fornite da Crocker (1977) eda Smith (1978).[8] “[Le] monde surnaturel est lui-même double, puisqu’il comprend le domainedu prêtre et celui du sorcier” (Lévi-Strauss 1955 : 174).[9] Questi sonagli sono prodotti con una zucca svuotata e decorata con pennerosse e gialle. L’interno a riempito di semi che producono il tipico suono tintin-nante quando lo strumento viene scosso (De Palma 2004: 132-33).[10] Si tratta di unghie di cinghiale infilate su una corda vegetale e indossate in-torno alle caviglie, per ritmare i canti e le danze (De Palma 2004: 122).[11] Secondo Lévi-Strauss, il motivo dello stupro della matrigna nel mito di ri-ferimento sarebbe interpretabile come una rappresentazione del rifiuto da partedel ragazzo a unirsi agli altri maschi nella casa degli uomini e del suo desideriodi rimanere nel gruppo domestico: “le viol de la mère traduit le refus de rejoindrela maison des hommes et de quitter l’univers infantile et féminin ” (Lévi-Strauss1971 : 30). Analogamente, Fabian (1992: 32 e passim) sostiene che il mito diToribúgu descrive la crescita sociale e il raggiungimento della maturità dell’eroe,come esempio emblematico dello sviluppo di ogni maschio bororo.

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[12] Viene qui presentata una sintesi di una discussione più ampia sul motivo delmito dello snidatore d’uccelli nella regione delle Pianure nord-americane, che èstata proposta in un precedente lavoro (Comba 2012: cap. X).[13] Tra i Paviotso del Nevada, le pecore di montagna sono tra gli animali cheappaiono a colui che è destinato a divenire sciamano: “When animals such aneagle, owl, deer, antelope, bear, mountain sheep or snake, come to a person anumber of times in a dream, he knows that he is to become a shaman” (Park1934: 99).[14] Schoolcraft 1839, vol.2: 91-104, ripubblicata in Williams 1956: 163-168.[15] Il testo originale riporta il termine “sycamore tree”. Non si tratta ovviamentedel sicomoro diffuso nell’Oriente Mediterraneo e in Africa, ma probabilmente delplatano (Platanus occidentalis), spesso chiamato “sicomoro d’America”, o diqualche altra specie ad esso affine.[16] Tra i poteri che il giovane Ojibwa poteva ottenere dopo il periodo di digiunonella foresta, viene riportata la capacità di produrre il vento e la pioggia (Hilger1951: 44).[17] “Ces communications surnaturelles se produisent habituellement à l’occa-sion des tempêtes et des orages […] Ces visions sont attribuées au tonnerre quiles envoie aux hommes sous sa forme semi-personnelle amõ. […] Chaque indi-vidu peut, dans une certaine mesure, établir des contacts avec ces forces, néan-moins ce sont les shamans qui détiennent la fonction spécialisée d’intermédiairesentre le groupe humain et le monde surnaturel” (Lévi-Strauss 1948 : 101).[18] “Vers l’âge de dix ou douze ans, les garçons ainsi que les filles, sont emme-nés dans la brousse. Ils doivent grimper à un arbre, en général un épicéa particu-lièrement élevé, et ce, jusqu’à une sorte de plate forme qui a été installée aupréalable, pratiquement au sommet. Là, exposés aux éléments, dans la solitudeabsolue, ils sont censées jeûner afin d’avoir des hallucinations, abstinence quidoit durer quatre ou dix jours, selon les informateurs” (Désveaux 1988 : 190).[19] Analogamente, tra i Gros Ventre delle Pianure, il luogo della ricerca della vi-sione era chiamato “nido” (Irwin 1994: 109).

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