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El abuso y el maltrato infantil, profesionales en

equilibrio entre la comprensión y el juicio, el

cuidado y la protección

Monica Micheli-Psicoterapeuta

Docente en el Centro de Terapia Familiar y Terapia Relacional de Roma.

Fue supervisora del equipo del “Centro para ayudar a niños maltratados y la familia” servicio dirigido por el profesor Luigi Cancrini in Roma

Juez honorario del Tribunal Juvenil de Roma

Il maltrattamento all’infanzia è un sintomo

che si esprime attraverso

una dinamica relazionale

Sta nelle relazioni tra i membri della famiglia: quelle attuali e quelle passate,

esprimendosi attraverso una incapacità dei genitori di prendersi cura in modo

adeguato della prole

(accudimento, protezione e sostegno)

Queste famiglie spesso possono

essere prese in carico

solo in un contesto di tipo coatto

(il Tribunale ci chiede di valutare la loro capacità genitoriale)

Non c’è quasi mai una motivazione spontanea al trattamento

Il terapeuta dovrà cercare di mettere in moto le risorse della famiglia

La valutazione è un’attività

dinamica e non fotografica

Conosciamo solo entrando in relazione

Conosciamo solo entrando in relazione

Non possiamo «starne fuori» (è un lavoro sporco…)

Dobbiamo vedere le risorse e immaginare un cambiamento possibile

Come operatori la cura del maltrattamento ci

mette in gioco, ci costringe ad avvicinarci a parti

oscure e sofferenti, a percorrere come equilibristi

il filo teso tra comprensione e giudizio,

tra cura e protezione.

Trovare una giusta distanza

avvicinarsi per conoscere e attivare un cambiamento

allontanarsi per valutare

Qual è il confine tra il diritto del bambino a mantenere i suoi legami biologici ed il suo

diritto ad essere tutelato da relazioni maltrattanti?

Recidere il legame genitoriale è nella nostra cultura

qualcosa di estremo, doloroso, contronatura…

…ma anche

Lasciare il bambino in una famiglia dove può subire dei

maltrattamenti è intollerabile

Ogni decisione comporta

l’assunzione di una dose di rischio…

…Potremmo sbagliare

Solo ripercorrendo la storia che grava sulle

spalle del comportamento attuale, è possibile

una ricerca di senso

L’esplorazione del trigenerazionale consente di cogliere l’importanza dei bisogni insoddisfatti, frustrati, dei sentimenti negativi, irrisolti, con cui l’individuo esce dalla propria famiglia di origine e

forma una nuova coppia, per poi diventare genitore

Il genitore con una massiccia dose di bisogni irrisolti,

può aspettarsi che il figlio li soddisfi, esponendosi così

a nuove frustrazioni, che innescano il ciclo della

violenza familiare Bowlby

Il genitore che abbiamo

di fronte è

allo stesso tempo

“Padre di…/Figlio di…”

Il terapeuta deve sempre tenere

presenti questi due livelli,

consentendosi

oscillazioni

anche rapide

tra un livello e l’altro

Il genitore maltrattante può essere

aiutato a ricordare e rielaborare la

sofferenza provata nella sua

infanzia e a comprendere la

sofferenza del figlio

connettendo le due esperienze

Bisogna condividere il lavoro clinico di connessione tra passato individuale e genitorialità presente, con la rete di operatori per creare connessioni esterne che evochino e rafforzino quelle che si fanno all’interno della stanza di terapia

Lorna Smith Benjamin

I “processi di copia” agiscono per

l’individuo come schemi di interazione

con il mondo.

Le persone agiscono in base ai modelli

acquisiti nelle relazioni precoci con le

figure di attaccamento della loro vita,

più che in base alle relazioni con il loro

mondo attuale.

1) “Sii come lui o lei”(identificazione)

2) “Agisci come se lui o lei fosse

ancora qui e avesse il controllo”

(ricapitolazione)

3) “Tratta te stesso come lei o lui ti

trattava” (introiezione)

Lorna Smith Benjamin

2 Tipologie:

GENITORI «CARNEFICI»

GENITORI «VITTIME»

Genitori “carnefici”, il cui assunto di base è:

“Maltratto mio figlio come hanno maltrattato me”

(«Sii come lui/lei» Identificazione)

• Ripetono il modello dei propri genitori, utilizzano lo stesso copione

• Si sono identificati con l’aggressore (il proprio genitore maltrattante), mettendo da parte i propri bisogni infantili, spesso sono stati violenti anche da piccoli, con i propri fratelli

• Sono egosintonici, giustificano e ammettono la violenza

• Non sono in contatto con il proprio bambino interno

• Si presentano in modo aggressivo

• Non accettano l’intervento terapeutico

• Utilizzano fortemente la negazione

come meccanismo di difesa

• Rifuggono dalla vicinanza emotiva

Il compito clinico

Aiutarli a contattare i propri sentimenti e bisogni

infantili

Attivare un movimento empatico verso i propri figli

Regalare ai propri figli una possibilità nuova di interazione, come atto d’amore e di riparazione,

trasformando il proprio assunto in :

“Ti tratto

come avrei voluto essere trattato”

Genitori “vittime” il cui assunto di base è:

“Maltratto mio figlio perché lui mi ha deluso

come hanno fatto i miei genitori” «Agisci come se lui/lei fosse ancora qui e avesse il controllo» (ricapitolazione)

• Sono adulti rimasti bambini, con i propri bisogni ancora insoddisfatti, si illudono di scrivere un copione diverso per sé, ma senza successo

• La parte adulta non si è ben sviluppata, il bambino interno ferito occupa tutto lo spazio, non possono essere genitori perché hanno ancora bisogno di genitori

• Vorrebbero dal proprio figlio quello che non hanno ricevuto nella famiglia d’origine, e, restando inevitabilmente delusi, sono presi da una forte rabbia, che è all’origine del maltrattamento.

Si presentano come fragili e bisognosi

Vittime impotenti di una storia di violenze e soprusi, mostrano il loro bisogno di contatto emotivo

Hanno bisogno che qualcuno veda, ascolti, accolga, la propria la parte bambina

I sentimenti residui del passato invadono il presente e cercano prepotentemente una soddisfazione.

Non c’è un genitore, in stanza ci sono solo bambini

GENITORI «VITTIME»

Il compito clinico

• Accogliere quella parte bisognosa non vista, trascurata, maltrattata.

• Per poi dare sempre più spazio ad una parte adulta e competente che si faccia carico dei bisogni del proprio bambino interno prima, e del proprio figlio reale poi.

L’obiettivo finale è arrivare all’assunto:

“Ti tratto come un figlio, non come un padre/una madre”

“I bambini hanno bisogno di qualcuno

che provi a salvare i loro genitori,

per poter essere salvati…..”

Bowlby J. La Violenza Nella Famiglia In Terapia Familiare N. 20, 1986

Cancrini L., La Cura Delle Infanzie Infelici, Raffaello Cortina, Milano, 2012

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