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1 & artrosi Artrite FIBROMIALGIA Nuovo approccio incentrato sul sonno di bassa qualità ARTRITE REUMATOIDE Cambiare target se gli anti-TNF falliscono Protocollo treat-to-target ottiene remissione Linee guida evitano la controversia sui biosimili Rheumatology AMERICAN COLLEGE OF (ACR) 2015 ANNUAL MEETING HOT TOPICS GONARTROSI Promettenti iniezioni di ozono PROFESSIONAL EDITION SHUTTERSTOCK DESIGN 36 AMERICAN COLLEGE OF RHEUMATOLOGY ANNUAL MEETING S A N F R A N C I S C O 2 0 15

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&artrosiArtrite

FIBROMIALGIA Nuovo approccio incentrato sul sonno di bassa qualità

ARTRITE REUMATOIDE

Cambiare target se gli anti-TNF falliscono

Protocollo treat-to-target ottiene remissione

Linee guida evitano la controversia sui biosimili

Rheumatology AMERICAN COLLEGE OF

(ACR) 2015 ANNUAL MEETING HOT TOPICS

GONARTROSIPromettenti iniezioni di ozono

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AMERICAN COLLEGE

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Direttore Responsabile Francesco Maria Avitto

Direttore Editoriale Vincenzo Coluccia

Direttore Scientifico Lucia Limiti

E D I T O R I A L S T A F FMedical Editor Patrizia Maria Gatti, Sara Raselli, Leonardo Scalia,Magazine Editor Marco LanducciWeb Editor Marzia Caposio

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&artrosiArtrite

* Dati aggiornati al 31.01.2015

Totale 65.000

Farmacisti ospedalieri 2.275

Mmg 35.815

Internisti 17.056

Reumatologi 2.631

Ortopedico 7.275

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04 FIBROMIALGIA Nuovo approccio incentrato sul

sonno di bassa qualità

08 ARTRITE REUMATOIDE Cambiare target se gli anti-TNF

falliscono

12 ARTRITE REUMATOIDE Protocollo treat-to-target ottiene

remissione 16 ARTRITE REUMATOIDE Linee guida evitano la

controversia sui biosimili

20 OSTEOARTROSI DEL GINOCCHIO

Promettenti iniezioni di ozono

Supplemento al n°2 di Popular ScienceAprile - Maggio 2016

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FIBROMIALGIANuovo approccio incentrato sul sonno di bassa qualità

American College of Rheumatology (ACR) 2015 Annual Meeting

Abstracts 2307

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Per i pazienti con fibromialgia, dirigere il trattamento verso il sonno non ristoratore, una caratteristica chiave della sindrome, porta a miglioramenti negli altri sintomi della malattia, compreso il dolore. Questo supposto deriva da due analisi dei dati derivanti dallo studio di fase 2b denominato BESTFIT, condotto da Seth Lederman della Tonix Pharmaceuticals di New York, secondo cui è noto da molto tempo che il sonno di bassa qualità è in correlazione con la gravità della malattia nei pazienti con fibromialgia.

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I RICERCATORI HANNO RICONOSCIUTO che il sonno non è soltanto un sintomo, ma un sonno inadeguato acu-isce il dolore della fibromialgia. Si tratta probabilmente di un circolo vizioso in cui se il sonno è inadeguato peggiora il dolore il che, a sua volta, peggiora ulterior-

mente la qualità del sonno, e così via. La somministrazione sublinguale di idrocloruro di ciclobenzaprina, che mira a diversi recettori chiave coinvolti nella regolazione del sonno, non funziona subito ma, dopo circa 4 settimane di terapia, si osservano miglioramenti della qualità del sonno e, susseguente-mente, anche del dolore e di altri sintomi. Nello studio BEST-FIT, i pazienti corrispondenti ai criteri ACR del 2010 per la fibromialgia sono stati casualmente assegnati ad una terapia con 2,8 mg di ciclobenzaprina per via sublinguale da assumere al momento di coricarsi per 12 settimane o di un placebo. Gli esiti considerati comprendevano la valutazione quoti-diana di dolore e sonno in una scala da 10 punti attraverso la Revised Fibromyalgia Impact Questionnaire (FIQR), la Patient Global Impression of Change (PGIC) scale, e la PROMIS Sleep Disturbance scale. I

risultati preliminari dello studio hanno di-mostrato che la ciclobenzaprina sublinguale non riesce a modificare i punteggi medi giornalieri relativi al dolore entro 12 settimane ma porta, comun-que, ad un miglioramento su un certo numero di esiti secondari, compresi i parametri relativi a sonno, effetti del dolore e carico complessivo dei sintomi. L’analisi finale dei 172 pazienti valutabili, però, presentata da Harvey Mol-dofsky del Centre for Sleep and Chrono-biology di Toronto, ha dimostrato che la ciclobenzaprina sublinguale ha un effetto favorevole sia sul sonno che sul dolore. Tutti i parametri relativi alla qualità del sonno sono migliorati nell’arco delle 12 settimane considerate e così hanno fatto anche quelli relativi al dolore. La riduzione al punteggio PROMIS Sleep Disturbance era significati-vamente maggiore nel gruppo di studio rispetto a quello di controllo entro la quarta settimana, ed è stato mantenuto sino

alla dodicesima. Le riduzioni nel punteggio quotidiano rela-tivo al sonno erano significativamente maggiori nel gruppo di studio sin dalla prima settimana ma la significatività di questo rapporto, è stata prima persa e poi ripristinata nella sesta settimana e poi mantenuta sino alla dodicesima. Le riduzioni nel punteggio FIQR, un indicatore del miglioramento della qualità del sonno, risultavano significativamente maggiori

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nel gruppo di studio entro la seconda settimana, e sono state mantenute sino alla dodicesima. In generale, i miglioramenti nella qualità del sonno hanno preceduto altri cambiamenti nella fibromialgia. Ciò è stato confermato dai risultati della seconda analisi, secondo cui un modello ha rivelato migliora-menti in molteplici domini della fibromialgia in tutte e 12 le settimane del periodo di studio. Il tasso di risposta sul dolore nella scala del dolore giornaliera, definito come un migliora-mento almeno del 30% rispetto all’inizio dello studio, è stato superiore nel gruppo di studio rispetto a quello di controllo. Sono stati registrati anche significativi miglioramenti nei livelli di dolore riportati durante le visite ambulatoriali e nel

settore relativo al dolore della scala FIQR. L’intorpidimento della lingua o dell’area sublinguale è intervenuto nel 42% dei pazienti trattati ma, gli effetti collaterali sistemici, sono stati sporadici e l’aumento di peso è stato trascurabile. Secondo i ricercatori, la nuova analisi dei dati BESTFIT ha dimostrato che i pazienti che hanno riportato i maggiori miglioramenti nella qualità del sonno avevano le maggiori probabilità di andare incontro a sollievo dal dolore. Una delle differenze principali fra la ciclobenzaprina e gli antidolorifici consiste nel fatto che la prima tratta la fibromialgia migliorando la qualità del sonno anziché mediante una misura meramen-te palliativa. La struttura chimica della ciclobenzaprina la

Secondo i ricercatori, la nuova analisi dei dati BESTFIT ha dimostrato che i pazienti che hanno riportato i maggiori miglioramenti nella qualità del sonno avevano le maggiori probabilità di andare incontro a sollievo dal dolore.

pone in correlazione con gli antidepressivi triciclici ed ha il potenziale di causare gli stessi effetti collaterali, fra cui xerostomia, sonnolenza e stati di affaticamento. Secondo Robert Bennett della Oregon Health & Science University

di Portland, nella maggior parte degli studi sulla ciclobenza-prina nella fibromialgia, il dosaggio iniziale è stato di 10 mg, ed esso è stato poi aumentato al bisogno sino a 40 mg. In uno studio il miglioramento complessivo medio osservato con la ciclobenzaprina è stato triplo rispetto a quello ottenuto con il placebo ma, l’astenia ed i punti di lassità, non hanno manife-stato alcun miglioramento. Secondo questo esperto, peraltro, elevate dosi di ciclobenzaprina, hanno portato ad un’elevata prevalenza di effetti indesiderabili ma il sonno non ristora-tore influenza negativamente le cascate centrali del dolore e, i farmaci che migliorano la qualità del sonno, potrebbero anche migliorare i sintomi diurni della fibromialgia. Gli studi futuri dovranno ancora stabilire se la ciclobenzaprina porti a miglioramenti al di là delle 12 settimane e se la dose da 2,8 mg impiegata nel presente studio sia il dosaggio ottimale. È necessario, inoltre, accertare se l’uso a lungo termine del farmaco porti a conseguenze negative e se, esso, interagisca o meno in modo negativo con gli altri farmaci comunemente impiegati per trattare la fibromialgia.

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ARTRITE

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REUMATOIDECambiare target se gli anti-TNF fallisconoAmerican College of Rheumatology (ACR) 2015 Annual Meeting

Abstracts 3110 e 3113

Nei pazienti con artrite reumatoide che non riescono ad ottenere una risposta adeguata al primo agente anti-TNF impiegato, un biologico non diretto contro il TNF porta ad un controllo della malattia significativamente migliore rispetto ad un secondo agente anti-TNF.

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IOSECONDO Jacques-Eric Got-tenberg dell’Ospedale Univer-sitario di Strasburgo, autore del primo studio randomizza-

to di questo tipo, in assenza di eviden-ze derivanti da studi randomizzati, la maggior parte dei medici ha prescritto un anti-TNF piuttosto che un biologico non incentrato sul TNF quando un pa-ziente non ottiene una risposta adeguata alla propria prima terapia anti-TNF ma, lo studio in questione, ha dimostrato che

cambiare target ed impiegare un biologi-co non orientato sul TNF risulta più ef-ficace rispetto all’impiego di un secondo anti-TNF in questo gruppo di pazienti. Lo studio randomizzato e controllato Ro-tation of Anti-TNF or Change of Class of Biologic, ha coinvolto 292 pazienti che non sono riusciti ad ottenere una risposta adeguata con un primo agente anti-TNF. I pazienti sono stati assegnati casualmen-te ad un biologico non orientato sul TNF o ad un secondo anti-TNF per 48 setti-

mane. Il vero e proprio regime impiega-to è stato lasciato al medico curante ma i biologici utilizzati non orientati sul TNF sono stati: abatacept, rituximab o tocili-zumab, ed il secondo agente anti-TNF poteva essere adalimumab, certolizumab, etanercept o infliximab. I criteri EULAR per una risposta moderata o buona dopo 3, 6 e 12 mesi sono stati rispettati da un numero significativamente maggiore di pazienti trattati con agenti biologici non orientati sul TNF che in quelli trattati

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con un secondo anti-TNF. Dopo 6 mesi è stato registrato un aumento nei tassi di risposta in entrambi i gruppi, ma la rispo-sta è risultata comunque più frequente con un biologico non orientato sul TNF. Dopo 12 mesi è risultato chiaro che i bio-logici non orientati sul TNF rappresen-tano una strategia più efficace rispetto ad un secondo anti-TNF in questi pazienti. Il punteggio DAS28, basato sul tasso di eritrosedimentazione, risultava mino-re nei pazienti trattati con biologici non

incentrati sul TNF rispetto a quelli trat-tati con un secondo anti-TNF e, il tasso di remissione secondo questo criterio, è stato significativamente maggiore con la prima terapia che con la seconda. Ciò è accaduto anche per quanto riguarda il rag-giungimento di un basso livello di attività della malattia dopo 12 mesi. Un piccolo sottogruppo di pazienti che hanno svilup-pato anticorpi diretti verso il primo agen-te anti-TNF potrebbe non trarre beneficio dall’introduzione di un farmaco biologico non incentrato sul TNF. Sono stati iden-tificati retrospettivamente 32 pazienti del gruppo originale con questa caratteristica, e nei quali i livelli ematici del primo agen-

te anti-TNF erano bassi o non rilevabili. In questi pazienti, la variazione media nel punteggio DAS28-ESR rispetto ai valori iniziali era la stessa fra i pazienti trattati con biologici non orientati sul TNF e pa-zienti trattati con un secondo anti-TNF. Al contrario, nei pazienti che non hanno sviluppato anticorpi antifarmaco, questo parametro entro sei mesi favorisce netta-mente i biologici non orientati sul TNF. Secondo i ricercatori, questa potrebbe essere l’unica situazione in cui un secon-do anti-TNF presenta la stessa efficacia di una terapia non incentrata sul TNFe, pertanto, il medico è libero di scegliere il farmaco che preferisce.

Dopo 6 mesi è stato registrato un aumento nei tassi di risposta in en-trambi i gruppi, ma la risposta è risul-tata comunque più frequente con un biologico non orientato sul TNF. Dopo 12 mesi è risultato chiaro che i biologi-ci non orientati sul TNF rappresentano una strategia più efficace rispetto ad un secondo anti-TNF in questi pazienti.

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ArtriteReumatoide

Protocollo treat-to-target ottiene remissione

AMERICAN COLLEGE OF RHEUMATOLOGY (ACR)

2015 ANNUAL MEETINGAbstract 3184

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I pazienti con artrite reumatoide hanno maggiori probabilità di ottenere la remissione se si tratta dell’obiettivo esplicito del trattamento e, in questo caso, essa interviene anche più rapidamente. Secondo Sofia Ramiro della Leiden University olandese, autrice dello studio\v RA BIODAM che ha coinvolto 539 pazienti, con il cosiddetto protocollo treat-to-target i pazienti vanno incontro ad un incremento del 50% nelle probabilità di ottenere la remissione e del 64% in quella di ottenere una remissione prolungata entro tre mesi.

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Questo risultato, inoltre, viene ottenuto 3,7 volte più rapidamente

rispetto a quanto osservato nei soggetti trattati con piani terapeutici meno sistematici. Questo approccio, d’altro canto, rappresenta già lo standard in molte parti del mondo. Secondo alcuni esperti, la scelta cosciente di lavorare per la remissione potrebbe sembrare un obiettivo ovvio, ma è stata resa possibile soltanto dalla comparsa di nuovi e potenti farmaci, dato che nell’ultimo decennio si è reso disponibile un intero nuovo arsenale

di trattamenti. Lo studio RA RODAM era stato concepito per valutare biomarcatori come fattori predittivi di danno articolare e lo sviluppo di una strategia terapeutica personalizzata per i pazienti con artrite reumatoide. Nell’arco di due anni, sono state effettuate sui pazienti osservati 3.084 visite. L’età media dei pazienti era di 56 anni, e la diagnosi di artrite reumatoide era stata posta da una media di 6 anni. All’atto dell’arruolamento, i pazienti hanno iniziato una terapia con un DMARD, con un TNF-inibitore o con

entrambi. I pazienti sono stati valutati ogni tre mesi durante il decorso dello studio. L’attività della malattia è stata misurata tramite i criteri ACR, agli European League Against Rheumatism Boolean Remission Criteria e, inoltre, in base alla scala DAS28, al Clinical Disease Activity Index e al Simplified Disease Activity Index. Una visita è stata considerata “treat-to-target” se il punteggio DAS28 del paziente non superava 2,6 indicando la remissione e il trattamento, non è stato modificato oppure, se il punteggio

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del paziente era al di sopra di 2,6 ed il trattamento è stato intensificato. Una visita è stata considerata “treatment to low disease activity”, se il punteggio DAS28 del paziente non superava 3,2, indicando una bassa attività della malattia, ed il trattamento non è stato modificato, oppure se il punteggio del paziente era al di sopra di 3,2 ed il trattamento è stato intensificato. Una visita è stata considerata “non-treat-to-target”, se il punteggio DAS28 del paziente era al di sopra di 3,2 ed il trattamento non è stato intensificato. Nel complesso, il 79% delle visite hanno implicato un protocollo “treatment to low disease activity”, ed il 68% delle visite erano improntate al “treat-to-target”. In ogni visita in cui è stato seguito il protocollo treat-to-target, sussisteva una maggiore probabilità di ottenere la remissione nei

3 mesi successivi rispetto a quelle in cui il protocollo non è stato seguito. Alcuni medici potrebbero tenere conto di fattori come la fibromialgia secondaria, il che spiegherebbe come mai non tutte le visite abbiano aderito al protocollo "treat-to-target". In questi casi, il medico potrebbe essere meno propenso ad intensificare il trattamento anche se il paziente non segue il protocollo in questione. Alcuni medici e pazienti, inoltre, potrebbero essere soddisfatti di un obiettivo che consista semplicemente nel tentare di ottenere un basso livello di attività della malattia. In questi casi, è possibile ipotizzare che i farmaci disponibili non vengano reputati ancora abbastanza efficaci per tentare di puntare alla remissione quando è già stato ottenuto un basso livello di attività della malattia.

Secondo Sofia Ramiro della Leiden University olandese, autrice dello studio RA BIODAM che ha coinvolto 539 pazienti, con il cosiddetto protocollo treat-to-target i pazienti vanno incontro ad un incremento del 50% nelle probabilità di ottenere la remissione e del 64% in quella di ottenere una remissione prolungata entro tre mesi.

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ARTRITE REUMATOIDELinee guida evitano la controversia sui biosimiliAmerican College of Rheumatology (ACR) 2015 Annual Meeting

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L’AMERICAN COLLEGE of Rheumatology (ACR) ha aggirato la controversia riguar-dante i farmaci biosimili nelle proprie linee guida del 2015 per il trattamento dell’artrite reumatoide. La posizione ufficiale su questa nuova categoria di farmaci, come anche su

alcuni altri argomenti scottanti, è stata rimandata. Il comita-to ha dibattuto l’opportunità di entrare nella controversia ma, al momento della revisione finale della letteratura, avvenuta nel mese di settembre del 2014, non era stato approvato al-cun farmaco biosimile negli USA, come affermato da Jasvinder Singh dell’Università dell’Alabama, che ha guidato il team di revisione delle linee guida. L’ACR non fornisce indicazioni su farmaci non approvati negli USA, ma indica i farmaci biosimili come “potenziali argomenti da prendere in considerazione in futuro”. I biosimili assomigliano a farmaci approvati dalla FDA statunitense, ma sono meno costosi. In ogni caso, dato che essi non sono chimicamente identici agli originali, alcuni esperti te-mono che possano risultare meno efficaci o causare più effetti collaterali. Il primo biosimile approvato dall’FDA nel 2015, il filgrastim-sndz, da impiegare nei pazienti oncologici, è un ana-logo del filgrastim ma, sinora, non è stato approvato alcun bio-simile per l’artrite reumatoide. Il comitato ha affrontato diverse altre controversie: uno dei dibattiti più accesi è stato incentrato sul trattamento dei pazienti ad alto rischio, come quelli con ar-trite reumatoide in concomitanza con epatite B, epatite C o tu-mori cutanei. Le evidenze sulle quali basare le raccomandazioni per questi pazienti scarseggiano e, di conseguenza, il comitato è stato diviso sulle sue raccomandazioni per i pazienti con anam-nesi di tumore cutaneo non melanomatoso. La maggior parte dei membri pensava che sia opportuno raccomandare DMARD piuttosto che farmaci biologici in quanto essi potrebbero com-portare meno effetti collaterali, ma un membro del gruppo votante ha obiettato che la differenza negli effetti immuno-

soppressivi fra DMARD e biologici potrebbe non essere signi-ficativa. Gli esperti in ultima analisi hanno deciso di raccoman-dare i DMARD, ma hanno segnalato le opinioni contrastanti nelle linee guida. Nel complesso, queste linee guida differiscono poco dall’estratto presentato nel congresso annuale ACR del 2014, ma la loro versione aggiornata differisce dalle versioni precedenti in diversi punti importanti. Uno dei cambiamenti consiste nel forte appoggio all’approccio "treat-to-target", nel quale il medico stabilisce obiettivi precisi consistenti nel basso livello di attività della malattia o nella remissione. Sono presen-ti, inoltre, algoritmi che distinguono le forme precoci da quelle conclamate di artrite reumatoide nella scelta fra DMARD e biologici. Le linee guida del 2015, infine, offrono una guida sul passaggio da una terapia all’altra e sulla riduzione progressi-va della terapia. Per la prima volta, le linee guida si occupano dell’uso di tofacitinib e glucocorticoidi e coprono anche l’uso di vaccini nei pazienti che assumono DMARD, offrono un parere sullo screening della TBC nei pazienti che assumono biologici o tofacitinib, e forniscono raccomandazioni per il monitoraggio

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di laboratorio dei pazienti che assumono DMARD tradizio-nali. Secondo Seth Ginsberg, cofondatore di Creakyjoints, una comunità online di pazienti con artrite, ciò che le linee guida non coprono potrebbe essere importante quanto ciò che esse coprono. Le linee guida del 2015 hanno incluso due pazienti nel team di revisione, fra cui lo stesso Ginsberg, che ha fatto pressioni senza successo per fare in modo che il comitato for-nisse raccomandazioni sui biosimili. Egli avrebbe anche desi-derato che il comitato fornisse una guida sul trattamento delle donne in gravidanza o in età fertile, e sull’uso di biomarcatori nel monitoraggio della malattia. Secondo Ginsberg, anche se su questi argomenti i dati scarseggiano, essi non sarebbero stati gli unici su cui il comitato avrebbe effettuato raccomandazioni senza evidenze solide. Secondo quanto da egli riportato, il 77% delle raccomandazioni presenti nelle linee guida sono “condi-zionali” a causa delle evidenze deboli. A suo parere, in caso di carenza di dati, ciò di cui il paziente necessita andrebbe sostitu-ito con ciò che egli desidera.

L’American College of Rheumatolo-gy (ACR) ha aggirato la controversia riguardante i farmaci biosimili nelle proprie linee guida del 2015 per il tratta-mento dell’artrite reumatoide. La posi-zione ufficiale su questa nuova categoria di farmaci, come anche su alcuni altri argomenti scottanti, è stata rimandata. Il comitato ha dibattuto l’opportunità di entrare nella controversia ma, al momen-to della revisione finale della letteratura, avvenuta nel mese di settembre del 2014, non era stato approvato alcun farmaco biosimile negli USA.

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Osteoartrosi del ginocchioPromettenti iniezioni di ozonoAmerican College of Rheumatology (ACR) 2015 Annual MeetingAbstract 311

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UN’INIEZIONE DI OZONO nel ginocchio può alleviare il dolore e migliorare la quali-tà della vita nei soggetti con

osteoartrosi del ginocchio stesso. Lo ha stabilito uno studio randomizzato con-dotto su 63 pazienti sottoposti per 8 settimane ad iniezioni di 10 ml di ozono e i cui risultati sono stati giudicati sor-prendenti dall’autrice Virginia Fernandes Moça Trevisani dell’Università di Sao Paulo. L’ozono sembra inibire le prosta-

glandine e le citochine e ridurre lo stress ossidativo. Questo è stato impiegato in Europa per molti anni nel trattamento di tumori, AIDS, carie, artrite reumatoide ed una varietà di altri problemi, ma non è stato approvato per l’uso clinico in Brasile o negli USA e, gli unici studi effettuati in merito nel campo dell’osteoartrosi, sono stati finora descrizioni di singoli casi e, l’autrice stessa, aveva reagito in modo scettico nei confronti della letteratura in quanto essa sembrava sin troppo otti-

mistica. Nell’ambito dello studio, che ha incluso anche un gruppo di controllo di 35 persone, è stato impiegato uno stru-mento speciale per l’iniezione del gas. In questi casi, secondo l’autrice, è importan-te seguire la procedura corretta in quan-to l’ozono se inalato potrebbe risultare tossico. All’inizio dello studio, il gruppo trattato con ozono e quello di controllo erano simili in termini di età, sesso, rigi-dità dell’articolazione dolente, attività fi-sica, attività funzionale ed aspetti emotivi.

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Dopo 16 settimane, dolore, funzionalità, stato di salute complessivo e qualità della vita risultavano significativamente mi-gliori nel gruppo trattato con ozono che in quello di controllo. Le differenze sono emerse nella prima settimana per alcuni test ed entro la quarta per la maggior par-te di essi. L’indice di rigidità WOMAC, comunque, è risultato significativo solo all’ottava settimana, e non sono state ri-scontrate differenze fra i gruppi nel test Timed Up and Go, che valuta il tempo

impiegato per alzarsi, camminare per una certa distanza, ritornare e sedersi di nuo-vo. Oltre a dolore e rigidità, questo test valuta equilibrio e forza, il che potrebbe spiegare la mancata differenza fra i grup-pi. I soli eventi negativi sono stati inci-denti legati alla puntura, che sono inter-venuti soprattutto nel gruppo trattato con ozono, ma solo due pazienti trattati con ozono non hanno portato a termine lo studio. Secondo James Udell dell’Arthri-tis Group di Philadelphia, questo studio

è stato fra i più interessanti presentati in tutto il congresso. L’esperto ha affermato che era già noto che l’ozono potesse avere proprietà antinfiammatorie ed antiossi-danti, ma non era mai stato stabilito con certezza il modo di iniettarlo, ed è sempre positivo avere un agente da poter inietta-re in un’articolazione per migliorarne le condizioni ed i sintomi. Gli autori hanno segnalato che stanno ora facendo uso del-la RM per controllare se l’ozono abbia un qualche effetto sulla cartilagine.

Dopo 16 settimane, dolore, funzionali-tà, stato di salute complessivo e qualità della vita risultavano significativamente migliori nel gruppo trattato con ozono che in quello di controllo.

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