don víctor flaquea

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Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche IX 2006 Edizioni ETS

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Ensayo sobre Víctor Quintanar, personaje de "La Regenta" de Clarín.

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Page 1: Don Víctor Flaquea

Rivista di Filologiae Letterature Ispaniche

IX2006

Edizioni ETS

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M. TERESA CACHO - BLANCA PERIÑÁNLa Farsa de La Costança recuperada

DONATELLA GAGLIARDI

Apuntes sobre el Dialogo della institution delle donne en latraducción castellana de Pedro Villalón (1584)

JUAN MONTERO

Algunas enmiendas al texto de La Galatea de Cervantes (Li-bro IV), a la luz de las fuentes filográficas italianas

INES RAVASINI«Dulcísimas querellas de pescadores dos»: la lirica piscatoriatra Italia e Spagna

FEDERICA CAPPELLILa Francia nel Criticón di Baltasar Gracián: ipocrita provinciad’Europa

BEATRICE GARZELLI

Viaggio nel paese dell’ubriachezza e dell’eresia: la Germanianel Criticón

ENRICO DI PASTENA¿Don Víctor flaquea?Note a un personaggio de La Regenta

QUEVEDO FRA POLITICA E LETTERATURAGiornata di studi dedicata ad Alessandro Martinengo(Pisa, 14 febbraio 2005)

GIULIA POGGIPresentazione

MARIO BARBIERIO Madrid, escuro infierno: percorsi della vituperatio urbis daPedro da Costa Perestrello a Francisco de Quevedo

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INDICE

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FEDERICA CAPPELLILetteratura e propaganda politica: la Jura del príncipe Balta-sar Carlos in Quevedo e Mira de AmescuaHENRY ETTINGHAUSENAntisemitismo en el BuscónANTONIO GARGANO

Quevedo e il canone breveBEATRICE GARZELLI

Tra politica e festeggiamenti di corte: toros y cañas in alcunisonetti quevedianiGEORGES GÜNTERT

El buscón, novela circular: del mundo-texto remendado a suingeniosa reescrituraVALENTINA NIDER

Dal paragrafo “Del estilo” de La Constancia y paciencia delsanto Job alla traduzione (fra la vulgata e Fray Luis de León)GIULIA POGGIFra Quevedo e Gracián: il viaggio sognato di Polo de MedinaElenco delle pubblicazioni di Alessandro Martinengo

RECENSIONI

ENRICO DI PASTENAAlberto Blecua, Signos viejos y nuevos. Estudios de historialiteraria, edición y apéndice bibliográfico al cuidado de XavierTubau, Barcelona, Crítica, 2006, 525 pp.GIOVANNA FIORDALISOC. Martín Gaite, Cuadernos de todo, Edición e Introducciónde Maria Vittoria Calvi, Prólogo de Rafael Chirbes, Barcelona,Nuevas Ediciones de Bolsillo, 2003 2ª ed., 860 pp.ALESSANDRA GHEZZANI

Efraín Kristal, Invisible work. Borges and translation, Nash-ville, Vanderbilt University Press, 2002Sergio Waisman, Borges y la traducción. La irreverencia de laperiferia, tr. di Marcelo Cohen, Buenos Aires, Hidalgo, 2005,318 pp.

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1 La lettera è riprodotta in M.J. Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica de su tiem-po, Barcelona, Lumen, 1987, pp. 311-15; la citazione proviene dalla p. 313.

¿DON VÍCTOR FLAQUEA?NOTE A UN PERSONAGGIO DE LA REGENTA

Somos do tamanho do que vemos

In un pugno di epistole personali incentrate su La Regenta, BenitoPérez Galdós enuclea le svariate ragioni del suo apprezzamento per ilcapolavoro clariniano – che non intese rendere immediatamente pub-bliche – ma non si astiene dal manifestare delle riserve. Alcune, di ca-rattere più generale, investono dimensioni decisive del romanzo consi-derato (com’è noto, lo scrittore reputò eccessiva l’attenzione concessa-vi agli “appetiti carnali”); altre scendono in maggiori dettagli. È il casodelle osservazioni mosse al marito di Ana Ozores, don Víctor Quinta-nar. Scrive infatti Galdós in una lettera del 6 aprile 1885, quando anco-ra è stato divulgato solo il primo tomo dell’opera e Clarín sta ultiman-do la stesura del secondo:

El don Víctor Quintanar me gusta; pero este carácter flaquea, no por su carác-ter propiamente tal, sino por su carrera u oficio; quiero decir que don Víctor nome parece un tipo firme cuando considero que ha pasado toda la vida en las ense-ñanzas morales que da la magistratura. Es imposible que un hombre que ha esta-do en tratos tan íntimos con la miseria y debilidades humanas sea tonto y no vea elpeligro que tiene al lado con su mujer, guapa de 27 años, y un poco levantada decascos. La inocencia de este señor no se compadece con su oficio, que es oficio deexperiencia y de estudios de la malicia humana. Hubiera sido don Víctor albeitar,o músico o danzante, y estaría muy bien; pero tener tales candideces un hombreque ha sentenciado a muerte a grandes criminales, que ha visto las pasiones retra-tadas en los incidentes de mil pleitos… ¡Eso no pasa!1

Annotiamo en passant che Galdós sembra tralasciare il fatto che lavera vocazione di Quintanar fosse ben altra, più votata all’arte che allagiurisprudenza, e che la professione svolta sia stata dal personaggio tol-lerata piuttosto che abbracciata (e con scarso entusiasmo, in particola-re quando si trattava di condannare a morte i rei). Ma se certa resisten-za dinanzi al tratteggio del marito ingenuo e artefice inconsapevole del-le proprie sventure è dato cogliere già nella lettera menzionata, i dubbidegenerano in scoperto rifiuto una volta che Galdós ha effettuato, at-

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2 In Ibid., pp. 318-21, citazione dalla p. 319.3 Si limita a scrivere: «Completan el admirable cuadro de la humanidad vetustense el

D. Víctor Quintanar, cumplido caballero con vislumbres calderonianos, y su compañero deempresas cinegéticas el graciosísimo Frígilis», in Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica,p. 332.

4 Per il quale Quintanar «no se tiene en pie» (cfr. “Encuesta sobre La Regenta”, in Ín-sula, 451, giugno 1984, p. 8).

5 Le citazioni de La Regenta con indicazione del capitolo e del numero di pagina pro-vengono dalla ed. a cura di J. Oleza, Madrid, Cátedra, 1989 4ª ed., in 2 tomi.

torno al mese di settembre del 1885, la lettura del secondo tomo, allaquale allude nella missiva del 26 ottobre dello stesso anno, tornando,inter alia, su Quintanar:

El don Víctor es el personaje que menos me gusta en la obra, porque resultaexcesivamente simple, y es cabrón desde el principio. En cambio el buen Frígilisme enamora, y aquellos deliciosos ateos, y toda aquella turba del Casino2.

Mi pare significativo che, rispetto a don Víctor, Galdós getti defini-tivamente la maschera, sulla scia della più prudente e comunque rivela-trice valutazione della prima parte, dopo aver concluso la lettura del-l’intero romanzo; altra cosa è che cerchi di bilanciare la disapprovazio-ne con il giudizio favorevole su Frígilis, con cui a lungo il personaggiofa coppia nel romanzo3, e che nella tardiva esternazione pubblica che èil suo prologo alla edizione de La Regenta del 1901 vengano tralasciatigli appunti rivolti al marito di Ana Ozores. Dal momento che nel seg-mento conclusivo dell’opera don Víctor sperimenta una trasformazio-ne che l’autore di Fortunata y Jacinta finisce per trascurare, vien da do-mandarsi se l’insoddisfazione galdosiana (del resto condivisa, circa unsecolo più tardi, da un altro romanziere eccelso come Miguel Delibes4)sia del tutto condivisibile, se fino in fondo la condotta di Quintanar siacosì semplicistica e così monocorde risulti la sua figura.

È fuor di dubbio che per gran parte del romanzo don Víctor vengapoco meno che ridicolizzato. La sua prima apparizione, nel capitolo III(p. 228)5, lo propone di già come una sorta di riflesso, quasi meno con-sistente della figura sognata di Mesía, che, agli occhi del lettore, comin-cia nella circostanza a delinearsi come suo antagonista nell’animo diAna. L’intreccio manifesterà ironicamente come risulti più tangibile ilpotere della tentazione rispetto alla casalinga concretezza dell’inade-guato marito. Nel sovrapporsi della sua presenza all’immagine di Me-sía, attraverso il riferimento alla lanterna magica (un nuovo strumentoottico, dopo che nel capitolo d’apertura era apparso il cannocchiale del

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6 Si noti anche la valenza prefiguratrice dell’apparizione, visto che, quando Víctor lovede calarsi dal balcone della stanza di Ana, Álvaro si avvolge «en una capa de vueltas degrana» (XXIX, 532).

7 Non si dimentichi che il maturo Pompeyo Guimarán in casa indossava una «bata decuadros azules y blancos, en forma de tablero de damas» (XX, 230). S. Beser ha rilevato co-me, nell’ambito dell’abbigliamento, la ridicolizzazione di Quintanar si basi principalmentesui capi notturni (“Espacios y objetos en La Regenta”, in AA. VV., “La Regenta” de Leopol-do Alas, ed. F. Durand, Madrid, Taurus, 1988, p. 62).

8 Cfr. XXV, 392-93: «Así pensaba don Víctor, ceñida al cuerpo la bata escocesa […].El sol llegaba a los pies de Quintanar arrancando chispas de los abalorios y cinta dorada delas babuchas semi-turcas». E si metta in relazione il passo con alcuni di Su único hijo (adesempio, V, 212, ed. J. Oleza, Madrid, Cátedra, 1990: «Siempre que leía aventuras de viajeslejanos, grandes penalidades de náufragos, misioneros, conquistadores, etc., etc., lo que máscompadecía [Bonifacio] era la ausencia probable de las babuchas», oppure X, 296), neiquali le babbucce divengono simbolo della apatica rassegnazione borghese di Reyes, comesegnala il curatore dell’edizione citata (n. 1, pp. 296-97).

9 Cfr. in particolare XXX, 561, corsivo mio: «A doña Paula se le ocurría un medio decastigar a los infames, sobre todo al barbilindo agostado; este medio era divulgar el crimen,propalar el ominoso adulterio, y excitar al don Quijote de don Víctor para que saliera lanzaen ristre a matar a don Álvaro».

10 Lo scarso interesse verso la moglie è tratto che Quintanar ha in comune con il signorMouret de La conquête de Plassans (cfr. R. Jammes, “La conquête de Plassans de Émile Zola,hipotexto de La Regenta”, in Y. Lissorgues, ed., Realismo y naturalismo en España en la se-gunda mitad del siglo XIX, Barcelona, Anthropos, 1988, p. 386, n. 3).

canonico e s’era alluso al microscopio), si stabilisce infatti una dialetti-ca tra lo sposo legittimo e l’amante agognato in modo ancora non co-sciente, tra la dimessa realtà e il desiderio plasmato in sogno. Di questocontrasto partecipa anche l’abbigliamento: quello erotico-avventurosodi Mesía («envuelto en una capa de embozos grana», III, 227)6, imme-diatamente venato di elegante regalità («de gabán blanco entallado, sa-ludando como saludaba el rey Amadeo», III, 228), si oppone alla «bataescocesa a cuadros, un gorro verde de terciopelo y oro, con borla…»(ibidem). Il tenore grottesco, dal vago sapore arcaizzante7, della misedomestica di Quintanar verrà ribadito e precisato in altre occasioni, al-lorché le sue babbucce orientaleggianti ne denunceranno la autenticavocazione antieroica8. Le caratteristiche somatiche, in particolare quel-le del viso (ibidem), lo imparentano con la figura, filtrata dalla tradizio-ne delle illustrazioni ottocentesche, di un moderno don Chisciotte; ilprosieguo dell’azione, e persino qualche esplicita menzione9, non man-cano di sottolineare questo vincolo, sul quale più sotto tornerò.

Il primo sguardo rivolto alla vita familiare di casa Quintanar svelapure il carattere insoddisfacente e assai distanziato del rapporto coniu-gale, da cui viene subito esclusa la componente erotica10, sostituita dal

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11 Paula è un autentico e ben tangibile ostacolo che campeggia su una soglia, nella fatti-specie dinanzi alla domestica e simbolicamente sulla via della realizzazione piena del figlio,invece di emergere da una sorta di evanescente gioco di luce (cfr. XI, 497). Torna ad analiz-zare la figura di Paula Raíces, A. Sinclair, “The Force of Parental Presence in La Regenta”,in Culture and Gender in Nineteenth-Century Spain, ed. L. Charnon-Deutsch e J. Labanyi,Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 182-98.

12 Cfr. “La desheredada”, in La literatura en 1881 [1882], ora in Leopoldo Alas“Clarín”, Obras completas, Madrid, Biblioteca Castro, V, p. 489.

rapporto genitoriale, come confermano il «casto beso» della sposa equello «paternal» stampatole sulla fronte dal marito. In alternativa, tra-pelano le sollecitazioni che su Víctor esercita Petra, destinate a riaffio-rare lungo l’intreccio all’interno di un motivo, le effusioni tra serve epadroni, insistito ne La Regenta (si pensi al suo riproporsi nelle scher-maglie tra Fermín e Teresina o Fermín e la stessa Petra, ma anche allosmodato comportamento di Paco Vegallana con le domestiche di casa).

L’esordio del personaggio di Quintanar è dunque rivelatore, e po-trebbe a ragione richiamare per contrasto l’iniziale manifestarsi didoña Paula11, colei che, per chiarezza di intenti, durezza d’animo e ca-pacità di manipolazione di chi la circonda si colloca agli antipodi del-l’ex regente. Il tono e il senso della prima apparizione di Víctor saran-no ripetutamente e a lungo confermati nel testo sia dal giudizio deglialtri personaggi che dalla condotta dell’ex regente, a riprova del fattoche per realizzare uno studio adeguato di un essere vivo «es precisoverle en la realidad, moviéndose en el ambiente»12. Tra gli attanti nonmanca un’ampia convergenza nel tacciare Quintanar di stoltezza: senzapretesa di esaustività e a mo’ d’esempio, a lui allude Fermín de Pas co-me «el tonto de don Víctor» (XVIII, 166), «idiota, Juan Lanas y cosaspeores» (XXVII, 475); come «loco» lo qualificano Visita (XIX, 176) eSomoza (177); sarebbe «idiota», «estúpido» o, in non disinteressatasalva di insulti, «viejo chocho, inútil y chiflao que era una compasión»(XXIX, 524), secondo Petra. Insomma, il “prospettivismo” della nar-razione pare non attivarsi per Quintanar. La percezione da parte diAna è più articolata, come vedremo, anche se nel complesso non puòche risultare negativa.

La pessima valutazione che l’anziano personaggio riceve nel micro-cosmo vetustense viene a più riprese corroborata anche dalla voce nar-rante. Tre campionature basteranno a illustrarlo: si veda, in primo luo-go, la sproporzione tra il dato reale e il suo trattamento, così come gliepiteti attribuiti a Víctor, nel passo in cui questi ha appena frenato isuoi impulsi erotici verso Ana perché dovrà levarsi di buon mattino

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13 Cfr. M.a del C. Bobes Naves, Teoría general de la novela. Semiología de “La Regenta”,Madrid, Gredos, 1985, pp. 379-80, che ricorda come don Víctor sia il principale bersagliodell’ironia tragica del testo.

per andare a caccia e tuttavia non rinuncia, prima di tornare sotto lecoltri, a passare in rassegna le sue voliere: «Ante el reclamo de perdizquedó extasiado. Si algún pensamiento impuro manchara acaso suconciencia poco antes, la contemplación del reclamo, aquella obramaestra de la naturaleza, le devolvió la elevación de mira y grandeza deespíritu que convenía al primer ornitólogo y al cazador sin rival de Vetu-sta» (III, 232-33, corsivo mio)13. Si rilegga poi una descrizione allusivadella sua futura condizione di marito beffato: «se paseaba por su de-spacho en mangas de camisa, con los tirantes bordados colgando: re-presentaban, en colores vivos de seda fina, todos los accidentes de lacaza de un ciervo fabuloso de cornamenta inverosímil» (XIII, 577-78,corsivo mio). Si consideri, infine, il lungo passo consacrato a Quinta-nar nel cap. XVIII; dopo che ne è stata sottolineata la mancanza di ca-rattere («Era el espíritu del ex regente, de blanda cera…»), la suddi-tanza psicologica nei riguardi di Frígilis, la relativa autonomia che Anasi è ritagliata rispetto ai suoi suggerimenti e ai suoi svaghi, l’impudenzasottesa nel comportamento degli stessi domestici (anticipata nel primoesempio citato – III, 232 – dallo sguardo impertinente e affatto sotto-messo che gli riserva il suo tordo prediletto), il quadro culmina con ungraffio ironico degno di Cervantes (XVIII, 148-49):

Hasta en el estilo se notaba que Quintanar carecía de carácter. Hablaba comoel periódico o el libro que acababa de leer, y algunos giros, inflexiones de voz yotras cualidades de su oratoria, que parecían señales de una manera original, noeran más que vestigios de aficiones y ocupaciones pasadas. Así hablaba a veces co-mo una sentencia del Tribunal Supremo, usaba en la conversación familiar el tec-nicismo jurídico, y esto era lo único que en él quedaba del antiguo magistrado. Nopoco había contribuido en Quintanar a privarle de originalidad y resolución, elcontraste de su oficio y de sus aficiones.

Se l’appunto per il quale la vecchia occupazione ha lasciato appenaqualche traccia sul piano lessicale riveste un suo interesse (Clarín vienea dire che il contegno di Quintanar non corrisponde a quello che sa-rebbe lecito attendersi da chi fu magistrato, il che in certa misura pre-viene una delle recriminazioni di Galdós), è in particolare l’ultima no-tazione contenuta nel brano a non poter passare inosservata, poichéesplicita la causa principale della debolezza dell’ex giudice, la cui voca-zione per gli scenari è stata soffocata e dirottata verso ambiti affatto di-

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14 S. Beser, “Introducción”, in Idem, ed., Clarín y “La Regenta”, Barcelona, Ariel, 1982,p. 43.

15 Cfr. anche M. Rosso Gallo, El narrador y el personaje. El mundo de Leopoldo Alas“Clarín”, Torino, Edizioni dell’Orso, 2001, p. 59.

16 Cfr. Su único hijo, VII, 259-60.

versi. Anche per lo sposo destinato a essere tradito si può perciò evoca-re l’emergere di un aspetto di ascendenza naturalista, il condiziona-mento dell’individuo da parte del milieu (qui verosimilmente personifi-cato dalla famiglia di Quintanar, ostile all’eventualità che il propriorampollo calcasse le scene), componente che è stata richiamata per illu-strare, almeno in parte e senza spingerla sino al determinismo, le vicen-de di Ana e di Fermín14.

La stessa condotta del personaggio parrebbe volta a manifestarne inmodo insistito e sfaccettato i limiti caratteriali: egoismo, incostanza,verbosità, infantilismo, sprovvedutezza, pigrizia lo contraddistinguono.Sono tratti palesi, per cui mi limito a offrirne un sintetico colpo d’oc-chio come mero prodromo della mia argomentazione centrale, fondataprincipalmente sull’analisi dei due capitoli conclusivi. Víctor, in genereinsensibile alle necessità della consorte, si mostra particolarmente egoi-sta in occasione delle crisi isteriche della Ozores, preoccupandosi so-prattutto delle limitazioni che la malattia può comportare per i suoiprincipali svaghi, siano essi il teatro (non ha difficoltà a recarvisi da so-lo – X, 450-51 –, a lasciar tornare Ana senza accompagnarla quando el-la decide di non trattenersi a uno spettacolo, XVI, 115) o la caccia(pratica, quest’ultima, ch’egli nasconde alla moglie quando non lo ob-bliga a spostamenti ragguardevoli e ad assenze prolungate): così, eglimanifesta malumore per lo svenimento di Ana durante il ballo al Cir-colo (XXIV, 382) e rivela un certo disinteresse, al ritorno da una battu-ta venatoria, per lei e l’ennesima recrudescenza della sua malattia(XIX, 178-79)15. Farà inizialmente da infermiere alla consorte, anno-tando in un quaderno, come il Bonifacio Reyes di Su único hijo (che haqualche tratto in comune con il nostro), i dati fisiologici della sposache potrebbero avere rilevanza medica16, ma ben presto dimostra tuttala sua incostanza abbandonando a poco a poco l’impegno. Analoga in-costanza, del resto, manifesta verso i suoi artefatti; anzi, persino le suemacchine gli resistono, proprio come gli amati uccelli, quasi giungendoa metterlo in ridicolo (XVIII, 158: «[…] un poco avergonzado en pre-sencia de aquellos juguetes irónicos que se le reían en las barbas, esqui-vaba su despacho»). Il fatto è che sin troppo spesso interessi e atteggia-menti di Víctor paiono frutto del suo adattamento agli interessi e agli

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17 Riattualizzazione anche in chiave sociologica, visto che Quintanar è «de los señoresdel margen» (così chiamati in seguito alla prassi per la quale si annotava sul margine sinistrodel primo foglio di sentenze e atti il nome del giudice e dei magistrati), ovvero un esponentedi quella autorità giudiziaria che, in quanto «segunda aristocracia en Vetusta», fa da pontetra la media borghesia e la nobiltà.

18 Per quest’ultima, cfr. J.A. Cabezas, Clarín. El provinciano universal, Madrid, Espasa-Calpe, 1936, pp. 58-9. Allo stesso modo, è forse lecito cogliere una lieve traccia autobiogra-fica nel fatto che Ana e Quintanar dopo le nozze partano alla volta di Granada perché ilgiudice vi è stato nominato «presidente de Sala» (V, 313); anche Alas si recò in Andalucíanon appena sposato con l’incarico di redigere una serie di articoli sulla situazione delle cam-pagne locali (Cabezas, Clarín. El provinciano, pp. 123-24).

atteggiamenti dei suoi interlocutori: accade in parte per i marchingegniche costruisce assieme a Frígilis, dal quale peraltro lo separa anche unnon nascosto senso di competizione; occorre con le “confessioni” dicarattere amoroso che prodiga a Mesía; lo conferma l’ascendente mo-raleggiante e religioso, di cui è cifra la lettura del Kempis, che su di luisi sforza di esercitare Ana. In definitiva, nell’oscillare di Quintanarpossono trovar spazio sia l’inconsapevole portata ironica del suo mal-destro donjuanismo, che stride con la cinica efficacia di Álvaro, sia lasua posizione critica rispetto alla chiesa e al gesuitismo, che lo mette incontrasto con l’altro aspirante alle grazie della moglie.

In Ana la stima per il marito traccia una traiettoria digradante. Unavolta realizzata la “scelta” matrimoniale, con la riattualizzazione del te-ma del “viejo y la niña”17, le avvisaglie per la donna non erano state in-coraggianti. Alla fine del capitolo V i novelli sposi abbandonano Vetu-sta dirigendosi verso sud a bordo di una malandata diligenza, forse ri-cordo de “La Ferrocarrilana”18. Víctor, il berretto di seta calato sugliocchi (in continuità, per il lettore, con la sua prima apparizione, anchese qui ci troviamo in una sequenza analettica), immerso nell’ennesimalettura calderoniana, El mayor monstruo los celos, e insensibile al fasci-no della giovane moglie, è un ritratto grottesco dell’inopportunità, taleda gettare piena luce sulla frustrazione che attende la Ozores durantela luna di miele e nella futura vita coniugale. Al significato esplicito delbrano, la mancanza di coinvolgimento affettivo dell’uomo, si sommauna nuova allusione implicita ai danni di Quintanar: Erode, il protago-nista de El mayor monstruo prova una sfrenata passione per la moglieMariene; disposto a farla trucidare da sicari dopo l’eventuale propriadipartita pur di preservarne l’onore, finisce per ucciderla egli stesso inmodo preterintenzionale, laddove nell’intreccio clariniano, più che ilmarito legittimo, la gelosia animerà Fermín de Pas, colui che intenderisarcirsi del “tradimento” subìto. Del resto la diffusa, spesso intempe-

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19 Analizza la dipendenza economica della donna dell’epoca Y. Lissorgues, “El amor yla economía”, in Clarín político, Toulouse, Institut d’Etudes Hispaniques et Hispano-Améri-caines, Université de Toulouse-Le Mirail, 1980, pp. 216 ss.

20 Si vedano le considerazioni che G. Sobejano estrae da queste pagine in “La inadapta-

stiva verbosità di Víctor ne mina il credito come eventuale vindice: ivendicatori calderoniani sono uomini discreti nel loro agire e di solitocontano esclusivamente sulle loro forze, tutt’al più sull’appoggio di po-chi fidi. Quanto al codice d’onore classico, no hay cosa como callar e ildiscorrere pubblico da parte dell’ex regente di ipotetiche vendette è,agli occhi del lettore avveduto, inversamente proporzionale alla loropossibilità di realizzarsi.

La chiusa del capitolo V è anche uno dei passi in cui più chiaramen-te emerge la riduttiva condizione in cui è costretta la donna all’internodella coeva società patriarcale, senza che il narratore si astenga dal diri-gere un’altra stoccata beffarda a Quintanar:

Y ahora [Ana] estaba casada. Era un crimen, pero un crimen verdadero, no co-mo el de la barca de Trébol, pensar en otros hombres. Don Víctor era la murallade la China de sus ensueños. Toda fantástica aparición que rebasara de aquelloscinco pies y varias pulgadas de hombre que tenía al lado, era un delito. Todo ha-bía concluido… sin haber empezado (V, 317).

Oltre la muraglia, Ana sarà attesa dalla fama, diffusa in tutta Vetu-sta, di fortezza inespugnabile.

In un primo momento, la scelta di prendere in sposo Quintanar, vi-ste le poco allettanti alternative del matrimonio con il gretto indianoFrutos, della dipendenza materiale dalle anziane zie o della vita con-ventuale19, rappresenta per Ana una via di fuga, un male minore. Que-sto aiuta a spiegare l’iniziale benevolenza che la Ozores nutre per l’an-ziano coniuge. Quando l’azione prende le mosse, ancora trova che «suscincuenta y tantos años parecían sesenta; pero sesenta años de una ro-bustez envidiable» e che il suo aspetto sia «venerable y hasta heroico»(III, 230). Ben presto, tuttavia, Ana fatica a tollerare la fastidiosa eva-nescenza di un marito assai più facile da onorare come principio astrat-to che nel suo imperfetto manifestarsi di individuo, e Víctor, divenuto«un martirio» (XIX, 202), le appare l’emblema, assieme alla cittadinain cui sono tornati a vivere, di quanto di prosaico racchiuda la vita(XVIII, 158-59). Per di più, la donna ha dovuto misurarsi con l’impo-tenza dello sposo, raffigurata nel sigaro abbandonato a metà che neltriste e centrale giorno di Ognissanti la sua esacerbata sensibilità elevaa parametro cosmico (XVI, 63-4)20; e il lettore ha buon gioco nel ram-

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da. (Leopoldo Alas: La Regenta, capítulo XVI)” [1973], nella versione raccolta in S. Beser,ed., Clarín y “La Regenta”, Barcelona, Ariel, 1982, in particolare pp. 217-23.

21 «Don Álvaro al moverse con alguna viveza, dejaba al aire un perfume que Ana la pri-mera vez que lo sintió reputó delicioso, después temible; un perfume que debía marear muypronto; ella no lo conocía, pero debía de tener algo de tabaco bueno y otras cosas puramentemasculinas, pero de hombre elegante solo» (XIII, 580-81, corsivo mio).

22 Non mi soffermo sugli elementi chisciotteschi del personaggio perché ripetutamente

mentare, secondo una rinnovata meccanica contrastiva, il profumo diÁlvaro – forse di tabacco e comunque inebriante per Ana21 –, il suogodere del fumo al Circolo prima di lanciarsi nella narrazione delleproprie imprese amorose («[…] fumaba un buen cigarro besando eltabaco con cariño y voluptuosa calma», XX, 237), o, di contro, il fuma-re della risoluta doña Paula, il cui “vizio”, confinato allo spazio dome-stico, spicca nella misura in cui poche sono le concessioni che questadonna inflessibile fa a se stessa (XI, 498).

La divisione tra i coniugi è sottolineata dagli spazi ben differenziatiche ciascuno di essi occupa all’interno del palazzo de La Rinconada,anche se risulta di per sé significativo che Víctor, al pari dei protagoni-sti e a differenza di Álvaro, abbia specifici ambiti vòlti a caratterizzarlo.La uccelliera, lo studio e il gabinete con i loro marchingegni, una stan-za da letto tutta per sé, sono spazi estranei ad Ana e se in alcuni di essicostei realizza una incursione, la risultante per la giovane moglie assu-me le sembianze di una trappola (la morsa che serra il braccio dellamalcapitata che si è introdotta nello studio al buio, X, 456 ss.) o il sa-pore della disillusione (Víctor ridotto egli stesso a grottesco congegnomeccanico che fa il verso a don Chisciotte, XXIII, 351 ss.). Nel primoepisodio, gli addentellati simbolici paiono rimandare scopertamente al-la stessa condizione matrimoniale della donna, il suo essersi cacciata inun vicolo cieco, l’oppressione non solo fisica di cui è vittima, l’impossi-bilità di liberarsi dai suoi vincoli senza provocare una involontaria de-vastazione attorno a sé (autentica prolessi dell’intreccio: in questo sen-so, gli apparati distrutti dell’ancor “ingenuo” Víctor preluderebbero,oltre che alle macerie di cui si vedrà circondata Ana alla fine, all’anni-chilimento che attende il loro proprietario). Quanto alla seconda se-quenza (la visita – nuovamente notturna – che una turbata Ana fa alconsorte in cerca d’un impossibile conforto), essa culmina il tratteggiochisciottesco di Quintanar, ravvisabile in una miriade di echi, nonchénell’ossessione di decifrare la vita sub specie litteraturae, da cui peraltronon è del tutto immune la stessa Ana, e nell’inadeguatezza a svolgere la“missione” che si prefigge22. A ogni modo, per quanto la sua “chisciot-

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esplorati: cfr. M. Jackson, “Cervantismo in the Creative Process of Clarín’s La Regenta”, inModern Language Notes, 84, 1969, pp. 208-27, spec. pp. 211-14 (tra gli altri, Jackson segnalala presunta somiglianza tra i cognomi Quijano e Quintanar; certo è che quest’ultimo risultaanche un toponimo mancego, per quanto il personaggio clariniano sia di natali aragonesi).Più descrittivo si rivela l’andamento del contributo di S. Alonso Menéndez e S. LeónGonzález, “Don Víctor Quintanar: un ejemplo de caracterización cervantina”, in Clarín y“La Regenta” en su tiempo. Actas del Simposio Internacional, Oviedo, Servicio de publica-ciones de la Universidad de Oviedo, 1987, pp. 385-94. Si incentra invece sulla dimensionemetaletteraria, comune a entrambi i romanzi, E. Sánchez, “From World to Word: Realismand Reflexivity in Don Quijote and La Regenta”, in Hispanic Review, LV, 1987, pp. 27-39.Rintraccia orme cervantine nei racconti clariniani C.R. Thompson, “Cervantine Motifs in theShort Stories of Leopoldo Alas”, in Revista de Estudios Hispánicos, X, 1976, pp. 391-403.

23 Non a caso un commentatore straniero già all’epoca della pubblicazione del romanzovide in Quintanar una «orgullosa y bella figura que resume el viejo espíritu caballerescoespañol» (G. de Frezals, in un articolo della Revue Britannique, V, 1886; cito da Tintoré,“La Regenta” de Clarín y la crítica, p. 221). Sulla dialettica, anche ideologica, istauratasi nel-l’Ottocento attorno a Calderón offre qualche spunto G. Correa, “Calderón y la novela reali-sta española”, in Anales Galdosianos, XVIII, 1983, pp. 15-24.

24 G. Sobejano, “Semblantes de la servidumbre en La Regenta”, in Serta philologica F.Lázaro Carreter, Madrid, Cátedra, 1983, II, pp. 519-29, cito dalla p. 520.

tizzazione” non si spinga sino al punto di fargli negare la realtà circo-stante, essa ne favorisce una distorsione dei valori etici, visto che l’ade-sione di Quintanar alle proprie letture, e mi pare un dato importante,si direbbe ideologica prima ancora che estetica, contemplando il con-vincimento che sia opportuno travasare nel mondo delle cose e delpresente i supposti comportamenti di una Spagna dei tempi miglioriquale viene riflessa dal dramma d’onore23.

Ana arriva, grazie alle sordide rivelazioni che le fa Mesía, allorchéquesti le ha ricevute dal diretto interessato e s’è premurato di ingigan-tirle, a provare ribrezzo per il marito (XXIX, 512), per approdare, unavolta consumatasi la tragedia coniugale, a un rimorso nel quale Víctorha meno la parvenza di un essere individualizzato che la mera funzionedel marito tradito e poi rimpianto (XXX, 583). Eppure, in modo cu-rioso ma significativo, è la figura subalterna di Petra, il cui durissimogiudizio su Quintanar e la cui composita rabbia verso il mondo dei si-gnori trae alimento anche da un odio di classe, a rappresentare la verapietra di paragone tra don Víctor e i principali pretendenti di Ana. Ladomestica infatti gioca con i tre uomini della sua padrona e tende a de-gradare gli uni e l’altra24: come accennato, Víctor si sente solleticatodalle attrattive di Petra e ne avverte a più riprese il magnetismo purnon arrivando a possederla; Fermín non si limita ad attrarla nella pro-pria orbita per meglio esercitare il controllo sulla sua figlia spirituale

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25 Di cui Petra è tra l’altro lettrice (XXIX, 522-23). J.L. Aranguren, “De La Regenta aAna Ozores”, in Idem, Estudios literarios, Madrid, Gredos, 1976, pp. 208-9, enumera i prin-cipali elementi che La Regenta trae dalla materia d’appendice.

26 G. Sobejano, “Semblantes”, pp. 527-28.27 Cfr. J. Rutherford, “La Regenta” y el lector cómplice, Universidad de Murcia, 1988,

p. 121.

preferita e poi assicurarsi la vendetta, ma sfoga incidentalmente i suoiappetiti sulla «lubrica bionda»; e lo stesso don Álvaro, al fine di facili-tarsi la relazione con Ana, seduce (o crede di sedurre) la fanciulla. Inalcune di queste schermaglie amorose della intraprendente serva è pos-sibile cogliere tracce del feuilleton25, mentre nella relazione che si in-staura tra Víctor, Mesía e Ana, si è visto, non senza fondamento, unaulteriore riprova dell’ascendenza cervantina su Clarín, in particolare deEl curioso impertinente26. Tornerò in breve sul rapporto, centrale, traVíctor ed Álvaro e, in subordine, su quello tra ex regente e magistral.Dal punto di vista narrativo, le leggerezze di Quintanar con la giovanedomestica contribuiscono a mostrarne l’incostanza, quanto possa esse-re epidermica la sua accettazione del codice morale comunementeostentato: in questo “autoindulgere” ai piaceri della carne, almeno findove lo consente la sua fisiologia, Víctor manifesta un comportamentoaffine a quello della maggior parte dei vetustensi. Da essi lo distingue,tuttavia, l’indole mite e sostanzialmente buona (in ciò forse non cosìlontana, sul versante laico, da Camoirán, al quale lo collega qualchetratto, come la passione per l’ornitologia, XII, 523-24, e il desiderio dipreservarsi alcuni spazi precludendoli agli altri, XII, 523). L’anzianopersonaggio, che da Vetusta si allontana per le battute di caccia senzamai far proprio il distanziamento spirituale che rispetto alla cittadina eal suo modus vivendi caratterizza l’amico di scorribande Frígilis, è inol-tre tra i pochi a essere sinceri, assieme al menzionato Camoirán, a Gui-marán e, nei momenti di abbandono, ad Ana. Certamente, nella fango-sa e ipocrita Vetusta la sua spontaneità risulta una aggravante più cheuna discolpa27.

È comunque il rapporto che Quintanar intesse con Mesía a qualifi-carlo come stultus in grado massimo. I suoi ripetuti inviti a La Rinco-nada, le sue sordide esternazioni, le sue improvvide parole riguardo adAna lo denunciano irrimediabilmente come un essere cieco, un caccia-tore impreparato dinanzi alle trappole della vita sociale, un marito in-spiegabilmente disattento alla pur notevole fama che precede e circon-da il dongiovanni vetustense. Anche qui si avrebbe gioco facile nelmoltiplicare gli esempi: la inconcludenza del suo conversare e delle

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28 Dal momento che l’adulterio «no es tema central sino una de las atmósferas que lanovela respira», come scrive S. Serrano Poncela (“Un estudio de La Regenta”, in S. Beser,ed., Clarín y “La Regenta”, p. 157).

29 Altri esempi nel romanzo della Restaurazione della stessa funzione di “ostacolo” allerelazioni erotiche frapposta dalla condizione matrimoniale si trovano in E. Miralles, La no-

escursioni di gruppo a cui si aggrega Álvaro e l’inopportunità delleconfidenze intime insistono sulla stessa falsariga e parrebbero dar ra-gione a coloro che, come Galdós e Delibes, hanno faticato ad accettareil personaggio come una creatura plausibile. Al pari degli altri vetu-stensi, Víctor subisce il fascino dell’uomo di mondo impeccabilmentevestito e ottimo stratega di se stesso; in particolare, parrebbero attrarlocapacità che gli sono estranee, quali la destrezza nella conquista delledonne e la spiccata attitudine al liderazgo, non solo in chiave politica(XVIII, 163).

Limitandoci al segmento di testo che ruota attorno alla ellittica sedu-zione di Ana, si percepisce quasi una sorta di accanimento da parte del-l’autore quando l’anziano ritorna a parlare della propria impotenzaspingendo involontariamente Mesía a rompere gli indugi e a compiereil passo definitivo (XXVIII, 506-7). Una volta consumatasi la seduzio-ne, l’ennesimo invito a pranzo che, in occasione del Natale, Quintanarrivolge al dongiovanni è meno una nuova dimostrazione di familiaritàche una obliqua allusione sul piano sessuale (per la corrispondenza tracomer e l’atto sessuale basti ricordare El Burlador de Sevilla, per rima-nere entro un alveo tematico significativo per La Regenta). Ciò confer-ma, anche simbolicamente, che il caserón degli Ozores ha ormai cedutoal lento assedio di Álvaro (XXIX, 515-16), squilibrando la situazioneper la quale al palazzo dei Vegallana, campo prediletto del dongiovannilocale, si opponeva la casa di doña Petronila, terreno favorevole aFermín. L’ironia tragica tocca il suo culmine – e Víctor il suo fondo –quando al Circolo egli ringrazia Mesía, il quale ha agito spinto dal pro-prio interesse, per aver liberato la sua casa dalla presenza della insidiosaPetra con queste parole, riprese dal narratore: «“Le debía algo mejorque la vida, la tranquilidad de su hogar doméstico”» (XXIX, 524).

Così sbilanciata risulta dunque una simile figura da non poter elude-re, più che perplessità sulla sua riuscita estetica, degli interrogativi sulleragioni del suo esistere. Non c’è dubbio che il ruolo di marito inade-guato sia assolutamente funzionale allo svolgimento di quel che è statodefinito anche un romanzo d’adulterio, pur trattandosi di una etichettacomplessivamente inadeguata28: senza un consorte manchevole non cisarebbe intreccio29. Già Charles Bovary aggiungeva alla sua condizione

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vela española de la Restauración (1875-1885): sus formas y enunciados narrativos, Barcelona,Puvill, 1978, pp. 120-22.

30 B. Ciplijauskaité (La mujer insatisfecha. El adulterio en la novela realista, Barcelona,Edhasa, 1984, p. 90) ha insistito sui punti di contatto tra Charles e Víctor.

31 Cito dalla ed. italiana a c. di S. Teroni, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, 2004, p.417. Assurge, al contrario, a originale e partecipe difesa della figura di Charles Bovary il ro-manzo-saggio di E. Améry, Charles Bovary, medico di campagna. Ritratto di un uomo sempli-ce [1978], Torino, Bollati Boringhieri, 1992.

32 Si verifichi la presenza di mariti ingannati in Doctor Angelicus e, in misura incidenta-le, in Kant, perro viejo; figure iperboliche di eruditi o poeti, essi si collocano idealmente ac-canto ad altri personaggi, questi, celibi (La mosca sabia, Zurita, Doctor Sutilis), con i quali liaccomuna il travagliato rapporto con la società in cui vivono o con le donne (cfr. Beser, “In-troducción”, in Idem, Clarín y “La Regenta”, p. 37).

33 Cfr. S. Eoff, “En busca de un Dios de amor”, in Idem, El pensamiento moderno y lanovela española, Barcelona, Seix Barral, 1965, p. 84.

34 fr. al riguardo P. Préneron Vinche, Madame Bovary-La Regenta: Parodia y Contraste,Universidad de Murcia, 1996, pp. 294-96.

35 Per accogliere con riserva le congetture sulla “femminilizzazione” o androginia di

di personaggio mediocre e incapace di nutrire illusioni, cifrata nella na-tura bovina del suo cognome, talune venature ridicole30. E tuttavia,forse la vera essenza del personaggio si imponeva nelle pagine conclu-sive, allorché il risultato dell’autopsia condotta dal dottor Canivet nedenunciava l’inconsistenza: «Trentasei ore dopo, chiamato dallo spe-ziale, accorse il dottor Canivet. Lo aprì e non trovò niente»31. Con ciòintendo dire che se pure il Flaubert di Madame Bovary si era inoltratolungo il sentiero del grottesco nel tratteggio del marito inadeguato, mipare che Alas si sia spinto oltre. C’è allora da credere che la dimensio-ne caricaturale e la accentuata ingenuità di Víctor, ingigantite nel pro-lungato rapporto con Mesía, oltre che la riproposizione, maggiormenteelaborata, del tipo del marito beffato, presente pure nella prima fasedella produzione del Clarín novelliere32, sia un elemento preparatorioper accrescere la tensione patetica della “conversione” e la conclusivacrescita umana del personaggio. Un po’ come accade in Flaubert, l’iro-nia, lungi dall’escludere il patetico, sarebbe dunque un mezzo che loprepara e finisce per esasperarlo. Più di quanto non accada nel roman-zo francese, ora è l’elemento “comico” a imporsi, nell’insieme, su quel-lo tragico33.

Non mi pare indispensabile né adeguatamente confortato dalla let-tera del testo, invece, riconoscere nel disinteresse di Quintanar versoAna una latente omosessualità. Gli elementi addotti a suffragio dellatesi34, così come la presunta tangenza, in questo specifico aspetto, conil Reyes di Su único hijo35, non paiono probanti: quanto al “travestiti-

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Bonifacio Reyes (R. Sánchez, El teatro en la novela: Galdós y Clarín, Madrid, Ínsula, 1974,p. 204; N. Valis, The Decadent Vision in Leopoldo Alas. A Study of “La Regenta” and “Su úni-co hijo”, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1981, pp. 172-73) è sufficiente que-sto passo che dà voce al convincimento di Emma e, più significativamente, a quello del nar-ratore: «Y también reconocía ella [Emma] de buen grado, y pensando a veces en pasadasilusiones, que a pesar de ser tan hábil en aquellos manejos, su marido no era afeminado defigura ni de gestos; era suave, algo felino, podría decirse untuoso, pero todo en forma varo-nil. Aquel plegarse a todos los oficios íntimos de la alcoba, a todas las complicaciones delcapricho de la enferma, de las voluptuosidades tristes y tiernas de la convalecencia, parecíanen Bonifacio, por lo que toca al aspecto material, no las aptitudes naturales de un hermafro-dita beato o cominero, sino la romántica exageración de un amor quijotesco, aplicado a lasmenudencias de la intimidad conyugal», Su único hijo, III, 186.

36 Cfr. rispettivamente XIX, 195: «Si se entusiasmaba hablando de sus marchitos laure-les, abría las arcas, abría los armarios, y seda, galones y plumas, abalorios y cintajos en mez-cla de colores chillones saltaban a la alfombra, y en aquel mar de recuerdos de trapo perdíala cabeza Quintanar»; e XVI, 103: «¿Verdad, hijita, que es un buen mozo? ¡Y qué movi-mientos tan artísticos de brazos y pierna! Dicen que esto es falso, que los hombres no anda-mos así… ¡Pero deberíamos andar!»

37 «Nadie le cosía un botón a su gusto más que él mismo; limpiarle el despacho eramartirizarle a él, a don Víctor; la cama era inútil hacérsela con esmero porque de todas ma-neras había de descomponerla él, sacudir las almohadas y poner el embozo a su gusto.Cuando Ana volvió a dejar los quehaceres domésticos en la antigua marcha, don Víctor selo agradeció en el alma también y respiró a sus anchas» (XXV, 397).

38 Cfr., ad esempio, il fatto che Tomás Crespo sia per Víctor «aquel pedazo de su co-razón, a quien no sabía si quería tanto como a su Anita del alma» (XVIII, 149); e il modo incui si parla della “passione” per Álvaro: «… y Mesía iba entrando, entrando por el alma deljubilado regente y tomando posesión de todos sus rincones» (XIX, 194; e si veda, più sotto,come essa si sostituisca a quella per l’amico).

smo” di Víctor e alla fascinazione per l’attore Perales36, essi sono spie-gabili con la passione dell’anziano per il teatro, con una punta di mor-dacità nel secondo caso perché egli ammira un interprete che inveronon fa che imitare Rafael Calvo; sposarsi per obbligo, sebbene tardi, al-l’epoca era tra gli uomini prassi comune; il desiderio di farsi da sé il let-to e di svolgere altri lavori domestici sottolinea semplicemente la pre-clusione dei propri ambiti ad Ana37, insistendo sulla grave incomunica-bilità tra i coniugi (significativo il letto, che, da tempo separato daquello di Ana, ha smesso di essere talamo). Se si coglie certa ambiguitàlinguistica nel modo in cui viene descritto il rapporto con Tomás Cre-spo e soprattutto con Mesía38, va poi detto che Quintanar non nascon-de affatto la sua effusività, giustappunto perché in essa non v’è nulla diinconfessabile («le abría los brazos y le estrechaba con efusión, cadadía más enamorado, como él decía, de aquel hermoso figurín», XVIII,162, corsivo mio); se si serve di qualche mezzuccio (nel suo personalemuseo Víctor non si fa scrupolo di ingannare Álvaro rispetto ai propri

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39 Cfr. XIX, 194: «Mesía era una especie de rival de Frígilis que asomaba; don Víctorencontraba cierta satisfacción maligna en la infidelidad incipiente».

40 Così, Préneron Vinche,Madame Bovary-La Regenta, p. 295.41 Si veda la n. 12, p. 400 della cit. edizione a cura di Oleza; cfr. anche, nello stesso vo-

lume, “Introducción”, p. 73, n. 62.42 Come invece annota V. Fuentes nella sua edizione dell’opera (Madrid, Akal, 1999,

cap. X, 336, n. 22, in riferimento alla citazione di due versi de La prudencia en la mujer diTirso). È noto come letture analoghe siano state realizzate anche in merito a uno degli ipote-sti suggeriti per il “triangolo” amoroso ventilato nel romanzo, ovvero il già citato episodiocervantino de “El curioso impertinente”.

marchingegni, XIX, 195) è per far presa sul nuovo confidente; se c’èinfedeltà verso Frígilis è di tipo affettivo39, poiché l’amicizia per l’unorischia di soppiantare quella per l’altro. Con una differenza fondamen-tale: da un rapporto più o meno sincero si passa a uno strumentale, daicontatti con un emarginato a quelli con la quintessenza di Vetusta; edal giardino – natura, per quanto civilizzata – si passa agli interni: «Ibasiendo Mesía al caserón lo que Frígilis a la huerta» (XIX, 196). Diffici-le dunque concordare con chi sostiene che Víctor si lasci uccidere induello per amore di un uomo e non della propria moglie40. Come spie-gare, altrimenti, il pur altalenante interesse del personaggio per Petra?Tralasciando la tentazione lesbica di Obdulia (XXVI, 428: «una espe-cie de lujuria bestial, disparatada, inexplicable por lo absurda») mentreassiste alla pubblica esibizione del corpo di Ana durante la processio-ne, non si può dimenticare che nel caso della omosessualità di Celedo-nio la condanna di Clarín («perversión») sia assai esplicita: sarebbe suf-ficiente la diversa estrazione sociale tra l’antico giudice e l’acerbo acco-lito a giustificare questa presunta disparità di trattamento? E tornandoa Su único hijo, visto che talvolta viene esibito a sostegno della letturaomosessuale, nel parlare dei trascorsi di Minghetti affiora quel cheOleza ha qualificato, non senza fondamento, come «airado rechazo»della omosessualità da parte di Alas: «“Lo que son los curitas, dígan-melo ustedes a mí”, solía exclamar [Minghetti]; y como no hubiera da-mas delante, su narración, probablemente exagerada, ponía espantoverdaderamente, por lo que toca a determinadas violaciones del ordennatural de los instintos» (XIII, 399-400, corsivo mio)41. Agli occhi diClarín, Víctor non poteva essere omosessuale, altrimenti, per quantopossa risultare increscioso ai nostri giorni, non c’era rivalsa possibileper il personaggio. Né è imprescindibile ricondurre l’insistenza sullaeventuale infedeltà della moglie a un desiderio incosciente della sessua-lità “oscura” del marito42. In tutte queste situazioni narrative il dato es-senziale permane la inadeguatezza dell’uomo e dello sposo. E l’inizio

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43 Cfr. quanto scrisse N. Vida su El progreso del 24 luglio 1885: «Don Víctor Quintanar[…] es un carácter noble, bondadoso, rayano en la debilidad, y al cual el lector llega a veríntegro, sin falta de detalle, en aquella magnífica escena del parque, que es lo mejor del li-bro» (in Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica, p. 156).

44 M.R. Alfani, Il ritorno di Don Chisciotte. Clarín e il romanzo, Roma, Donzelli, 2000,p. 70.

della sua redenzione consiste nel cominciare a percepirla. La sollecitu-dine che Víctor mostra verso Mesía non fa che risaltare, dunque, laportata della ingenuità del personaggio, il quale più che introdurre incasa sua il cavallo di Troia, ne va letteralmente in cerca; questo trattonaif dell’ex giudice è congruente con il tratteggio più generale che, co-me abbiamo visto, ne viene fatto, ma consente a chi orchestra la narra-zione di rendere ancora più eclatante il “risveglio” del personaggio allarealtà delle cose.

Osserviamo ora più da presso la sequenza, da qualche contempora-neo di Clarín ritenuta «lo mejor del libro»43, in cui Víctor avvia stenta-tamente il proprio riscatto, poi culminato nella scena del duello che looppone a Mesía. Si tratta dell’episodio notturno in cui egli viene a sa-pere del tradimento di Ana. Una scoperta che, vista la cecità del perso-naggio, non poteva avvenire che attraverso l’intervento altrui. Che sidia mediante una evidenza, di modo che l’adulterio di Ana balzi agliocchi di Quintanar, consente di attivare un risvolto metatestuale, po-tendosi affermare che «quel che ha organizzato Petra per Quintanar, asua volta Clarín l’ha costruito per il suo lettore; egli ha messo davanti aisuoi occhi un intero mondo e, in lotta con esso, il malessere di un indi-viduo, Ana»44. L’espediente di alterare l’ora per trarne un eventualevantaggio ricorda situazioni comuni in ambito teatrale (qui viene anti-cipata; nel Burlador, invece, don Juan intende beffare doña Ana e il suopromesso, il marchese De la Mota, posticipando l’ora dell’appunta-mento). E in effetti Víctor dovrà infine recitare il proprio ruolo, sebbe-ne in modo inatteso, in quella sorta di tragicomedia che, oltre al trian-golo classico, coinvolge De Pas, Petra e in subordine Teresina, destina-ta a cedere il suo posto in casa del canonico; questa pièce, che perQuintanar potrebbe avere il titolo de La escalera de su deshonra, con-templa uno scioglimento che per contenuti (l’onta non viene lavata) emeccanismi (è un subalterno a orchestrarlo) risulta ben diverso daquello consolidato nel teatro classico spagnolo. Viene così a essere con-fermata l’inefficacia del sottotesto teatrale nel cosmo narrativo realista.

L’orologio, con i suoi insistiti rintocchi mattutini, accresce la pateti-cità di un “tempo” che è soprattutto interiore, segnalando prima e

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45 Rafforzano i vincoli tra i due capitoli anche le affinità tra il sogno di Ana e l’incubodi Víctor; di quest’ultimo tratterò tra breve.

46 Cfr. J. Rutherford, “La Regenta” y el lector cómplice, pp. 177-79. Del resto AlfredoVicenti, contemporaneo di Clarín, dopo l’uscita del primo volume de La Regenta paventò,su El Globo del 19 gennaio 1885, che l’inclinazione di Quintanar alle commedie d’onorefosse preludio di uno scioglimento violento ai danni di Ana: «El marido de la Regenta, donVíctor Quintanar, tiene afición excesiva a nuestro teatro clásico, y se sabe de memoria todaslas disertaciones sobre el honor escritas en versos inmortales por Calderón, Rojas, Moreto yTirso de Molina. ¿Será con el propósito de que el lector se aperciba a hallarlo transformadode súbito en trágico vengador de su honra? Dios no lo quiera, pues mejor final merece tannotable y sobresaliente principio» (in Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica, p. 137).

scandendo poi per Quintanar l’ora del disonore, che lentamente stem-pera nell’ora suprema della rivelazione di sé e del senso profondo dellapropria esistenza. Difficile, d’altro canto, non mettere in relazione que-sto freddo irrompere della luce mattutina con l’epilogo del capitolo, ilIII, nel quale Víctor era stato introdotto nella narrazione45: là si assiste-va alla sua “nascita” come sbarazzino puer senex che, affidato a Petra ilcompito di svegliarlo, evade nascostamente dall’ambiente familiare persvagarsi; qui, piegato all’iniziativa della domestica, egli nascostamenteosserva come il suo mondo vada in pezzi e come agonizzi il fanciulloingenuo che si portava dentro. In entrambi i casi, va segnalata la pre-senza o la prossimità tutelare di Frígilis, rafforzata da un segno iconicocaratterizzante, la «bufanda a cuadros» (III, 237-8 e XXIX, 538).

La reazione, o forse sarebbe meglio dire la mancanza di reazione, daparte di Víctor che imbraccia il fucile è stata letta come la prima di unaserie di deviazioni dalla logica narrativa46: egli non spara a don Álvaronel parco né quando l’adultero scavalca il muro mettendosi inconsape-volmente in salvo (e non avrebbe ucciso pur se avesse sparato: il testosi incarica di chiarire più avanti che l’arma era stata caricata a palletto-ni, non con cartucce, XXIX, 543); poi desiste dal castigare Ana con-traddicendo il modello teatrale che tanto gli era caro; infine, costretto acercare la riparazione pubblica del proprio onore, il compassionevoleduellante decide di risparmiare anche la vita di Mesía, ma sbaglia dipoco la mira – lui, così compiaciuto delle sue capacità balistiche –mancando le gambe del rivale, il quale per assoluta fatalità (chiude gliocchi quando esplode il colpo) lo colpisce al basso ventre. Queste in-frazioni alle aspettative, alcune delle quali, ad onor del vero, non deltutto inattese se si considera il carattere irresoluto di Víctor, sono staterecepite come una sorta di riconoscimento tributato dall’autore all’ar-bitrio individuale, il superamento di una causalità rigida, e dunque ri-duttiva, nella costruzione del plot. Sono, in breve, una rivendicazione

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47 Quelli che nella sua recensione a La desheredada Clarín definí “accadimenti anoni-mi”: «En Isidora y en su suerte influyen el propio carácter, el medio en que vive…, yademás los sucesos anónimos, no preparados por nadie, traídos por la marea de la vida,que son parte muy principal en el destino de todos los hombres» (in Alas, Obras completas,V, p. 489).

48 Leopoldo Alas, Galdós, in Idem, Obras completas, Madrid, Renacimiento, 1912, I,p. 131.

della “verità” accordata agli attanti (talvolta essi decidono in modo im-prevedibile) e manifestano l’affioramento del caso (un fato esterno eimpassibile ne orienta i destini)47.

Don Víctor può divenire creatura credibile solo commisurandosieticamente al suo dramma personale, per trasformarsi, dal grottescoaspirante attore che era e che più volte aveva rivissuto un dramma d’o-nore nella fantasia, in personaggio tragico in grado di suscitare l’ammi-razione del lettore. Eppure, a ben guardare, le iniziali reazioni dinanzialla scoperta ce lo restituiscono sostanzialmente non dissimile dall’esse-re che avevamo conosciuto. Il narratore dice a chiare lettere che in luiall’indignazione si oppongono «la pereza, el egoísmo y la flaqueza delcarácter» (XXIX, 536). Persino l’identificarsi del marito oltraggiatocon l’altro si direbbe un possibile conato di deresponsabilizzazione(«Mejor suerte hubiera sido estar al otro extremo del cañón, allí sobrela tapia… Sí, sí; él hubiera cambiado de sitio. Y eso que el otro iba amorir», XXIX, 533). È che la rivelazione produce anzitutto un corto-circuito dell’agire, in una alternanza di ira e prostrazione che alimental’irresolutezza dell’uomo dinanzi all’offesa che più acutamente avverte(il tradimento s’impone sull’onta sociale) e all’immensa responsabilitàracchiusa nelle azioni che deve intraprendere (XXIX, 538). L’indugiosu questo nucleo narrativo conferma la pregnanza estetica che Clarínriconosceva ai caratteri indecisi, come lui stesso s’era premurato di sot-tolineare: «¿Necesitaré pararme a demostrar que los caracteres débilestambién pueden ser objeto de la novela?… Es más: en las medias tin-tas, en los temperamentos indecisos está el acervo común de la obser-vación novelable; el arte consiste en saber buscar a esto su belleza»48. Ed’altro canto, in queste stesse circostanze Víctor va faticosamente na-scendo a nuova vita: il suo comportamento gli appare indegno e per laprima volta si percepisce come un padre (XXIX, 536), come l’anzianoche è e che aveva sino al momento ignorato di essere, per cui, il balena-re del desiderio di rimanere all’oscuro di ogni cosa, per potersi sottrar-re all’obbligo di intervenire, genera in lui vergogna (XXIX, 537).

A ciò si accompagna un elemento degno di particolare interesse: nel-

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49 Nella citata recensione a La desheredada l’autore mostra il suo apprezzamento perquesto «subterráneo hablar de una conciencia», «esta manera de desarrollar el carácter y laacción de una novela», lodando la perizia di Galdós nel «sustituir las reflexiones que el au-tor suele hacer por su cuenta respecto de la situación de un personaje, con las reflexionesdel personaje mismo, empleando su propio estilo» (in Alas, Obras completas, V, p. 482).

50 Ad es., in XXVIII, 481-82: «Pero acordándose de lo que debía a su esposa, de lo quese debía a sí mismo, de lo que debía a sus años, y de otra porción de deudas, y sobre todo,por fatalidad de su destino que nunca le había permitido llevar a término natural cierta cla-se de empresas, era lo cierto que había retrocedido en aquel camino de perdición desde el díaen que una tentativa de seducción se le frustró». Un altro esempio, nel quale Víctor ricorrea un sillogismo che è parodia dello stile calderoniano, è proposto da Rosso, El narrador y elpersonaje, p. 59.

51 Cfr. Bobes, Teoría general, p. 145.52 S. Beser annota al riguardo le seguenti caratteristiche: «la insinuada impotencia, la re-

lación paternal que mantiene con Ana, su bondad, la mezcla de ingenuidad, egoísmo y faltade voluntad, que le da cierto aire de comportamiento infantil, y la incapacidad para enfren-tarse a su mundo y para comprenderlo» (“Introducción”, in Clarín y “La Regenta”, p. 83).

l’occasione in cui scopre l’adulterio, Víctor – unico personaggio assiemeai due protagonisti, Ana e Fermín, a farlo con questo rilievo – esprimele sue tribolate considerazioni mediante un lungo monologo interiore,nel quale, in una nuova articolazione del travagliato rapporto tra mate-ria e spirito che informa l’intero romanzo, viene a estrinsecarsi la dialet-tica tra la sua sensibilità ferita e la realtà esterna49. È significativo cheClarín attribuisca il procedimento a un personaggio che a lungo era sta-to vittima del discorso indiretto libero parodico, che s’era rivelato pusil-lanime a tal punto da ricorrere all’eufemismo o al travestimento dellaverità persino quando parlava con se stesso50, e che ancora nella primaparte del capitolo XXIX è bersaglio di ironia pungente. La notazioneper la quale nel capitolo finale si passerebbe da una messa a fuoco ester-na di Quintanar a una interna pecca forse di schematicità e necessita diessere sfumata ma conserva una sua consistenza51: se pure precedente-mente Víctor è talvolta osservato dall’interno, ciò avviene in modo spo-radico e comunque, si badi bene, non partecipe, per quanto l’abbozzodi taluni tratti del personaggio lo dotasse di una sua potenziale com-plessità52; occorre poi ribadire che la sua titubante metamorfosi prendele mosse già nel penultimo capitolo. La stessa macrodistinzione del ma-teriale narrativo ruotante attorno all’adulterio, sorta di spartiacque dellavicenda, con una suddivisione in due tranches asimmetriche rispettiva-mente di 28 e 2 capitoli, sembrerebbe trovare un ulteriore elemento diappoggio nel fatto che nella sequenza conclusiva il narratore riservi aQuintanar un trattamento prima indulgente e infine, lo vedremo piùsotto, quasi ammirato: ora è «el pobre viejo» (XXIX, 549 e XXX, 565)

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53 Si oppongano alle sue riflessioni («No sospechaba aquel ciego, tan inoportunamentealegre y decidor, que su amigo, su mejor amigo, al romper la marcha el tren había tenido ten-taciones de arrojarse al andén», XXIX, 539) le rivelatrici parole dello stesso Crespo («¿Quéte pasa, hombre? Todo el día te he visto preocupado, tristón… ¿qué pasa?», XXIX, 548).

54 Cfr. XXX, 573: «[…] no se sabe cómo, aunque se sospecha que por culpa de Ronzal,pronto corrió por Vetusta el rumor de lo cierto. Petra y Ronzal habían sido los indiscretos.[…] Trabuco, a quien la honra de merecer la confianza de Quintanar había llenado de vani-dad, no había podido resistir la tentación de dejar transparentarse su secreto».

o il «pobre ex-regente» (XXX, 551), secondo una significativa conver-genza, nel primo caso, verso la autovalutazione a cui approda lo stessopersonaggio. Questi epiteti contrasteranno con le dicerie dei vetustensie con il loro giudizio di condanna verso Quintanar e gli sviluppi degliaccadimenti, rendendo esplicita la divaricazione tra la voce narrante e ilcoro dei concittadini dell’infelice ex presidente di tribunale. Erigendosia giudici dell’antico giudice che non aveva voluto castigare, essi ignora-no, assieme a molte altre cose, il detto evangelico per il quale «la miseri-cordia […] ha sempre la meglio nel giudizio» (Giacomo 2,13).

Se prima della scena del duello Quintanar conferma antiche man-canze, ritengo che ciò sia da attribuire principalmente a ragioni di coe-renza psicologica: così, al cospetto di un malevolo De Pas, Víctor ma-nifesta il suo dolore mediante una mimica teatrale (XXX, 565: «Y seclavaba las uñas en la cabeza, mesándose las canas. Don Fermín, mien-tras el otro se entregaba a los arranques mímicos de su dolor, de suvergüenza, habló largo y tendido del asunto») e una sorta di torporetorna ad assalirlo dinanzi al cimento da affrontare. Lo stesso può dirsidella sua persistente incapacità di penetrare l’animo umano: essa si ri-vela non solo dinanzi a Fermín, il cui vero proposito egli non decifracredendo che il religioso gli abbia insinuato la vendetta «sin querer»(XXX, 569), oppure nello spiegare semplicisticamente il movente del-l’agire di Petra facendosi fuorviare dalla propria cattiva coscienza(XXX, 565: «Eso ha sido también una venganza, no es arrepentimien-to; es venganza…»). La mancanza di sagacia affiora pure nei confrontidi chi gli è più prossimo, come Frígilis: dopo averne rimarcato la pre-sunta insensibilità53, lo taccia in cuor suo di egoismo laddove questi in-tende adoperarsi per allertare segretamente Mesía ed evitare spargi-menti di sangue (XXX, 554). Né molto felice risulta la sua scelta di ri-correre a “Trabuco” come padrino per la sfida54.

In modo coerente con il passato del personaggio, tutto ciò ratificacome Quintanar tocchi il punto supremo della sua traiettoria solo conil duello. Prima di soffermarci su questo passo culminante, meritano

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55 Con un predominio di toni scuri, l’apparenza lugubre dei campi in inverno e il fune-sto presagio (l’ennesimo nel libro) degli stormi di corvi, ma anche il riaffiorare dell’influenzadel De imitatione Christi di Kempis (XXIX, 545 e 547), che rinfocola nel filosofeggianteQuintanar la dialettica tra diverse tipologie di letture.

56 Nome che molto ricorda il paese costiero di “Lugarucos” dove finisce per insegnareZurita, protagonista dell’omonimo racconto clariniano.

57 S. Alonso González e S. León González, “Don Víctor Quintanar”, p. 394 suggerisco-no per questa situazione una possibile eco (invero labile) del finale de El celoso extremeño:la decisione dell’anziano Carrizales di far sposare, una volta defunto, la moglie con il giova-ne Loaysa.

58 Ulteriori elementi di questo sogno, compresi i suoi rimandi a Il barbiere di Siviglia eal simbolismo negativo dei corvi (reiterato anche nel secondo cognome di Visita, autenticaistigatrice dell’adulterio di Ana), sono analizzati in F. J. Sánchez Martínez, Sentido y funciónde los sueños en “La Regenta”, Alcoy, Alfil, 1989, pp. 121-41. Si ricordi che il funereo prota-gonista di uno dei romanzi brevi di Alas si chiama Ángel Cuervo.

tuttavia qualche ulteriore osservazione il suo viaggio, con la relativabattuta di caccia, l’incontro, cui già ho alluso, con Fermín e il rinsal-darsi della sua decisione di risparmiare Ana. Nel tempo di sospensionedelle responsabilità che è il suo viaggio, in Víctor si oppongono una vi-sione e un sogno, che ci dicono come le sue preoccupazioni non venga-no proiettate solo sul paesaggio – dimensione, questa, palese55 – ma in-vestano le persone e la sfera onirica. La fugace visione che dal finestri-no del treno si offre al viaggiatore nell’infima stazione dall’eloquentenome di Lugarejo56 è uno sguardo su quel che non è stato: la famigliache intravede – capostazione, consorte e pargolo – prospetta una anti-nomia rispetto alla sua personale situazione. Il nesso analogico è forni-to dall’età della donna e da una sua caratteristica fisica, entrambi affinia quelle di Ana («asomada a una ventana una mujer rubia, como detreinta años», XXIX, 541, corsivo mio); il contrasto, da quella dell’uo-mo, più giovane della sposa, e dalla presenza del bambino. Ciò cheAna non ha (un marito giovane, un figlio) produce ciò che essa non è,segnando la differenza tra l’adultera da poco scoperta e la madre cheQuintanar vede e immagina invece sposa fedele. D’altra parte l’incubo,l’ultimo del romanzo, che poco dopo pervade l’anziano spossato daidilemmi ne manifesta invece il senso di colpa, suggerendo un suo im-plicito riconoscimento di responsabilità nella relazione tra Ana e Álva-ro, visto che è lui stesso in abito da canonico a unirli in matrimonionella parrocchia del Vivero57, al cospetto dei corvi da poco scorti nellarealtà e che con il loro gracchiare danno voce al “qué dirán”, ovvero al-le dicerie che l’accaduto presto susciterà e che preoccupano non pocoil marito vilipeso (XXIX, 541-42)58.

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59 In senso lato, per il loro disinganno finale, sono stati addotti i nomi di don Chisciot-te e di Julien Sorel. Inoltre, il modo di procedere di Víctor richiama, anche per il contrap-punto teatrale, quello di Jorge, il marito tradito di O primo Basílio di Eça de Queirós, ope-ra che Clarín sicuramente conosceva e che manifesta un altro cospicuo punto di contattocon La Regenta nel ruolo che, in analogia a Petra, vi svolge la domestica Juliana (cfr. R.M.Fedorchek, “Clarín y Eça de Queirós”, in Nueva Revista de Filología Hispánica, XXVII,1978, pp. 343-44).

60 Pur difendendo l’istituzione matrimoniale, l’autore aveva scritto causticamente in unodei Solos consacrato a El buey suelto…: «el matrimonio se ha constituido como caja de retiropara los achaques de la vejez» (in Obras completas, Fundación Castro, V, pp. 230-31). Sullavisione della donna e del matrimonio, cfr. in particolare C. Richmond, “En torno al vacío: lamujer, idea hecha carne de ficción, en La Regenta de Clarín”, in Y. Lissorgues, ed., Realismoy naturalismo en España, pp. 341-67 e Idem, “Las ideas de Leopoldo Alas, ‘Clarín’, sobre lamujer en sus escritos previos a La Regenta”, in Homenaje al Dr. Antonio Vilanova, Barcelo-na, Departamento de Filología Española, 1989, II, pp. 523-39. Si vedano anche F. Ibarra,“Clarín y Azorín: el matrimonio y el papel de la mujer española”, in Hispania, LV, 1972, pp.45-54; e Idem, “Clarín y la liberación de la mujer”, in Hispanófila, 41, 1974, pp. 27-33. An-che M.ª del Carmen Bobes riflette sulla visione della donna manifestata da Clarín: cfr. “Lec-tura feminista de La Regenta”, in Clarín, visto en su centenario (1901-2001), Oviedo, Real In-stituto de Estudios Asturianos, 2002, p. 93. Si tenga inoltre presente che la tesi dottorale diClarín, discussa l’1 luglio 1878, verteva su “El derecho y la moralidad” (1878).

61 Il quale nonostante l’amico Wüllersdorf, alla maniera di Frígilis, cerchi di dissuader-lo da azioni avventate, una volta scoperto il tradimento della giovane moglie, si piega al co-dice d’onore dell’alta società prussiana, malgrado l’episodio adulterino riguardasse un pas-sato ormai lontano; il marito ingaggia dunque un duello con il rivale, il maggiore von Cram-pas, lo uccide e ripudia una Effi destinata a morire in un quasi totale abbandono come gran

Un secondo momento del personale calvario di Víctor si ravvisa, unavolta acquisita la consapevolezza della irriducibile distanza tra vita eteatro e aver ripudiato, al pari di altri celebri personaggi romanzeschiche l’hanno preceduto, il mondo delle proprie letture perché privo diverità59, nella riflessione culminante a cui approda durante la sua parti-colare battuta venatoria, sorretto dalla filosofia di Frígilis, che lo portaa opporre natura e cultura: «Los hombres honrados y cristianos no ma-tan tanto ni tan deprisa» (XXIX, 548). Il “giudice” Quintanar nega dipotersi arrogare il diritto di uccidere, poco dopo aver dato luogo a unadelle più esplicite affermazioni progressiste di tutto il testo; in essa met-te in discussione la legittimità dell’adulterio maschile e rende patenti isuoi dubbi riguardo alla misogina legislazione del tempo: «¿Dejará deser adulterio el del hombre también, digan lo que quieran las leyes?»(XXIX, 546). Tale orientamento, non dissimile da quello di Clarín inquesti anni60, può essere ancor meglio apprezzato se posto in contrastocon quello che spinge all’azione il corrispettivo di Víctor nel romanzodi Theodor Fontane intitolato Effi Briest (1895), ovvero il barone Inn-stetten61. Nel nostro caso, invece, il successivo incontro con una fanta-

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parte delle eroine del romanzo di adulterio dell’epoca. Il contrasto è segnalato, tra gli altri,da V. Fuentes nella sua edizione de La Regenta, p. 939, n. 20. Occorre comunque sottolinea-re che Instetten si limita ad accettare il codice d’onore senza credervi appieno e perché con-dizionato dalla pressione sociale ch’egli si prefigura inflessibile qualora non agisse (come sievince dalla conversazione che intrattiene con Wüllersdorf nel cap. XXVII). Di fatto, preve-de che la vendetta non gli porterà la pace interiore.

62 Si tratta di una opera cara a Clarín, che vi allude negli strategici capitoli di chiusuradi ciascun tomo de La Regenta (XV, 654; XXX, 568); inoltre, il brindisi de La Traviata vieneeseguito durante la misa del gallo (XXIII, 343) e, sempre in chiesa, variazioni sulla stessaopera hanno luogo in Su único hijo (XVI, 506), con una probabile eco dell’ingresso nellacattedrale di Orbajosa da parte di Pepe Rey (B. Pérez Galdós, Doña Perfecta, ed. R. Cardo-na, Madrid, Cátedra, 2001 9ª ed., pp. 130-31). Sulla rilevanza dell’elemento operistico ne LaRegenta, poi accentuatosi in Su único hijo, si veda almeno A.C. Tolivar Ana, “La música enLa Regenta”, in Los Cuadernos del Norte, 23, gennaio-febbraio 1984, spec. pp. 73-75; M.Damonte offre un repertorio delle citazioni del romanzo relative a questo tema (“Funzionedei riferimenti musicali ne La Regenta di Clarín”, in Omaggio a Camillo Guerrieri-Crocetti,Genova, Fratelli Bozzi, 1971, pp. 3-45). Quanto alle idee musicali di Clarín, si può consulta-re il contributo di A. Ruiz Tarazona, “Ópera y zarzuela en Clarín”, nel catalogo della esposi-zione Clarín: 100 años después. Un clásico contemporáneo [2001], ora sul sito web:http://cvc.cervantes.es/actcult/clarin/catalogo/articulos/ruiz.htm

63 Autentico presagio della tempesta che si abbatterà sul destino dei protagonisti (Be-ser, “Introducción”, p. 58).

64 Cfr. XXIX, 517: «Todas las noches pasaba unas cuantas horas, la honra y tal vez la vi-da del amo, pendiente de un hilo que tenía ella, Petra, en la mano, y si ella quería, si a ella sele antojaba, ¡zas! todo se aplastaba de repente... ardía el mundo», e XXIX, 522: «¿Qué ha-cer? No cabía duda, ser prudente, coger el codiciado fruto, entrar en aquella canonjía, en

smatica Ana – assimilata, dallo sguardo sempre propenso al palcosceni-co di Quintanar, alla moribonda Violetta de La Traviata62 – servirà aconsolidare in lui la decisione di non uccidere la moglie.

Il ritorno a casa è perciò contraddistinto dalla dissimulazione volta aevitare traumi alla malferma salute della Ozores (XXX, 550), quindidall’interpretazione di una parte ormai assai diversa da quella a lungoimmaginata per sé da Víctor e ben presto minacciata dal diretto inter-vento del canonico che tenta di mettere in moto il congegno della ven-detta. In questa circostanza, una volta di più, Quintanar subisce l’ini-ziativa altrui. Un anticipo di ciò si era avuto nella sequenza in cui, sottoun temibile acquazzone63, Víctor era stato costretto a seguire nel boscoun De Pas fuori di sé all’idea che Ana si fosse perduta nel bosco conMesía (XXVIII). Il loro ritrovarsi avviluppati, tra il fitto dei rami e lavischiosità delle ragnatele, diceva simbolicamente quanto questi perso-naggi fossero imprigionati, come si ritrovassero in vincoli loro malgra-do. E non a caso le considerazioni di Petra, sorta di Parca plebea chefinisce per manipolarli, ruotano a più riprese attorno all’idea del filo edi una scalata sociale realizzabile grazie alla sua opera di tessitura64.

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casa del Magistral. Para esto era preciso echar a rodar todo lo demás, romper aquel hilo queella tenía en la mano y del que estaban colgadas la honra, la tranquilidad, tal vez la vida devarias personas. Al pensar esto Petra se encogió de hombros.»

65 La situazione ironica è segnalata da J. Rutherford, “La Regenta” y el lector cómplice,p. 123.

66 Un sommario raffronto tra i due personaggi offre A.R. Hartman, “El provisor/regentede su deshonra: Fermín, Víctor and the Calderonian Honor Tragedy in Clarín’s La Regenta”,in Revista Hispánica Moderna, LV, 2002, pp. 255-65.

Tuttavia, Víctor, seppur tragicamente, si libera alfine dalla sua persona-le ragnatela, superando quella inconsapevolezza di cui allora aveva da-to ulteriore dimostrazione, non avvedendosi di quali sentimenti alber-gasse l’animo del religioso.

Nonostante la loro vicendevole avversione, Clarín pare divertirsi adaccostare i destini di Víctor e Fermín. I due si trovano, infatti, in unasituazione ironicamente simmetrica quando nella capanna del tagliale-gna, fatta costruire dal vizioso marchese di Vegallana (XXVII, 476) perscopi immaginabili in chi è avvezzo a sollazzarsi in campagna, si imbat-tono nel reggicalze di Petra, che risveglia in entrambi una analoga ver-gogna per le relazioni inconfessabili che suppone, impedendo loro diriconoscere nell’altro quanto sono occupati a non far trapelare di sestessi65. Si potrebbe ben dire che la liga “lega” le loro vicende.

Il momento della verità per ex regente e provisor, due giudici messi aconfronto – uno secolare e ritirato, l’altro ecclesiastico e ben attivo –,giunge quando devono misurarsi con il codice d’onore che obbliga allavendetta il consorte tradito66. E qui il contrasto tra Víctor e Fermín di-viene stridente, portando a una sorta di inversione dei rispettivi ruoli.Abbiamo già detto che al verboso trattamento che Víctor ha riservatoal concetto dell’onore è seguito lo scoprimento della propria vera par-te, quella del padre, che in un certo senso spiritualizza il suo rapportocon Ana (la cui dipendenza si sposta da un padre assente a un maritoassente che fa le veci del padre) e ha consentito di accostarne la figuraa un Pedro Crespo tentato di vendicare l’onta subìta dalla figlia (ma neLa Regenta l’unico Crespo è il per molti aspetti inconcludente Frígilis,che si adopera per evitare vendette). De Pas, invece, che a lungo ha as-segnato ipocritamente ad Ana la posizione di figlia spirituale, si senteinvestito dell’effettivo ruolo di coniuge e avoca a sé il diritto di sommi-nistrare il castigo. All’inizio osservatore da lungi e sommo calcolatore,anche il Fermín della parte conclusiva del romanzo appare trasforma-to, in modo analogo a Quintanar, ma con i segni tutti negativi dell’ab-brutimento: a tal punto è accecato dall’ira quando vuole infamare Ana

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67 Cfr. A. Brent, Leopoldo Alas and “La Regenta”. A Study in Nineteenth Century SpanishProse Fiction, Columbia-Missouri, The University of Missouri Studies, 2, XXIV, 1951, pp.69 ss.

che, nel presentarsi dinanzi a don Víctor, inizialmente non ha un pianoe ignora – lui, il predicatore della cattedrale – le parole da pronunciare(XXX, 556). Dal canto suo Víctor, artefice di un curioso rovesciamen-to rispetto all’ecclesiastico inferocito, ha da poco confessato a Frígilisl’ascendente che su di lui esercita quella religiosità caritatevole che DePas dovrebbe incarnare («Como que ya no veo más refugio para mi al-ma que la religión…», XXX, 551), quando l’intervento di questi ottie-ne prima l’effetto di generare un inutile appostamento notturno, nell’e-ventualità di una nuova visita segreta di Mesía, e poi induce indiretta-mente il marito beffato a lanciare il guanto di sfida. L’inversione deiruoli tra i due uomini, e in particolare il comportamento di Fermín, di-viene anche segno ulteriore della ipocrisia sociale che impera aVetusta67, ove nessuno è fino in fondo quel che desidera o mostra diessere.

Il monologo di Fermín nel cap. XXIX, culmine della dialettica trala propria condizione di ecclesiastico e gli impulsi irrefrenabili d’unanimo ormai esasperato, dà vita a una delle sequenze più intense e me-glio risolte stilisticamente del romanzo. Febbrili e sragionate, le sueelucubrazioni gli avevano fatto balenare persino l’idea dell’omicidio,presto rigettata in nome del più prudente perpetuarsi del suo compor-tamento abituale, agire nell’ombra e a distanza (nella fattispecie orien-tando Petra e manipolando don Víctor), facendo però della lingua unaspada – come aveva esplicitato in XXX, 562 – destinata a sostituirsi al-l’arma bianca di cui vanamente s’era gloriato Víctor. La discrasia chelacera il personaggio è simboleggiata dalla doppia natura del suo abbi-gliamento: da una parte quello privato del vigoroso montanaro (quan-do non il perturbante proporsi del corpo seminudo sulla superficie ri-velatrice dello specchio), dall’altro, nella dimensione pubblica, l’abitotalare con il suo potere devirilizzante, lo stesso abito che con il suo si-bilo ne aveva preannunciato l’apparire qualificandolo attraverso il ruo-lo sociale e che come soffocante impedimento era stato percepito inpiù di una circostanza. Il dato qui degno di rilievo è che l’indossare ipanni del cacciatore di montagna infonde momentaneamente inFermín la convinzione di potersi vendicare con le proprie mani (XXX,561) e consente al lettore di paragonare e mettere di nuovo a contrastola sua figura con quella di Quintanar, a sua volta cacciatore irresoluto

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68 Jackson, “Cervantismo in the Creative Process”, p. 214.69 Ad esempio, per F. Durand (“Characterization in La Regenta: Point of View and

Theme”, in Bulletin of Hispanic Studies, XLI, 1964, pp. 86-100, spec. 90) la debolezza diVíctor infine resterebbe sostanzialmente invariata; a cambiare è la percezione che il perso-naggio ha dei contenuti teatrali (anche se più sotto lo studioso riconosce che da comico ilpersonaggio è divenuto patetico). Dell’“incapacità” di Quintanar a compiere la vendettaparla anche A. Wiltrout, “El cosmos de La Regenta y el mundo de su autor”, raccolto inAA. VV., “La Regenta” de Leopoldo Alas, p. 245. Di tutt’altro avviso è S. Beser (“Introduc-ción”, Clarín y “La Regenta”, p. 85); e, al tempo di Clarín, Antonio Lara y Pedrajas: firman-do con lo pseudonimo di “Orlando” l’articolo coevo forse più penetrante su La Regenta (inRevista de España, CV, settembre-ottobre 1885), egli ritiene, non senza eccedere, che «a pe-sar de vivir en una constante equivocación y dando tropezones sin cesar, don Víctor seasiempre acreedor de nuestro respeto» (in Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica, p.183). Sulla stessa falsariga “Fedón”, pseudonimo dell’institucionista Rafael Altamira, che re-gistrò la «impresión simpática [de] la figura de aquel pobre viejo que ve rota de una vez lailusión de su vida» (in Ibid., p. 226).

(e non dimentichiamo che i grotteschi berretti domestici di Víctor tro-vano il loro corrispettivo nel sordido copricapo che De Pas indossa so-lo nella reclusione delle proprie stanze e, a differenza dell’anziano, maial cospetto di Ana, nonché il fatto che nel proprio incubo Víctor si ve-de, con un attributo esteriore dell’altro, «vestido de canónigo con trajede coro»). Ma anche De Pas, a suo modo, si rivela un codardo (XXX,562): spogliarsi del vestito da cacciatore è privarsi del coraggio di in-tervenire a viso aperto. La «armadura» religiosa che lo asfissia quanto-meno lo proteggerà, se non dalla degradazione morale, dalla rovinapubblica. In una sorta di vittoria di Pirro, infine il canonico preserveràla sua influenza “spirituale” su Vetusta, come pare confermare il fattoche nella scena conclusiva il suo confessionale continui a essere piutto-sto frequentato.

Si misura invece con la sua responsabilità pubblica don Víctor. Mase a essa è sospinto dalla pressione dell’ambiente, è tutta sua la magna-nimità di risparmiare la vita all’avversario, secondo una decisione cheprecede il duello e che non può in alcun modo essere ascritta all’anticaindecisione del personaggio: «Cuando supo lo de las pistolas, resolvióno matar a su contrario» (XXX, 577, corsivo mio). La risoluzione di li-mitarsi a ferire l’antagonista è stata vista, da chi ritiene che Clarín neghia Víctor il decoro («decency») della morte di Don Chisciotte, come unasorta di improbabile quadratura del cerchio, il tentativo di trovare uncompromesso tra le esigenze della letteratura e quelle della vita reale68.Con maggior radicalità, altri studiosi hanno negato l’esistenza di qualsi-voglia cambiamento in Víctor69. Dal canto suo, però, il narratore, sequi adduce il timore dei rimorsi futuri («miedo a los remordimientos»,

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70 Articolo riprodotto in Tintoré, “La Regenta” de Clarín y la crítica, pp. 120-26, dallacui p. 122 cito. I corsivi sono miei.

71 Meno condivisibile appare il pur lucido Picón (Ibid., p. 124) quando sostiene che«don Víctor Quintanar, esposo de doña Ana, [resulta] constante peligro para ella, por seradmirador entusiasta de los maridos del teatro antiguo». Invero, Víctor non rappresentamai lungo la narrazione un reale pericolo per Ana a causa della propria inettitudine, che ilnarratore si incarica di manifestare mediante vari procedimenti, come abbiamo visto.

72 Con perspicacia, G. Gullón, El jardín interior de la burguesía. La novela moderna enEspaña (1885-1902), Madrid, Biblioteca Nueva, 2003, p. 92, ha scritto che «Clarín carga lastintas en lo burlesco, al presentar […] al pobre Víctor, a quien hace llevar en su nombre lavictoria matrimonial – se casa ya madurito con la joven y bella Ana Ozores –, mientras cargaen la V de su nombre las astas de lo que ni él quiere nombrar: “¡Soy un tal, soy un tal!”».

73 Di fatto, le tre “uscite” mattutine in cui Quintanar va a caccia e infine a morire sareb-bero sufficienti a cifrarne l’intero destino (III, XXIX e cfr. in particolare l’ultima, XXX,

XXX, 577), più sotto si preoccupa di chiarire che Víctor non provavapaura, che semmai si sentiva venir meno a causa della tristezza (XXX,578), mentre le riflessioni dell’anziano paiono riconoscere obliquamen-te l’innaturalità del connubio fra i suoi molti anni, le sue poche energiee la fiorente gioventù di Ana. Non a caso per lo stesso narratore il vec-chio straziato dal proiettile del fatuo damerino è divenuto il «digno ma-gistrado» (XXX, 579), ha cioè acquisito quel decoro che gli aveva fattomancare nell’arco di quasi tutta la narrazione. Jacinto Octavio Picónaveva scritto ne El Correo di domenica 15 marzo 1885 che l’interesse deLa Regenta non risiedeva nel succedersi delle peripezie, quanto, in mo-do più sottile e meritorio, «en seguir ávidamente con el juicio paso apaso la vida, el desarrollo y las modificaciones de los caracteres, desean-do hallar justificada su conducta por su modo de ser y explicado su de-senvolvimiento por las situaciones en que intervienen»70. Non è forsequanto si può applicare al percorso di Víctor71? Condizionato dall’am-biente (prima la famiglia, quindi Vetusta) e da un carattere in eccessomalleabile, egli infine evolve e, facendo onore per la prima volta al no-me che fino a quel momento aveva portato antifrasticamente72, vince sestesso. Saputa la verità, muore.

Colui che solo a se stesso rimane fedele e non si guadagna mai lacordialità del narratore è Mesía. Il duello non fa che confermarlo. Ladiversa dignità dei due antagonisti si misura col diverso comportamen-to nel frangente in cui hanno il rivale alla loro mercé, parallelismo che,secondo una tecnica formale debitrice del racconto breve e decisivaper la produzione di senso ne La Regenta, Clarín rimarca allorché essisi sfidano nel bosco, istituendo un richiamo alla scena svoltasi, sempredi buon mattino73, nel parco degli Ozores: al passo «“¡Es Álvaro!”

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577, corsivo mio: «[…] salió de casa don Víctor por la puerta del parque acompañado deFrígilis, a la hora en que solían ir de caza»).

74 Cfr. la nota di V. Fuentes alla citata ed. Akal del testo, p. 970, n. 26.75 Per il dato e ulteriori risonanze (quali lo scenario invernale, la crudezza dell’episodio,

l’inatteso esito del duello), cfr. S. Saillard, “La peritonitis de don Víctor y la fiebre histéricade Ana Ozores: dos calas en la documentación médica de Leopoldo Alas novelista”, in Rea-lismo y naturalismo, pp. 316-20.

76 Cfr. G. Sobejano, “Poesía y prosa en La Regenta”, in Clarín y su obra en el Centena-rio de La Regenta (Barcelona, 1884-1885), ed. A. Vilanova, Barcelona, PPU, 1985, p. 296.

pensó otra vez don Víctor, que tenía la cabeza de su amigo al extremodel cañón de la escopeta» (XXIX, 533) si oppone «creía tener la cabe-za de don Víctor apoyada en la boca de su pistola» (XXX, 579). L’esitodiscorde delle sequenze rende superfluo ogni commento.

D’altro canto, nella morte di Quintanar taluni hanno percepito unavalenza tragicomica, persino una venatura grottesca, giacché egli,«espadachín lírico» e fautore delle armi bianche perché «la pistola esdel drama moderno, es prosaica» (XVI, 116), muore, come il commen-datore del Tenorio e come aveva presagito Ana (XVI, 111-12), per uncolpo d’arma da fuoco, che nella fattispecie, ferendolo alla vescica col-ma di urina, gli cagiona una peritonite letale74. Non sarà forse da esclu-dere che la prossimità della vescica al suo inattivo organo sessuale nonsia del tutto innocente, né si potrà negare che la sua dipartita abbia tin-te scopertamente antieroiche. C’è però da ricordare che il dato fisiolo-gico “basso” in un autore come Clarín non risulta di per sé degradante;tra l’altro, la patologia fatale viene specificamente ripresa dal capitoloXXXIV del romanzo Renée Maupin, dei fratelli Goncourt75. Occorreràinoltre domandarsi se, alla luce di quanto rimarcato poc’anzi sul posi-zionamento del narratore, non sia più proficuo vedere in quella vescicaperforata un altro colpo di sferza alla inadeguatezza di Mesía, che ave-va inteso mirare al capo. E, meglio ancora, chiedersi se non sia più leci-to vedere nella morte di Quintanar – subito dopo aver realizzato il se-condo atto degno e disinteressato della sua vita (il primo era stato ri-sparmiare Ana), nonché il più rilevante perché lo espone immediata-mente a un rischio concreto – un imporsi della prosaicità dell’esistenzasulla idealità della letteratura (le regole stesse del duello erano state cal-cate in modo pedestre da un romanzo francese, XXX, 578), una vitto-ria della meschinità sui princìpi più nobili ed elevati. In tal senso l’epi-sodio non si discosterebbe dallo scioglimento del conflitto centrale deLa Regenta, quale lo prospetta Gonzalo Sobejano76. In questa vicendaè la materia, la sua prosa a imporsi; come Alas aveva malinconicamente

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77 La missiva (datata 31 ottobre ma priva dell’indicazione dell’anno) è riprodotta in F.García Sarriá, Clarín o la herejía amorosa, Madrid, Gredos, 1975, pp. 249-53; la citazioneproviene dalla p. 252.

78 G.A. Cesareo, “Rassegna delle letterature straniere (spagnuola)”, in NuovaAntologia, 3ª serie, vol. XIV, racc. vol. XCVIII, marzo-aprile 1888, p. 327.

79 Cfr. Brent, Leopoldo Alas and “La Regenta”, p. 30.

scritto all’amico José Quevedo alcuni anni prima: «Desengáñate, Pepe,en este mundo (y quien dice éste dice cualquier otro) la poesía y la pro-sa se dan mezcladas pero la poesía es el agua, se va hacia abajo y la pro-sa el aceite, siempre queda encima»77. Sussiste però una grandezza tra-gica, una sorta di componente fatale e quasi romantica (se non fossenaturalista) nel modo in cui a Víctor vien data la morte da un Mesíaper una volta maldestro. Tra le figure che agiscono in primo piano èsemmai quella di Álvaro la meno soddisfacente dal punto di vista este-tico. Insipido succedaneo di Don Juan – l’uno meschino calcolatorequanto l’altro è irruente impulsività; quello vile, Tenorio spavaldo –,Mesía finisce per risultare troppo monolitico e privo di sfaccettature.

Sarà forse eccessivo, soprattutto se rapportato alla ingenerosa valu-tazione degli altri personaggi e de La Regenta tutta, il giudizio che en-tro la cornice di un fervido rigetto del naturalismo il nostro G.A. Cesa-reo matura su don Víctor a pochissimi anni di distanza dalla pubblica-zione del romanzo:

Il solo personaggio della Reggente che sia determinato e vivente, è don Vittoriodi Quintanar: quel singolare tipo di cacciatore non punto feroce, che bada a legge-re o a recitare versi classici e cavallereschi di Calderon [sic] de la Barca e di Lopede Vega e non bada punto a temperare l’ardor di nervi della moglie, ch’ei proteg-ge soltanto d’un affetto tepidamente paterno, è veramente individuale ed umanonel comico contrasto de’ gusti castiglianamente bellicosi e sdegnosi con gli attipoltronescamente e bonariamente volgari78.

E tuttavia a Cesareo andrebbe riconosciuto, oltre alla ricercatezzadell’eufemismo («temperare l’ardor di nervi»), il merito di aver ravvisa-to l’originalità del personaggio; diversi decenni dopo, un allievo diAmérico Castro avrebbe visto in Quintanar una delle più superbe crea-ture tra quelle nate dalla penna di Clarín79. Eppure, diversamente daquello che percepì Cesareo, con i personaggi di maggior spessore ecomplessità Quintanar condivide un destino tragico, diremmo di “ca-stigo” per la parte che gli corrisponde, emendandosi dalle sue respon-sabilità con la disillusione prima e con la morte poi (mentre di “mortein vita” si potrebbe a ragione parlare per Ana e Fermín). Il destino diVíctor differisce invece da chi, in qualche modo, “se sale con la suya”

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nello scioglimento, che si tratti di Mesía, Petra e, in subordine, Visita-ción, desiderosa di vedere «aquel armiño [Ana] en el lodo» (VIII,410), nonché dei vetustensi nel loro insieme. Per questo epilogo dellapropria vicenda, per la sua tragicità, per la rilevanza assunta dalla suafigura anche attraverso la dimensione spaziale, per il contrasto che in-staura con la sua condotta passata, Víctor, più che claudicante, parreb-be strategicamente configurato. Racchiude in sé la prosa della giuri-sprudenza e l’impossibile poesia di un teatro che, per quanto lo riven-dichi al cospetto dei pollos (XVI, 115), prospetta un codice etico ormaianacronistico. È stolto e risibile affinché un giorno, troppo tardi, possaaprire gli occhi; pusillanime affinché ne risalti il coraggio finale; infinerisoluto perché, suprema ironia, la fatalità lo spazzi via.

Enrico Di PastenaUniversità di Pisa

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2007in Pisa dalleEDIZIONI ETS

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