Per la prima volta, Prada invita quattro celebri menti creative a lavorare ciascuna su un prodotto unico. Per l’occasione, l’attenzione si è concentrata sul lato industriale della multiforme identità di Prada.

Ronan & Erwan Bouroullec, Konstantin Grcic, Herzog & de Meuron e Rem Koolhaas hanno lavorato con il semplice intento di creare un prodotto utilizzando il tessuto Black Nylon, un’autentica icona di Prada.

Prada Invites mostra quattro approcci differenti che esplorano gli aspetti poetici, pratici, tecnici ed estetici del nylon.

I progetti saranno svelati il 14 gennaio durante la sfilata Prada Uomo Autunno/Inverno 2018, che si terrà presso ‘Prada Warehouse’: un magazzino immaginario, luogo idealmente affine alla creatività distintiva degli architetti e designer coinvolti.

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Ronan Bouroullec (1971) e Erwan Bouroullec (1976) lavorano insieme da circa vent’anni. La loro collaborazione consiste in un dialogo permanente nutrito dalle loro distinte personalità e da una condivisa nozione di diligenza, volta a ottenere maggiore equilibrio e raffinatezza.

Il loro lavoro si estende a molti ambiti: dal design di piccoli oggetti come gioielli, all’organizzazione spaziale e l’architettura, dalla scala artigianale a quella industriale, da disegni a video e fotografie.

Hanno collaborato con importanti aziende di design come Vitra, Cassina, Artek, Danskina, Magis, Alessi, Galerie kreo, Established & Sons, Axor Hansgrohe, Flos, Kvadrat, Glas Italia, Kartell, Kettal, Iittala, Cappellini, Ligne Roset, Nani Marquina, Mattiazzi, Mutina, Samsung e Hay.

I progetti di Ronan e Erwan Bouroullec sono parte delle collezioni permanenti di alcuni musei internazionali e al loro lavoro sono state dedicate numerose mostre, per esempio al Design Museum di Londra, al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, al Centre Pompidou Metz, al Museum of Contemporary Art di Chicago, al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, al Vitra Design Museum di Weil am Rhein e al FRAC Bretagne di Rennes.

Lo studio Bouroullec sorge a Parigi, e vi lavora un team composto da circa otto persone.

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“Mi sono sempre piaciuti i profili di persone con cartelle per i disegni: architetti, pittori, studenti. Il movimento di quel rettangolo, la sua geometria netta e fissa in contrasto con i corpi in movimento. Questo progetto sfrutta quella geometria per una borsa a tracolla: il sistema a fisarmonica, la chiusura bassa, gli elastici e l’occhiello. L’utilizzo di un colore, che produce un sottile gioco grafico.”

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Konstantin Grcic (1965) si è formato come ebanista alla John Makepeace School (Dorset, England) e ha studiato design al Royal College of Art di Londra.

Da quando, nel 1991, ha aperto un proprio studio a Monaco, il Konstantin Grcic Industrial Design (KGID), ha realizzato mobili, prodotti e illuminazione per alcune delle imprese più importanti al mondo nel campo del design. Tra i suoi clienti più prestigiosi vi sono BD Ediciones, Cassina, ClassiCon, Driade, Flos, Flötotto, Laufen, Magis, Mattiazzi, Muji, Nespresso, Plank, Rado, Serafino Zani e Vitra. Dal 2004 ha creato numerosi pezzi in edizione limitata per la Galerie kreo di Parigi. Molti dei suoi lavori hanno ricevuto premi internazionali di design, come il prestigioso Compasso d’Oro per la lampada Mayday (Flos) nel 2001, per la sedia Myto (Plank) nel 2011 e per la lampada OK (Flos) nel 2016. I progetti di Konstantin Grcic sono parte della collezione permanente dei principali musei di design (tra cui il MoMA di New York e il Centre Georges Pompidou di Parigi).

Grcic ha curato numerose importanti mostre di design, come “Design Real” per la Serpentine Gallery di Londra (2009), “Comfort” per la Biennale del Design di Saint-Etienne (2010) e “Black2” per l’Istituto Svizzero di Roma (2010). Nel 2012 è stato responsabile dell’allestimento del padiglione tedesco alla XIII Biennale di Architettura di Venezia. Nel 2016 è stato invitato dal German Design Council a curare il contributo tedesco alla London Design Biennale.

Gli sono state dedicate mostre personali al Museum Boijmans Van Beuningen (Rotterdam, 2006), all’Haus der Kunst (Monaco, 2006), all’Art Institute of Chicago (2009), al Vitra Design Museum (Weil am Rhein, Germania, 2014), al Die Neue Sammlung (Monaco, 2015) e alla Kunsthalle Bielefeld (Bielefeld, Germania, 2016). Nel 2009 la Royal Society for the Arts ha nominato Konstantin Grcic “Royal Designer for Industry”, nel 2010 è stato borsista dell’Accademia tedesca a Villa Massimo, a Roma. Nel 2016 ha ricevuto il German Design Award Personality. Il catalogo della mostra del Vitra Design Museum (2014) comprende un catalogo ragionato del lavoro di Grcic e saggi di vari autori.

Konstantin Grcic definisce la funzione in termini umani, coniugando il rigore formale con grande genialità e umorismo. Tutti i suoi prodotti sono caratterizzati da un’attenta ricerca sulla storia del design e dell’architettura e dalla sua passione per la tecnologia e i materiali. Noto il suo design essenziale, Grcic viene spesso definito minimalista, lui però preferisce parlare di semplicità.

“Il riferimento chiave della mia proposta è il gilet da pesca. Concettualmente esso rappresenta l'idea di una borsa (accessorio per il quale il Nylon è primariamente utilizzato) che si fa indumento. Il mio primo pensiero è stato quello di ricreare il famoso gilet da pesca di Joseph Beuys nell’iconico Prada Black Nylon. Successivamente ho lavorato su due modelli che interpretano il tema in modo ancora più astratto: Grembiule e Cappuccio.”

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Jacques Herzog e Pierre de Meuron, entrambi nati a Basilea nel 1950, hanno fondato lo studio Herzog & de Meuron nella loro città natale nel 1978. Tra il 1970 e il 1975 hanno studiato architettura presso il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) con Aldo Rossi e Dolf Schnebli. Oggi sono visiting professor alla Harvard University (dal 1989 Herzog e dal 1994 de Meuron), professori presso ETH Studio Basel (dal 1999) e cofondatori dell’ETH Studio Basel – Contemporary City Institute (2002). Lo studio ha ricevuto numerosi premi, nel 2001 ai due architetti è stato assegnato il premio Pritzker per l’architettura, cui sono seguiti nel 2007 la Royal Gold Medal del RIBA e il Premio Imperiale.

Herzog & de Meuron hanno completato una grande varietà di progetti, dalla piccola scala di abitazioni private alla vasta scala di progettazioni urbane. Anche se gran parte del loro lavoro consiste in celebrati edifici pubblici, come stadi e musei, hanno anche realizzato molti considerevoli progetti privati, compresi complessi di appartamenti, uffici e fabbriche. Hanno spesso lavorato insieme ad artisti: particolarmente importanti sono per esempio le collaborazioni con Rémy Zaugg e con Ai Weiwei.

Tra i loro edifici più celebrati vi sono la cantina Dominus Winery nella Napa Valley, in California (1998), il Prada Aoyama di Tokyo (2003), lo Schaulager di Basilea (2003), lo Stadio olimpico di Pechino (2008) e l’Elbphilharmonie di Amburgo (2016). Tra i loro progetti museali di più alto profilo vi sono la Tate Modern di Londra (2000/2016), il Pérez Art Museum di Miami (2013) e M+, il Nuovo museo delle arti visive di Hong Kong (2019), attualmente in costruzione.

Lo studio di Herzog & de Meuron è andato crescendo nel corso degli anni ed è oggi guidato da Jacques Herzog e Pierre de Meuron in collaborazione con i loro senior partners Christine Binswanger, Ascan Mergenthaler e Stefan Marbach. Un team internazionale composto da 400 collaboratori lavora a progetti in tutta Europa, in America e in Asia.

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“La lingua ha perso il suo potere, il potere di persuadere le persone con ragionamenti o di incantarle con la poesia delle parole. La lingua era un’arma di illuminazione, usata per dare vita a ragionamenti e significati, e per dimostrare le verità – o almeno una verità potenziale, critica.

La lingua può essere confutata dalla lingua; i ragionamenti da altri ragionamenti. Il linguaggio critico mirava, agendo dall’interno, a rivoluzionare l’ordine sociale borghese e capitalistico liberandolo dai valori conservatori, repressivi, del passato. Oggi la lingua ha rinunciato alla sua capacità di illuminazione. Ha perso il suo potere seduttivo. Non vi è niente di nuovo, niente di critico, niente di vero nella lingua che non possa essere trasformato nel suo contrario e dichiarato altrettanto vero. La lingua è diventata un vuoto veicolo di informazioni. Nella nostra cosiddetta società dell’informazione le verità, le mezze verità e le menzogne vanno a braccetto. La lingua non produce un contenuto autentico o un significato più profondo perché è stata privata di credibilità nell’incarnare questi valori. Dal momento che non è più degna di fiducia, è diventata impotente, limitata, frammentaria, o relegata all’ambito accademico.

Il testo è percepito alla stregua di un disegno, un motivo o una decorazione, non diversamente dai simboli e segni un tempo potenti e oggi tatuati su innumerevoli corpi umani. La lingua, le parole, interi passaggi come tatuaggi ornamentali? La lingua che incontriamo in questi casi è come un reperto archeologico, ci affascina quanto le pergamene o le monete antiche, perché avvertiamo che il suo tempo è quasi scaduto.”

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Rem Koolhaas (Rotterdam, 1944) ha fondato OMA nel 1975 insieme a Elia e Zoe Zenghelis e a Madelon Vriesendorp. Si è laureato in architettura all’Architectural Association School di Londra e nel 1978 ha pubblicato Delirious New York: A Retroactive Manifesto for Manhattan. Nel 1995 ha riassunto il lavoro di OMA nel libro S,M,L,XL, “un romanzo sull’architettura”. È codirettore di OMA e AMO, la divisione di OMA che si occupa di ricerca in ambiti che si estendono al di là dell’architettura. Tra i suoi progetti compiuti vi sono la Fondazione Prada di Milano (2015), il Garage Museum of Contemporary Art di Mosca (2015), la sede di China Central Television (CCTV) a Pechino (2012), la Casa da Musica di Porto (2005), la Seattle Central Library (2004), e l’ambasciata olandese di Berlino (2003). Tra i progetti in via di realizzazione vi sono la sede della Qatar Foundation, la Qatar National Library, il Taipei Performing Arts Centre, un nuovo edificio per Axel Springer a Berlino, e la Factory di Manchester. Koolhaas detiene una cattedra alla Harvard University e nel 2014 è stato direttore della XIV Biennale di Architettura di Venezia, dal titolo di “Fundamentals”.

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“Si deve a Prada, nel 1984, il ritorno dello zaino. Lo zaino, utilissimo quando si è in mezzo alla natura, divenne la borsa più usata per portare i propri oggetti personali in giro per la città. In contesti extraurbani, lo zaino accoglie maglioncini, impermeabili in plastica, banane, bevande, calzini…, il tutto compresso in un singolo volume informe. La forma dello zaino ha il vantaggio della flessibilità, la sua posizione – la schiena – il grande svantaggio di renderlo fondamentalmente inaccessibile a chi lo porta. Per aprirlo è necessario sfilarselo e poi perdere tempo per poter estrarre ciò che si sta cercando da quella discarica che ogni zaino finisce per essere.

Oggi, quando si fa la fila in aeroporto in attesa del controllo del bagaglio a mano, è sorprendente notare come quell’informe contenitore alloggi strumenti di forma geometrica e ortogonale, come laptop, caricabatterie, libri, astucci da bagno, e quanto sia difficoltoso districare tali oggetti dai loro mezzi di contenimento all’interno dello zaino (cordoni, cinghie, velcro) con tutte le aperture che paiono inadeguate e sottodimensionate...

Questo progetto propone una reinterpretazione dello zaino, più adatta al cittadino urbano dei nostri tempi: si porta davanti e il suo contenuto è sempre accessibile a chi lo indossa. È diviso in comparti, la cui dimensione è pensata per alloggiare gli strumenti indispensabili della vita moderna, cui si può avere un agevole accesso tramite opportune aperture.

La posizione frontale consente una maggiore padronanza al proprietario, un miglior controllo del movimento, che evita l’infinita serie di inavvertiti urti di cui lo zaino, suo malgrado, è causa.”

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