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Lavorare nell’era del Jobs Act Cina-USA una guerra non solo commerciale Solidarietà con i lavora- tori della Bekaert di Figliene Valdarno ALL’INTERNO IL CAPITALISMO UCCIDE! Privatizzazioni, svendita del patrimonio pubblico vostri i profitti nostri i morti

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Lavorare nell’era del Jobs Act

Cina-USA una guerra non

solo commerciale

Solidarietà con i lavora-

tori della Bekaert di

Figliene Valdarno

ALL’INTERNO

IL CAPITALISMO

UCCIDE! Privatizzazioni, svendita del patrimonio pubblico

vostri i profitti nostri i

morti

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Cambiamento? Sì ma quale? Il crollo del ponte Morandi, che ha

causato la morte di 43 persone, de-

cine di feriti e più di 600 sfollati, è

l’ennesimo tragico esempio di quan-

to questo sistema sia marcio fino al

midollo: un sistema che favorisce

sempre i profitti di una minoranza a

scapito della sicurezza e della vita

della gente comune. Aumento di

profitti per loro; spese più alte, la-

voro e vita più precaria per noi. Sono

le conseguenze inevitabili di venti

anni di privatizzazioni, di saccheggio

del patrimonio statale, di regali alla

Benetton e agli altri sciacalli del

grande capitale. Allo stesso tempo

quello che rimane dello stato sociale,

scuole, ospedali e case popolari, vie-

ne eroso e smantellato dai tagli e dal-

le politiche di austerità.

Il voto del 4 marzo rappresenta un

netto rifiuto dei partiti tradizionali

ritenuti responsabili del disfaci-

mento del Paese. Sono stati soprat-

tutto i governi di centro-sinistra,

quello di Prodi del 1996-98 in testa,

a dare il via alle privatizzazioni.

Nell’annunciare subito che avrebbe

rivisto la concessione di Autostrade,

il governo “del cambiamento” ha cer-

cato di distanziarsi da quelli prece-

denti, dando l’impressione di una

rottura col passato.

È vero che i legami fra il grande ca-

pitale e il governo Lega-M5S non

sono così stretti come quelli con i go-

verni di centro-sinistra e centro-de-

stra. A volte questo governo po-

trebbe anche prendere, in modo po-

pulista, misure parziali che vanno

contro gli interessi di un gruppo di

capitalisti, anche se la Lega, porta-

voce delle piccole e medie imprese

del nord cerca di frenare le tendenze

più interventiste del M5S. Senza

mettere in causa il sistema capitali-

stico però sarà sempre la logica del

mercato a dominare. A chi giova

cancellare la concessione ad Auto-

strade per l’Italia per poi regalarla a

un’altra impresa privata che nella

caccia ai profitti continuerà ad au-

mentare il pedaggio senza investire

nei lavori di manutenzione met-

tendo a rischio le nostre vite? Rive-

dere tutte le concessioni private

come ha suggerito Buffagni (M5S),

ma assegnando allo Stato il ruolo di

“regista” come ha proposto Giorgetti

(Lega) potrebbe ridurre alcuni ec-

cessi, ma non cancellerà il problema

principale che costituisce la causa

fondamentale della strage a Genova:

l’interesse del privato è legato esclu-

sivamente al profitto e non di certo a

fornire un servizio.

L’intera rete e tutto il sistema delle

infrastrutture stradali dovrebbe es-

sere portata subito in mani pubbli-

che insieme a tutti i servizi privatiz-

zati dai governi precedenti, gestiti

democraticamente e con traspa-

renza da comitati popolari.

In questo modo, eliminando non

solo l’avidità e la corruzione del pri-

vato, ma anche la burocrazia e

l’inefficacia che ha spesso caratte-

rizzato il pubblico, sarà possibile

iniziare a dare priorità alla sicu-

rezza e agli interessi della maggio-

ranza.

Questo governo sta ancora attraver-

sando una fase di luna di miele. È

facile per Di Maio prendersela con

la famiglia Benetton e con i capita-

listi “cattivi” per guadagnarsi qual-

che applauso e un aumento dei con-

sensi. A Salvini conviene alzare i

toni sulla retorica securitaria e fare

degli immigrati capri espiatori per

mascherare le divisioni all’interno

del governo e la sua incapacità di ri-

solvere i problemi economici e so-

ciali, che hanno spinto lavoratori e

settori del ceto medio impoverito a

rifiutare così categoricamente il PD

e Forza Italia e a votare per un cam-

biamento di rotta.

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Il M5S in particolare perpetua il mito

di poter conciliare gli interessi di ca-

pitale e lavoro, dialogando con i ri-

der, gettando alcune briciole ai pre-

cari con il decreto dignità, ma vo-

tando contro la reintroduzione del-

l’articolo 18 che offriva un minimo di

protezione ai lavoratori contro lo

sfruttamento dei padroni. Le deci-

sioni difficili sono ancora da pren-

dere. Nel conflitto di classe bisogna

schierarsi da una parte. In questo

contesto garantire il lavoro significa

nazionalizzare l’Ilva e Alitalia sotto il

controllo democratico dei lavoratori

stessi.

L’impennata dello spread nel mo-

mento dell’insediamento del nuovo

governo e poi di fronte alla crisi eco-

nomica in Turchia ha dimostrato pa-

lesemente il nervosismo dei mercati

finanziari e la fragilità dell’economia

italiana. Qualsiasi tempesta interna

o esterna potrebbe bastare per pro-

vocare una crisi uguale o anche peg-

giore di quella del 2011. La fine del

quantitative easing (acquisto di ti-

tolo di Stato dal parte della Banca

Centrale Europea) annunciata da

Draghi per dicembre di quest’anno

potrebbe rappresentare un momento

di svolta.

Sotto la pressione dei mercati,

l’Unione Europea, il grande capitale

e i portavoce del governo sono già

impegnati in un’offensiva mediatica

volta a minimizzare le aspettative

sulla crescita sollevate durante la

campagna elettorale. L’introduzione

delle riforme (reddito di cittadi-

nanza, abolizione della legge For-

nero, la Flat Tax ecc.) sarà “graduale”

per garantire “la compatibilità con

l’obiettivo di bilancio” (Conte),

“prima studiamo i conti”, “l’obiet-

tivo è di fare scendere il rapporto

debito/PIL” (Tria), “niente strappo

con l’Ue” (Di Maio). “Non fare il

passo più lungo della gamba e ca-

dere nel burrone” aggiunge Visco,

governatore di Bankitalia.

È chiaro però che senza uno scontro

diretto con i diktat dell’Unione Eu-

ropea sul debito lo spazio di mano-

vra di questo governo sarà molto

stretto e potrebbe restringersi.

Prima del lancio del quantitative

easing nel 2015 l’interesse annuale

sul debito pubblico italiano am-

montava a 80 miliardi di euro. Nel

contesto di un’economia che cresce

appena, deve accettare di regalare

alle banche 80 miliardi ogni anno

potrebbe significare non solo non

riuscire ad implementare le riforme

elettorali, ma anche tagliare drasti-

camente la spesa sociale.

Rifiutare di pagare il debito invece

libererebbe delle risorse da desti-

nare alla creazione di migliaia di

posti di lavoro, salari e pensioni di-

gnitosi e servizi pubblici di qualità.

Non possiamo stare ad aspettare la

fine della luna di miele di questo

governo. Bisogna organizzare ades-

so la resistenza e costruire un’alter-

nativa politica che difenda gli inte-

ressi dei lavoratori e di tutti gli

sfruttati contro gli interessi del

grande capitale e la classe domi-

nante.

In questo contesto ga-

rantire il lavoro significa

nazionalizzare Ilva e Ali-

talia sotto il controllo de-

mocratico dei lavoratori.

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Resistenze Internazionali ha deciso

di elaborare collettivamente un opu-

scolo per presentare la nostra vi-

sione del mondo a tutti gli studenti

e i lavoratori che incontriamo nelle

nostre lotte e che desiderano en-

trare in contatto con la nostra orga-

nizzazione.

La funzione di questo opuscolo, in-

titolato Un’alternativa rivoluziona-

ria per cambiare il mondo, è quella

di avvicinare al nostro movimento e

alle idee socialiste giovani studenti e

lavoratori combattivi che vogliono

cambiare il mondo e che non vo-

gliono subire passivamente le ingiu-

stizie del sistema economico capita-

listico.

Questo opuscolo è uno strumento

utile per presentare la nostra visione

del mondo e il nostro programma a

tutti coloro che vogliono ricostruire

nel nostro paese una sinistra degna

di questo nome, che cercano un’al-

ternativa al dilagare della barbarie

di questo sistema.

Oggi stiamo vivendo la più grande

crisi economica mondiale dal 1929,

una crisi che ha le sue radici nel fun-

zionamento stesso del capitalismo,

sistema economico che alterna a fasi

di crescita lunghe fasi di recessione

dovute a crisi di sovrapproduzione,

le quali costringono la borghesia a

spremere maggiormente la gente

comune abbassando i salari e can-

cellando i diritti dei lavoratori.

Nel mondo aumentano le guerre per

la spartizione dei mercati fra le gran-

di potenze. Ovunque dilaga la barba-

rie, lo sfruttamento e l’oppressione,

in special modo contro i migranti.

I governi di ogni colore politico stanno facendo pagare la crisi ai ceti popolari, imponendo feroci misure neoliberiste e di austerità, tagli alla spesa sociale e a servizi come istru-zione e sanità.

Pensiamo che oggi sia più che mai

necessario invertire la tendenza, co-

struendo un movimento di massa di

giovani e lavoratori che lottino per i

propri diritti, per una redistribuzione

della ricchezza a livello globale. In un

sistema in cui le 8 persone più ricche

del mondo detengono la stessa ric-

chezza di metà della popolazione

mondiale la rivoluzione è l’unica pro-

spettiva concreta. A fronte di un at-

tacco senza precedenti dei capitalisti

contro le nostre condizioni di vita e di

lavoro la risposta della gente comune

non è stata all’altezza dell’attacco.

Questo è dovuto all’assenza di un

movimento di massa organizzato che

sappia rispondere agli attacchi dei

padroni e alla debolezza di una sini-

stra che non riesce ad intercettare la

rabbia sociale e condurla contro il ca-

pitalismo. In mancanza di ciò questo

vuoto politico e la sfiducia verso i

partiti dell’establishment si tradu-

cono nella crescita dei movimenti po-

pulisti e dell’estrema destra, come

purtroppo sta avvenendo in Italia.

L’obiettivo dei militanti di Resi-

stenze Internazionali e del CWI è

costruire in Italia e nel mondo una

sinistra che sia all’altezza della si-

tuazione storica, che sappia co-

struire un’egemonia culturale dei

socialisti in tutte le lotte e in tutte le

vertenze.

Lottiamo per una società socialista

in cui l’economia e la politica siano

controllate democraticamente dai

lavoratori, e non da un pugno di mi-

liardari. Per il controllo pubblico e

democratico dei settori strategici

dell’economia e delle banche. Per

ottenere ciò è necessaria una rivolu-

zione. Il nostro opuscolo ha proprio

la funzione di spiegare ai giovani e

ai lavoratori il perché della necessità

della rivoluzione e del superamento

del sistema economico capitalistico,

di avviare con loro una discussione

proficua.

Scopo di questo opuscolo è anche

smascherare la propaganda bor-

ghese e spiegare alle persone inte-

ressate perché ci riteniamo “ancora”

marxisti e quali sono le nostre reali

idee, smentendo le principali accuse

che gli apologeti del capitalismo ci

rivolgono e rispondendo ai più co-

muni quesiti che ci vengono conti-

nuamente fatti quando spieghiamo

le nostre idee.

È necessario superare questo si-

stema basato sulla guerra e sullo

sfruttamento, un sistema che sta

strascinando il nostro pianeta verso

la catastrofe ambientale. Se questo

opuscolo riuscirà a rendere co-

sciente di ciò anche una sola per-

sona allora il nostro lavoro non sarà

stato vano. Auguriamo a tutte e tutti

una buona lettura!

Per ordinare l’opuscolo e

per organizzare una

presentazione scrivete a

resistenzeinterna-

[email protected].

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Hachemi, un giovane laureato in

Scienze Agrarie, ha parlato a Resi-

stenze della sua esperienza di la-

voro presso un’azienda agricola. La

sua esperienza sta ormai diven-

tando la norma per i giovani stu-

denti e lavoratori che cercano la-

voro in Italia, e che, nonostante

siano molto qualificati si trovano a

lavorare in condizioni ultra-preca-

rie, in cui non viene garantita la si-

curezza sul lavoro, in cui i turni di

lavoro sono lunghi, massacranti e

sottopagati.

Hachemi, tu sei un giovane lau-

reato che ha tentato di trovare un

lavoro e fare esperienza in un am-

bito inerente agli studi svolti. Hai

trovato lavoro in un’azienda agri-

cola. Di quale azienda si tratta e

quale tipo di mansione svolgevi?

Eri assunto con un contratto re-

golare?

Lavoravo per questa azienda nel

campo dell’agricoltura a Bologna

con cui avevo un contratto di lavoro

regolare, un contratto nazionale. Per

fare questo lavoro chiedono la laurea

in Scienze Agrarie. Non è una pic-

cola azienda. Ha quattro sedi in Ita-

lia più altre 2 o 3 all’estero. Dovevo

svolgere delle prove con prodotti

chimici, in fase sperimentale sul

campo, sulle piante. È stato un la-

voro duro, dovevo camminare sotto

il sole con un’auto-pompa sulla

schiena che pesa 10-12 chili vuota,

più 10 litri di prodotti.

Quante ore a settimana di lavoro

prevedeva il tuo contratto?

Da contratto dovevo svolgere un’atti-

vità lavorativa di 40 ore alla setti-

mana, ma mi sono trovato a dover

fare anche 60 ore a settimana con una

media di 13 ore al giorno, con una

pausa pranzo massimo di 45 minuti.

Tutte queste ore straordinarie non ve-

nivano pagate. 60 ore alla settimana

per 1.300 euro al mese, sabati inclusi.

Dicevano che era necessario perché

questo era il periodo chiave. Un pe-

riodo che va da aprile a fine settem-

bre, quindi quasi 6 mesi, un periodo

chiave molto lungo…

Quali erano le condizioni in

azienda per quanto riguarda la si-

curezza sul lavoro? Ti sentivi tute-

lato da questo punto di vista?

Il lavoro non veniva riconosciuto

dall’azienda come un lavoro perico-

loso. L’azienda diceva che l’esposi-

zione al veleno era molto ridotta. Ma

non era così, tutti i giorni dovevamo

lavorare per ore e ore spruzzando il

veleno nei campi. Il fatto che ci des-

sero una tuta di protezione dimostra

che un rischio c’era. Tornavo a casa e

puzzavo. Mi facevo la doccia, ma con-

tinuavo a puzzare di prodotto chi-

mico.

Ti capitava di essere mandato a la-

vorare in una sede diversa da

quella di Bologna?

L’azienda mandava alcuni di noi in trasferta, per esempio per 15 giorni

oppure un mese in Calabria o in Si-cilia, e bisognava anticipare tutte le spese, il costo dell’aereo andata e ritorno, dell’albergo, del cibo; tutto quanto. A me personalmente non è mai

successo perché mi sono licenziato

prima, ma un mio collega mi ha

detto che ha dovuto anticipare

1.500 euro. E se capitava che si

perdesse lo scontrino l’azienda

non rimborsava nulla.

Che cosa pensano i tuoi colleghi

del trattamento ricevuto in

azienda?

Da quando sono arrivato lì ho pro-vato a parlare con i colleghi di que-sti problemi, soprattutto della questione delle ore straordinarie non pagate. Mi hanno spiegato che era ormai una consuetudine che andava avanti da anni, ma loro non volevano protestare per paura di perdere il lavoro, non avevano nessuna fiducia in se stessi, nella possibilità di cambiare le cose. Senza muoversi, però, sicura-mente non cambierà niente.

Quando ho parlato con il respon-

sabile delle ore straordinarie non

pagate dicendo che non ero dispo-

sto a lavorare anche il sabato mi ha

detto: “magari non hai la pas-

sione per questo lavoro”. Chi

può avere la passione per fare un

lavoro così pesante lavorando 20

ore a settimana gratuitamente! “Il

lavoro è così” mi ha risposto.

Lavorare nell’era del Jobs Act

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Cina-USA una guerra non solo commerciale

Nelle scorse settimane il presidente

americano Donald Trump ha dato

seguito alle sue reiterate minacce di

introdurre dazi commerciali sui

beni importati dagli Stati Uniti. A

inizio giugno Trump ha infatti al-

zato le tariffe doganali del 25% e del

10% sulle importazioni di acciaio e

alluminio negli Stati Uniti prove-

nienti dall’Ue. La stessa ammini-

strazione ha introdotto dazi, per un

totale di 34 miliardi di dollari, sui

818 prodotti cinesi.

Trump ha inoltre minacciato di in-

trodurre ulteriori dazi del 25% su

auto e camion importati. Questa de-

cisione sarebbe un duro colpo per la

Germania, per il Messico e il Giap-

pone. Le importazioni statunitensi

di acciaio e alluminio ammontano

oggi a circa 45 miliardi di dollari,

mentre il valore delle importazioni

di veicoli è di 208 miliardi di dollari.

Dal punto di vista dell’amministra-

zione USA, queste decisioni sono in

linea con l’impostazione protezioni-

sta di Donald Trump, un’imposta-

zione politicamente orientata a vin-

cere le elezioni di mid-term che si

terranno quest’anno. Da un punto

di vista più generale l’obiettivo di

queste misure è quello di ridurre il

deficit della bilancia commerciale

statunitense, vale a dire il saldo tra

le importazioni e le esportazioni. Gli

Stati Uniti hanno una bilancia com-

merciale fortemente negativa: im-

portano più di quello che esportano,

comprano più di quello che ven-

dono.

Questa situazione appare insosteni-

bile a settori di elettorato americano

che si sentono schiacciati dalla com-

petizione internazionale con paesi

che producono, e quindi esportano, a

prezzi minori. Pur essendo in crescita

e con un tasso di disoccupazione

basso il sistema produttivo ameri-

cano è penalizzato dalla stessa logica

economica ultraliberista cha ha vo-

luto e imposto a partire dalla fine de-

gli anni 80’ al mondo intero. La deci-

sione di alzare i dazi sui beni impor-

tati dall’Ue ha creato il panico all’in-

terno della Commissione Europea e

dei principali paesi esportatori di

merci dell’Unione. Rispondendo a

questa decisione, il presidente della

Commissione Europea Jean-Claude

Juncker ha dichiarato: “saremo al-

trettanto stupidi degli americani”.

Alle dichiarazioni sono poi seguiti i

fatti, l’Ue ha applicato dazi su circa

300 prodotti che vengono importati

nel continente dagli Stati Uniti. Sul

versante asiatico, l’introduzione di

dazi al 25% sui 818 prodotti cinesi, ha

generato l’inevitabile reazione di Pe-

chino che ha introdotto nuove tasse,

per un totale di 3 miliardi di dollari,

su 128 beni importati da Washing-

ton.

Tra questi: frutta, soia carne di

maiale ma anche whiskey, salmone,

lavatrici e ruote per i Boeing. A pa-

gare le conseguenze della svolta pro-

tezionista dell’amministrazione ame-

ricana non ci sono però solo Cina e

Ue ma anche i partner storici di Wa-

shington nel continente: Messico e

Canada.

Anche nei confronti di questi paesi, che fanno parte del trattato di libero scambio Nafta, sono stati introdotti dazi sulle importazioni di materie prime come alluminio e acciaio. Fonti vicino alla Casa Bianca fanno sapere che lo stesso Nafta, al mo-mento sospeso, potrebbe essere revo-cato con l’uscita degli Stati Uniti dal trattato.

Secondo Trump, la guerra commer-

ciale contro la Cina sarebbe un con-

flitto “facile da vincere”, il suo obiet-

tivo è ridurre il surplus commerciale

della Cina, che attualmente è supe-

riore ai 350 miliardi di dollari. Quello

che Trump finge di non capire è che

una nuova guerra commerciale ri-

schia di fare più danni che benefici

soprattutto agli Stati Uniti. Non è un

caso che importanti realtà economi-

che statunitense siano fortemente

opposte alle politiche protezioniste

del presidente e stiano tentando di

modificarle.

L’amministratore delegato della Dell che produce computer e sistemi in-formatici ha usato il termine «MAD» per definire questa nuova guerra commerciale. Si tratta dell’acronimo della Mutually assured destruction, la distruzione reciproca assicurata, che nella dottrina strategica ameri-cana della guerra fredda rappresen-tava l’unico vero freno all’utilizzo delle armi atomiche nei conflitti con-tro l’Unione Sovietica, la Cina e i loro alleati. Oggi la Cina vende negli Stati Uniti una quantità di prodotti quat-tro volte superiore a quella che acqui-sta.

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Trump accusa Pechino di "imbro-glio" e di concorrenza sleale, in realtà, questa situazione riflette i profondi cambiamenti nell'econo-mia capitalista globale e l'ascesa della Cina che oggi si trova al centro della catena di produzione globaliz-zata. I colloqui commerciali tra Stati Uniti

e Cina si sono concentrati negli ul-

timi mesi su agricoltura ed energia,

due settori in cui gli Stati Uniti vor-

rebbero aumentare le loro esporta-

zioni verso la Cina.

Lo scorso anno le esportazioni totali

di prodotti agricoli negli Stati Uniti

valevano 69 miliardi di dollari e le

esportazioni di energia di 150 mi-

liardi di dollari. Affinché la Cina

possa chiudere un gap di 200 mi-

liardi di dollari, dovrebbe importare

l’equivalente di tutto quello che gli

Stati Uniti esportano in questi set-

tori, il che è ovviamente impossibile.

La guerra commerciale in atto tra le

due principali potenze mondiali fa

parte della lotta di potere tra potenze

imperialiste su scala globale. In un

contesto dominato dalle crescenti ri-

valità imperialiste, il commercio

viene sempre più spesso utilizzato

come una vera e propria arma che

può sostituire o anticipare l’azione

militare. Le crescenti tensioni tra

Stati Uniti e Cina sono in realtà

molto più profonde e vanno al di là

del commercio. In gioco c’è la supre-

mazia mondiale nella produzione di

tecnologia e sul versante militare e il

controllo degli alleati nel pacifico a

partire dalle Filippine, da Taiwan e

dalla Malesia.

Nella battaglia ideologica che si sta svolgendo a fianco dei conflitti eco-nomici e geopolitici tra le due po-tenze, il gruppo dirigente del Partito Comunista cinese ritiene che il suo modello di "capitalismo di stato au-toritario" sia superiore al modello occidentale di "capitalismo libero di mercato". Questo convinzione si basa sulle prestazioni dell’economia Cinese dalla crisi globale del 2008.

Oggi, un settore importante di classe dominante statunitense sta voltando le spalle a tutte le scelte fatte in ogni ambito nei decenni precedenti. Il ri-tiro degli stati uniti dall’accordo sul clima di Parigi, il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano, la cancella-zione del trattato di partenariato trans-pacifico (TPP) e la probabile cancellazione del Nafta sono emble-matici di questa politica di rottura con le decisioni delle amministra-zioni precedenti.

Più in generale è entrato in crisi il mito della globalizzazione liberista portato avanti trionfalmente dagli Stati Uniti degli ultimi decenni. La crisi di questo modello produce un ripiegamento protezionista da parte della prima economia del pianeta. Le conseguenze di questo ripiega-mento sono imprevedibili. L’intro-duzione di dazi e di misure protezio-niste ha un precedente storico nelle decisioni prese nel 1930 dall’ammi-nistrazione americana. Com’è noto le politiche protezioniste e di ripie-gamento interno portarono ad un inasprimento delle tensioni interim-perialiste e dei conflitti economici, ad esempio con il Giappone, che si risolsero soltanto nel 1945 dopo la seconda guerra mondiale e le sue atroci barbarità.

Al caos del “libero mercato globaliz-zato” che porta ad una corsa al ri-basso e ad una competizione sfre-nata tra popoli del mondo e alle ten-sioni geopolitiche che l’adozione di misure protezioniste porta con sé contrapponiamo una prospettiva diametralmente opposta. La pro-spettiva di una gestione socialista dell’economia e del commercio mondiale. La pianificazione demo-cratica dell’economia e del commer-cio mondiale basata sulla proprietà, sul controllo e sulla gestione pub-blica delle leve del credito e dei set-tori chiave dell’economia a livello mondiale è l’unica via per allonta-nare la spirale di crisi, di competi-zione al ribasso e di guerra commer-ciali (e non) tra i popoli. Questa è la prospettiva per la quale Resistenze Internazionali ed il Comitato per un’internazionale dei lavoratori si batte in Italia e nel mondo.

La Cina ha infatti mantenuto una

crescita economica costante mentre

il capitalismo occidentale è entrato

in stagnazione. Questi "successi" ci-

nesi, tuttavia, hanno portato a un li-

vello di indebitamento senza prece-

denti che potrebbe innescare una

grave crisi finanziaria.

Secondo stime dell’organizzazione

mondiale del commercio, la guerra

commerciale appena iniziata po-

trebbe portare ad una diminuzione

della crescita mondiale pari all’1% o

addirittura al 2% del PIL. A farne le

spese sarebbe soprattutto l’Ue che,

rispetto alla Cina, esporta una quota

di PIL doppia, il 3,5% rispetto al

1,7%.

L’introduzione di queste misure e le imprevedibili conseguenze che que-ste potranno avere sul commercio mondiale in un mondo fortemente instabile e multipolare rischiano di ridisegnare completamente l’intero sistema economico mondiale. Una guerra commerciale potrebbe por-tare ad una contrazione dei flussi commerciali, quindi ad una nuova crisi di sovrapproduzione, quindi ad una nuova crisi bancaria. La partico-larità di questa nuova crisi è che ar-riverebbe dopo un decennio di crisi interrotta.

La crisi del 2007/2008 fu infatti preceduta da un periodo di crescita economica, oggi la situazione appare assai diversa. È difficile prevedere se la decisione dell’amministrazione USA rappresenti una svolta strate-gica o se si tratta soltanto di mano-vre tattiche portate avanti per ra-gioni di politica interna. Quello che è certo è che qualcosa sta cambiando a livello globale. Un'indagine della Banca Mondiale ha dimostrato che le prime sessanta economie del mondo hanno adottato più di 7.000 nuove misure protezionistiche dal 2008 ad oggi. Gli Stati Uniti e l'Unione europea sono in cima alla lista con l’adozione di oltre 1.000 misure ciascuna. La dottrina dell’"America First" di Trump non è quindi che una nuova manifestazione di un processo che era già in corso.

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Resistenze Internazionali è un’organizzazione politica di giovani e lavoratori. Facciamo parte del Committee for a Workers’ International (CWI), il Comitato per un’Internazionale dei Lavoratori, un’organizzazione internazionale pre-sente in 45 paesi, con un forte radicamento sindacale e giovanile. In alcuni paesi il CWI-CIL è il punto politico di rife-rimento di importanti lotte. È una forza determinante nel sindacato inglese; in Irlanda, dove ha tre parlamentari e ha diretto la lotta contro le Water Charges, in Spagna dirige il Sindicato de Estudiantes, un’organizzazione studentesca di massa, in Sud Africa è stato alla testa della lotta dei minatori e ha lanciato il WASP (Workers’ and Socialist Party), un nuovo partito della sinistra sudafricana. In Italia Resistenze Internazionali si batte per ricostruire un fronte politico dei lavoratori e della gente comune per dare una risposta anticapitalista alla crisi del sistema.

1. Lavoro Rivendichiamo la fine del lavoro interi-nale, l’abolizione di tutte le leggi di preca-rizzazione del lavoro a partire dalla legge Treu fino al Jobs act. Chiediamo l’introdu-zione della settimana lavorativa di 30 ore, la redistribuzione del lavoro disponibile a parità di salario e condizioni. Questo è l’unico modo per sconfiggere la disoccupa-zione e la concorrenza tra lavoratori. Ri-vendichiamo un salario minimo intercate-goriale garantito e una paga minima ora-ria di 10 euro. Lottiamo per un reddito di-gnitoso per chi è disoccupato o chi non

può lavorare.

2. Istruzione Ci battiamo per un’istruzione pubblica, laica, gratuita, di qualità e accessibile a tutti dall’asilo nido all’università, finan-ziata con un investimento non inferiore al 7% del PIL. Chiediamo l’abrogazione di tutte le controriforme della scuola a par-tire dalla riforma Gelmini e dalla Buona Scuola di Renzi. In particolar modo lot-tiamo per l’abolizione immediata dei tiro-cini gratuiti previsti dall’alternanza scuola lavoro. Tutte le attività lavorative prestate a scuola devono essere facolta-tive e retribuite.

3. Servizi pubblici Vogliamo un sistema integrato di tras-porto pubblico garantito e di qualità. Allo stesso modo lottiamo per una sanità gra-tuita e di qualità finanziata con fondi pubblici, e chiediamo l’immediata aboli-zione dei ticket. Ci battiamo per rinazio-nalizzare tutte le aziende privatizzate o in via di privatizzazione. Lottiamo per la na-zionalizzazione dei settori chiave del-l’economia: banche, industria, telecomu-nicazione, energia, trasporti, da mettere sotto il controllo e la gestione democra-tica degli utenti e dei lavoratori del set-tore.

4. Ambiente Senza una politica industriale, un piano nazionale dell’energia, dei trasporti e dei rifiuti diretti dallo Stato e sotto il controllo democratico di chi lavora, questi ambiti continueranno a essere gestiti in modo anarchico a danno dell’ambiente e della salute pubblica. Chiediamo la progressiva riconversione delle attività ad alto im-patto ambientale e la sostituzione dei combustibili altamente inquinanti con energie pulite e sicure e per una gestione razionale ed ecocompatibile del ciclo dei rifiuti e dei trasporti.

5. Diritti civili Lottiamo contro ogni forma di discrimi-nazione per motivi etnici, religiosi, legati al sesso e agli orientamenti sessuali, alla disabilità, alla malattia e per garantire a tutti l’autonomia economica e l’emanci-pazione individuale. Lottiamo per uno Stato laico separato dalla Chiesa Catto-lica. Rivendichiamo l’abolizione del Con-cordato del 1929 tra stato fascista e Vati-cano. Siamo per l’esproprio e la naziona-lizzazione del patrimonio immobiliare e finanziario della Chiesa Cattolica.

6. Pace Chiediamo il ritiro immediato dei soldati italiani all’estero e una drastica riduzione delle spese militari a favore della spesa so-ciale. Siamo per l’uscita immediata dell’Italia dalla NATO e per lo smantella-mento immediato delle basi militari ame-ricane presenti sul territorio italiano. Chiediamo la denuclearizzazione dell’Ita-lia e del mondo. Siamo contro l’Unione Europea perché spinge da decenni per la privatizzazione e la liberalizzazione delle aziende nazionali, milita per lo smantel-lamento dei diritti dei lavoratori. È un progetto funzionale agli interessi delle classi dominanti europee. Siamo favore-voli a una confederazione socialista su base volontaria dei paesi europei.

7. Internazionalismo Resistenze Internazionali fa parte di una rete mondiale di partiti e organiz-zazioni anticapitaliste coordinate atto-rno al CWI. Le condizioni di sfrutta-mento dei lavoratori non hanno né confini né colori nazionali, ma sono in-seriti all’interno di un sistema capitali-stico globale basato sullo sfruttamento del lavoro del 99% della popolazione per l’arricchimento dell’1%.

8. Rivoluzione In un mondo in cui 8 persone deten-gono la ricchezza complessiva di mezza umanità non può esserci nessun tipo di giustizia sociale. Soltanto l’abolizione della proprietà privata sui mezzi di pro-duzione e la pianificazione democratica dell’economia può creare le condizioni per una distribuzione più equa delle ri-sorse del pianeta. Serve una rottura ri-voluzionaria che possa portare la classe lavoratrice a conquistare il potere e co-struire una vera democrazia, in cui le ricchezze vengano prodotte e distri-buite in funzione delle necessità della collettività e non per il profitto di sin-goli individui.

9. Socialismo La nazionalizzazione dei mezzi di pro-duzione e la pianificazione democra-tica dell’economia creeranno le condi-zioni per lo sviluppo di una società dell’abbondanza nella quale il libero sviluppo del singolo sarà la condizione per il libero sviluppo di tutti. Chia-miamo Socialista quella società che avrà abolito lo sfruttamento degli es-seri umani da parte di altri esseri umani. Una società senza guerra, sfrut-tamento, discriminazioni e povertà.

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Anche quest’anno si è tenuta la

scuola estiva del Comitato per un In-

ternazionale dei lavoratori. Il CWI-

CIL è l’organizzazione rivoluzionaria

internazionale alla quale Resistenze

Internazionali è affiliata. L’evento si

è svolto a Barcellona alla fine di luglio

e ha riunito quasi 400 marxisti pro-

venienti da tutti i continenti.

Erano infatti presenti delegazioni e

singoli compagni provenienti dal

Messico, da Brasile, dalla Nigeria,

dalla Tunisia, dalla Turchia, da Hong

Kong, dall’Australia e da numerosi

paesi europei inclusi Belgio, Francia,

Russia, Olanda, Irlanda, Svezia, Ger-

mania, Portogallo e Regno Unito.

Anche Resistenze Internazionali ha

preso parte a questo fondamentale

momento di condivisione di espe-

rienze e di formazione politica con

una propria delegazione di compa-

gni. Com’è naturale, a influenzare

positivamente il successo della

scuola è stato l’averla organizzata

proprio a Barcellona, nel cuore della

Catalogna in lotta per l’indipendenza

da Madrid. La combattività del po-

polo e dei giovani Catalani era palpa-

bile e evidente a tutti.

L’università autonoma di Barcellona,

che ha ospitato la scuola estiva, era

letteralmente tappezzata di manifesti

e locandine che rivendicavano la libe-

razione dei prigionieri politici e l’in-

dipendenza dallo stato spagnolo. Era

anche palpabile il clima di mobilita-

zione femminista e antisessista che si

respira oggi in tutto lo stato spa-

gnolo. Su tutto il campus universita-

rio, erano infatti presenti decine di

murales che invocavano pene severe

per gli stupratori e richiamavano la

mobilitazione femminista contro il

barbaro stupro di gruppo ai danni di

una giovane ragazza con slogan quali

“hermana yo si te creo”. Come è

emerso nel corso della scuola, Iz-

quierda Revolucionaria, la nostra

nuova sezione nello stato spagnolo è

stata alla testa di queste mobilita-

zioni grazie alla piattaforma femmi-

nista Libres y combativas che ha

svolto un ruolo chiave in decine di

città nella costruzione di mobilita-

zioni di giovani donne contro il ses-

sismo ed il patriarcato.

La scuola si è aperta con una discus-

sione ampia e molto interessate

sulle prospettive mondiali. Nei vari

contributi dei compagni che sono

intervenuti è emerso come la

“guerra commerciale” lanciata po-

che settimane fa da Donald Trump

rappresenti una rottura nell’equili-

brio geopolitico mondiale dalle con-

seguenze potenzialmente incalcola-

bili.

Gli interventi dei compagni della se-

zione statunitense hanno spiegato ai

presenti il contesto nel quale sta av-

venendo la straordinaria crescita di

Socialist Alternative in tutto il

paese. Le lotte nelle quali siamo im-

pegnati, non ultima la battaglia a

Seattle contro Jeff Bezos, l’uomo più

ricco del pianeta, stanno creando

enormi opportunità di crescita per

le idee anticapitaliste nel paese e

quindi per la nostra organizzazione.

Dal canto loro, i compagni che sono

intervenuti da Hong Kong e da Tai-

wan hanno sottolineato la crescita

delle mobilitazioni sociali all’in-

terno della Cina. Un paese profon-

damente instabile dove la dura re-

pressione nei confronti di ogni

forma di dissenso: blog, giornalisti

indipendenti, ong, sindacati auto-

nomi per non parlare poi delle orga-

nizzazioni politiche, non riesce a

placare il dissenso e a fermare le

lotte sociali che anzi sono in forte

aumento.

Questa discussione ha visto anche la

partecipazione di compagni dal-

l’America Latina, ed in particolar

modo dal Brasile, che hanno sottoli-

neato il nuovo contesto politico de-

terminato dal tramonto del Lulismo

e dall’arresto dello stesso Lula nel

quale si stanno sviluppando impor-

tanti mobilitazioni e conflitti sociali

contro Temer e il neoliberismo.

L’edizione 2018 della scuola estiva

del CWI è stata un grande successo.

Tutti i partecipanti ne sono usciti rin-

vigoriti, pieni di ottimismo e di con-

vinzione nel potenziale di lotte dei

giovani e dei lavoratori a livello mon-

diale.

L’obiettivo è adesso quello di ripor-

tare le esperienze condivise alla

scuola estiva nelle proprie organizza-

zioni nazionali e continuare a co-

struire le forze genuine del marxismo

rivoluzionario in tutto il mondo. È

quello che intendiamo fare in Italia

come Resistenze Internazionali.

Nasce Resistenze Interna-

zionali a Urbino!

L’organizzazione anticapitalista e

antifascista presente in più di 40

Paesi nel mondo trova ora una

nuova sede nella città di Raffaello. Si

è infatti da poco creato un gruppo at-

tivo di studenti. Abbiamo sentito che

era arrivato il momento di muoverci

per cercare di cambiare le cose par-

tendo dalla città nella quale viviamo

e studiamo.

Per questo motivo, abbiamo deciso

di riunirci ogni venerdì per discutere

dell’attualitá politica e della società,

prendendo in questo modo consape-

volezza di ciò che non va nel nostro

paese e non solo, e cercando in que-

sto modo di capire come poter fare la

nostra parte per cambiare le cose.

Ci teniamo anche in contatto con i

compagni più lontani, in Italia e

all’estero. Siamo dalla parte del po-

polo, degli studenti e dei lavoratori,

lottiamo affinché non vengano più

schiacciati dai meccanismi del si-

stema sociale in cui viviamo.

Se sei interessato o incuriosito con-

tattaci e attivati con noi scrivendo a

[email protected]

con oggetto “Urbino”.

Barcellona 2018 Scuola Estiva del CWI/CIL

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Solidarietà con i lavoratori della Bekaert di Figliene Valdarno!

Ormai tutti conosciamo la Bekaert, la multinazionale belga che di punto in bianco ha deciso di chiudere lo stabilimento di Figline Valdarno. I lavoratori a rischio sono 318, gli abi-tanti di Figline 17.000, da questi nu-meri si intuisce l’impatto socio-eco-nomico che potrebbe avere questa vicenda. Ma cosa c’è dietro questa chiusura? È davvero una follia dell’ultimo mi-nuto o è un progetto a lungo termine drammaticamente portato a conclu-sione (o quasi)? Resistenze Interna-zionali è vicina ai lavoratori in lotta, per questo motivo siamo andati a co-noscere Marcello, operaio della Be-kaert. Marcello lavora nello stabili-mento di Figline da 35 anni ed è stato delegato sindacale Fiom per 20 anni, quindi conosce bene le dinami-che dell’azienda e la sua storia. Figline è il centro direzionale e di ri-cerca e sviluppo per la produzione steal cord (un rinforzo per pneuma-tici) di Pirelli e i lavoratori del sito contribuiscono anche all’apertura di sedi in Romania, Brasile, Turchia e Cina. “Un bel giorno leggendo i giornali scopriamo che Pirelli ha deciso di vendere” dice Marcello, purtroppo pratica sempre più co-mune anche in politica, quella di fare le comunicazioni in pubblico invece che ai diretti interessati e nelle sedi opportune. Il piano industriale dei nuovi pro-prietari consisteva nello sviluppo di un nuovo prodotto ad alto contenuto tecnologico che i lavoratori del sito di Figline sono riusciti a sviluppare nell’arco di un anno al prezzo di turni più lunghi, di straordinari e la-voro anche nei festivi. Invece di as-sumere personale l’azienda procede ad esternalizzare alcuni servizi (es. manutenzione) per riutilizzare il personale in produzione, con conse-guente calo di produttività (dato dalla poca conoscenza dello stabili-mento delle ditte esterne), i lavora-tori inoltre vengono accusati di es-sere assenteisti. Questo è il mito della produttività con unico fine il profitto, questo è il capitalismo, ave-re un parente disabile per l’azienda è un calo di produttività, un numero

negativo che se possibile va elimi-nato. Nel 2017 finalmente l’azienda decide di assumere, tramite agenzia di som-ministrazione ovviamente, 25 per-sone, ragazzi giovani da formare, ma una volta formati, dopo circa 1 anno, senza troppe spiegazioni decide sem-plicemente di non rinnovare il con-tratto a nessuno. Immediata la reazione dei sindacati

che chiedono un tavolo con l’azienda

e il ministero, durante il quale l’azie-

nda rassicura sulle prospettive e sulla

quantità di lavoro da fare. Il 18 giu-

gno gli operai ricevono il premio di

produzione pieno, anche grazie al

fatto di aver rispettato una percen-

tuale di assenze molto inferiore ri-

spetto alla media nazionale (alla fac-

cia degli assenteisti).

Il 22 giugno l’azienda dichiara la chiusura dello stabilimento per ces-sata attività. “Il mio capo reparto mi stava dando le consegne per il la-voro e riceve una chiamata dalla di-rezione, si allontana e torna dopo mezz’ora in lacrime, mi abbraccia e mi dice, Marcello, ci hanno chiuso”. Ovvio lo scalpore generale, le RSU in-vitano tutti ad uscire dallo stabili-mento, dove trovano la direzione scortata dalla Polizia (quando si dice la buona fede), che leggendo quattro righe in sostanza distrugge la vita di 318 persone e rispettive famiglie. Da qui parte lo sciopero e comin-ciano ad arrivare autorità locali che, ad una prima mediazione ufficiosa, propongono all’azienda di cambiare almeno la procedura di chiusura da cessata attività a qualsiasi altra cosa, questo perché il Jobs Act, come se non avesse fatto abbastanza con l’ar-ticolo 18, ha eliminato la possibilità di cassa integrazione per questo tipo di procedura, l’azienda risponde ar-rogantemente che potrebbero farlo, ma non ne hanno l’intenzione. Gli operai ad un certo punto smettono di scioperare e tra lo stupore dei vertici aziendali riprendono a lavorare (ov-viamente senza far uscire nulla dallo stabilimento), dopotutto tanto as-senteisti e sfaticati come sosteneva l’azienda non sono questi operai.

“Continuare a lavorare è stata la nostra forza, ci ha dato più credibi-lità e visibilità all’esterno, inoltre, abbiamo rinunciato alle ferie per fare presidio all’azienda, mai vista tanta solidarietà dalle persone, qualcuno si fermava a portarci le paste, qualcuno il cocomero e tan-tissimi ci hanno fatto compagnia e ci sono stati vicini”. Al tavolo con il governo l’azienda propone (con l’assenso del governo) una mitigation, praticamente un tempo di chiusura allungato di tre mesi, ma facendo firmare ai sinda-cati una non opposizione al licenzia-mento. Con l’opposizione di FIOM e dei lavoratori si arriva a produrre una bozza di decreto per riattivare la cassa integrazione per cessata atti-vità, quest’ultima promessa anche da Di Maio quando è andato davanti ai cancelli Bekaert, dicendo che l’avrebbe fatto prima della fine della procedura di chiusura, e su questa promessa i lavoratori hanno esposto un countdown sui cancelli. Da qui un’osservazione di Marcello: nel fa-moso decreto dignità c’è una norma contro le delocalizzazioni, peccato che valga solo per chi ha ricevuto soldi pubblici, e non avendoli avuti, Bekaert può fare ciò che vuole! I lavoratori hanno già dichiarato 20 ore di sciopero a settembre, una ma-nifestazione a Milano (al Pirellone) e una a Roma (al ministero), hanno addirittura fatto una bozza di de-creto per riattivare la cassa integra-zione visto che il governo sembra impegnato a fare altro, questo non per non fare niente per un paio d’anni (come ha detto qualcuno), ma per avere il tempo di riavviare l’atti-vità e fare un piano industriale serio. Questa situazione dimostra il fun-zionamento del sistema capitali-stico. Oggi anche le aziende in attivo pos-sono chiudere improvvisamente, protette da istituzioni e poteri pub-blici compiacenti. Fino a che la pro-prietà ed il controllo delle aziende non sarà tra le mani dei lavoratori ci troveremo di fronte a questi scenari e alle loro disastrose conseguenze sociali.

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Resistenze Internazionali ha lan-ciato la campagna STOP ALTER-NANZA SCUOLA LAVORO. La cam-pagna vuole costruire una mobilita-zione contro l’alternanza scuola/la-voro che costringe gli studenti a la-vorare gratuitamente e senza tutele per poter accedere all’esame di ma-turità. Ne abbiamo parlato con Va-lerya Parkhomenko fondatrice e portavoce della campagna

Com’è nata l’idea della campa-gna STOP ALTERNANZA SCUOLA

LAVORO?

La campagna STOP ALTERNANZA SCUOLA LAVORO (ASL) è nata da un gruppo di studenti e di militanti legati al collettivo Resistenze Inter-nazionali. Abbiamo deciso di fare qualcosa per combattere la vergogna del lavoro gratuito nelle scuole. Come collettivo Resistenze Interna-zionali ci siamo mobilitati da subito contro l’introduzione della riforma Buona Scuola. L’aspetto più subdolo di questa riforma è però quello le-gato all’alternanza Scuola Lavoro per la quale gli studenti devono fare 200 ore di lavoro gratuito nei licei e 400 negli istituti tecnici e professio-nali.

Come si è organizzata la Cam-pagna STOP ASL e come fare per partecipare?

Dall’introduzione della Buona Scuo-la abbiamo partecipato convinta-mente a tutte le iniziative di lotta in-dipendenti messe in campo da stu-denti e lavoratori contro la Buona Scuola. Abbiamo anche scritto un breve opuscolo informativo sui con-tenuti della riforma, organizzato ma-nifestazioni studentesche e lanciato la campagna. Chiunque voglia lot-tare contro l’obbligo dei tirocini gra-tuiti è il benvenuto. La campagna funziona come strumento di coordi-namento tra studenti di varie scuole e di varie città e serve a coordinare insieme iniziative di lotta, di resi-stenza e di controinformazione. Il modo migliore per partecipare è prendere contatto direttamente con noi e provare a costruire nella pro-pria scuola un piccolo gruppo di stu-

-denti combattivi e intenzionati a lot-tare per i loro diritti e il loro futuro.

Cosa c’è di sbagliato nel fatto che gli studenti facciano espe-rienze lavorative fuori dalle loro scuole?

Pensiamo che gli studenti debbano andare a scuola per studiare, per for-marsi, per diventare dei cittadini consapevoli e degli adulti responsa-bili. Detto questo non siamo in asso-luto contrari agli stages e ai tirocini nelle scuole. Il problema è che questi spesso mascherano una realtà di la-voro vero e proprio. Un lavoro non retribuito, ultrasfruttato e senza ga-ranzie. L’ASL serve poi come un vero e pro-prio strumento di ricatto nei con-fronti degli studenti, costretti a svol-gere mansioni assolutamente non inerenti con il loro percorso di stu-dio, ma anche contro i lavoratori più in generale. L’immissione sul mer-cato del lavoro di centinaia di mi-gliaia di studenti ogni anno che de-vono imperativamente lavorare per diplomarsi porta a un peggioramento delle condizioni di lavoro per chi già lavora o un lavoro lo sta cercando. I padroni possono lasciare a casa i la-voratori meno qualificati perché pos-sono attingere a piene mani alla ma-nodopera gratuita giovanile.

È significativa la convenzione fir-mata tra il Miur e la multinazionale americana del junk food. Questa con-venzione ha portato al reclutamento di migliaia di studenti tirocinanti dell’ASL che nelle ore di tirocinio do-vranno servire patatine e hamburger.

Dal nostro punto di vista l’ASL deve essere legata al proprio percorso di studio, deve essere facoltativa e non deve entrare nella valutazione fi-nale.

Purtroppo da quest’anno oltre ad es-sere obbligatoria l’ASL farà parte della valutazione finale proprio come la prova di Italiano, di Mate-matica o di Filosofia. È una vergo-gna!

Come si sta sviluppando la campagna? La campagna STOP ASL sta pro-vando innanzitutto a raccogliere quante più informazioni è possibile sull’esperienza diretta degli stu-denti. Vogliamo dar loro la parola. Per questo motivo, in collaborazione con i COBAS scuola, abbiamo lan-ciato un sondaggio web nel quale gli studenti possono rispondere, in ma-niera anonima a venti domande, raccontano la loro esperienza di-retta di ASL. Il sondaggio è disponi-bile all’indirizzo web: https://son-daggioalternanza.it.

Il nostro scopo è quello di racco-gliere le esperienze di migliaia di studenti per mostrare il fallimento dell’ASL. Ma il nostro obiettivo non è soltanto quello di fare inchiesta, vogliamo costruire mobilitazione. Per questo motivo stiamo provando ad attivare in ogni scuola un piccolo comitato STOP ASL per organizzare iniziative e manifestazioni di prote-sta davanti alle sedi dei provvedito-rati o delle aziende più spietate che sfruttano gli studenti.

INTERVISTA STOP Alternanza Scuola Lavoro!

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LOTTA PER IL TUO

FUTURO! Contattaci e attivati con noi! Fb: Resistenze Internazionali e-mail: resisten-

[email protected] tel: 388 5757603