c management ed economia sanitaria olophon mecosan

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COLOPHON Comitato scientifico Elio Borgonovi (coordinatore) Ordinario di economia delle amministrazioni pubbliche Università Bocconi di Milano Luca Anselmi Ordinario di economia aziendale - Università di Pisa Sabino Cassese Ordinario di diritto amministrativo Università La Sapienza di Roma Siro Lombardini Ordinario di economia - Università di Torino Antonio Pedone Ordinario di scienze delle finanze - Università La Sapienza di Roma Fabio Roversi Monaco Rettore - Università di Bologna Fondatore e direttore responsabile Luigi D’Elia Amministratore delegato Villa Mafalda s.p.a. Condirettore e direttore scientifico Elio Borgonovi Redazione: Coordinatore generale Mario Del Vecchio Coordinatori di sezione Gianmaria Battaglia - Luca Brusati - Giovanni Fattore - Mar- co Parenti - Carlo Ramponi - Rosanna Tarricone Redattori Giorgio Casati - Giorgio Fiorentini - Andrea Garlatti - Ales- sandra Massei - Marco Meneguzzo - Franco Sassi - Antonello Zangrandi - Francesco Zavattaro Direttore generale Anna Gemma Gonzales Segreteria di redazione Silvia Tanno Direzione 00197 ROMA - Viale Parioli, 77 Tel. 068073368-068073386 - Fax 068085817 Redazione 20135 MILANO - Viale Isonzo, 23 Tel. 0258362600 - Fax 0258362598 E-mail: [email protected] Pubblicazione — edita da S S I I P P I I S S, soc. ed. iscritta al n. 285 del Reg. Naz. della Stampa in data 22 settembre 1982 e al n. 80 del Registro degli operatori della comunicazione (R.o.c.) — registrata presso la Cancelleria del Tribunale di Roma con il n. 3 in data 8 gennaio 1992 — fotocomposta da S S I I P P I I S S s.r.l. — stampata dalla Grafica Ripoli, Via Paterno, Villa Adriana-Tivo- li, tel. 0774381700, fax 0774381700 — spedita in abbonamento postale, c. 20, art. 2, L. n. 662/96 - Aut. P.T. Roma — prezzo di una copia: - 50,00 Proprietà letteraria riservata Si ricorda che: — è un reato fotocopiare la rivista o parti di essa senza l’autorizza- zione dell’editore; — chi fotocopia la rivista o parti di essa si espone a: 1) multa penale [art. 171, lettera a), L. n. 633/41] da - 51,65 a - 2.065,83; 2) azioni civili da parte di autori ed editori; 3) sanzione amministrativa (art. 1, L. n. 159/93) da - 516,46 a - 5.164,57; — fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo dietro pagamen- to alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, c. 4, L. 22 aprile 1941, n. 633, ovvero dall’accordo stipulato tra Siae, Aie, Sns e Cna, Confartigianato, Casa, Claai, Confcommercio, Confeser- centi il 18 dicembre 2000. Si ricorda in ogni caso che la sostituzione della rivista originale con fotocopie della stessa in tutto o in parte rischia di distruggere la cul- tura stessa e la rivista con un pregiudizio irreparabile per la ricerca. Management ed economia sanitaria MECOSAN Italian Quarterly of Health Care Management, Economics and Policy edita sotto gli auspici del Ministero della salute IN QUESTO FASCICOLO: Editoriale 2 La responsabilità sociale nel sistema di tutela della salute Elio Borgonovi Sez. 1 a - Saggi e ricerche 7 Autonomia professionale, professioni sanitarie codificate e gestione del personale Carlo De Pietro 37 Il carico di lavoro dei radiologi Franco Pesaresi, Lucio Baffoni, Ennio Gallo, Luigi Oncini 53 Le relazioni tra pubblico, privato e non profit in ambito sanitario e socio-sanita- rio: una ricerca empirica nella Regione Lazio Manuela Samantha Macinati 67 La valutazione economica dei percorsi assistenziali dei soggetti con Ictus e Frat- tura del femore in Toscana Fabrizio Tediosi, Simone Bartolacci, Lorenzo Roti, Eva Buiatti Sez. 3 a - Esperienze innovative 85 Progresso tecnologico nella diagnostica per immagini. Il mammografo «digitale»: costi e benefici Anna Micaela Ciarrapico, Elsa Cossu, Chiara Adriana Pistolese 97 Attraverso gli occhi dei cittadini: una valutazione sull’assistenza sanitaria ai pa- zienti diabetici modenesi Monica Dotti, Viola Damen, Patrizia Guidetti, Giorgio Mazzi 107 La riorganizzazione dell’area amministrativa e di staff dell’Asl 20 di Alessandria e Tortona Stefano Manfredi, Paolo Michelutti, Salvatore Nieddu, Bruno Vogliolo 119 L’introduzione del Balanced scorecard nell’Azienda sanitaria Isontina Danilo Spazzapan, Giovanni Pilati, Aldo Mariotto Sez. 4 a - La sanità nel mondo 139 Integrazione a valle, controllo dell’informazione e strategie competitive nell’in- dustria farmaceutica americana Daniel Simonet Sez. 6 a - Biblioteca 153 Novità bibliografiche Anno XII - N. 48 Ottobre-dicembre 2003

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COLOPHON

Comitato scientifico

Elio Borgonovi (coordinatore)Ordinario di economia delle amministrazioni pubblicheUniversità Bocconi di Milano

Luca AnselmiOrdinario di economia aziendale - Università di Pisa

Sabino CasseseOrdinario di diritto amministrativoUniversità La Sapienza di Roma

Siro LombardiniOrdinario di economia - Università di Torino

Antonio PedoneOrdinario di scienze delle finanze - Università La Sapienza di Roma

Fabio Roversi MonacoRettore - Università di Bologna

Fondatore e direttore responsabile

Luigi D’EliaAmministratore delegato Villa Mafalda s.p.a.

Condirettore e direttore scientifico

Elio Borgonovi

Redazione:

Coordinatore generaleMario Del Vecchio

Coordinatori di sezioneGianmaria Battaglia - Luca Brusati - Giovanni Fattore - Mar-co Parenti - Carlo Ramponi - Rosanna Tarricone

RedattoriGiorgio Casati - Giorgio Fiorentini - Andrea Garlatti - Ales-sandra Massei - Marco Meneguzzo - Franco Sassi - AntonelloZangrandi - Francesco Zavattaro

Direttore generale

Anna Gemma Gonzales

Segreteria di redazione

Silvia Tanno

Direzione

00197 ROMA - Viale Parioli, 77Tel. 068073368-068073386 - Fax 068085817

Redazione

20135 MILANO - Viale Isonzo, 23Tel. 0258362600 - Fax 0258362598E-mail: [email protected]

Pubblicazione

— edita da SSSSIIIIPPPPIIIISSSS, soc. ed. iscritta al n. 285 del Reg. Naz. dellaStampa in data 22 settembre 1982 e al n. 80 del Registro deglioperatori della comunicazione (R.o.c.)

— registrata presso la Cancelleria del Tribunale di Roma con il n. 3in data 8 gennaio 1992

— fotocomposta da SSSSIIIIPPPPIIIISSSS s.r.l.— stampata dalla Grafica Ripoli, Via Paterno, Villa Adriana-Tivo-

li, tel. 0774381700, fax 0774381700— spedita in abbonamento postale, c. 20, art. 2, L. n. 662/96 - Aut.

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Proprietà letteraria riservata

Si ricorda che:— è un reato fotocopiare la rivista o parti di essa senza l’autorizza-

zione dell’editore;— chi fotocopia la rivista o parti di essa si espone a:

1) multa penale [art. 171, lettera a), L. n. 633/41] da � 51,65 a� 2.065,83;

2) azioni civili da parte di autori ed editori;3) sanzione amministrativa (art. 1, L. n. 159/93) da � 516,46 a

� 5.164,57;— fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate

nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo dietro pagamen-to alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, c. 4, L. 22 aprile1941, n. 633, ovvero dall’accordo stipulato tra Siae, Aie, Sns eCna, Confartigianato, Casa, Claai, Confcommercio, Confeser-centi il 18 dicembre 2000.

Si ricorda in ogni caso che la sostituzione della rivista originale confotocopie della stessa in tutto o in parte rischia di distruggere la cul-tura stessa e la rivista con un pregiudizio irreparabile per la ricerca.

Management ed economia sanitaria

MECOSANItalian Quarterly of Health

Care Management, Economics and Policy

edita sotto gli auspici del Ministero della salute

IN QUESTO FASCICOLO:

Editoriale

2 La responsabilità sociale nel sistema di tutela della saluteElio Borgonovi

Sez. 1a - Saggi e ricerche

7 Autonomia professionale, professioni sanitarie codificate e gestione del personaleCarlo De Pietro

37 Il carico di lavoro dei radiologiFranco Pesaresi, Lucio Baffoni, Ennio Gallo, Luigi Oncini

53 Le relazioni tra pubblico, privato e non profit in ambito sanitario e socio-sanita-rio: una ricerca empirica nella Regione LazioManuela Samantha Macinati

67 La valutazione economica dei percorsi assistenziali dei soggetti con Ictus e Frat-tura del femore in ToscanaFabrizio Tediosi, Simone Bartolacci, Lorenzo Roti, Eva Buiatti

Sez. 3a - Esperienze innovative

85 Progresso tecnologico nella diagnostica per immagini. Il mammografo «digitale»:costi e beneficiAnna Micaela Ciarrapico, Elsa Cossu, Chiara Adriana Pistolese

97 Attraverso gli occhi dei cittadini: una valutazione sull’assistenza sanitaria ai pa-zienti diabetici modenesiMonica Dotti, Viola Damen, Patrizia Guidetti, Giorgio Mazzi

107 La riorganizzazione dell’area amministrativa e di staff dell’Asl 20 di Alessandriae TortonaStefano Manfredi, Paolo Michelutti, Salvatore Nieddu, Bruno Vogliolo

119 L’introduzione del Balanced scorecard nell’Azienda sanitaria IsontinaDanilo Spazzapan, Giovanni Pilati, Aldo Mariotto

Sez. 4a - La sanità nel mondo

139 Integrazione a valle, controllo dell’informazione e strategie competitive nell’in-dustria farmaceutica americanaDaniel Simonet

Sez. 6a - Biblioteca

153 Novità bibliografiche

Anno XII - N. 48 Ottobre-dicembre 2003

Il tema della Responsabilità socia-le è entrato prepotentemente nel di-battito sull’economia, sul ruolo e lefunzioni delle imprese, sul funziona-mento del mercato e dei vari organi,Autorities, Agenzie di vigilanza sulmercato, la Borsa, i mercati finanzia-ri, i comportamenti manageriali e im-prenditoriali. Il tema, identificato co-me Corporate Social Responsibility(d’ora in avanti CSR), ossia respon-sabilità delle «imprese», o comeSocial Commitment (obblighi verso lasocietà, che è cosa assai diversa daimpegni nel sociale), è consideratooggi un «nuovo e innovativo» approc-cio culturale, teorico e pratico. Essosi inserisce sulle strategie e sui criteridi scelta delle imprese che nasconoper iniziative di soggetti privati in ri-sposta a motivazioni individuali o co-munque particolari, che rispondonoad interessi di specifici gruppi di sog-getti e che sono governate da regoledecisionali e da soggetti privati.

Per chi si occupa di servizi di inte-resse pubblico, anzi di tutela di dirittidella persona, quale è stata definita latutela della salute, e per chi si richia-ma ad un concetto di azienda come«istituto economico-sociale» o come«sistema dei processi economici stru-mentali al raggiungimento di fini diistituti sociali», questo approccio nonè nuovo, né innovativo, ma rappresen-ta semmai un «ritorno alle radici»,ovvero la «riscoperta» dell’essenza

del rapporto economia (che è una par-te) e società (che è il tutto). Di nuovo,oltre all’enfasi e alla quantità-qualitàdi convegni, congressi, conferenze, ta-vole rotonde, tavoli di confronto, pro-getti, pubblicazioni, ci sono i metodi egli strumenti operativi tramite cui sicerca di tradurre una filosofia, una lo-gica, una concezione di impresa in si-stemi di regole e in sistemi di verifichedi comportamenti reali, per distingue-re quelli che sono coerenti nella so-stanza con tale visione da quelli che laconsiderano come una «moda», la na-turale reazione ad una stagione discandali o di malpratica manageriali eimprenditoriali (come direbbero i me-dici) o, peggio ancora, come maquil-lage (di dichiarazione e di rapporti so-ciali) per coprire scelte contrarie aivalori sottostanti la CSR.

Le domande naturali che nasconoper chi si occupa dei criteri di tuteladella salute sono le seguenti:

a) ha senso applicare tale ap-proccio a questo settore?

b) cosa concretamente ciò vuoldire?

c) quali sono le differenze, le pe-culiarità rispetto ad altri settori?

Alla prima domanda si può, e si de-ve, dare una risposta affermativa, purarticolando le motivazioni con riferi-mento alle differenti classi di aziendeche costituiscono il sistema di offerta,quelle pubbliche (che oggi fanno capoalle Regioni o sono costituite in forma

di Istituti di ricovero e cura a caratte-re scientifico, che a loro volta stannotrasformandosi in Fondazioni a segui-to della recente normativa), quelleprivate for profit, quelle private nonprofit sia religiose sia laiche, quelle«miste» pubblico-privato il cui nume-ro sembra destinato ad aumentare nelprossimo futuro.

Le aziende pubbliche dovrebbero, esi sottolinea il condizionale, avere lafunzione istituzionale di garantire latutela della salute come diritto del cit-tadino e quindi dovrebbe essere con-tenuta nel loro cosiddetto DNA la lo-gica della CSR, della attenzione al-l’interesse pubblico, inteso non solocome interesse (primario) dei pazien-ti, ma come complesso degli interessidella società riguardanti la tutela del-la salute. Tra tali interessi vanno elen-cati:

a) quelli di tutela della salute diordine generale (quali la prevenzionedi epidemie o la lotta alla loro diffu-sione);

b) quelli di tutela della salute deisingoli;

c) quelli delle persone che espri-mono i loro valori, le loro motivazio-ni e le loro conoscenze, competenzee abilità come medici, infermieri,biologi, tecnici e altri cosiddetti«professionals»;

d) quelli di chi intende soddisfarela «curiosità intellettuale» applican-dosi alla comprensione dei fattori che

MECOSAN������������������ ����� ��� � Editoriale

2 N. 48

LA RESPONSABILITÀ SOCIALENEL SISTEMA DI TUTELA DELLA SALUTE

Elio Borgonovi

influenzano lo stato di salute (ricerca-tori nel campo della medicina e deisettori collegati quali farmaceutica,biotecnologie, apparecchiature e at-trezzature diagnostiche, per terapie,per riabilitazione, ecc.);

e) quelli dei fornitori di tecnolo-gie sanitarie e/o altri beni di consumo.

Tuttavia, vi sono alcune teorie checonsiderano le istituzioni pubblichecome «sistemi nei quali domina non ilprincipio della funzionalità (rispostaai fini espliciti) ma quello del potere»e nei quali si determinano distorsionistrutturali dei comportamenti. Peral-tro, senza approfondire ulteriormentequesta dimensione «filosofica» (so-ciologica, politica, amministrativa,giuridica, etica) sulla natura intrinse-ca delle istituzioni, si può rilevare dal-la esperienza quotidiana che, comun-que, vi sono molte aziende pubblichenelle quali prevalgono, o sono moltodiffusi, comportamenti, logiche, deci-sioni non orientati alla tutela della sa-lute dei pazienti e al perseguimentodegli altri interessi legittimi sopra ri-chiamati, ma «strumentali» alla car-riera politica, manageriale, profes-sionale, scientifica di chi occupa le di-verse posizioni di potere organizzati-vo, o a garantire vantaggi economiciai fornitori di beni di consumo e ditecnologie che «non servono» alla tu-tela della salute o che non sono nelconcreto utilizzate per tale scopo, o agarantire una occupazione a qualcu-no senza preoccuparsi della sua com-petenza e capacità professionale, ecc.Le aziende sanitarie pubbliche, con ilgrande «potere» che esse consentonodi esercitare, in quanto le scelte che inesse si prendono possono influenzarela vita e la morte, la sofferenza o il be-nessere delle persone, vengono non dirado utilizzate come «terreno di scam-bio» tra interessi particolari. Quindi,non sono né superflui, né astratti l’ap-plicazione e i richiami alla necessitàdi diffondere nelle aziende sanitarie

pubbliche i principi, i criteri, i codici,gli indicatori che ricordino l’esigenzadi avere comportamenti «socialmenteresponsabili» e, soprattutto, che con-sentano di verificare se tale principiosia effettivamente realizzato nei risul-tati ottenuti dalle aziende in termini diqualità dell’assistenza, razionale uti-lizzo delle risorse, mantenimento del-la propria autonomia operativa, eco-nomica, organizzativa, decisionale.

Per le aziende private for profit cheoperano nel sistema di tutela della sa-lute, il richiamo alla «responsabilitàsociale» è essenziale e assume un pre-ciso significato che può essere sinte-tizzato in questi termini: devono esse-re evitati quei comportamenti checonsentono di ottenere l’obiettivo diaumentare la ricchezza economica diqualcuno (imprenditori, manager,azionisti, medici, ecc.) sfruttando o fa-cendo leva sulla debolezza del poterecontrattuale (sul piano economico) dichi ha un problema di salute. Infatti,chi ha un problema di salute rilevante,o percepito come tale (esempio peri-colo di vita) attribuisce un basso valo-re alla ricchezza economica, come sidice in termini correnti «è disposto apagare qualsiasi prezzo», per risolve-re il proprio problema di salute.

Per le aziende private «responsabi-lità sociale» vuol dire che esse devonoperseguire i loro obiettivi di aumentodella ricchezza (del profitto) non sce-gliendo le soluzioni «semplici» (alme-no nel breve periodo) dello sfrutta-mento della debolezza contrattualedei pazienti, o almeno di una parte diessi, o dello sfruttamento delle ineffi-cienze delle aziende pubbliche (peral-tro a volte create artificiosamente),ma scegliendo le soluzioni «difficili»della qualità dell’assistenza, dell’altaspecializzazione o della tempestività esicurezza delle prestazioni, della con-tinua ricerca, dell’aggiornamento delpersonale, soluzioni che «generano

valore aggiunto reale» (e non fittizio osolo di immagine) per la comunità.

Per le aziende non profit, la cui co-stituzione si richiama a valori religio-si, morali, etici di «servizio ai più de-boli» (e tra questi vanno sicuramenteincluse le persone che hanno un biso-gno di salute), il richiamo alla «re-sponsabilità sociale» significa ricor-dare che i valori religiosi, etici, mora-li, professionali (deontologia profes-sionale) sono propri delle persone,ma richiedono di essere dimostrati everificati sulla base di concreti risul-tati.

Del resto, ciò è riconosciuto ancheda molte religioni: «chi invece ascoltae non mette in pratica, è simile a unuomo che ha costruito una casa sullaterra, senza fondamenta». Il richiamoai principi, ai criteri, agli strumenti diverifica dei risultati che rispondanoalle attese di diversi portatori di inte-ressi servono a ridurre i rischi di auto-referenzialità, di scelte «personalisti-che», di selezione dei pazienti su baseideologica o sulla base di «affinità» o«appartenenza» di vario tipo (religio-so, economico, politico, ecc.).

Per le aziende «miste», che posso-no essere di tipo pubblico-privato forprofit, pubblico-privato non profit,privato for profit-privato non profit,alle motivazioni sopra ricordate perognuna delle tipologie, se ne aggiun-ge un’altra: la CSR deve garantire ilrapporto sostanziale, e non solo for-male o sul piano giuridico, di unaequilibrata considerazione delle atte-se, del ruolo, del potere decisionaledelle «parti che uniscono le proprieforze e le proprie energie». La CSRdeve, in altri termini, aiutare a farprevalere scelte o comportamenti cheprivilegiano le sinergie «a vantaggiodell’insieme dei diversi interessi» eche evitano comportamenti in cui unadelle parti delle «aziende miste» cer-chi di prevalere sull’altra solo perperseguire alcuni degli interessi.

MECOSANEditoriale ������������������ ����� ��� �

N. 48 3

Alla seconda domanda, cosa vuoleconcretamente dire un approccio CSRnel sistema di tutela della salute, èpossibile dare una risposta semplice ebreve.

Vuol dire stabilire una chiara «ge-rarchia di rilevanza» degli interessi ingioco nella quale il paziente, la perso-na che deve recuperare, mantenere,migliorare il proprio stato di benesse-re fisico e psichico, viene al primo po-sto. Nelle teorie e nei modelli di CSRapplicabili ad altri settori di attività,non importa se pubblici o privati, èaccettabile una impostazione che con-sideri centrale «il bilanciamento, ilcontemperamento» di diversi interes-si. Si parla di logiche di «ottimalitàmulticriteri» o di «razionalità multi-stakeholder» o si usano concetti ana-loghi. Nel campo della tutela della sa-lute, pur accettando l’assunto teoricodella necessità di rispondere in modoalmeno soddisfacente a tutti gli inte-ressi, occorre esplicitare con preci-sione che si è in presenza di un siste-ma «multistakeholder sbilanciato».Ciò vuol dire che, in presenza di situa-zioni nelle quali si manifestano con-trasti tra i diversi interessi, nelle qualivi sono incertezze sui vantaggi conse-guenti a determinate scelte, vanno pri-vilegiati gli interessi dei pazienti.

Applicare un approccio CSR nonvuol dire condividere questo assuntosul piano filosofico, astratto, delle di-chiarazioni di principio (che tutti sonopronti a sottoscrivere), ma vuol direadottare criteri decisionali e sistemidi misurazione tali da dare concretaattuazione a tale principio. Come neldiritto si applica il principio di «in du-bio pro reo», l’approccio CSR nel si-stema di tutela della salute si traducenel principio di «in caso di incertezzao di contrasto di interessi, vanno pri-vilegiate le esigenze del paziente».Ciò non vuol dire che le ragioni, le at-tese, i bisogni dei pazienti diventano aloro volta un criterio autoreferenziale

assoluto, in quanto anche essi debbo-no rispettare le condizioni di raziona-lità e i vincoli del mondo reale. Se, adesempio, privilegiare le ragioni, le at-tese, i bisogni dei pazienti dovessecomportare il rischio di limitare le ri-cerche per il futuro, il rischio di demo-tivare i medici e gli altri professionistioltre la soglia di accettabilità, di met-tere in crisi la durabilità delle aziendeche erogano servizi (pubbliche o pri-vate), occorrerebbe introdurre qual-che limitazione concreta alla applica-zione del concetto di «priorità del pa-ziente».

Con ciò si introduce la risposta an-che alla terza domanda, quale sono lepeculiarità della logica CSR nel siste-ma di tutela della salute? Esse sonocollegate alle caratteristiche specifi-che di tale sistema riassumibili nei se-guenti termini:

1) elevato contenuto «emoziona-le» nella percezione dei bisogni di sa-lute: l’approccio CSR richiede di in-trodurre sistemi atti ad evitare «inter-venti inutili», «terapie non scientifica-mente dimostrate, finalizzate solo adalimentare illusioni o inutili speran-ze», «alimentazione strumentale disperanze di trattamenti efficaci», «so-vrastima dei risultati positivi di certitrattamenti», ecc.;

2) rapporto fiduciario medico(altro operatore)-paziente: l’approc-cio CSR impone di introdurre sistemiorganizzativi e di rilevazione-misura-zione delle prestazioni erogate voltiad evitare trattamenti inappropriati,domanda superflua, condizionamentipsicologici dei pazienti e limitazionedella loro effettiva libertà di scelta;

3) intrinseca connessione tra at-tività assistenziale e attività di ricer-ca: l’approccio CSR richiede di appli-care con il massimo rigore i principideontologici di «consenso informa-to», di divieto a trattamenti nei qualiprevale lo scopo di ricerca sull’effica-cia e sul rispetto della persona (ri-

schio di uso dei pazienti come «cavieumane»);

4) autonomia professionale:l’approccio CSR richiede l’introdu-zione di efficaci strumenti idonei a ri-levare casi di «autoreferenzialità» delprofessionista (che rifiuta le misura-zioni di efficacia dei propri interven-ti), ad individuare e a sanzionare conil massimo rigore casi di malpractice,ma anche strumenti idonei a tutelare imedici o gli altri professionisti da unuso «strumentale» delle norme sullaresponsabilità professionale (causelegali contro i medici finalizzate soloa trarre un vantaggio economico per ipazienti e per chi li assiste legalmen-te);

5) rapporto tra utilità percepita eutilità reale, che è diverso rispetto aquello riferibile a molti altri beni:l’approccio CSR richiede di usare inmodo integrato indicatori e valutazio-ni di tipo economico e di efficacia-qualità dei risultati di salute ed indi-catori di «razionalità» organizzativaed economica.

In conclusione, si può proporre chel’approccio CSR nel sistema di tuteladella salute sia fondato su una logicadi «consapevole squilibrio della prio-rità dei diversi interessi» a favore, inprimis, dei pazienti. Si tratta di unaimpostazione assai diversa da quelladella «priorità del cliente», teorizzatae applicata per le imprese di produ-zione di altri beni e servizi, che è statapoi bilanciata dall’approccio «multi-stakeholder», ossia della equilibratatutela di tutti i portatori di interesse.Soprattutto, si ritiene necessario sot-tolineare come la «centralità dellapersona», uno dei pilastri, se non il pi-lastro, dell’approccio CSR, assumenel sistema di tutela della salute unavalenza etica, morale, filosofica, an-tropologica, sociale assai diversa ri-spetto a quella che assume nei settorilegati a bisogni secondari, voluttuari,di status symbol.

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OGGETTO: Rinnovo dell’abbonamento a MECOSAN + MECOSAN CLICK.

Egregio lettore,

MECOSAN, rivista di management ed economia sanitaria, è un laboratorio privilegiato per l’approfondimento delle nuoveteorie alla base della managerialità che sta oggi guidando il modo di fare azienda in sanità.

Rivista trimestrale, edita sotto gli auspici del Ministero della salute, è un osservatorio attento su quanto di nuovo emergenell’organizzazione e nella gestione del sistema sanitario ed è per questo uno strumento indispensabile per chi vuole gestire azien-dalmente le strutture sanitarie.

In più, MECOSAN si è dotata del supporto informatico MECOSAN click, la copia esatta della rivista in CD-rom, in for-mato PDF, che Le permetterà una pratica consultazione della rivista anche sul Suo PC, con tutti i vantaggi che da ciò derivano.

Tali ragioni L’hanno convinta ad essere già abbonato a MECOSAN o La convinceranno a diventarlo sottoscrivendo subitol’abbonamento per il 2004 a MECOSAN per sé e per i suoi collaboratori.

Farlo subito, utilizzando la cedola sottostante, Le risulterà notevolmente vantaggioso e non interromperà l’invio dei fascicoli.

Cordiali saluti.

IL DIRETTORE EDITORIALE

Roma, dicembre 2003.

MECOSAN + MECOSAN CLICKProgramma abbonamento 2004 Spediz. in abb. postale, c. 20, art. 2, L. n. 662/96 - Roma

Spett. SSIIPPIISS s.r.l., Viale Parioli, 77 - 00197 Roma - Tel. 06.80.73.368 - 06.80.73.386 - Fax 06.80.85.817 - E-mail: [email protected]

� Vi prego di voler mettere in corso, alle condizioni che lo regolano:

� n. ............ abbonamenti a MECOSAN cartaceo al prezzo di � 226,00;

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N. 48 - Sez. 1a 7

SOMMARIO: 1. Le caratteristiche distintive della gestione del personale delle aziende sanitarie italiane - 2. La gestione dei professioni-sti: autonomia professionale e logiche gerarchico-organizzative - 3. Il processo di professionalizzazione: logiche di fondo e situazio-ne attuale - 4. L’impatto del sistema delle professioni sulla gestione del personale.

The human resource management (HRM) in the Italian health organisations is influenced by two main factors: the professional statusof most of its employed staff, and the public employment regulation. The article discusses the first of those factors, with a focus on twodimensions: professional autonomy and the existence of the professions’ system. Professional autonomy and high levels of formaleducation have deep effects on the HRM function: as organisations’ complexity and constraints on economic resources get stronger,what is more and more asked to HRM is the «organisational management of a personal autonomy». The second dimension analysedin the article, refers to professions as pivotal actors in the health care system labour market. The article describes the process ofprofessionalisation undertaken by many health professions in Italy in the very last decades, and discusses its main impacts on HRM.Careers paths, wage levels, individual tasks, all depend on the profession the staff belongs. Pro’s and con’s of this «professions’approach» to HRM are discussed.

1. Le caratteristiche distintive dellagestione del personale delle azien-de sanitarie italiane

Il presente articolo discute le conse-guenze che l’alta professionalizzazio-ne degli operatori attivi nel settore sa-nitario ha sulla gestione del personaledelle aziende che in esso operano. Ciòa sua volta si sostanzia in due aspettilogicamente separati: 1) la rilevanteautonomia professionale esercitata dagran parte degli operatori e 2) la pre-senza — in grado che non ha pari nel-l’intero mondo del lavoro — di pro-fessioni codificate e organizzate in or-dini e collegi professionali. Il para-grafo che segue è dedicato al primoaspetto citato. Al sistema delle profes-sioni codificate e ai suoi impatti sullagestione del personale sono invece de-dicati i paragrafi 3 e 4.

Prima di passare all’esame dei pun-ti suddetti, è utile inquadrarli nell’am-

bito delle caratteristiche che rendonola gestione del personale nelle aziendesanitaria «speciale» e cioè diversa ri-spetto alla gestione del personale in al-tri settori economici o altre tipologiedi aziende. Le caratteristiche rilevanti,in tal senso, sembrano essere fonda-mentalmente due. La prima è l’altaprofessionalizzazione dei lavoratori,che sarà discussa nelle pagine che se-guono. La seconda caratteristica è datadallo statuto pubblico dei rapporti dilavoro all’interno della maggior partedelle aziende del sistema sanitario(Del Vecchio, De Pietro, 2002: 561-562). Elemento comune che sta allabase di entrambi gli aspetti sopra cita-ti, è l’operare della regolamentazionepubblica.

Il sistema sanitario italiano — ma lastessa cosa avviene negli altri paesi,occidentali e no — è cioè oggetto diuna normazione che ne definisce la

macro struttura di riferimento e gli as-setti istituzionali e ne modella inprofondità le modalità operative. Laragione di ciò è evidentemente da ri-cercare nella forte valenza e visibilitàsociale, politica e simbolica dell’assi-stenza sanitaria, da sempre ambito diintervento pubblico e di auto-organiz-zazione da parte delle comunità politi-che. Una seconda ragione che spinge auna forte regolamentazione pubblica èdato dalla difficoltà che i meccanismidi mercato incontrano nel regolamen-tare il sistema sanitario. La letteraturaeconomica parla in tal senso di «falli-menti del mercato», i quali legittima-no e anzi rendono necessarie forme diregolamentazione pubblica, basata sunorme giuridiche, oppure rendono ad-dirittura necessaria la produzione el’erogazione diretta dei servizi sanitarida parte di organismi pubblici. In altreparole, le relazioni e la contrattazione

AUTONOMIA PROFESSIONALE,PROFESSIONI SANITARIE CODIFICATE

E GESTIONE DEL PERSONALE

Carlo De PietroCeRGAS - Università Bocconi, Milano

tra privati non bastano, le informazio-ni utili all’efficienza allocativa sonopoche e mal distribuite: per cercare diovviare a tali debolezze, i poteri pub-blici sovraordinati intervengono aorientare, vincolare, proibire i com-portamenti degli attori che operano sulmercato.

In tal senso, si può affermare che iservizi sanitari siano almeno in parte«servizi pubblici». In ogni caso, tuttoil settore è profondamente influenzatodalla normativa «pubblicistica», cioèa tutela di interessi pubblici, i quali so-no sovraordinati rispetto a quelli deisingoli. Tali assunti hanno effetti im-mediati sulla gestione del personale,la quale non si può quindi ricondurresemplicemente alle logiche valide pergran parte degli altri settori economi-ci, dominati da meccanismi di regola-zione di mercato, ma prevede una re-golamentazione pubblicistica assaipiù estesa e importante (Borgonovi,2000).

Come già detto, il presente articoloè dedicato a commentare l’alta profes-sionalizzazione degli operatori attivinel settore sanitario e le sue conse-guenze sui sistemi operativi di gestio-ne del personale. Tralasceremo dicommentare invece logiche e conse-guenze del pubblico impiego.

2. La gestione dei professionisti: au-tonomia professionale e logichegerarchico-organizzative

2.1. Bisogni dell’utente e appartenen-za disciplinare: i tensori di orienta-mento dell’azione dei professionisti

Gli operatori della sanità sono, ingran numero, professionisti. A pre-scindere dal riconoscimento formaledi questa loro qualificazione, essi so-no persone che, nell’ambito delle pro-prie attività lavorative, hanno un li-vello d’istruzione avanzato, accessoa conoscenze specialistiche, capacità

«creative» e, soprattutto, esercitanoautonomia professionale. Esercitanocioè discrezionalità, in base alla pro-pria conoscenza e alle proprie valuta-zioni, personalizzando le prestazioniper meglio gestire il singolo caso trat-tato.

In ambito sanitario, l’espressionespesso usata per esprimere tale situa-zione è quella di «autonomia clinica»,riferita tipicamente ai medici ma rife-ribile anche agli altri professionisti sa-nitari (1).

L’autonomia professionale si rial-laccia direttamente alla storia delle li-bere professioni e dei liberi professio-nisti. Questi ultimi hanno, quale prin-cipale tensore per orientare la propriaazione, il fabbisogno e quindi la do-manda dell’utente e agiscono in auto-nomia organizzativa, secondo le nor-me, i vincoli e gli usi propri del gruppoprofessionale di appartenenza. Taleautonomia organizzativa è evidentenel caso della cosiddetta «pratica indi-viduale», e cioè ad esempio in tuttequelle situazioni nelle quali il profes-sionista opera nel proprio studio pri-vato, senza dovere ricorrere alla colla-borazione di altre figure professionali,ma necessitando al massimo dell’aiu-to di figure di supporto operativo (perle pulizie del locale, gli adempimentiamministrativi, le prenotazioni, ecc.).In questa situazione ideal tipica, l’o-rientamento è a soddisfare i bisognidell’utente, data la «scienza» e le nor-me suggerite dal gruppo professionaledi appartenenza.

La prestazione professionale indi-viduale consiste cioè nella corretta ap-plicazione della «scienza» (o dell’«ar-te», secondo alcuni) al caso concretodella malattia o del paziente. In ciò ri-siedono alcune caratteristiche tipica-mente attribuite alle attività del pro-fessionista e, per tradizione e «voca-zione», del medico in particolare:

— le attività del professionista sonosupposte in buona parte slegate dalle

considerazioni economiche circa laprofittabilità delle prestazioni, la ca-pacità di pagare degli utenti, ecc.;

— l’applicazione della scienza alcaso concreto richiede una personaliz-zazione delle prestazioni e proprio intale personalizzazione risiede in buo-na parte l’autonomia clinica, e cioèl’esercizio di valutazioni professionalie complesse sulla base delle informa-zioni che si hanno a disposizione;

— l’obiettivo del professionista è,almeno in linea teorica, la massimiz-zazione del benessere dell’utente/pa-ziente, indipendentemente dalle risor-se impiegate per raggiungere tale ri-sultato (indipendentemente cioè daconsiderazioni circa l’efficienza: «ilproblema delle risorse deve essere ri-solto da qualcun altro»);

— infine, l’obbligazione — e quin-di la responsabilità — del professioni-sta è a ben applicare il corpus di cono-scenze della propria disciplina: è quin-di, con terminologia giuridica, una«obbligazione di mezzi» e non una«obbligazione di risultati».

La traduzione più chiara di questiprincipi è nel cosiddetto «giuramentodi Ippocrate», formula con la quale ilmedico tradizionalmente completava isuoi studi ed entrava a far parte, conuna sorta di «rito di passaggio», dellacomunità professionale dei medici(box 1). In quella formula, e nelle va-rie versioni disponibili, il neo-profes-sionista promette di agire secondo«scienza e coscienza», seguendo quin-di i bisogni dei pazienti — e cioè quel-l’esigenza del paziente che, decodifi-cata dal professionista stessa, si fa in«domanda» — e la «scienza» medica.

Volendo estremizzare, si può direche agire secondo scienza e coscienzasignifica agire facendo riferimento adue tensori esterni all’organizzazione— cioè all’azienda — nella quale sipresta il proprio lavoro: la scienza in-fatti si riferisce al gruppo e al corpusdi conoscenze di riferimento della

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propria professione; la coscienza siesprime in proprie autonome valuta-zioni, basate sui valori di cui ciascunodi noi è portatore. Con una battuta, po-tremmo sostenere che da un punto divista aziendale e organizzativo l’e-spressione equivale a giurare, solen-nemente, di fare «di testa propria».

2.2. La crescente importanza dell’or-ganizzazione

Riprendendo il giuramento d’Ippo-crate, è evidente che esso si riferiva auna professione svolta in prima perso-na dal medico, senza l’aiuto sistemati-co o comunque determinante di unaorganizzazione. Il rapporto era di tipouno-a-uno tra medico e paziente. Maquanto è verosimile oggi pensare aprestazioni sanitarie che siano offerteda un solo professionista, che non im-plichino cioè una pluralità di attorichiamati a concorrervi? I servizi sani-tari sono sempre più raramente presta-zioni puntuali — cioè conclusi in ununico momento e in un unico luogo —e diventano invece sempre più di fre-quente veri e propri processi assisten-ziali, all’interno dei quali sono chia-mati a operare numerosi professioni-sti, secondo le proprie competenze especializzazioni (2). In breve, il conte-sto concreto tipico delle prestazionisanitarie non è più quello della praticaindividuale, ma è quello organizzati-vo:

— contesto organizzativo di azien-da, se il percorso assistenziale si svol-ge interamente — o per gran parte —all’interno di un’unica organizzazionedi erogazione di servizi sanitari: è ilcaso ad esempio di alcune prestazioniospedaliere quali gli interventi diemergenza a seguito di incidenti;

— oppure contesto organizzativo«a rete» nel caso il percorso si svolgaper elementi centrali e rilevanti tra at-tori che interagiscono ma che manten-gono un’autonomia aziendale, econo-

mica, proprietaria: è questo il caso piùfrequente, con l’intervento ad esempiodi Mmg (medici di medicina genera-le), laboratori di analisi, prestazioniospedaliere, farmacia convenzionata,eventuale assistenza domiciliare o diriabilitazione, ecc.

Come risulta da quanto appena det-to, l’accezione di organizzazione puòessere anche molto diversa, ma l’esitocomplessivo è comunque quello di in-serire la pratica professionale all’in-terno di un disegno organizzativo piùcomplesso e articolato.

Alla base di tale evoluzione c’è ilprogresso scientifico della medicina equindi la crescente specializzazionedegli operatori, che quindi sono ne-cessariamente chiamati ad agire in

modo integrato e — appunto — multi-disciplinare sul singolo caso clinico.

Al progresso scientifico della cono-scenza medica si accompagna poiquello tecnologico, che mette a dispo-sizione strutture, strumenti e farmacisempre nuovi ai servizi assistenziali.Tale progresso della tecnologia com-porta però un aumento dei costi fissinecessari agli investimenti in attrezza-ture o comunque nei fattori di produ-zione, utili a svolgere attività in modoaggiornato. Ciò incentiva la ricerca dieconomie di scala e quindi, in ultimaanalisi, spinge ad abbandonare la pra-tica individuale, incapace di reggere icosti della tecnologia o comunque asviluppare volumi sufficienti a ripaga-re i costi fissi delle attrezzature (Pan

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Box 1 - Il giuramento di Ippocrate

Il giuramento d’Ippocrate è la formula rituale tradizionalmente pronunciata dai medi-ci al termine dei propri studi. Ippocrate di Kos, ca. 480-390 a.C., ruppe il legame tra me-dicina e religione (la therapeia theon degli asclepiadi; cfr. Cosmacini, 2000: 24) e af-fermò l’importanza centrale dell’osservazione empirica, «al letto del malato». La pater-nità ippocratica del giuramento è tutt’altro che certa, così come non univoche sono le ver-sioni disponibili. In ogni caso, il giuramento è un riferimento frequente nel dibattito pub-blico attorno alla professione medica, e le stesse università — anche italiane — hannocontinuato a utilizzarlo di frequente e fino a tempi recenti (in alcune sedi il giuramento faancora parte del rituale della seduta di laurea). Una delle versioni più diffuse in italiano èqui sotto riportata.

«Giuro su Apollo medico e Asclepeio e Igiea e Panacea, e su tutti gli dei e tutte le dee,chiamati a testimoni, che porterò a compimento, secondo le mie possibilità e il mio giudi-zio, questo giuramento e questo impegno scritto: considererò quindi chi mi ha insegnatoquesta arte come mio genitore e avrò comunanza di vita (con lui) e nella necessità lo ren-derò partecipe del mio, e riterrò la sua discendenza alla pari di fratelli e insegnerò loroquesta arte, se ne volessero essere istruiti, senza ricompensa e impegno scritto; dei precet-ti e delle lezioni e di tutto il resto dell’istruzione farò partecipi i miei figli e quelli di chi miha insegnato e gli studenti che si sono impegnati per iscritto e hanno giurato, secondo laconsuetudine medica, ma nessun altro. Prescriverò le diete opportune per giovare ai pa-zienti, secondo le mie capacità e il mio giudizio; mi asterrò dal recare danno e ingiustizia.

Non somministrerò né un farmaco letale ad alcuno, sebbene richiesto, né proporrò untale consiglio; né egualmente darò ad una donna un pessario abortivo. Pura e devota man-terrò la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure quelli che soffrono di calcoli; cederòil posto agli uomini che praticano questa arte. In qualsiasi casa dovessi entrare, vi giun-gerò per giovare ai pazienti, tenendomi lontano da ogni corruzione volontaria e rovinosa,in particolare da quella di atti sessuali su persone, sia donne sia uomini, sia libere siaschiave. Quello che durante la cura, od anche non durante la cura, o avrò visto o avrò sen-tito della vita degli uomini che non bisogna venga divulgato in nessun caso, lo tacerò, ri-tenendo che tali cose restino segrete. A me dunque, se avrò portato a compimento questogiuramento e non lo avrò violato, sia concesso di raccogliere i frutti della vita e dell’arte,stimato presso tutti gli uomini per sempre nel tempo. Invece, se (lo) avrò trasgredito eavrò commesso spergiuro, (mi accada) il contrario di ciò».

American Health Organization, 1994:19). Anche in tal caso, l’associazionetra professionisti e, quindi, lo sviluppodi pratiche organizzate, risulta esserela risposta fisiologica a tali dinamiche.

Come vedremo meglio al paragrafo3, l’autonomia professionale e la suatutela (sociale e giuridica) sono condi-zioni che le società ritengono necessa-rie a garantire prestazioni di qualitàelevata. D’altro canto, è ovvio che taleautonomia sia sottoposta a vincoli:certamente quelli propri della profes-sione di appartenenza, ed è per questoche si parla di autonomia «professio-nale» (e non di «autonomia» toutcourt). Ma anche, e in modo crescen-te, di vincoli posti dall’appartenenzaorganizzativa. In tale passaggio riposaun salto nel ruolo e nelle responsabi-lità del sistema di offerta dei serviziprofessionali. È evidente infatti chel’azienda debba in qualche modo ge-stire tale autonomia. Allo stesso mo-do, è chiaro che la gestione organizza-tiva di un’autonomia individuale nonpuò che essere, per definizione, la ri-cerca degli strumenti e delle condizio-ni che portino a un equilibrio possi-bile, accettabile ed efficace di quelleche rimangono inevitabilmente istan-ze contraddittorie.

In questo tentativo di rafforzare lelogiche organizzative, le aziende pos-sono agire su più meccanismi di coor-dinamento. Henry Mintzberg (1985:39-46), un noto studioso di teoria eprogettazione organizzativa, indivi-dua in generale cinque tipi di meccani-smi di coordinamento: 1) l’adattamen-to reciproco, 2) la supervisione diretta,3) la standardizzazione dei processi dilavoro, 4) la standardizzazione deglioutput, 5) la standardizzazione dellecapacità dei lavoratori. Tipicamente,nelle organizzazioni professionali (3)i due meccanismi più efficaci risulta-no essere l’aggiustamento reciproco ela standardizzazione delle conoscen-ze: entrambi meccanismi che, finora,

hanno implicato investimenti assai ri-dotti da parte delle aziende sanitarie. Ilprimo è un tipo di coordinamento chesi esplicita in modo per lo più informa-le, il quale quindi non richiede neces-sariamente interventi diretti tradizio-nali da parte dell’azienda, ma semmairichiede un atteggiamento di delega e«non intervento» e, come azioni con-crete, un lavoro sullo sviluppo e ilmantenimento di un’adeguata culturaaziendale e un buon clima organizzati-vo (4). D’altro canto, la standardizza-zione delle conoscenze potrebbe esse-re un ambito d’intervento anche im-portante per le aziende (si consideri-no, in tal senso, le esperienze fatte datante aziende — non sanitarie — nelleimplementazioni di sistemi di gestio-ne basati sulle competenze individua-li): ciò detto, fino ad oggi in realtà leaziende sanitarie si sono mostrate as-sai prudenti, se non reticenti, nell’in-tervenire in modo diretto, e hanno pre-ferito invece lasciare l’onere di talestandardizzazione esclusivamente (oquasi) ai percorsi formativi e al siste-ma delle professioni codificate (cfr.paragrafo 3).

Nonostante la necessità di lavoraresui meccanismi di coordinamento so-pra citati, è però chiaro che qualunqueazienda ha bisogno in ogni caso di unastruttura organizzativa che si basi an-che su logiche gerarchiche (riconduci-bili alla «supervisione» di Mintzberg).In tal senso, è bene distinguere tra de-cisioni di carattere clinico e organiz-zazione delle prestazioni lavorative.Le prime, infatti, in prima battuta nonsono sottoposte a nessun superiore ge-rarchico ma, semmai, alla responsabi-lità individuale, rilevata dalle pratichedi gestione e governo del rischio clini-co messe in atto dalle aziende sanitarieoppure dal sistema giudiziario (civileo penale). Le prestazioni lavorative ela loro organizzazione riguardano in-vece una sfera più ampia delle sole de-cisioni di carattere tecnico-professio-

nale e sono certamente più coerenticon le logiche organizzative.

L’autonomia circa le scelte di carat-tere sanitario può però portare a prati-che cliniche anche molto differenzia-te, difficilmente compatibili con unafunzionale organizzazione del lavoroall’interno dell’azienda. Ciò infattipuò limitare la fungibilità dei profes-sionisti tra le diverse équipe, che sonoabituate a lavorare secondo procedurediverse; genera potenziale conflittua-lità infra-aziendale; non facilita la mo-bilità dei pazienti tra le varie fasi delpercorso assistenziale; rende più com-plessa la programmazione dei tempi edegli spazi; può essere percepita inmodo negativo dall’utenza potenziale;ecc. Al fine di limitare le conseguenzee i costi organizzativi di un’eccessivavariabilità nel modus operandi deiprofessionisti, le aziende incentivanola ricerca di pratiche comuni, definiteautonomamente — ma in gruppo —dai professionisti che operano all’in-terno dell’azienda: pratiche comuni,percorsi assistenziali o diagnostico-te-rapeutici, sistemi di audit clinico in-terno che rendano omogenee le prati-che dei singoli professionisti, lì doveopportuno, e che costituiscano in ognicaso l’occasione per uno scambio, unconfronto e quindi lo sviluppo profes-sionale tra colleghi, senza per questoricorrere a strutture gerarchiche, marifacendosi invece a un confronto e agiudizi tra «pari» (5).

In generale, quindi, l’autonomiaprofessionale si esplicita all’interno diregole e vincoli, i principali dei qualisono costituiti: 1) dalla disponibilità dirisorse fisiche, economiche e profes-sionali; 2) dalle altre regole di com-portamento organizzativo definite conla contrattazione collettiva integrativao comunque dalla regolamentazioneaziendale; 3) dagli impegni assuntidalle unità organizzative di apparte-nenza (6).

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Evidentemente, sta all’azienda — ealla normativa generale — trovare unequilibrio accettabile ed efficace traspazi di autonomia e vincoli all’inter-no dei quali essa può dispiegarsi: co-me afferma Zangrandi (2000: 40), «seda un lato le risorse, e dall’altro le nor-me di comportamento generale, i con-tratti e le politiche sanitarie, fosseroconsiderati troppo restrittivi, cioè vin-colanti l’autonomia clinica dei profes-sionisti, verrebbe meno quel rapportoutente-medico che [...] è la base stessadei servizi sanitari. Questo comportaalmeno un livello di contrattazioneche sia in grado di evidenziare, in mo-do esplicito e chiaro, lo spazio entrocui agire in termini di autonomia». Ingenerale si può dire, sempre con Zan-grandi, che ad emergere è un modelloaziendale in cui:

— l’azienda si riserva le decisioniin termini di scelte strategiche di fon-do e di allocazione delle risorse (inrealtà, in quest’ultimo caso contrattan-do coi professionisti);

— ai professionisti sono invece ri-servate le scelte circa l’utilizzazionedi tali risorse.

Il problema di tale «responsabiliz-zazione separata» è che essa innescacircoli viziosi: i professionisti conti-nueranno ad avere come unico riferi-mento per la propria azione il casotrattato e forzeranno il sistema per unallentamento dei vincoli sull’alloca-zione; in parallelo e come conseguen-za di tale atteggiamento, l’aziendasarà portata a irrigidire i controlli, adefinire tetti sulla spesa e sulla capa-cità di offerta. Il rischio diventa alloraquello di una dinamica divergenteche, a un certo punto, si trasforma incircolo vizioso. I controlli infatti fini-scono per diventare facilmente un in-tralcio alla flessibilità richiesta dallapratica dei professionisti sanitari; le ri-sorse assegnate finiscono per essereeccessivamente scarse; i professioni-sti di fatto sono nuovamente dere-

sponsabilizzati poiché non ritengonosostenibili e quindi credibili né i con-trolli né i volumi di risorse allocate. Iltutto rende sempre più difficile qua-lunque innovazione e finisce per irri-gidire ulteriormente le pratiche opera-tive.

Il recente passato del Servizio sani-tario italiano (Ssn) evidenzia bene taledinamica: il tentativo di delegare com-pletamente le attività e le responsabi-lità amministrative e di gestione a uncorpo specializzato, costituito dai ser-vizi amministrativi delle aziende, haportato a un progressivo scollamentovaloriale, culturale e operativo rispet-to al «nucleo operativo» aziendale,costituito dalle attività cliniche di pro-duzione ed erogazione delle prestazio-ni sanitarie.

Come affrontare tali problemi? Lasoluzione sembra passare per una nuo-va definizione delle responsabilitàdella direzione generale, dei servizigestionali-amministrativi e della lineaclinica, in modo che quest’ultima siriappropri di una responsabilità piùampia sui risultati complessivi e che iservizi gestionali (provveditorato,personale, ufficio tecnico, ecc.) operi-no a supporto della linea stessa, senzaalcuna sovraordinazione gerarchica sudi essa (Zangrandi, 2000: 43-45).

Questa riappropriazione (o respon-sabilizzazione) da parte dei professio-nisti sanitari implica però lo sviluppodi competenze individuali di tipo ge-stionale. Qui vogliamo citare soltantodue possibili modalità alternative per-ché tale sviluppo abbia luogo: la primaprevede che i professionisti sanitariacquisiscano competenze managerialinuove, ulteriori e integrative rispetto aquelle acquisite nei tipici percorsi for-mativi universitari formativi; la se-conda possibilità è invece quella di af-fiancare i responsabili sanitari delleunità organizzative con persone dotatedi competenze gestionali, riproducen-do a livello di linea operativa quanto è

tipicamente previsto a livello di dire-zione aziendale: e cioè la presenza diun direttore sanitario e di un direttoreamministrativo.

In Italia finora ha prevalso il primomodello: la responsabilità delle singo-le unità organizzative è affidata aun’unica persona, e cioè al professio-nista sanitario (il responsabile di strut-tura), opportunamente formato sulletematiche di management, ed even-tualmente supportato da risorse spe-cializzate in campo gestionale, le qua-li però restano in posizione subordina-ta rispetto al responsabile sanita-rio (7). Altri paesi hanno invece adot-tato soluzioni ispirate al secondo mo-dello citato, in cui cioè la responsabi-lità è doppia e su un piano di formaleequivalenza gerarchica.

Il modello del professionista sanita-rio come responsabile unico poggiasulle seguenti assunzioni:

— esistono professionisti clinici di-sposti ad assumersi questa responsabi-lità complessiva (clinica e gestionaleinsieme);

— esistono scuole capaci di fornireprogrammi di formazione manageria-le per i professionisti sanitari;

— la formazione integrativa risultaefficace nel dotare i professionisti del-le competenze sufficienti a esercitarele nuove responsabilità manageriali;

— la responsabilità gestionale incapo al professionista clinico facilitala cooperazione e il supporto da partedegli altri professionisti sanitari chelavorano all’interno della strutturaoperativa, poiché attiva meccanismid’integrazione, controllo e ricompen-sa propri dell’appartenenza professio-nale comune. Detto in altri termini, lagerarchia basata sulla sola autorità ri-sulta inefficace poiché essa incentive-rebbe un esercizio difensivo dell’auto-nomia professionale. È quindi neces-sario avere una gerarchia basata inve-ce sull’autorevolezza, la quale però inun ambito fortemente professionaliz-

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zato come quello delle aziende sanita-rie abbisogna — quale condizione ne-cessaria ma non sufficiente — diun’appartenenza professionale condi-visa.

Questa nuova responsabilizzazionedei professionisti clinici ha conse-guenze importanti sulle pratiche ope-rative, sulla cultura e sulla stessa iden-tità professionale dei singoli. Essaspesso si accompagna a situazioni di«stress di ruolo», legati alla difficoltàdi conciliare le esigenze di essere unbuon clinico e al contempo un buongestore. Ciò sia per le difficoltà di es-sere competente su campi così diversidel sapere, sia per i diversi orienta-menti impliciti nei due ruoli: il primoorientato a massimizzare il benesseredell’utente, «costi quel che costi», e aicontenuti professionali della presta-zione; il secondo invece orientato alperseguimento delle condizioni di ef-ficienza, efficacia ed economicità perl’azienda nella quale egli opera.

Nella realtà italiana (ma non solo),spesso ancora i professionisti alla gui-da delle unità organizzative eccellononelle attività tecnico-specialistiche,ma non trovano la concentrazione suf-ficiente per dedicarsi ai compiti di ge-stione della loro struttura. Si rischiaallora un sottoinvestimento sistemati-co sul piano dell’adeguamento delletecniche di gestione (8).

2.3. Le principali difficoltà per la ge-stione del personale

Gestire dei professionisti non è fa-cile. Può certamente essere stimolan-te, può dar luogo a soddisfazioni benmaggiori di quelle tipicamente ricava-bili in assetti meno professionalizzati,ma richiede coscienza della sfida e ca-pacità di governarla. Anche i modelliteorici di riferimento sono meno soli-di, poiché la gestione del personalecome corpus organico di conoscenze,tecniche e strumenti codificati, ha ri-

guardato in primo luogo e per moltotempo l’organizzazione del lavoro ne-gli opifici, nelle imprese manifatturie-re e solo negli ultimi decenni la lette-ratura e la teoria di organizzazioneaziendale hanno rivolto un’attenzionecrescente ai temi della conoscenza equindi anche della gestione dei profes-sionisti.

Gestire professionisti non è facileperché implica un confronto direttocon persone con elevato grado d’istru-zione, coscienti del loro ruolo crucialeper la sopravvivenza stessa dell’orga-nizzazione, dello status sociale conse-guito, della loro fungibilità solo par-ziale, dell’autonomia di cui godono.

Per distinguere le aziende profes-sionali dalle altre, spesso ci si rifà alladicotomia standard della teoria eco-nomica classica, che distingueva leimprese (o i settori di attività econo-mica) in «intensive in lavoro» o, alcontrario, «intensive in capitale». Be-ne, tale tipologia sembra essere troppolimitativa per le aziende sanitarie e peraltre organizzazioni professionali, edè proprio per mettere in luce la centra-lità del fattore professionalità che pertali aziende la letteratura ha coniatol’espressione di «intensive in persona-lità» (personality intensive), o «in cer-vello» (brain intensive). È evidentequindi che in contesti di tal genere per-de d’importanza anche la tradizionaledistinzione tra variabili (o strumenti)«hard», legate al concetto di raziona-lità procedurale, e variabili (o stru-menti) «soft» di gestione del persona-le, questi ultimi legati invece agliaspetti comportamentali, culturali,psicologici dei rapporti di lavoro. Ilcoinvolgimento della personalità deiprofessionisti, la necessità di ottener-ne la collaborazione convinta, flessi-bile e costruttiva, rende necessario in-fatti lavorare tanto sulle variabili hardche su quelle soft, cercando di crearele condizioni di lavoro perché i profes-sioni stessi possano percepire tutta

l’autonomia di cui dispongono, sup-portati da sistemi aziendali che ne va-lorizzano le competenze. I soli vincoliche l’azienda deve imporre sono quel-li minimi, strettamente necessari, datidalle condizioni economiche e opera-tive di contesto, nonché dalle sceltestrategiche che essa decide di perse-guire.

La cattiva gestione di tali leve fa-rebbe al contrario emergere comporta-menti di resistenza che, forti delleasimmetrie informative di cui godonoi professionisti sanitari, riuscirebberocon tutta probabilità ad avere la me-glio sui tentativi aziendali di gestionee controllo o comunque riuscirebberoa bloccare di fatto l’operatività dell’a-zienda.

Le asimmetrie informative a favoredei professionisti riguardano fonda-mentalmente: 1) i contenuti delle pre-stazioni sanitarie offerte; 2) la loro ne-cessità (per il benessere dell’utente);3) il loro valore (in termini di risorseassorbite); 4) le modalità di erogazio-ne scelte. Tali asimmetrie informativevedono i professionisti sanitari avereinformazioni migliori (cioè più com-plete, più facili da ottenere, più tempe-stive, ecc.) rispetto a quelle detenute oottenibili da parte degli utenti reali opotenziali, dell’azienda di appartenen-za, dell’eventuale terzo finanziatore.

A differenza dei contesti di mercato«normali», nel caso dei servizi sanitarila domanda è infatti definita dal pro-fessionista, che decodifica i bisogniespressi dal paziente/utente. Soltantoin alcuni casi specifici gli utenti sonocapaci di esprimere direttamente ladomanda: ciò avviene quando le pre-stazioni sono assai semplici e quindiintelligibili anche da parte dei pazien-ti, oppure quando questi abbiano svi-luppato un’esperienza sufficiente, co-me nel caso di prestazioni non com-plesse legate a patologie croniche.Mutuando categorie di analisi svilup-pate all’interno della teoria economi-

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ca, si può dire che i servizi professio-nali in sanità si configurano spesso co-me credence goods, e cioè come servi-zi dei quali l’utente non riesce a valu-tare la qualità nemmeno ex post, poi-ché — a differenza che nel caso degliexperience goods — il «consumo» delservizio non fornisce un ammontaresufficiente di informazioni al suoutente (Zamagni, 1999a: 15). Taleasimmetria informativa, associata allostato di sofferenza del malato, divienereale dipendenza passiva, anche psi-cologica, alla quale la professione me-dica in particolare pone rimedio di-chiarando il dovere che il medico re-sponsabilmente si dà per assicurare alpaziente il diritto di essere adeguata-mente curato, come esemplificato dalgiuramento ippocratico (cfr. paragrafo2.1).

Il fatto poi che lo stesso professioni-sta che decodifica il bisogno e quindidefinisce la domanda sia anche coluiche eroga il servizio, confonde i ruolie i momenti della domanda e dell’of-ferta, che in altri settori sono invece ti-picamente separati, e cioè svolti da at-tori diversi. Ciò indebolisce il sistemadi controllo implicito in quella separa-zione e apre la possibilità per compor-tamenti opportunistici da parte delprofessionista, primo tra tutti quello diindurre la domanda di prestazioni che,in condizioni di simmetria informati-va, non sarebbero richieste (9).

In tal senso, solo poco più forte ap-pare, tipicamente, la posizione dell’a-zienda, la quale non sempre sa qual è ilreale bisogno dell’utenza, non sempresa qual è il livello/il mix di domandarealmente necessaria, non sempre siaccorge di eventuali visite ripetute,non sempre riesce infine a controllarecompletamente l’appropriatezza (10).Dicevamo posizione potenzialmentepiù forte rispetto a quella degli utenti,poiché quelle che per i pazienti sonoprestazioni uniche, non ripetute, perl’azienda costituiscono invece presta-

zioni tipiche, sulle quali essa può ac-cumulare informazioni, sviluppandoquindi capacità di giudizi autonomi edi governo complessivo.

È chiaro che le asimmetrie si con-trollano con verifiche ex post e, so-prattutto, sistemi di incentivi e diorientamento dei comportamenti cheabbiano efficacia ex ante, definiti nel-le modalità operative e contrattuali peri professionisti sanitari. In ogni caso,l’esigenza di tali controlli e il loro co-sto aumenta se il clima organizzativo ele relazioni tra azienda e professionistinon è improntato alla fiducia recipro-ca.

Un elemento che è prova di fiduciaaziendale nei confronti dei propri pro-fessionisti è costituito dal grado di de-lega delle funzioni gestionali in capo aquesti. E, tra i diversi sistemi operati-vi, certamente di quelli relativi alla ge-stione del personale. Questa delega ècoerente con le osservazioni sopra fat-te circa le asimmetrie informative,l’autonomia clinica e la necessità didecentrare le responsabilità di risulta-to e quindi di gestione delle risorse dallivello centrale aziendale alle sue arti-colazioni organizzative. Se l’autono-mia e la responsabilità devono esseredue facce della stessa medaglia, devo-no cioè andare di pari passo, è altret-tanto evidente che in un contesto orga-nizzativo l’autonomia si esercita po-tendo gestire le risorse utili a conse-guire gli obiettivi che ci sono stati as-segnati o che comunque ci si è prefis-si.

2.3.1. Il decentramento della gestionedel personale

Il decentramento della gestione delpersonale ha punti di forza e di debo-lezza. Fra i primi sono:

— la conoscenza diretta delle atti-vità svolte dal personale dell’unità or-ganizzativa;

— la possibilità di meglio apprez-zare i comportamenti individuali;

— la probabile condivisione dellecompetenze professionali del perso-nale;

— la possibilità quindi di una ge-stione più flessibile e «personalizza-ta»;

— la rapidità con cui si può rispon-dere all’insorgere di eventuali proble-mi.

Tra i punti di debolezza della ge-stione decentrata rispetto a quella ac-centrata, si possono invece ricordare:

— le minori competenze proprie digestione del personale che è possibileritrovare tra i professionisti impegnatisulla line clinica, rispetto a quelle (al-meno potenzialmente) possedute dauna funzione aziendale centrale spe-cializzata in quelle attività: è ovvioche, nonostante eventuali attitudinipersonali e possibili interventi forma-tivi, le competenze dei professionistisanitari saranno comunque inferiori aquelle che possono essere sviluppategrazie a studi specialistici;

— la possibile scarsa attenzioneprestata dai professionisti su temi cheesulino dalle attività tecnico-profes-sionali più tipiche: i professionistispesso «non vogliono gestire», per cuidedicano poco tempo e poche risorse atali attività. Oltre ai controlli e agli ob-blighi che l’azienda può mettere incampo per evitare gravi sottoinvesti-menti in tal senso, la strada perseguitaall’interno delle organizzazioni sani-tarie sembra quella di privilegiare —giustamente — la crescente responsa-bilizzazione gestionale della lineaoperativa, la quale sarà quindi incenti-vata a recuperare efficienza gestiona-le, agendo anche sui meccanismi ope-rativi propri della gestione del perso-nale;

— la possibile eterogeneità nellagestione del personale, rispetto aquanto accadrebbe nel caso di una ge-

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stione centralizzata a livello di azien-da (11).

Nonostante le possibili debolezzedel decentramento, è certo che nelleaziende sanitarie una gestione accen-trata è incapace di gestire con efficacial’intero organico aziendale (12). Nelleaziende pubbliche del Ssn, in partico-lare, il grado di decentramento dellaleva di gestione del personale può es-sere certamente considerata una dellepiù efficaci «cartine al tornasole» pergiudicare il grado di sviluppo del pro-cesso di aziendalizzazione (Bandini,2002; Longo, 2000: 119).

2.3.2. Imprenditorialità dei professio-nisti e unitarietà d’azienda

Un’altra difficoltà tipica della ge-stione del personale nelle aziende pro-fessionali, oltre a quelle legate all’au-tonomia clinica e alla necessità di de-centrare i sistemi operativi di gestio-ne, riguarda l’equilibrio tra imprendi-torialità dei professionisti di maggioreo più qualificata esperienza e unita-rietà d’azienda (Longo, 2000: 116).

La professionalità dei singoli puòcomportare infatti un alto potenzialeimprenditoriale in termini di attrazio-ne dei pazienti (capacità commercia-le), definizione del pacchetto di pre-stazioni offerte (innovazioni di pro-dotto o di processo che si accompa-gnano a un ampliamento delle compe-tenze professionali), capacità di attrar-re risorse anche economiche (adesempio grazie alle sperimentazionifarmaceutiche o attivando progetti fi-nanziati da soggetti terzi). Se da un la-to tale imprenditorialità costituisceun’importante opportunità per lo svi-luppo delle attività dell’azienda, perl’innovazione e quindi per innescarecomportamenti virtuosamente emula-tivi al suo interno, d’altro canto essarappresenta una forza che è solo par-zialmente sotto il controllo dell’orga-nizzazione e che quindi potrebbe co-

stituire una spinta centrifuga, incoe-rente con la pianificazione aziendalepiù complessiva, e comunque contra-ria a una visione unitaria dell’azienda.

È chiaro quindi che, per avere dina-miche di sviluppo integrate e coerenti,l’azienda deve cercare di costruire lecondizioni per un confronto continuoe aperto con i propri professionisti,specialmente con quelli che costitui-scono i motori d’innovazione o com-merciali, reali o anche solo potenziali.

2.3.3. Riconoscimenti interni e rico-noscimenti esterni

Un altro punto problematico, simileper natura al precedente, è costituitodalla possibile incoerenza tra i ricono-scimenti che gli stessi professionistipossono ottenere all’interno e all’e-sterno dell’organizzazione.

Una delle principali leve di motiva-zione e orientamento dei comporta-menti individuali di cui dispone l’a-zienda è costituita dai riconoscimentiprofessionali interni. Con tale espres-sione si intendono, in senso lato, i ri-conoscimenti informali, gli attestatisimbolici, i premi retributivi, lo svi-luppo di carriera, ecc.: tutti strumentiassai efficaci per sviluppare l’identifi-cazione aziendale dei professionisti.

Gli effetti di tali strumenti però pos-sono essere «spiazzati» o comunquemessi in discussione quando i ricono-scimenti interni differiscono in modorilevante da quelli esterni. I riconosci-menti che il professionista può ottene-re nell’ambito delle società scientifi-che di appartenenza, in termini di pre-senza e visibilità nei convegni, d’inca-richi scientifici istituzionali, di pubbli-cazioni, di presenza sui mezzi di co-municazione di massa, di carriera uni-versitaria, ecc., sono tutti elementi deiquali l’azienda deve avere coscienza,salvo poi decidere la propria condotta,per come ritiene più opportuno ed effi-cace (ad esempio, nel caso di forti in-

congruenze, decidere se confermare ipropri giudizi, perseguendo la propriaazione interna, oppure rivederli pernon dover giustificare i propri giudizie non dover gestire le tensioni orga-nizzative che possono derivarne).

Un tipico ambito di possibili incon-gruenze riguarda quei professionisticapaci di alti redditi da libera profes-sione intramuraria: è ovvio che in queicasi le eventuali penalizzazioni eco-nomiche interne — ad esempio lamancata corresponsione di premi perle prestazioni individuali, ritenute in-feriori alle aspettative — potrebberoincidere assai poco sui comportamentidel professionista, il quale è più che ri-pagato dalle proprie attività liberoprofessionali.

2.3.4. La gestione dei gruppi di lavoromultidisciplinari

Infine, la gestione del personale inaziende fortemente professionalizzatenecessita di una particolare attenzionea gestire i gruppi multidisciplinari.

Le aziende sanitarie hanno finorabasato il proprio sviluppo principal-mente attorno alle discipline sanitariedi riferimento e, in particolar modo,attorno alle specializzazioni dei medi-ci. Queste, ma anche farmacia, veteri-naria, ecc., costituivano di fatto glielementi sui quali si sviluppava la ma-cro struttura organizzativa delle azien-de. La gestione del personale — e inprimo luogo di quello laureato — sipoteva appoggiare quindi sia alle logi-che tipiche della gerarchia organizza-tiva, sia a quelle della disciplina di ap-partenenza, che era comune e condivi-sa dai professionisti. Con il passaredel tempo, però, l’attenzione all’usoefficiente delle risorse, la crescente re-sponsabilità gestionale delle aziende ela forza del loro management, l’atten-zione posta alla soddisfazione degliutenti e ai loro bisogni sanitari, hannoportato ad articolazioni organizzative

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tipicamente multispecialistiche, comead esempio sono per definizione i di-stretti territoriali delle Aziende sanita-rie locali (lì dove abbiano concrete re-sponsabilità di gestione) ma il più del-le volte anche i dipartimenti ospeda-lieri. In tali ambiti, la gestione del per-sonale — delle ricompense, degli in-carichi, delle carriere interne ed even-tualmente esterne, ecc. — dev’esserecapace di prendere decisioni, di valo-rizzare e di motivare il personale, aprescindere dall’appartenenza disci-plinare, che ha smesso di essere comu-ne.

3. Il processo di professionalizzazio-ne: logiche di fondo e situazioneattuale

3.1. Il processo di professionalizza-zione in sanità

In tutti i paesi occidentali il settoresanitario è caratterizzato da un’ampiaregolamentazione che riguarda le fi-gure professionali abilitate ad operar-vi, col risultato che in sanità sono al-l’opera numerose «professioni». Pos-siamo anzi affermare che il settore sa-nitario sotto questo aspetto costituiscecertamente l’eccezione di gran lungapiù rilevante rispetto al sistema socioeconomico generale, il quale regola-menta le singole professioni in un nu-mero limitato di casi.

Il sistema delle professioni affondale proprie radici nel sistema delle oc-cupazioni medioevali: è di quel tempoinfatti il fiorire, in Europa, di gilde,corporazioni, arti e mestieri. Poi, conl’età moderna e ancor più con lo svi-luppo del capitalismo, il sistema delleoccupazioni o dei mestieri medioevalisi ritira, a favore di una nuova organiz-zazione del lavoro che non ambiscepiù a una gestione «sociale e politica»delle varie professioni, ma confina lapropria «giurisdizione» ai luoghi di la-voro, siano essi la fabbrica o altro. In

tal senso, alle occupazioni si sostitui-scono, con gradualità, le mansioni e iltaylorismo, mentre all’interno delleorganizzazioni i nuovi livelli gerarchi-ci allungano e moltiplicano la gerar-chia che prima era basata sulla lineacapobottega-artigiano-apprendista. Illavoro non è più mediato dall’apparte-nenza sociale a un gruppo occupazio-nale di riferimento, ma si gioca sulrapporto con l’imprenditore, eventual-mente con la mediazione della tutelacollettiva esercitata dalle organizza-zioni sindacali. Anche i percorsi for-mativi si emancipano dai lunghi pro-cessi di socializzazione e di adozioneall’interno del gruppo occupazionale,che nel passato erano spesso legati ad-dirittura all’appartenenza famigliare(intere famiglie facevano cioè parte diun determinato gruppo occupazionale,vivendo negli stessi quartieri, ecc.).Infine, le competenze professionali in-dividuali si rendono sempre più auto-nome rispetto alla loro definizione ecertificazione da parte del gruppo oc-cupazionale e sociale.

Tale processo di profonda revisionedelle appartenenze professionali haavuto impatti ovviamente diversi suisettori di attività economica. In parti-colare, l’ambito delle cosiddette pro-fessioni liberali — soprattutto di quel-le di più antiche origini: medici, avvo-cati, ecc. — ha mantenuto uno statutodi regolamentazione che le distinguedai normali meccanismi di funziona-mento del mercato del lavoro: si puòdire quindi che il vecchio sistema del-le «occupazioni» si è rinnovato nel si-stema — molto più limitato per esten-sione — delle «professioni». Ma sitratta, appunto, di professioni liberali,e cioè per lo più svolte in forma indivi-duale e autonoma, al più — nelle for-me organizzative tradizionali — colsupporto di personale subordinato,con compiti meramente operativi e,soprattutto, senza responsabilità o vi-

sibilità dirette nei confronti degli in-terlocutori esterni allo studium (13).

È rispetto a tali dinamiche generaliche il sistema sanitario mostra la suaunicità. In esso, infatti, a differenza diquanto avviene negli altri settori eco-nomici, la presenza dei professionistiè elemento centrale per tre ordini dimotivi: 1) nel sistema sanitario opera-no molti professionisti; 2) tali profes-sionisti fanno parte di numerose pro-fessioni (riconducibili, almeno in li-nea teorica, alle caratteristiche propriedelle professioni liberali sopra citate);3) agendo sullo stesso settore, tali nu-merose professioni finiscono per co-stituire un vero e proprio sistema inte-grato. Negli altri settori le professionirappresentano delle eccezioni all’in-terno di mercati del lavoro non regola-mentati e, come tali, le proprie attivitànon «confinano» con quelle svolte daaltre professioni (14). Nel sistema sa-nitario, al contrario, le professioni so-no i mattoni che costituiscono l’ossa-tura del sistema di divisione del lavo-ro, con «incastri» che sono frutto dinegoziazioni e scontri tra i gruppi pro-fessionali. Le professioni cioè sono«costrette» a lavorare insieme, in con-testi organizzati sotto forma di azien-de.

Come osserva Tousijn (2000: 9) nelsuo saggio dedicato al sistema delleoccupazioni sanitarie, «il processo la-vorativo sanitario è incomprensibilese non si tiene presente che in essooperano non soltanto ruoli organizza-tivi ma anche occupazioni organizza-te, “professioni”, le quali costituisco-no soggetti sociali collettivi, possiedo-no una loro identità professionale eperseguono una loro strategia profes-sionale, sia pure in modo più o menoconsapevole e con maggiore o minoredeterminazione. Un solo esempio puòvalere per tutti: il funzionamento di unqualsiasi reparto ospedaliero non puòessere analizzato solamente in terminidi ruoli direttivi e ruoli subordinati o

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di contenuto delle singole mansioni,cioè come il risultato di una determi-nata logica organizzativa. In quel re-parto si confrontano professioni orga-nizzate; gli attori non sono soltantodetentori di ruoli organizzativi, ma so-no membri di professioni organizzate;le logiche non sono soltanto quelle or-ganizzative, ma sono logiche profes-sionali» (15).

Evidentemente, il sistema delle pro-fessioni ha impatti importanti sullecondizioni del mercato del lavoro pergli operatori sanitari e, altrettanto im-portanti sui sistemi operativi di gestio-ne del personale all’interno delleaziende. A tale ultimo tema sarà dedi-cato il paragrafo 4.

3.1.1. Gli elementi del processo diprofessionalizzazione

La sociologia ha ampiamente stu-diato i processi di professionalizzazio-ne. Tra le teorie classiche, quella diWilensky (1964) individua cinque fasitipiche attraverso le quali un gruppooccupazionale si fa professione: 1)comparsa di una certa attività lavorati-va come occupazione a tempo pieno;2) istituzione di scuole di formazionespecialistica; 3) nascita di associazio-ni professionali (in genere prima a li-vello locale e poi nazionale); 4) con-quista del riconoscimento dello Statoa protezione dell’attività professiona-le (monopolio dell’attività o protezio-ne del titolo occupazionale); 5) elabo-razione di un codice etico formale.

Le teorie di sviluppo lineare, nellequali cioè gli elementi del processo diprofessionalizzazione sono viste co-me fasi ordinate in ordine necessaria-mente sequenziale, sono state criticatee la sequenza proposta da Wilensky,in particolare, è considerata essere piùvera per la professionalizzazione negliStati Uniti d’America che per altricontesti culturali e normativi. Meglioallora rifarci nuovamente a Tousijn

(2000: 22 e segg.), che propone unprocesso di professionalizzazione ba-sato su quattro ingredienti, i quali nonimplicano fasi temporali né tanto me-no sequenziali:

— individuazione e rivendicazionedi un corpus di conoscenze: rappre-senta la «base cognitiva» sulla quale sisviluppa la professione. I successiviaggiustamenti faranno sì che essa nonsia né troppo ampia (altrimenti fini-rebbe con essere vaga), né troppo ri-stretta (altrimenti potrebbe essere fa-cilmente acquisibile da parte di altrigruppi professionali). In ogni caso do-vrà essere:

a) specifica, cioè identificabilecon la professione,

b) codificata (cioè standardizza-bile e quindi trasmissibile) ma noncompletamente, pena il rischio di po-ter essere acquisita anche da esterni,

c) caratterizzata da un vocabola-rio scientifico non familiare capace diesprimere in modo rigoroso concetti eanalisi, e al contempo elemento cheostacola l’accesso alla professione e ilgiudizio da parte di persone esterne,

d) rinnovata (anche per evitarel’acquisizione da parte di esterni) manon troppo, poiché il processo di so-cializzazione degli aspiranti profes-sionisti richiede del tempo,

e) capace di produrre risultati mi-surabili, così da legittimare la propriaazione, ma non al punto da poter esse-re oggetto di giudizio completo daparte di persone esterne ad essa (glieventuali giudizi esterni dovranno ri-farsi sempre alle valutazioni espresseda periti o comunque da membri dellaprofessione);

— nascita e sviluppo di scuole pro-fessionali: è attraverso esse che le pro-fessioni saranno capaci di produrre etrasmettere la propria base cogniti-va (16). Tanto meglio, per il prestigiodel gruppo professionale e per le suepossibilità di successo, che le scuole

siano interne al mondo dell’univer-sità;

— nascita e sviluppo di associazio-ni professionali: sono le vere protago-niste della strategia di professionaliz-zazione, gli attori che si muovono nelcontesto istituzionale e che negozianogli spazi e i confini della professione,definendo e gestendo politiche diespansione o difesa degli stessi. In Ita-lia il quadro è spesso complicato dallacontemporanea presenza di più formeassociative, tipicamente riconducibilial sistema degli ordini/dei collegi; almondo delle organizzazioni sindacali,spesso nate per difendere gli interessidi singole professioni; alle associazio-ni professionali (o società scientifi-che) in senso stretto;

— riconoscimento e protezione daparte dello Stato: lo Stato interviene ariconoscere e tutelare il monopoliodell’esercizio di una professione ai so-li possessori di un determinato titolodi studio. Inoltre, spesso lo Stato entraanche esplicitamente nel processo diabilitazione alla professione con unesame che chiude il percorso formati-vo, esame per questo detto «di Stato».La regolamentazione statale affida poila responsabilità di gestire da un puntodi vista amministrativo le professioniad appositi Ordini o Collegi professio-nali, enti di diritto pubblico non eco-nomici, organi ausiliari dello Stato,generalmente organizzati per Provin-cia e poi in federazioni nazionali, iquali conservano appositi albi sui qua-li iscrivono i professionisti (17). Ordi-ni e Collegi sono responsabili anchedel controllo professionale e discipli-nare degli iscritti, costituendo una sor-ta di «giurisdizione autonoma», tipicadei sistemi delle occupazioni fin dalleloro origini. Infine, lo Stato regola-menta altri aspetti puntuali del merca-to della professione, quali le modalitàcon cui i professionisti possono farsipubblicità, la libertà negoziale/con-trattuale degli iscritti nei confronti de-

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gli utenti, la possibilità di associazio-ne, le forme di pagamento che gliutenti possono usare, ecc.

3.2. Le professioni sanitarie in Italia

Analizzati l’inquadramento e glielementi del processo di professio-nalizzazione per come proposti daTousijn, guardiamo ora all’assetto del-le professioni in Italia, con particolareriferimento alle professioni sanitarie.

Il Ministero della salute definisceprofessioni sanitarie «quelle che loStato italiano riconosce e che, in forzadi un titolo abilitante, svolgono atti-vità di prevenzione, diagnosi, cura eriabilitazione». Esso poi specifica che«alcune professioni sanitarie sono co-stituite in Ordini e Collegi, con sede inciascuna delle province del territorionazionale. Esistono attualmente: Or-dini provinciali dei medici chirurghi edegli odontoiatri, Ordini provincialidei veterinari, Ordini provinciali deifarmacisti, Collegi provinciali delleostetriche, Collegi provinciali degliinfermieri professionali (Ipasvi) eCollegi provinciali dei Tecnici sanita-ri di radiologia medica (Tsrm)» (18).

Guardando in generale alla situa-zione delle professioni regolamentatein Italia (19) relativa al 1998, Vaccà(1999: 155) ne elenca ventisei orga-nizzate in Ordini e Collegi, per un to-tale di circa un milione e mezzo diiscritti (tabella 1). Di quelle ventiseiprofessioni, ben sette sono di ambitostrettamente sanitario (20). La presen-za del settore sanitario risulta ancorapiù importante quando non si conside-ri il numero delle professioni ma la nu-merosità dei loro iscritti: le professio-ni sanitarie rappresentano il 53% (paria 770.305 persone) degli iscritti alleventisei professioni elencate in tabella1. In particolare, la professione deimedici e quella degli infermieri rap-presentano di gran lunga le professio-ni col maggior numero di iscritti — ol-

tre trecentomila ciascuna — e risulta-no assai distanziate dalla terza profes-sione per numerosità, quella degli in-gegneri, con 121.625 iscritti. Infine,almeno un’altra professione — quelladei biologi, forte di circa quarantamilaiscritti — è strettamente coinvolta nelsistema sanitario.

Ai numeri qui presentati si devonopoi aggiungere almeno quelli relativi

alle altre «professioni sanitarie» nor-mate dalla legge 42/1999 e successivemodificazioni (cfr. paragrafo 3.3) (21).Delle ventidue professioni regolamen-tate da quella legge, solo Assistenti sa-nitari, infermieri, ostetriche, tecnici diradiologia medica hanno infatti Colle-gi e albi: le altre professioni rimanentiraccolgono oltre 150.000 persone, tut-te di matrice strettamente sanitaria.

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Tabella 1 - Liberi professionisti iscritti a ordini e collegi professionali in Italia, 1998

Fonte: Vaccà (1999: 155).

Un’osservazione ci sembra impor-tante, anche alla luce di quanto appenadetto. Essa prende spunto dai tecnicisanitari di radiologia medica che, ri-spetto alle altre professioni sanitariedotate di albo, ci sembrano il gruppopiù lontano dall’idealtipo della praticaprofessionale tradizionale e quindi in-dividuale. Se ciò può valere in parteanche per gli altri gruppi professionali(tra quelli sanitari ciò è vero soprattut-to per gli infermieri e per le ostetri-che), è evidente che per i tecnici di ra-diologia, legati alla presenza di tecno-logie complesse, è difficile ipotizzareuna pratica individuale, fuori cioè dacontesti lavorativi organizzati. Ciòsembra costituire un’ulteriore eviden-za della specialità del sistema sanita-rio, che non usa il sistema delle pro-fessioni codificate come eccezioni, le-gate a professionisti che tipicamentelavorano come singoli, ma al contrariobasa la propria divisione del lavoro sutale sistema, anche in contesti alta-mente organizzati.

A differenza che in altri ordinamen-ti (per lo più di matrice anglosassone),in Italia le «organizzazioni di rappre-sentanza sono uniche, in quanto loStato non prevede l’esistenza di piùordini [o Collegi] alternativi per unastessa professione e quindi non risul-tano in competizione fra loro [...]. Es-se sono obbligatorie perché non è pos-sibile esercitare la professione senzaappartenervi» (Zuffada, 1997: 40).Ultimamente però tali due caratteristi-che — unicità della rappresentanza eobbligatorietà dell’iscrizione — sonosempre più messe in crisi e costitui-scono elementi di una richiesta, piùgenerale, di profonda revisione del si-stema delle professioni (sanitarie eno).

Finora il riconoscimento pubblicodella professione, via istituzione degliOrdini o Collegi, ha certamente «pa-gato» in termini dei due principaliobiettivi del processo di professiona-

lizzazione e cioè di 1) creazione e con-trollo del mercato e 2) mobilità socialecollettiva, ossia innalzamento colletti-vo dello status sociale dei membri delgruppo professionale. A confermaretale evidenza, c’è la recente rivendica-zione degli Ordini da parte delle 17professioni che, tra le 22 istituite dallalegge 42/1999, risultano prive di Col-legi/Ordini (22): riuniti a Roma nelnovembre del 2003, i rappresentanti ditali professioni hanno infatti richiestocon forza l’istituzione degli Ordini,considerandoli il «tassello che mancaal processo di riforma avviato con lalegge 42/1999» (Sole 24 Ore Sanità,2003b: 7) (23). Rendendosi conto essestesse delle difficoltà legate all’istitu-zione degli Ordini per tutte e 22 le pro-fessioni sanitarie ex legge 42/1999, leproposte da esse avanzate vanno in ge-nere nel senso di creare un Ordine perciascuna delle quattro «aree di laurea»(infermieristica e ostetrica, della riabi-litazione, della prevenzione e tecnico-sanitaria), all’interno delle quali arti-colare poi albi per ciascuno dei singoliprofili.

A ulteriore conferma di tali richieste,la tabella 2 riporta l’elenco delle nume-rose associazioni di rappresentanza digruppi professionali operanti in sanitàche, nel 1997, risultavano essere in at-tesa di riconoscimento giuridico e cioèdella costituzione in Ordini o Collegi.Tra queste, diverse sono state poi rico-nosciute come «professioni sanitarie»dalla legge 42/1999 e successive modi-fiche. Come risulta evidente, nel 1997le istanze di riconoscimento giuridicoriguardavano una pluralità di gruppiprofessionali, con caratteristiche, tradi-zioni, numero di praticanti e incidenzadella pratica individuale assai differen-ziati. Altrettanto differenziato era ilgrado di rappresentatività delle asso-ciazioni rispetto al gruppo professiona-le complessivo.

Il sistema delle professioni in Italiaè però attualmente sotto accusa perché

esso ha mostrato scarsa efficacia nelcertificare e controllare le competenzeprofessionali degli iscritti — soprat-tutto col passare del tempo — e, pro-blema forse ancora più sentito, nel co-struire le condizioni perché l’eserciziodelle attività professionali si basi ef-fettivamente su un rapporto di fiduciatra professionista e utente. La media-zione che la professione regolamenta-ta opera sullo scambio tra professioni-sta e utente prevede infatti che, sot-traendosi alle dinamiche di mercatoordinarie, ai professionisti sia garanti-to uno status elevato in cambio dicomportamenti corretti nei confrontidell’utenza. Il tutto controllato dal-l’Ordine o dal Collegio, il quale puòsanzionare il professionista che con-travvenga i comportamenti prescritti,mettendo a rischio la fiducia del rap-porto con gli utenti e quindi, in ultimaanalisi, la credibilità del gruppo pro-fessionale (24).

Accanto alla scarsa efficacia dellacertificazione delle competenze e allaancora minore capacità di controllare— ed eventualmente sanzionare — icomportamenti dei propri iscritti, il si-stema delle professioni in Italia è og-getto di critiche perché la limitazionedella concorrenza che esso comportanon sarebbe compensata dai suoi be-nefici. Nel dibattito pubblico e giuri-dico sono quindi frequenti le posizioniche vorrebbero eliminare le condizio-ni di monopolio che il sistema delleprofessioni comporta, e ciò in un du-plice senso:

— permettere la contemporaneapresenza di più associazioni legal-mente riconosciute per la rappresen-tanza della stessa professione, rom-pendo quindi il tradizionale monopo-lio rappresentativo riassumibile nel-l’espressione «un solo Ordine (o Col-legio) per ciascuna professione». Se-condo tale ragionamento, la concor-renza tra gruppi intra-professionalespingerebbe le associazioni a rafforza-

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Tabella 2 - Le associazioni in attesa di riconoscimento in ambito sanitario al 1997

Fonte: Zuffada (1997: 30-31).

re la propria credibilità e reputazionepresso gli utenti, attraverso un con-trollo più efficace su competenze ecomportamenti professionali degliiscritti;

— rendere facoltativa l’iscrizioneall’albo per chi vuole esercitare la pro-pria pratica professionale. Finora in-fatti l’appartenenza all’Ordine o Col-legio di riferimento — e quindi all’al-bo da essi detenuto — è stata condi-zione necessaria per la pratica profes-sionale. Nel caso d’iscrizione facolta-tiva, questa diverrebbe uno strumentoa disposizione del professionista perveder certificate le proprie competen-ze professionali, anche nei confrontidei potenziali utenti (cfr. Bortolotti,1999: 115).

A proposito dell’obbligatorietà omeno dell’iscrizione, essa sembra es-sere messa in dubbio da parte di alcunirecenti orientamenti giurisprudenzialidella Corte di Cassazione che hannoritenuto di escludere dall’obbligo d’i-scrizione i dipendenti pubblici, sotto-lineando le incoerenze di fondo tra lelogiche organizzative tipiche del lavo-ro d’azienda e la disciplina tradiziona-le del mondo degli Ordini e dei Colle-gi, pensata per attività tipicamentemonoprofessionali e individuali (cfr.box 2) (25).

Per concludere questa rapida rasse-gna sul processo di professionalizza-zione delle occupazioni sanitarie, pos-siamo provare a trarre le somme diquanto sta avvenendo in Italia, evi-denziando cinque punti.

1. Nel corso degli ultimi anni diver-se occupazioni sanitarie hanno proce-duto nel processo di professionalizza-zione, riuscendo ad ottenere riconosci-mento e tutela pubblica (anche se inmolti casi il processo non ha portato al-l’istituzione degli albi). In tale proces-so, esse hanno poi ribadito i contenutidi autonomia professionale, emanci-pandosi così da una posizione ausilia-ria rispetto alle professioni medica e

odontoiatrica. Questo processo ha vi-sto la sua principale espressione nellalegge 42 del 1999, approvata alla finedi un iter legislativo assai combattuto,e non è detto che non continui nel pros-simo futuro, col riconoscimento dinuove «professioni sanitarie».

2. In tal senso, la sanità conferma ilsuo carattere distintivo rispetto agli al-tri settori economico-produttivi. Tale«specialità» è anzi sottolineata pro-prio dalle ultime evoluzioni del siste-ma delle professioni non sanitarie. Nelcaso delle attività libero professionalibasate sulla pratica individuale, il si-stema delle professioni sembra infattiperdere colpi come modalità di rego-lamentazione e rappresentanza degli

interessi, o quanto meno è oggetto dicritiche crescenti e di un profondo ri-pensamento normativo. Tra gli osser-vatori è ormai ampiamente diffuso ilconvincimento secondo il quale le re-strizioni alla concorrenza tra profes-sionisti operata dal monopolio giuridi-co degli Ordini siano solo raramentegiustificabili con esigenze di ordinegenerale (per tutti, Zamagni, 1999b).Al contrario, nel settore sanitario il si-stema delle professioni rafforza il suopeso, pur se con la revisione di alcunemodalità o condizioni operative tradi-zionalmente associate alla regolamen-tazione pubblica delle professioni (inprimo luogo abbandona progressiva-mente l’idea di un nesso necessario tra

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Box 2 - La sentenza n. 28306/2003 della sezione VI Penale della Corte di Cassazione

La sentenza ha assolto alcuni infermieri, dipendenti del Ssn ma non iscritti al Collegio,dall’accusa di esercizio abusivo della professione.

Come recitano le conclusioni della sentenza, «la competenza degli ordini non si esten-de genericamente alla “professionalità”, intesa nel senso sostanziale di possesso del tito-lo di studio e delle attitudini richieste per accedere all’ordine professionale, bensì a colo-ro che esercitano la libera professione […]. In particolare, esula dalle funzioni degli or-gani professionali il controllo dei pubblici impiegati che prestino, alle dipendenze dellepubbliche amministrazioni, attività di contenuto corrispondente a quello di una liberaprofessione. […] Risulta pertanto chiaro […] che i pubblici dipendenti […] non sonosoggetti alla disciplina o ad altra podestà dell’ordine professionale, l’iscrizione al cui al-bo, anzi, è ammessa solo per attività estranee all’impiego. D’altra parte, è ovvio che ilpubblico dipendente risponde, disciplinarmente, alla propria amministrazione e non cer-to a un ordine».

La sentenza, assai chiara nella sua argomentazione, ha suscitato grande interesse e nonè condivisa da tutti gli osservatori, alcuni dei quali sottolineano tesi di orientamento op-posto sostenute anche di recente da parte della giurisprudenza, in particolare dal Consi-glio di Stato, ma anche del Ministero della salute (cfr. Benci, 2002a: 333-334). Tra gli al-tri, Fantigrossi (2003: 25) afferma che «la tesi della non obbligatorietà dell’iscrizione, ca-ra a una parte delle rappresentanze sindacali ma avversata dai Collegi professionali, è sta-ta adottata per l’occasione in quanto i fatti riguardavano un periodo anteriore alle più re-centi disposizioni in materia di professione infermieristica […]. Infatti l’articolo 1 dellalegge 42/1999 eliminando la qualificazione di ausiliarità per la professione infermieristi-ca, ne definisce il “campo proprio di attività e di responsabilità” con riferimento: a) al pro-filo professionale […]; b) agli ordinamenti didattici; c) al codice deontologico. Due diqueste tre fonti di disciplina richiedono l’iscrizione all’Albo come elemento connaturatoe inscindibilmente connesso allo status professionale. […] Nessuna ragione sistematicaimpedisce che il professionista pubblico dipendente, in base alla doppia appartenenza, al-l’ente e all’Ordine o al Collegio, risponda della propria condotta sia al datore di lavoro siaall’organismo professionale. […] Infine, la soluzione avanzata nella sentenza appare frut-to di una visione “riduttiva” del ruolo degli infermieri nella sanità, perché certamente nonsi avrebbe neppure il coraggio di sostenere una soluzione dello stesso tipo, tanto meno inambito sindacale, per altre professioni sanitarie, quale quella dei medici».

professione riconosciuta e presenza diun Ordine o di un Collegio, che risultatanto meno importante quanto più leattività professionali sono svolte incontesti organizzativi d’azienda, co-me indicato anche dalla sentenza dellaCorte di Cassazione di cui al box 2).

3. I processi di professionalizzazio-ne si accompagnano inevitabilmentealla ridefinizione dei rapporti tra leprofessioni, le quali possono metterein atto strategie di vario tipo: di espan-sione delle proprie attività a scapitodelle professioni vicine; di «ascesa»nello status professionale, mediantel’erosione di attività in precedenzasvolte dalle professioni che avevanouno status più elevato; ecc. Tali frizio-ni e aggiustamenti reciproci non sonosempre facili o «indolori»; al contra-rio, spesso essi danno luogo a con-fronti accesi tra le professioni (26).

4. Il sistema delle professioni codi-ficate si mostra assai dinamico nell’i-stituzione di nuove figure, ma moltopiù rigido nella revisione dinamica deipropri confini interni (cioè tra le diver-se professioni). Ciò è particolarmentevero per i medici, riuniti in un’unicaprofessione (cioè un unico Ordine perprovincia) che mostra difficoltà cre-scenti nel gestire professionisti sem-pre più specializzati e quindi, inevita-bilmente, differenziati (cfr. tabella3) (27). In tal caso, le specialità rap-presentano vettori lungo i quali si atti-vano spinte centrifughe, spesso più ef-ficaci nella manutenzione e nella stan-dardizzazione delle competenze pro-fessionali (28), ma anche nell’offrireidentità e senso di appartenenza ai me-dici. La specializzazione crescente equindi il divario tra specializzati e ge-neralisti, insieme alla diffusione dellamedicina non ortodossa e alla crescen-te qualificazione delle professioni«paramediche» (prima fra tutte quellainfermieristica) (29), costituisconotutti elementi che mettono alla prova

la tenuta della professione medica co-me gruppo unitario e coeso.

5. Infine, è utile sottolineare anco-ra una volta come la regolamentazio-ne che deriva dal processo di profes-sionalizzazione riguarda tutti gli ap-partenenti a un determinato gruppoprofessionale. In particolare, nel casodei dipendenti delle aziende sanita-

rie, essa riguarda sia chi lavora inaziende private, sia chi lavora per leaziende pubbliche del Ssn. Di nuovo,le dinamiche che negli ultimi annihanno avuto per oggetto il personaledelle aziende sanitarie italiane, ten-dono a distinguere queste ultime ri-spetto agli altri settori di attività eco-nomica, ma sono sempre meno legati

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Tabella 3 - Consistenza numerica di medici specialisti in Italia, 2001

Fonte: Carbonin (2002: 290).

al discrimine tra impiego pubblico eprivato.

3.3. Professioni sanitarie, Ccnl e pro-fili professionali nel Ssn

Il sistema delle professioni sanitarieinfluenza in modo importante la clas-sificazione del personale delle aziendesanitarie. In generale, tali sistemi diclassificazione si riferiscono a quattropossibili criteri:

— il Contratto collettivo nazionaledi lavoro (Ccnl) di applicazione;

— il ruolo di appartenenza;— le categorie di appartenenza (per

il personale che non fa parte della co-siddetta «area dirigenziale»);

— il profilo professionale (per ilpersonale che non fa parte della cosid-detta «area dirigenziale»).

L’argomento è reso complicato dal-la storia del sistema sanitario e dallasua evoluzione normativa, la quale hapermesso e anzi ha favorito lo svilup-po di categorie di analisi e di un gergospecialistici, specifici del settore sani-tario (e, nel caso delle aziende pubbli-che, intrecciati con la terminologia ele classificazioni altrettanto comples-se introdotte per regolamentare il pub-blico impiego). Complessità amplifi-cate dalla frammentazione delle quali-fiche degli operatori sanitari, a suavolta frutto della forte professionaliz-zazione delle attività di assistenza.Come risultato di tutto ciò, classifica-zioni rese obsolete dalle riforme nor-mative, nonostante siano «scadute»,continuano ad essere le più usate nellaprassi operativa e gestionale delleaziende, i termini evocano spesso ca-tegorie o istituti giuridici specifici, lanormazione legislativa si confondecon quella che deriva dai contratti col-lettivi nazionali e a volte dalla stessacontrattazione decentrata aziendale.

Per evitare di contribuire anche noia tale confusione e per poter prosegui-re con l’analisi, qui di seguito s’illu-

strano le classificazioni attualmente inuso nel Ssn, tralasciando le — limitate— differenze rispetto ai dipendentidelle aziende private.

Ai dipendenti delle aziende sanita-rie pubbliche (escluso il personaleuniversitario, il quale formalmente di-pende dal Ministero dell’istruzione,dell’università e della ricerca scienti-fica e quindi applica i Ccnl di quel-l’amministrazione) si applicano trecontratti collettivi nazionali di lavoro,due dei quali individuano le cosiddette«aree dirigenziali»:

— il Ccnl dell’«area relativa alla di-rigenza medica e veterinaria del servi-zio sanitario nazionale»;

— il Ccnl dell’«area relativa alla di-rigenza sanitaria professionale tecnicaed amministrativa del servizio sanita-rio nazionale»;

— il Ccnl del «personale del com-parto Sanità», a cui ci si riferisce spes-so col termine «comparto» e che siapplica a tutto il rimanente persona-le (30).

Rispetto agli altri settori delle pub-bliche amministrazioni, il Ssn è carat-terizzato da un alto numero di dipen-denti con qualifica dirigenziale sul to-tale: essi infatti sono pari al 19% deltotale, rispetto a una media dell’1,6%negli altri settori pubblici «contrattua-lizzati» (31). Ciò è il frutto di una pro-fessionalizzazione media molto eleva-ta e della presenza di professionisti —i medici in primo luogo — forti di unalunga tradizione di autonomia e rico-noscimento professionale.

La seconda dimensione sulla basedella quale è utile classificare il perso-nale delle aziende sanitarie è quellodei «ruoli» di appartenenza. Essi sonoquattro (32):

— ruolo sanitario: ne fanno parte imedici (che, insieme agli odontoiatri,rappresentano il 23% dei dipendentiiscritti al ruolo sanitario), i farmacisti,i veterinari, i biologi, i chimici, i fisici,gli psicologi nonché il personale infer-

mieristico e ostetrico (59% del ruolosanitario), quello tecnico-sanitario,quello della riabilitazione e quello del-la prevenzione;

— ruolo professionale: ne fannoparte gli avvocati, gli ingegneri, gli ar-chitetti e i geologi, nonché il personaledi assistenza religiosa;

— ruolo tecnico: ne fanno parte glistatistici, i sociologi, gli assistenti so-ciali, gli operatori sociosanitari, glioperatori e gli assistenti tecnici, i pro-grammatori, gli Operatori tecnici ad-detti all’assistenza (Ota), ecc.;

— il ruolo amministrativo com-prende dirigenti, collaboratori profes-sionali, assistenti e coadiutori ammi-nistrativi.

Il terzo sistema di classificazionecui facciamo qui riferimento, validoper il personale non dirigente del Ssn,è quello che si basa sulle «categorie»:il personale è inquadrato in quattromacro-categorie A, B, C e D, in realtàarticolate sui due ulteriori gradi Bs eDs (rispettivamente «livello economi-co B super» e «livello economico Dsuper», di fatto equiparabili a due altrecategorie). Alle sei (4 + 2) categoriefanno riferimento, in prima approssi-mazione, i livelli retributivi, nonché lemodalità e le qualificazioni per l’ac-cesso.

Infine, la quarta classificazione delpersonale cui fare riferimento è quellapiù direttamente collegata al sistemadelle «professioni» e che si basa sui«profili professionali». Tale classifi-cazione professionale si può leggerecon riferimento alle sole discipline sa-nitarie, o per classificare l’intero per-sonale delle aziende sanitarie.

Per le discipline sanitarie, essa rap-presenta il frutto della regolamenta-zione pubblica sviluppata per tutelarel’utenza e la qualità delle prestazioni.Per tale motivo, quella regolamenta-zione e, di conseguenza, quella classi-ficazione si applicano nello stesso mo-do tanto al personale delle aziende

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pubbliche quanto al personale delleaziende private.

Quando invece che alle sole disci-pline sanitarie si guarda all’intero per-sonale dipendente delle aziende, com-prendendo anche le funzioni ammini-strative, di manutenzione, ecc., alloraquella classificazione non si applicapiù indistintamente sia per i dipenden-ti pubblici sia per quelli privati, matrova invece classi e definizioni diver-se, tipicamente coniate dai rispettiviCcnl.

La tabella 4 presenta il sistema diclassificazione per l’intero personalenon dirigente del Ssn, indicando allaprima colonna la categoria di apparte-nenza, alla seconda colonna i singoliprofili professionali, alla terza colon-na le classi o famiglie professionali incui sono aggregati i profili del ruolosanitario e legate ai percorsi formativiuniversitari previsti dalle recenti rifor-me. Le quattro classi (o aree) dellelauree universitarie (triennali) e dellelauree specialistiche universitarie(biennali, dopo il conseguimento dellalaurea triennale) delle professioni sa-nitarie si riferiscono infatti a (33):

— professioni sanitarie infermieri-stiche e professione sanitaria ostetri-ca;

— professioni sanitarie della riabi-litazione;

— professioni sanitarie tecni-che (34);

— professioni sanitarie della pre-venzione.

La descrizione delle responsabilitàe delle attività del personale è affidataai profili professionali, i quali detta-gliano (ulteriormente rispetto a quantofatto dalla classificazione delle «cate-gorie») i requisiti formativi e profes-sionali di accesso ai singoli profili. I45 profili professionali (35) costitui-scono quindi le unità di base per laclassificazione del personale delleaziende sanitarie e, come commente-remo più avanti, costituiscono il siste-

ma classificatorio che aggancia la co-difica propria del sistema delle profes-sioni codificate ai sistemi aziendali digestione del personale.

Per avere un primo riferimento cir-ca la numerosità e la rilevanza pro-spettica delle figure professionali cheoperano nel sistema sanitario italiano— sia nel pubblico che nel privato —si possono considerare alcuni dati re-lativi alle 22 «professioni sanitarie»ex legge 42/1999 e successive modifi-che le quali, insieme ai professionistiin possesso di laurea anche prima del-le recenti riforme (e cioè medici, bio-logi, chimici, farmacisti, fisici, odon-toiatri, psicologi e veterinari) costitui-scono l’ossatura professionale del si-stema sanitario. In particolare, la ta-bella 5 riporta la numerosità degli ope-ratori attualmente in attività in Italia ei posti disponibili per i corsi di laureatriennali partiti nell’autunno del 2003in 39 sedi universitarie diverse. Leprofessioni quantitativamente più rile-vanti sono quella infermieristica (cir-ca 300.000, pari al 58% dei professio-nisti — delle 22 professioni sanitarieex legge 42/1999 — complessivamen-te in attività e ai quali è riservatoil 55% dei posti resi disponibili perle matricole dell’anno accademico2003-2004), seguita con molto distac-co dai fisioterapisti (circa 40.000), daitecnici di laboratori e da quelli di pre-venzione nell’ambiente e nei luoghi dilavoro (30.000 operatori per ciascunadelle due professioni), dagli educatoriprofessionali (25.000) e dai tecnici diradiologia (circa 21.000).

4. L’impatto del sistema delle pro-fessioni sulla gestione del perso-nale

La «logica professionale» influenzain modo notevole la gestione del per-sonale nelle aziende sanitarie italiane.Insieme ad essa, la gestione del perso-nale in tali aziende è influenzata da al-

tre logiche: tipicamente quella giuridi-co-burocratica, quella aziendale e, inalcuni contesti, quella del mercato po-litico (De Pietro, Lega, Pinelli, 2003).La presenza di tutte e quattro le logi-che è fisiologica nelle aziende sanita-rie (con una maggiore rilevanza dellelogiche burocratiche e politiche nelleaziende pubbliche) e ciascuna di essapresenta punti di forza e punti di debo-lezza.

Quanto si vuole qui sostenere è che,mentre negli ultimi anni la forza relati-va della logica giuridico-burocratica èandata velocemente riducendosi equella aziendale si è comunque raffor-zata, la tenuta della logica professio-nale sembra essere assicurata dalleevoluzioni che abbiamo illustrato neiparagrafi precedenti. Essa, con la re-golamentazione relativa a profili pro-fessionali e responsabilità ad essi attri-buite, offre un buon livello di «certez-za formale» dell’azione aziendale. Alcontempo, la logica professionale per-mette un discreto grado di funzionalitàrispetto alle finalità delle aziende sani-tarie.

4.1. Punti di forza della logica profes-sionale nella gestione del personaledelle aziende sanitarie

Più in particolare, la logica profes-sionale e il suo braccio operativo co-stituito dal sistema delle professioni edai profili professionali, offrono alme-no due vantaggi: 1) la possibilità dicontrollare l’offerta quantitativa deiprofessionisti e 2) la standardizzazio-ne delle competenze professionali.

A livello di sistema sanitario com-plessivo, la logica professionale facili-ta la regolamentazione numerico-quantitativa dell’offerta di professio-nisti, intervenendo su più livelli delprocesso di formazione e accesso allaprofessione. Il primo obiettivo dellapianificazione e del controllo dell’of-ferta è rappresentato dalla necessità di

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Tabella 4 - Profili professionali e categorie d’inquadramento del personale del Ssn al 30 settembre 2003 (*)

(*) Tale classificazione è stata introdotta quale allegato del Ccnl 20 settembre 2001, «Contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del Ccnl del personale del Comparto sanità stipulato il 7 apri-le 1999» e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001. Al momento del nuovo inquadramento, la categoria C degli «operatori professionali» ha accolto le figure prima apparte-nenti al VI livello, degli «operatori professionali collaboratori di prima categoria». La categoria D dei «collaboratori professionali» ha accolto le figure ricompresse nel VII livello degli «opera-tori professionali coordinatori». La «categoria» Ds dei «coordinatori professionali esperti» ha accolto le figure già di VIII livello, relativo agli «operatori professionali dirigenti».Il Ccnl relativo al quadriennio 2002-2005 ha apportato ulteriori modifiche. Innanzi tutto, Regioni e aziende possono promuovere dalla categoria B alla categoria C i seguenti profili, istituiti con nuo-vo contratto: puericultrice esperta, operatore tecnico specializzato esperto, infermiere generico e psichiatrico con un anno di corso, massofisioterapista e massaggiatore, attualmente inquadrati nellivello economico super del ruolo sanitario. Una seconda novità riguarda gli ex caposala («personale con reali funzioni di coordinamento al 31 agosto del 2001»), che passano tutti in Ds (Il Sole 24Ore Sanità 2003a: 6).

(1) Professione sanitaria, ex legge 42/1999 e successive modifiche.(2) Già facente parte delle professioni infermieristiche.(3) Il D.M. 57/1997 aveva istituito il profilo professionale del «tecnico dell’educazione e riabilitazione psichiatrica e psicosociale», poi abolito con D.M. 182/2001, che ha istituito il profilo profes-

sionale del «tecnico della riabilitazione psichiatrica». A coloro che avevano conseguito il diploma relativo al profilo soppresso è stata riconosciuta l’equipollenza con col titolo di «educatore pro-fessionale».

(4) Professioni tecnico-sanitarie di area tecnico-assistenziale.(5) Professioni tecnico-sanitarie di area tecnico-diagnostica.(6) Già facente parte delle professioni della riabilitazione.

Fonte: adattamento da Benci (2002b), Figorilli et al. (2002), www.ministerosalute.it.

garantire un certo «rifornimento» e ri-cambio di professionisti al sistema sa-nitario, il quale costituisce un pilastrodei sistemi di walfare sociali e politicidei paesi occidentali. Il secondo obiet-tivo è invece quello di evitare un’of-ferta in eccesso di professionisti in unsettore caratterizzato da pesanti «falli-menti del mercato» (cioè le difficoltàche il mercato trova nel regolare inmodo equo ed efficace gli scambi incampo sanitario) e dalla presenza dimonopoli legali (primo fra tutti quellodegli Ordini). Tali condizioni infattirendono inefficace la selezione e ilcontrollo operati dal mercato, lascian-do spazio a comportamenti opportuni-stici e chiusure monopolistiche da par-te dei professionisti, i quali riuscireb-bero a tutelare i propri interessi (adesempio inducendo domanda di pre-stazioni non funzionali alla salute delpaziente, o comunque prestazioni checomportano benefici complessivi in-feriori ai costi che esse implicano), adanno di quelli generali.

Gli strumenti con le quali le autoritàpubbliche pongono sotto controllol’offerta dei professionisti sanitari so-no: l’attivazione dei corsi di laureanelle singole sedi universitarie; i nu-meri programmati per l’ammissione aivari corsi di laurea; il controllo degliesami di abilitazione o di Stato; le nor-me che regolamentano il riconosci-mento dei titoli di studio esteri o quel-le che regolamentano l’equipollenzadei profili; l’istituzione o la cessazio-ne degli stessi profili. Il dubbio, sem-mai, è che la complessità del sistema— numerosità delle professioni e deiprofili, evoluzione dei bisogni sanitarie della tecnologia, ecc. — renda diffi-cile una programmazione integrata erazionale, finendo per far prevalere lo-giche incrementali che spesso perpe-tuano situazioni non giustificate da unpunto meramente razionale. Esempidella difficoltà di una pianificazioneefficace sono la sovra-dotazione di

medici che caratterizza il nostro paeserispetto agli altri paesi occidentali (no-nostante l’introduzione del numerochiuso nelle facoltà di medicina e chi-rurgia già da molti anni) o la continualamentata scarsità di personale infer-mieristico (problema peraltro comunea molti paesi occidentali) (36).

Il secondo effetto positivo della lo-gica professionale è la standardizza-zione delle competenze grazie ad ap-positi percorsi formativi, nonché la

certificazione delle competenze allafine di quegli stessi percorsi. In breve,la logica professionale porta fisiologi-camente a definire senza ambiguità(né terminologiche né di contenuti) lecompetenze professionali che caratte-rizzano i singoli gruppi professionali,quindi a standardizzarle e poi a ren-derle il collante minimo comune pergli appartenenti al gruppo, attraversoopportuni percorsi di formazione e in-terventi di aggiornamento.

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Tabella 5 - Le 22 professioni sanitarie ex legge 42/1999: numero operatori e posti disponibi-li per l’anno accademico 2003-2004

Fonte: Il Sole 24 Ore Sanità, 2003a.

Tale funzione di standardizzazionee certificazione costituisce un puntochiave per la gestione del personalenelle burocrazie professionali (cfr. pa-ragrafo 2.2). Quando le dimensioniaziendali sono rilevanti e la strutturacomplessa, diviene infatti inevitabiledarsi alcuni riferimenti normativi — omeccanismi di coordinamento — perorientare, controllare e coordinare icomportamenti dei singoli. L’esisten-za di una normativa, di regole per or-ganizzare le attività, fa parlare pro-priamente di burocrazia. Ma nel casodelle aziende sanitarie, la riconosciutanecessità di personalizzare i servizi inbase alle condizioni e ai bisogni delsingolo paziente o della singola situa-zione, porta a riconoscere forte auto-nomia professionale per le attività as-sistenziali di prevenzione, diagnosi,cura e riabilitazione. Ciò a sua voltarende difficile prevedere la standar-dizzazione dei processi quale logica dibase per l’orientamento delle attività.È per tale ragione che la normazionepreventiva delle attività, tipica delleburocrazie giuridico-amministrative edel modello sociologico di burocraziaclassica weberiana, nelle burocrazieprofessionali lascia il passo alla stan-dardizzazione (cioè alla normazionepreventiva) delle competenze profes-sionali dei singoli.

La standardizzazione delle compe-tenze operata dal sistema delle profes-sioni codificate è unica per l’intero si-stema e quindi costituisce una codifi-cazione disponibile alle aziende che inesso operano, le quali in tal modo sono«liberate» dalla necessità di definire,controllare, aggiornare le competenzedei propri dipendenti. Inoltre la stan-dardizzazione operata a livello di si-stema permette una maggiore fungibi-lità e mobilità dei professionisti daun’azienda all’altra, aumentando lecondizioni di flessibilità ed efficienzadel settore sanitario.

4.2. Possibili punti di debolezza dellalogica professionale nella gestionedel personale delle aziende sanita-rie

Se quelli visti sopra costituiscono iprincipali vantaggi offerti dalla logicaprofessionale di gestione del persona-le nelle aziende sanitarie, d’altro cantola stessa logica implica certamente de-gli svantaggi, alcuni ravvisabili a li-vello di sistema complessivo, altri cheinvece riguardano la gestione all’in-terno delle singole aziende.

Una prima debolezza del sistemadelle professioni a livello «macro» èche esso si adegua con difficoltà e ri-tardi ai mutamenti nelle condizioni dicontesto del settore sanitario. In parti-colare, lo sviluppo delle competenzescientifiche e della tecnologia dispo-nibile, insieme alla ricerca di condi-zioni per una maggiore efficacia o ef-ficienza dei servizi, portano a una con-tinua evoluzione degli assetti organiz-zativi del sistema e delle aziende chene fanno parte. Le modalità di lavorovengono rinnovate, sorge la necessitàdi competenze nuove o di una maggio-re integrazione multidisciplinare, ma iprofili professionali e, a maggior ra-gione, le professioni codificate, si ade-guano con estrema lentezza a tali cam-biamenti e anzi con la loro regolamen-tazione degli spazi di responsabilità edelle attività svolte, possono costituireun ostacolo importante per gli stessiprocessi di rinnovamento.

Inoltre, nel corso dei processi dicambiamento tecnologico o degli as-setti organizzativi, la presenza delleprofessioni è causa di conflitto e di ne-goziazione per rimodulare i confini in-terni del sistema delle professioni, concosti di coordinamento notevoli.

Ma soprattutto, a livello di sistema,il riconoscimento giuridico del pro-prio gruppo professionale continua apagare in termini di controllo di mer-cato e status sociale. Ciò comporta

un’inevitabile pressione da parte deigruppi professionali meno qualificatio comunque privi di riconoscimentoautonomo, i quali vogliono intrapren-dere il processo di professionalizza-zione in vista del riconoscimento for-male. Ma tale pressione si accompa-gna a costi di negoziazione notevoliall’interno dei singoli gruppi profes-sionali e tra questi e le autorità pubbli-che di regolamentazione. Inoltre, taleprocesso porta a spostare sempre piùin basso nella scala gerarchico orga-nizzativa i limiti del sistema delle pro-fessioni che, partito dalla professionemedica al vertice della organizzazio-ne, via via ingloba una quota semprecrescente del personale che opera insanità, sulla base dell’ovvia osserva-zione secondo cui i servizi sanitari so-no personalizzati; quindi comportanoautonomia professionale, imprendito-rialità e flessibilità; quindi sono legit-timati a vedersi riconosciuto lo statusdi professione.

Se passiamo ora a considerare glieffetti che il sistema delle professionie le logiche professionali esercitanodirettamente sulla gestione del perso-nale messa in atto dalle aziende, pos-siamo mettere in luce almeno i se-guenti punti:

— all’interno delle aziende si ripro-ducono le difficoltà già commentate alivello di sistema generale: in partico-lare, la presenza di gruppi organizzatiche si riconoscono per un’appartenen-za professionale esterna all’azienda,può spesso comportare la difficoltà dicoordinamento e dialogo tra personeche, pur lavorando all’interno di unastessa unità organizzativa, fanno peròparte di professioni diverse. È il caso,ad esempio, dei laboratori di analisi,dove tipicamente lavorano tecnici,biologi, medici e dove, quindi, la defi-nizione delle responsabilità di ciascu-na figura professionale è, da un puntodi vista operativo, tutt’altro che facile.Ciò rende difficile il coordinamento,

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ne aumenta i costi, può deteriorare ilclima organizzativo interno;

— la presenza di gruppi professio-nali di riferimento esterni alle aziende,nati per certificare le competenze econtrollare le conoscenze e l’operatodei professionisti, rende difficile perle aziende avviare sistemi di valuta-zione che, autonomamente, voglianogiudicare e governare le competenzeprofessionali e i comportamenti deipropri dipendenti. In tal caso, è comese si avesse una sorta di «giurisdizioneconcorrente», che deve trovare moda-lità d’integrazione con quella gestitadagli ordini e dai collegi, eventual-mente servendosi delle competenzetecnico-professionali di questi ultimi;

— la difficoltà appena vista è anco-ra più rilevante per l’azienda, quandoquesta voglia gestire percorsi di car-riera almeno in parte svincolati dallastruttura organizzativa (cioè dalle re-sponsabilità gestionali; cfr. Del Vec-chio, 2000: 228-235, che parla, a taleproposito, di gestione del personalequale «variabile sbloccata» a disposi-zione delle aziende), e voglia invecebasarsi in buona parte sulle competen-ze sviluppate dai singoli e sui compor-tamenti messi in atto dagli stessi nelcorso degli anni. In tal caso, evidente-mente, non si tratta di una certificazio-ne fatta esclusivamente al termine delpercorso formativo previsto dalla pro-fessione (es. esame di Stato o di abili-tazione), ma di un sistema operativo digestione aziendale capace di orientarei comportamenti con verifiche e rico-noscimenti delle competenze indivi-duali cadenzati nel tempo;

— altri problemi sorgono tipica-mente per le carriere orizzontali, inte-se come carriere che non necessaria-mente implicano un avanzamento nel-la gerarchia organizzativa o nella re-tribuzione, ma il cambio di funzioneaziendale presso la quale si è impe-gnati. Il sistema delle professioni sibasa sulla certificazione cristallizzata

nel passato (al termine del percorsoformativo, col conseguimento del tito-lo di studio o con esame) e mai piùmessa in discussione delle competen-ze individuali. Esso quindi ha diffi-coltà a riconoscere non soltanto il per-fezionamento o lo sviluppo delle pro-prie competenze (cioè la possibilità dicarriere verticali), ma soprattutto ilpossesso di competenze non tipichedel proprio percorso formativo. Sipensi ai medici che, ad esempio, ini-ziano ad occuparsi di controllo di ge-stione oppure di sviluppo del persona-le;

— infine, il sistema delle professio-ni sanitarie ha dato luogo, almeno nelcaso dei gruppi più tradizionali, piùinfluenti o più numerosi, a una rappre-sentanza sindacale che si basa su quelsistema e si avvale quindi di sindacatiprofessionali (il sindacato delle oste-triche, il sindacato dei veterinari, i sin-dacati — in quel caso con una rappre-sentanza non unitaria — per i medici,ecc.): ciò contribuisce a una frammen-tazione della rappresentanza che ren-de difficile, costosa e spesso ineffica-ce la contrattazione e il confronto traazienda e lavoratori.

Più in generale, la «sponda» offertadal sistema delle professioni sanitarienon rappresenta una modalità efficacedi rappresentazione e codificazionedelle competenze individuali per leaziende sanitarie, se non in rari casi(cioè per poche professioni). Si trattacioè di una rappresentazione rigida,caratterizzata da forti limiti:

— l’esperienza mostra come nonsia vero che ciascun appartenente auna data professione abbia le compe-tenze da essa previste (e ciò a causadello sviluppo della base cognitivadelle stesse professioni e a causa dellacrescente specializzazione che ne con-segue): non è vero cioè che tutti i me-dici sanno fare le iniezioni;

— il sistema delle professioni assu-me competenze «binarie», cioè che

sono dichiarate presenti/possedute ono, tutto o niente, senza riuscire ad ap-prezzare grado e qualità delle stesse;

— le competenze prese in conside-razione sono quelle relative alle cono-scenze tecniche; attenzione molto mi-nore — se non nulla — è riservata in-vece alle competenze di tipo compor-tamentale e alla certificazione delleesperienze che si sono acquisite e ac-cumulate nel tempo.

4.3. Alcune osservazioni per la gestio-ne aziendale delle logiche profes-sionali

Da quanto detto, risulta evidente lospazio che si apre a un’azione azien-dale più incisiva in questo campo.Azione che peraltro deve comunqueconsiderare le possibilità e le conve-nienze dell’operare a livello di singolaazienda oppure di gruppo/di sistema(si pensi al livello regionale nel Ssn).Costituiscono esperienze rilevanti intal senso il programma di Educazionecontinua in medicina (Ecm) di aggior-namento e formazione reso obbligato-rio dal Ministero della salute, nonchéle analisi promosse di recente da alcu-ne Regioni italiane per la certificazio-ne e l’accreditamento dei professioni-sti sanitari.

Il rischio è che le aziende italiane si«adagino», per gestire le competenzedei propri dipendenti, sulla certifica-zione che delle stesse è offerta dal si-stema delle professioni. Con le ovvie,importanti e negative ripercussionisulle capacità delle aziende stesse diselezionare, coordinare, motivare etrattenere i propri dipendenti. Percorsidi carriera ingabbiati dal sistema delleprofessioni, livelli retributivi basati ingran parte sull’appartenenza a un de-terminato profilo professionale, rap-presentano limiti importanti all’azio-ne aziendale, con ripercussioni spessogravi sulla funzionalità organizzativa.

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I limiti di efficienza che derivano daun sistema di qualifiche professionalispezzettate e la sua forte correlazioneai livelli retributivi sono problemivecchi, se Foglietta (1986: 13-16)quasi venti anni fa notava come «dieti-ste, ostetriche, assistenti sociali, so-ciologi, statistici, geologi, ecc. sonotutti profili professionali suddivisi co-me minimo in due posizioni [funzio-nali]. [...] La tendenza al rigonfiamen-to a meri fini di miglioramento econo-mico e con lo spiacevole, contempora-neo risultato di rendere improbabileogni confronto a fini equiparativi fraposizioni funzionali di profili diversi,appare fin troppo evidente. Ed è puredi immediata comprensione il fattoche l’elasticità di utilizzo del persona-le risulta essere tanto minore quantomaggiore diviene il numero delle gab-bie classificatorie».

È chiaro che una struttura organiz-zativa che si basa sulla divisione dellavoro regolamentata dal sistema delleprofessioni mal si concilia con una lo-gica aziendale di valorizzazione dellerisorse umane a partire da — e non «li-mitatamente a» — le qualificazionicertificate dal sistema delle professio-ni stesso. La complessità organizzati-va delle aziende sanitarie e le caratte-ristiche tipiche dei servizi assistenzia-li sembrano infatti chiedere la defini-zione di classi assai più ampie di ope-ratori rispetto a quanto fatto dall’at-tuale quadro normativo; classi all’in-terno delle quali prevedere flessibilitànelle possibilità di gestione, di carrie-ra, di retribuzione, ecc. (37).

I profili professionali di apparte-nenza costituiscono un riferimento eun’informazione utile per le aziende,ma non possono né devono essere ag-ganciate biunivocamente — e «persempre» — ai diritti dei singoli né allereali attività da questi svolti. Le azien-de, a tal fine, devono utilizzare l’auto-nomia di cui dispongono con l’obietti-vo di perseguire una sistematica opera

di «cesura» tra il sistema dei profili el’inquadramento, la retribuzione, lepossibilità di carriera dei singoli e leattività svolte dai singoli. Tale opera-zione di cesura deve essere resa credi-bile da una comunicazione adeguata eda una gestione dei sistemi operatividel personale esplicitamente sganciatada quella classificazione.

Ancora di più, i percorsi assisten-ziali chiedono una sempre maggioreintegrazione tra operatori appartenentia più discipline e professioni, così dacostituire gruppi multidisciplinari. Atal fine, è utile che le pratiche gestio-nali dichiarino esplicitamente l’ineffi-cacia di sistemi di divisione del lavoroche si pretendono «a tenuta stagna» eprocedano invece a una gestione che,pur riconoscendo le competenze di-stintive dei singoli gruppi professio-nali, definiscano classi più ampie dipersonale e comunque rendano espli-cita la necessità di un’integrazionereale, su aree d’intersezione e sovrap-

posizione riconosciute come tali datutti i gruppi professionali che vi ope-rano, apportando le proprie capacità,in vista di obiettivi comuni.

In termini grafici, ciò è rappresenta-to in figura 1, dove i campi di atti-vità/di competenza rappresentati daidue rettangoli verticali corrispondono,rispettivamente, a un modello <A>che non prevede integrazione ma anziche vede i singoli gruppi professionali(aree a, b, c, d, ...) difendere i proprispazi di competenza e a un modello<B> che invece, pur riconoscendo lecompetenze distintive delle singoleprofessioni α, β, γ, ecc., riconosceperò anche le aree di sovrapposizione,riconosce la necessità di un’integra-zione interprofessionale (38).

Perché il modello di «confronto in-terprofessionale» funzioni, è necessa-rio che il disegno dei confini tra le pro-fessioni non lasci aree scoperte e, d’al-tro canto, è necessario che le personeconcretamente presenti in azienda rie-

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Figura 1 - Modalità di confronto e integrazione tra gruppi professionali

scano a presidiare completamente leattività e le competenze previste per ilproprio gruppo professionale di ap-partenenza: condizioni difficili da ot-tenere nella realtà, ma la cui necessitàviene meno quando si passi al model-lo d’«integrazione interprofessionale»<B>. È questa, ci sembra, l’azione cuisono chiamate le aziende che voglionoagire con responsabilità l’autonomiadi cui esse godono.

4.4. Le professioni all’interno delleorganizzazioni: alcune evoluzionirecenti

Quest’ultimo paragrafo è dedicatoall’esame di alcune recenti evoluzioninormative e organizzative connessealle logiche professionali di gestionedel personale. In particolare, ci soffer-meremo brevemente sulle ultime vi-cende del processo di professionaliz-zazione degli infermieri (escluderemodall’analisi gli infermieri generi-ci) (39) e sullo sviluppo dei cosiddettiservizi infermieristici (questi ultimisono normativamente previsti per leaziende pubbliche del Ssn ma costitui-scono un tema «caldo» anche per nu-merose aziende sanitarie private).

Gli infermieri costituiscono una fi-gura centrale dell’assistenza sanitariae in particolare di quella ospedaliera.Occupazione assai popolosa (circa300.00 persone attive in Italia), essanel nostro paese ha intrapreso con suc-cesso un percorso di forte professiona-lizzazione che, partito alla metà delsecolo XX, ha avuto un’accelerazionenegli ultimi anni e si è sostanzialmen-te completato con la legge 42/1999«Disposizioni in materia di professio-ni sanitarie», che inquadra gli infer-mieri come professione sanitaria, nonpiù «ausiliaria» di quella medica, econ la legge 251/2000 «Disciplinadelle professioni sanitarie infermieri-stiche, tecniche, della riabilitazione,della prevenzione nonché della pro-

fessione ostetrica», che istituisce la di-rigenza infermieristica e la laurea spe-cialistica.

Il profilo professionale dell’infer-miere è stato emanato con D.M.739/1994. Gli infermieri (già infer-mieri professionali) non hanno un or-dine o collegio ad esso riservato, macondividono i Collegi con altre due fi-gure professionali: assistenti sanitari(nel frattempo uscita dal novero delle«professioni infermieristiche» per en-trare in quello delle «professioni dellariabilitazione») e vigilatrici d’infanzia(nel frattempo confluite nella profes-sione degli infermieri pediatrici) (40):da cui il nome di Collegi Ipasvi (cioèdegli infermieri professionali, degliassistenti sanitari e delle vigilatricid’infanzia), istituiti nel 1954.

L’attribuzione delle responsabilitàe le attività svolte dagli infermieri era-no stabilite dal cosiddetto mansiona-rio, recepito con D.P.R. 225/1974, ilquale aveva l’intenzione di dettagliarein modo esaustivo le funzioni degli in-fermieri. Il mansionario viene elimi-nato con la legge 42/1999: la regola-mentazione è demandata ai requisiti intermini di titoli di studio e d’iscrizioneall’albo detenuto dal Collegio; al codi-ce deontologico emanato dalla federa-zione nazionale dei Collegi Ipasvi e,aspetto assai più dibattuto nella teoria,nella pratica e nelle aule giudiziarie,dalle competenze previste per i medicie per le altre professioni sanitarie. In-fine, come già anticipato, le attività ele responsabilità dell’infermiere sonodisciplinate dal relativo profilo pro-fessionale, riportato in box 3.

La trasformazione dei diplomi uni-versitari in corsi di laurea specifici pergli infermieri è stabilita dall’art. 5 del-la legge 251/2000. Condizioni e carat-teristiche della formazione universita-ria sono poi ulteriormente dettagliatida due decreti ministeriali del 2 aprile2001, relativi alla laurea triennale e al-la laurea specialistica (41).

Infine, sempre la legge 251/2000stabilisce che, nell’ambito del Ssn, «leaziende sanitarie [pubbliche] possonoistituire il servizio dell’assistenza in-fermieristica ed ostetrica e possono at-tribuire l’incarico di dirigente del me-desimo servizio. Fino alla data delcompimento dei corsi universitari [...]l’incarico, di natura triennale, è rego-lato da contratti a tempo determinato,da stipulare, nel limite numerico stabi-lito dall’articolo 15-septies, comma 2,del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502, [...] dal direttore genera-le con un appartenente alle professio-ni» sanitarie infermieristiche e profes-sione sanitaria ostetrica (art. 7, c. 1).

Col possibile riconoscimento dellostatus dirigenziale all’interno del Ssn,gli infermieri sembrano aver comple-tato il percorso di professionalizzazio-ne. L’istituzione del servizio dell’assi-stenza infermieristica e ostetrica (qui,per comodità, servizio infermieristi-co) rappresenta però un passaggio ul-teriore, con la creazione di un servizioche, basato sulla stessa appartenenzaprofessionale, taglia trasversalmentela struttura dell’azienda e assume ilruolo di offerente interno di com-petenze professionali specialistiche.Emerge allora una struttura matricialenella quale le dimensioni rilevanti perla gestione del personale infermieristi-co sono, da una parte, le unità organiz-zative di appartenenza (reparti, servi-zi, dipartimenti, distretti, ecc.), dal-l’altra parte il servizio infermieristico,oltre evidentemente ai servizi ammi-nistrativi che presidiano la funzione(ufficio del personale, ufficio dellaformazione, ecc.) (42).

Se le aziende vorranno perseguiretale strada, è però opportuno che esseconsiderino i seguenti aspetti:

— il servizio infermieristico ha re-sponsabilità su la tutela, la valorizza-zione, lo sviluppo, la valutazione dellecompetenze professionali del perso-nale infermieristico: ha la responsabi-

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lità cioè che le competenze di quelpersonale si mantengano aggiornate equindi appetibili per il mercato del la-voro interno all’azienda;

— per far ciò, esso agisce principal-mente su tre leve: l’orientamento deinuovi assunti, l’aggiornamento pro-fessionale e la gestione della mobilitàinterna (43). Nel primo caso, si trattadi una formazione aziendale che fa daponte tra i percorsi specialistici uni-versitari e il contesto organizzativo

aziendale. A proposito dell’aggiorna-mento professionale, le unità organiz-zative alle quali il personale è asse-gnato devono impegnarsi affinché, nelcorso di ogni anno (o su orizzonti plu-riennali più flessibili), tale personalepossa essere sollevato dalle attivitàordinarie così da seguire iniziative diaggiornamento tecnico-professionalespecifico per la professione di ap-partenenza o comune per le cosid-dette professioni sanitarie ex legge

42/1999. Infine, il Servizio infermieri-stico è coinvolto in prima persona neiprocessi di mobilità interni finalizzatiall’aggiornamento e allo sviluppo pro-fessionale, a evitare situazioni di disa-gio grave (burn out), ad assecondareaspirazioni o necessità dei singoli;

— come regola generale, la respon-sabilità gestionale del personale infer-mieristico dovrebbe in ogni caso re-stare in capo alle strutture organizzati-ve presso le quali esso presta servizio.Ciò significa che l’organizzazionedelle attività e dei turni, la valutazionedei risultati gestionali e dei comporta-menti organizzativi dovrebbero esseregestiti dalle persone che, all’internodella struttura, hanno responsabilitàdei risultati di gestione (in primo luo-go il responsabile di struttura e il coor-dinatore del personale infermieristi-co);

— ciò sembra tanto più utile nell’at-tuale fase del Ssn, con le aziende cheda circa un decennio sono impegnatenel rafforzamento delle responsabilitàgestionali della linea operativa, attra-verso sistemi di programmazione econtrollo e strumenti quali il budget, enell’adeguamento delle competenzegestionali dei professionisti incaricatidi quelle responsabilità (44);

— occorre evitare che il servizio in-fermieristico si ponga in un ruolo pa-rallelo e, quindi, almeno in parte anta-gonista a quello svolto dalla Direzionesanitaria, la quale rimane uno dei mo-tori centrali e d’integrazione per la ge-stione delle aziende sanitarie e dunqueanche del personale. Eventualmente,in alcuni casi sembra necessariorafforzare la capacità della Direzionesanitaria, in modo che essa

a) si emancipi dal tradizionaleruolo di mera «amministrazione sani-taria» delle strutture e dei servizi resi e

b) sia capace di gestire le variefamiglie professionali sanitarie cheoperano in azienda, rinunciando a una

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Box 3 - Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo profes-sionale dell’infermiere, D.M. 739/1994 e successive modifiche

1. È individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infer-miere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’i-scrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.

2. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natu-ra tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malat-tie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria.

3. L’infermiere:a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e

formula i relativi obiettivi;c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico;d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e

sociali;f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del perso-

nale di supporto;g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel

territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-profes-sionale.

4. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre di-rettamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca.

5. La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a forni-re agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capa-cità che permettano loro di erogare specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguentiaree:

a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;b) pediatria: infermiere pediatrico;c) salute mentale-psichiatrica: infermiere psichiatrico;d) geriatria: infermiere geriatrico;e) area critica: infermiere di area critica.

6. In relazione a motivate esigenze del Servizio sanitario nazionale, potranno essereindividuate, con decreto del Ministero della sanità, ulteriori aree richiedenti una forma-zione complementare specifica.

7. Il percorso formativo viene definito con decreto del Ministero della sanità e si con-clude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che costituisce titolo prefe-renziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il superamentodi apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è strettamente legata allasussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni difatto.

tutela troppo concentrata sugli interes-si dei soli medici.

A conclusione di quanto visto, sipuò quindi affermare che la numero-sità e la frammentazione dei profiliprofessionali e in generale la pervasi-vità delle logiche professionali nel-l’organizzazione del lavoro in sanità,insieme alla tradizione burocratico-giuridica delle aziende del Ssn, sugge-riscono grande prudenza nell’intro-durre servizi trasversali agganciati alsistema delle professioni sanitarie.Queste, infatti, da un punto di vistaformale si equivalgono tutte, a pre-scindere dalla loro rilevanza concreta(per numeri di affiliati o rilevanzaaziendale delle attività svolte) (45).Ciò, in un contesto che vede prevalerele logiche professionali e quelle giuri-dico-burocratiche rispetto a quelleaziendali, può dar luogo a pressioniperché vengano istituiti appositi servi-zi per ogni singola professione, col ri-schio — assai verosimile — di un au-mento dei costi di coordinamento econ la possibile ricerca, da parte di taliservizi, di guadagni economici e orga-nizzativi a scapito della funzionalitàaziendale complessiva (46).

Il coinvolgimento e la responsabi-lizzazione gestionale delle diverse fa-miglie professionali che operano inazienda dovrebbe allora esercitarsi inaltro modo, diverso dalla «riproduzio-ne in serie» del modello tradizional-mente fornito dalla Direzione sanita-ria. L’approccio da adottare, più chebasato su dipendenze gerarchiche plu-rime, sembra essere quello di un gra-duale ma deciso coinvolgimento delleprofessioni nella vita istituzionale del-le aziende, mettendo in discussione ilmonopolio di un’unica professione —quella medica — lì dove ciò risulti uti-le e opportuno. Cartina al tornasole ditale atteggiamento è l’avere responsa-bili di struttura non sempre e solo me-dici, e una presenza delle professioni— basata sulla loro reale rilevanza in

azienda ma senza alcun meccanicismo— nelle decisioni che riguardano losviluppo e la gestione strategica del-l’azienda.

(1) Peraltro l’autonomia professionale nonè limitata all’azione dei medici e degli altriprofessionisti sanitari, ma si applica a numero-si altri campi di attività. Un esempio rilevante ea tutti chiaro di autonomia professionale èl’«autonomia didattica», elemento centrale delprincipio della libertà d’insegnamento di cuiall’articolo 33 comma 1 della Costituzione re-pubblicana.

(2) Qui, come nel resto del presente scrittosalvo diversa specificazione, col termine«competenza» ci riferiamo alle conoscenze, al-le capacità e alle esperienze dei singoli o del-l’organizzazione. Non intendiamo quindi rife-rirci a un’accezione di competenza come sino-nimo di responsabilità, organizzativa o giuridi-ca che sia.

(3) O «burocrazie professionali», nella ter-minologia proposta da Mintzberg.

(4) In realtà anche in tal caso l’azienda puòmettere a disposizione strumenti che supporta-no facilitano l’aggiustamento reciproco: sipensi, in particolare, ai sistemi di knowledgesharing/knowledge management, nel senso il-lustrato, tra gli altri, da Fattore, Tozzi (2003).

(5) La letteratura sui percorsi assistenziali ele altre modalità di coordinamento e raccordotra professionisti è assai ampia (cfr., ad esem-pio, Tozzi, 2003). In numerosi casi, tali percor-si non si limitano a coordinare le attività inter-ne alle singole aziende sanitarie ma coinvolgo-no anche altri prestatori di servizi: è tipico adesempio il caso di percorsi che integrano i ser-vizi delle Aziende sanitarie locali con quellidei medici di medicina generale.

(6) L’espressione «unità organizzativa» èqui utilizzata in senso ampio, così da ricom-prendere quelle più specifiche di unità operati-va, servizio, ufficio, dipartimento, distretto,ecc.

(7) Tale approccio è stato di recente «for-malizzato» anche da alcune disposizioni legi-slative che richiedono la frequenza obbligato-ria a dei corsi di management per tutti quei pro-fessionisti che siano incaricati della responsa-bilità di strutture complesse (cioè di ruoli ge-stionali) all’interno delle aziende pubblichedel Ssn.

(8) Per l’analisi di problemi assai simili inun settore di attività diverso da quello sanitario— e cioè del settore dei servizi professionalialle imprese — cfr. Pennarola (1992).

(9) I motivi per i quali i professionisti pos-sono essere incentivati a indurre domanda so-no numerosi. Il più ovvio, anche se poco rile-vante nel caso di professionisti che sono dipen-denti e quindi stipendiati, è quello di tipo eco-nomico-reddituale: nel caso di sistemi di retri-buzione a prestazione, il professionista potreb-be, infatti, essere spinto ad aumentare il nume-ro di prestazioni anche oltre l’utile. Altri tipiciincentivi possono riguardare: il prestigio e lareputazione della propria unità organizzativa(più lavoro significa più visibilità sul mercato enei confronti della direzione aziendale, ecc.);la difesa della stessa unità organizzativa daitentativi di eventuali ristrutturazioni, raziona-lizzazioni o accorpamenti proposti dalla dire-zione aziendale (ad esempio nel caso in cui ladirezione voglia ridurre il numero dei letti didegenza ordinaria); logiche professionali extraaziendali (ad esempio legate alle carriere acca-demiche o ad altre cariche istituzionali all’in-terno delle organizzazioni di matrice profes-sionale cui i singoli appartengono, quali le so-cietà scientifiche, le associazioni di volontaria-to, gli ordini).

(10) La necessità dei controlli sulla doman-da si fa più stringente per gli assicuratori/finan-ziatori e per chi ha responsabilità sui risultaticomplessivi di salute della popolazione resi-dente, come nel caso delle Aziende sanitarielocali. Queste ultime sono chiamate a definirela domanda e rappresentare — almeno parzial-mente — l’offerta: ciò le responsabilizza acontenere il numero di prestazioni erogate: l’o-biettivo infatti non è quello di produrre di più— come è per gli ospedali senza tetti generalisui volumi di prestazioni o sui rimborsi — maquello di produrre di meno, a parità di condi-zioni di salute della popolazione residente e dilivello di soddisfazione della stessa popolazio-ne. In tal caso si parla propriamente di «gover-no della domanda».

(11) L’eterogeneità è frutto di più fattori:stili di direzione (verticali o orizzontali, rigidio flessibili, ecc.); capacità di chi ha responsabi-lità di gestione; ecc. Un tipico esempio di ete-rogeneità riguarda gli esiti dei processi di valu-tazione del personale: nelle aziende in cui talevalutazione sia attivata ma che non prevedonoregole o controlli aziendali (ad esempio, distri-buzioni forzate per gli esiti delle valutazioni),si potranno avere unità organizzative con valu-tazioni sistematicamente più «generose» (cioèpiù alte) che in altre.

(12) In tal senso anche Zangrandi (2000:37): «l’organizzazione del lavoro deve realiz-zarsi nell’ambito di un ampio decentramentodecisionale e operativo su prassi di lavoro emodalità d’intervento».

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(13) È ancora questo, in buona parte, il ruo-lo del personale di supporto negli studi degliavvocati, dei notai o negli ambulatori privatidei medici.

(14) Il ragionamento risulta chiaro quandodal sistema sanitario si passi a considerare altricontesti. Il mondo delle professioni liberali èfatto, per gran parte, di studi monodisciplinarie individuali. Si pensi ad esempio al settore deiservizi legali. Avvocati, notai, commercialisti,consulenti del lavoro, ecc. possono erogareservizi collegati l’uno a l’altro (potrebbe essereil caso di un cliente che chiede delle consulen-ze con l’obiettivo di costituire una nuova so-cietà di capitali). Però nella pratica i servizi of-ferti da quei professionisti non hanno tradizio-nalmente dato luogo a pratiche organizzativeintegrate. L’intera disciplina delle professioniinfatti ha sempre disincentivato — o vietato —la pratica collettiva (cioè gli studi associati) eancor più gli studi interprofessionali. In ognicaso, poi, la normativa chiede che risulti sem-pre chiaro qual è il professionista — singolo —responsabile dei servizi resi a un dato utente.

(15) In tal senso anche Catanati (2000: 337-338): «Accanto alla storiche e tradizionali pro-fessioni del medico e dell’infermiere, altre re-clamano spazi e fanno sentire la loro voce: bio-logi, chimici, fisici, psicologi, sociologi, inge-gneri, architetti, fisioterapisti, tecnici di labo-ratorio, di radiologia, economisti, bioetica,ecc. E [...] in molti pretendono maggiori rico-noscimenti per la loro “professionalità” conconseguenti richieste di più ampia autonomiaoperativa. [...] Tra le diverse categorie dei“professionisti” esistono inoltre conflittualitàmai del tutto sopite».

(16) La sola trasmissione della base cogniti-va non è sufficiente per lo sviluppo di una pro-fessione: questa, in quanto tale, deve essere ca-pace di fare ricerca, di produrre autonomamen-te nuove conoscenze e nuove esperienze. In talsenso, il controllo delle scuole infermieristicheda parte dei medici ha rappresentato per lungotempo un ostacolo al pieno sviluppo della pro-fessione infermieristica. D’altro canto, a pro-posito delle recenti riforme della professioneinfermieristica, ecco cosa commenta — senzapolemiche — un medico: «note sono poi le re-sistenze che la classe medica sta sviluppandoverso le maggiori autonomie degli infermieriprofessionali. E la cosa è assai singolare, per-ché fu proprio la classe medica, nella sua rap-presentanza accademica, che spinse per lachiusura delle scuole professionali e per la rea-lizzazione dei diplomi universitari. Il vantag-gio immediato di poter ricondurre nell’alveodell’università la formazione degli infermieri,con il potere di distribuire incarichi di insegna-mento tra i docenti delle facoltà di medicina,

fece forse sottovalutare le conseguenze» (Ca-tanati, 2000: 338).

(17) In origine gli Ordini generalmente ri-guardavano le professioni legate al possesso diun diploma di laurea, mentre i Collegi riguar-davano professioni legate al possesso al diplo-ma di scuola secondaria superiore. Tale distin-zione è venuta meno nel tempo, ma il sistemaitaliano ha mantenuto entrambi i termini.

(18) Presente su www.ministerosalu-te.it/professioni, 2 dicembre 2003.

(19) Il codice civile italiano disciplina le co-siddette «professioni riconosciute» nel capo II,titolo III, libro IV, agli articoli 2229 e seguenti.

(20) Ordinando per numero di iscritti, sitratta di medici (anno di riconoscimento conlegge da parte dello Stato italiano: 1910; cfr.Zuffada, 1997: 30), infermieri (anno di ricono-scimento: 1954), farmacisti (1910), odontoiatri(dal 1981 separati dai medici), tecnici sanitaridi radiologia medica (1965), veterinari (1910),ostetriche (1946).

(21) Fino alla legge 42/1999, la strutturagiuridica di fondo dei gruppi professionalioperanti in sanità in Italia era data dal regiodecreto 1265/1934, il quale distingueva traprofessioni sanitarie cosiddette «principali» eprofessioni sanitarie «ausiliare». Le primecomprendevano i medici, i veterinari, i farma-cisti e, dagli anni ottanta, gli odontoiatri. Leprofessioni sanitarie «ausiliarie» comprende-vano invece le levatrici (oggi ostetriche), leassistenti sanitarie visitatrici (oggi assistentisanitari), le infermiere diplomate (oggi infer-mieri) nonché, fino al 1999, tutte le altre pro-fessioni che avevano avuto la pubblicazione diun profilo professionale. La progressivaemancipazione dalle funzioni «ausiliarie» ri-spetto a quelle delle professioni sanitarie prin-cipali è avvenuto in Italia in coerenza con losviluppo scientifico e professionale di quellefigure, seguendo un processo in linea conquanto è avvenuto anche in altri paesi. Nel Re-gno Unito, ad esempio, nel 1984 quelle cheprima erano «Professions supplementary tomedicine» sono diventate «Professions alliedto medicine».

(22) Quelle dotate di Collegi sono, come giàdetto, gli infermieri, gli assistenti sanitari, gliinfermieri pediatrici (riuniti nella FederazioneIpasvi), le ostetriche (riunite nella Fnco - Fede-razione nazionale dei collegi delle ostetriche), itecnici di radiologia medica (riuniti nella Fct-srm - Federazione dei collegi dei tecnici sanita-ri di radiologia medica).

(23) Nella stessa occasione, le professionihanno dichiarato «il loro impegno [a] metterein campo tutte le “armi” a disposizione, daquelle della persuasione e della collaborazione

fino, nel caso, a quelle estreme delle agitazio-ni» (Il Sole 24 Ore Sanità, 2003b: 7).

(24) Gli strumenti di sanzione previsti dalnostro ordinamento sono l’avvertimento, lacensura, la sospensione e, nei casi più gravi, laradiazione dall’albo.

(25) Passando a considerare tutt’altra pro-fessione, è interessante notare come il Collegionazionale dei periti industriali abbia recente-mente disposto la cancellazione d’ufficio daipropri albi di quei periti industriali che risulti-no assunti dal Ssn, poiché ciò darebbe luogo a«incompatibilità con la libera professione e,quindi, con la tutela affidata al Collegio» (Te-stuzza, 2002). Questo, nonostante la normativarelativa ai concorsi del Ssn preveda, tra i requi-siti specifici di ammissione al concorso pubbli-co per la posizione funzionale di «assistentetecnico», l’iscrizione al relativo albo profes-sionale per i geometri e per i periti industriali.Evidentemente, nel caso dei periti industriali laprofessione ha assunto una posizione oppostarispetto a quella assunta dagli infermieri deicollegi Ipasvi, i quali invece difendono la tesidell’iscrizione obbligatoria.

(26) Un esempio recente di tali dinamiche èofferto, tra i numerosi possibili, dagli odon-toiatri i quali, attraverso l’Andi (Associazionenazionale dentisti italiani), hanno svolto un’at-tenta azione di difesa delle proprie prerogativenei confronti del processo di professionalizza-zione degli odontotecnici negli ultimi anni.Contrari a ogni previsione di intervento dia-gnostico e terapeutico da assegnare a questi ul-timi, i dentisti italiani si sono poi espressi inmodo decisamente negativo circa l’istituzionedei corsi di laurea per gli odontotecnici. A taleproposito, nel 2001 il presidente dell’Andi af-fermava: «Rimaniamo profondamente contrarinei confronti dell’introduzione di un corso dilaurea breve, che cancella l’iter formativo se-guito fino a ora. Di una formazione universita-ria per gli odontotecnici, per quanto esplicita-mente prevista dal D.L.vo 502/1992, a nostroavviso non si avvertiva alcun bisogno» (Gobbi,2001).

(27) L’unica revisione rilevante della pro-fessione medica è stata, in tal senso, l’«uscita»degli odontoiatri, che hanno istituito un corsodi laurea e ordini autonomi. Quella revisioneperò non è stata frutto di un’elaborazione inter-na alla professione italiana, bensì di un’esplici-ta richiesta da parte dell’Unione europea, voltaa omogeneizzare la regolamentazione dellaprofessione odontoiatrica a livello comunita-rio.

(28) Un esempio del ruolo giocato da Ordi-ni e società scientifiche (queste ultime legatealle specializzazioni) si è avuto in occasionedella progettazione dei corsi di formazione per

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medici all’interno del programma Educazionecontinua in medicina (Ecm): il Ministero dellasalute in un primo momento ha coinvolto la Fe-derazione nazionale ordini dei medici chirur-ghi e odontoiatri (Fnomceo), suscitando così lecritiche immediate di numerose società scien-tifiche, che si sentivano le sole legittimate a po-ter giudicare delle competenze specialisticherelative alle proprie discipline.

(29) A proposito della decisa professiona-lizzazione degli infermieri Catanati (2000:347) osserva: «non si tratta, almeno per ora, di“libertà di ricetta” [...]. I medici concordanosull’opportunità del superamento del vecchiomansionario ma a patto che non invadano ilcampo della professionalità medica; un campolo diciamo per inciso che in certi Paesi delNord Europa (dove il numero dei medici è net-tamente minore rispetto all’Italia ed in rappor-to alla popolazione assistita) è più ristretto e al-le altre professioni sanitarie sono consentitetecniche e manovre assistenziali intensive chein Italia desterebbero scalpore».

(30) Il termine «comparto» dà luogo a più diun’ambiguità. Esso infatti, in senso proprio, in-dica una partizione di pubbliche amministra-zioni: si parla in tal senso del comparto scuola,del comparto sanità, ecc. Di conseguenza, nonsi potrebbe allora parlare di un unico Ccnl del«comparto sanità». Meglio allora parlare di«personale del comparto», se col termine per-sonale s’intende escluso il personale dirigen-ziale. In ogni caso, il termine «comparto» haacquisito un’accezione che da parte di alcuni èpercepita come sminuente, per cui s’impiega-no alternativamente le espressioni «Ccnl dei li-velli» (riferendosi però a un sistema di classifi-cazione abrogato) o «Ccnl del personale dellecategorie» o anche «Ccnl del personale non di-rigente» (ma anche in tale ultimo le caso nonsono fugate tutte le ambiguità semantiche: adesempio il decreto del Presidente della Repub-blica (D.P.R.) 761/1979 sullo «stato giuridicodei dipendenti degli enti ospedalieri» parlavadi «personale dirigente e di funzione didatticadelle scuole per infermieri [...]» e nuovamenteil D.P.R. 761/1979 sullo «stato giuridico delpersonale delle unità sanitarie locali» e ilD.P.R. 821/1984 sulle «attribuzioni del perso-nale non medico addetto ai presidi, servizi e uf-fici delle unità sanitarie locali» confermavanol’inquadramento del personale con funzioni di-dattico-organizzative come «operatori profes-sionali dirigenti», distinguendoli dagli «opera-tori professionali coordinatori» e dagli «opera-tori professionali collaboratori»). Nonostantetali ambiguità, nel seguito noi utilizzeremo in-differentemente le espressioni «comparto» opersonale «non dirigente» o «personale dellecategorie».

(31) Per «contrattualizzati» s’intendono isettori delle amministrazioni pubbliche i cuidipendenti sono stati oggetto del decreto legi-slativo 29/1993 di riforma del pubblico impie-go. In totale, si tratta di circa tre milioni di di-pendenti pubblici.

(32) Il comma 2 dell’art. 1, D.P.R.761/1979, recita: «appartengono al ruolo sani-tario i dipendenti iscritti ai rispettivi ordini pro-fessionali, ove esistano, che esplicano in mododiretto attività inerenti alla tutela della salute;appartengono al ruolo professionale i dipen-denti non compresi nel ruolo sanitario i quali,nell’esercizio della loro attività, assumono anorma di legge responsabilità di natura profes-sionale e che per svolgere l’attività stessa de-vono essere iscritti in albi professionali; appar-tengono al ruolo tecnico i dipendenti che espli-cano funzioni inerenti ai servizi tecnici di vigi-lanza e di controllo, generali o di assistenza so-ciale; appartengono al ruolo amministrativo idipendenti che esplicano funzioni inerenti aiservizi organizzativi, patrimoniali e contabili».

(33) Decreto ministeriale 2 aprile 2001.(34) Si tratta di una famiglia professionale

assai eterogenea e quindi distinta in due aree:l’area tecnico-diagnostica e l’area tecnico-as-sistenziale. La prima include i profili profes-sionali di tecnico audiometristra, tecnico sani-tario di laboratorio biomedico, tecnico sanita-rio di radiologia medica, tecnico di neurofisio-patologia. L’area tecnico-assistenziale includeinvece i profili professionali di tecnico ortope-dico, tecnico audioprotesista, tecnico della fi-siopatologia cardiocircolatoria e perfusionecardiovascolare, igienista dentale, dietista.

(35) Escludendo quelli ad esaurimento (cfr.tabella 4).

(36) Il caso dei medici in Italia è particolar-mente istruttivo circa le condizioni, le dinami-che e gli esiti della programmazione del perso-nale a livello di sistema sanitario complessivo.Esso infatti mostra come, nonostante lo «spet-tro disoccupazione» sventolato per decenni aproposito della professione medica nel nostroPaese («chi si iscrive a medicina sarà non tro-verà lavoro»), nella realtà il tasso di disoccupa-zione dei laureati in medicina e chirurgia è mi-nore di quello medio dei laureati in altre disci-pline e di quello complessivo per la popolazio-ne italiana. Inoltre, le occupazioni dei laureatiin medicina risultano da più indagini esserequasi sempre in linea con gli studi svolti, lecondizioni contrattuali e quelle retributive ri-sultano mediamente buone (a ragione soprat-tutto della qualifica dirigenziale per i dipen-denti del Ssn). In un’indagine svolta dal con-sorzio universitario Almalaurea riferita al2002, la laurea in medicina e chirurgia risultaessere la più «efficace» quando si combini la

valutazione degli intervistati circa la richiestaper l’esercizio dell’attività lavorativa e il livel-lo di utilizzazione delle competenze appresecon gli studi universitari. «Una condizione “ot-timale” che sembra confermata anche dai gua-dagni: a tre anni dal titolo di laurea chi lavoro afa il medico guadagna in media 1.468 euro net-ti al mese (compensi base), contro i 1.401 degliingegneri» che costituiscono la seconda laureaper guadagni conseguiti (Il Sole 24 Ore Sanità,2003c: 4)

Evidentemente tale risultato è il frutto com-posto di più fenomeni: le percezioni distorte daparte del pubblico circa le prospettive del mer-cato del lavoro e del settore sanitario; la difesada parte della professione medica delle attivitàsvolte, che non sono state delegate alle altreprofessioni sanitarie; la capacità, verosimil-mente, di governare (se non «indurre») la do-manda in modo da mantenere alta la richiestadi prestazioni erogate dal personale medico.

(37) Con particolare riguardo al pubblicoimpiego, la normativa relativa alla gestione delpersonale è da tempo caratterizzata da una di-namica che a fasi di progressivo spezzettamen-to corporativo dei sistemi di classificazione einquadramento fa poi seguire tentativi di razio-nalizzazione. Tale situazione è ben rappresen-tata dagli anni Settanta, che avevano progressi-vamente dato luogo a una situazione ben de-scritta dall’espressione «giungla retributiva».A quella situazione, che trovava una delle sueprincipali determinanti in una frammentazionesindacale da tutti ritenuta insostenibile, il legi-slatore ha più volte cercato di rimediare, in par-ticolare con la legge quadro del pubblico im-piego n. 93 del 1980 che cercava di correggerele crescenti sperequazioni che caratterizzavanoil sistema, nel tentativo di una maggiore omo-geneità dei trattamenti attraverso una regola-zione «centrale» dello stato giuridico ed eco-nomico delle diverse categorie dei dipendenti.A tal fine la legge introdusse le «qualifichefunzionali», ampie fasce longitudinali (rispettoalle diverse amministrazioni) che volevanorappresentare in modo omogeneo le attività la-vorative.

(38) Un ragionamento simile, ma centratosulle competenze dei singoli invece che deigruppi professionali, è in Rushmer e Pallis(2003).

(39) Gli infermieri generici costituisconouna cosiddetta «arte ausiliaria a esaurimento»e le loro attività sono ancora normate dal man-sionario del 1974.

(40) Queste poche note danno un’idea dellapuntigliosa e complessa regolamentazione, in-cessantemente rinnovata, di cui spesso franca-mente non si capisce appieno quale sia la reale

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utilità in termini di funzionalità del sistema sa-nitario e quindi di benessere collettivo.

(41) A tale proposito, è interessante notare(Tousijn, 2002: 734) l’apparire della denomi-nazione «scienze infermieristiche» la quale dàdignità di scienza al corpus di conoscenze pro-prie degli infermieri.

(42) Per una rassegna di come Regioni eaziende sanitarie pubbliche hanno inteso taleservizio al momento del suo emergere, cfr. Fi-lannino e Barbieri (2002).

(43) Le attività di ricerca e selezione delpersonale dovrebbero essere invece svolte inmodo congiunto dall’azienda, dal servizio in-fermieristico e dalle unità organizzative allequali è verosimile vengano poi assegnati ineoassunti. Questo coinvolgimento limitatodel servizio infermieristico sembra possibile eopportuno, a ragione della standardizzazionedelle conoscenze operata dal sistema delle pro-fessioni, soprattutto nel caso di selezione dipersonale con limitata esperienza di lavoro.

(44) In altre parole, l’attuale grado di svi-luppo dei processi di aziendalizzazione in granparte delle aziende pubbliche del Ssn sembrarendere opportuno continuare a investire sulrafforzamento delle responsabilità di tipo ge-stionale. Quando queste fossero oramai solide,si potrebbe allora valutare un eventuale raffor-zamento delle responsabilità più esplicitamen-te professionali.

(45) Una vicenda simile riguarda il passag-gio dalla categoria C alla categoria D del per-sonale infermieristico. Tale passaggio, decisonel 2001, voleva cercar di porre rimedio allacosiddetta «crisi infermieristica» e cioè alla la-mentata carenza di personale infermieristico,nonché all’alto numero di infermieri che ab-bandonavano le aziende del Ssn. La speranzeera quella che condizioni economiche miglioriavrebbero trattenuto gli infermieri all’internodel Ssn e, al contempo, avrebbero costituitocondizioni di richiamo per i giovani in procin-to di iscriversi ai corsi universitari. In realtà,appena dopo tale decisione, tutte le altre pro-fessioni sanitarie ex legge 42/1999 — attraver-so le proprie rappresentanze — hanno fattosentire la propria voce, forti dell’equivalenzaformale rispetto agli infermieri e, nonostante lecondizioni del mercato del lavoro fossero al-meno per alcune professioni assai diverse(grande forza contrattuale degli infermieri, dicui c’è grande scarsità; condizioni assai piùnormali per gran parte delle altre professioni),esse si sono viste tutte riconoscere il passaggioalla categoria D.

(46) Per chiarire il punto basti considerarequanto previsto dal Piano sanitario regionale2002-2004 dell’Umbria. In quel documento laRegione prevede che le Aziende ospedaliere e

Usl del Servizio sanitario regionale istituisca-no il «Servizio infermieristico, tecnico sanita-rio, riabilitativo ed ostetrico (SITRO)» e speci-fica che «secondo quanto previsto dall’art. 7della legge 251/00, è necessario assegnare ladirigenza delle singole aree professionali»(Regione Umbria, 2003: 207), dove queste ul-time sono però indicate come quella infermie-ristica, quella tecnica, quella riabilitativa equella ostetrica. Con una tassonomia cioèdifforme rispetto a quella delle «classi di lau-rea» per le 22 nuove professioni sanitarie che,da un lato, considerano insieme gli infermieri,gli infermieri pediatrici e le ostetriche e, dal-l’altro, prevedono la classe delle professionitecniche della prevenzione, accanto a quelledelle professioni infermieristiche-ostetriche,delle professioni riabilitative, delle professionitecniche (quest’ultima tassonomia è peraltroquella sulla base delle quali le 19 professionisprovviste di albi o collegi vorrebbero costi-tuirli).

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Management ed economia sanitaria

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(1984), Economia della salute, Franco Angeli, Milano.— per articoli: richiamo: (Volpatto, 1990); indicazione: VOLPATTO

O. (1990), «La privatizzazione dei servizi pubblici», AziendaPubblica, 2: pagg. 243-252.

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SOMMARIO: Premessa - 1. Gli esami per radiologo - 2. Il Foresterhill - 3. Il Management information system (MIS) - 4. Il CollegePoints - 5. Il numero dei pazienti per radiologo - 6. Le Körner Units - 7. Il Relative Value Scale (RVS) - 8. Valutazioni.

Evaluating radiologist’ workload and productivity is not an easy task. In this paper an analysis has been conducted on the differentsystems used in the world. The aim of the analysis is to get useful guidelines for determining the evaluation model that best fits to theItalian case. Our conclusion is that the most appropriate model for Italy is the one of weight/time to be assigned to the procedures - asystem that starts from College Points experience but that also takes into account the average time the radiologists spend for clinicalgovernance and management tasks.

Premessa

Il carico di lavoro dei radiologi equindi anche la loro produttività (intermini di prestazioni radiologiche ef-fettuate) è un parametro difficile damisurare e comparare. Eppure questoè un terreno obbligato su cui lavoraredato che la radiologia è una disciplinache, più di altre, si presta alla standar-dizzazione delle procedure ed ancheperché il carico di lavoro dei mediciradiologi è aumentato in modo evi-dente durante il corso degli anni. Ave-re a disposizione uno strumento permisurare il carico di lavoro all’internodi un servizio di diagnostica per im-magini è importantissimo sia per valu-tarne l’attività sia per distribuire inmodo equilibrato il lavoro fra i varimedici. I radiologi hanno un carico dilavoro formato da prestazioni assai di-verse che vanno dall’eseguire radio-grafie di un ferito, alle procedure diposizionamento di stent arteriosi, dal-l’angioplastica ad altre procedure in-terventistiche che richiedono tempi edimpegni diversi di esecuzione che

vanno considerati nella loro variabi-lità e complessità.

Per definire il carico di lavoro perradiologo occorre disporre di infor-mazioni corrette e complete sia sulleunità di personale in attività che sulleprestazioni ripartite per tipologie. Ne-gli ultimi anni sono state sperimenta-te, in Europa e nel Nord-America, di-verse metodologie relative alla deter-minazione del carico di lavoro. I prin-cipali sistemi, che di seguito vengonoanalizzati, sono:

1) il numero di esami eseguiti perradiologo;

2) il Foresterhill;3) i College Points;4) il Management information

systems (MIS);5) il numero dei pazienti trattati

per radiologo;6) le Körner Units;7) la Relative Value Scale (RVS).

1. Gli esami per radiologo

Il metodo più semplice e più usatomisura il numero totale di esami ese-

guito in un anno e lo divide per il nu-mero dei radiologi che li hanno realiz-zati. Il parametro delle procedure perradiologo per anno, sebbene ampia-mente pubblicato, è soggetto a note-voli limitazioni ed errori soprattutto seviene utilizzato per valutare la produt-tività di un servizio radiologico o di ungruppo di operatori dato che non tieneconto del case-mix delle procedureeseguite. Infatti la valutazione del solonumero di esami significa ottenere de-gli indicatori che:

— sono eccessivamente influenzatidalle metodiche tradizionali, poco co-stose e meno impegnative;

— non tengono conto dei contenutitecnologici, economici e professionalidelle prestazioni nonché del diversotempo necessario per la loro esecuzio-ne.

Nel 1993 il Royal College of Radio-logists (RCR, 1993), in un rapportosulla produttività indicò che un caricodi lavoro accettabile per un gruppo diradiologi che eseguono un mix norma-le di casi sarebbe stato di 12.500 esamiper radiologo per anno. Questo dato

IL CARICO DI LAVORO DEI RADIOLOGI

Franco Pesaresi 1, Lucio Baffoni 2, Ennio Gallo 3, Luigi Oncini 4

1 Servizi sociali e sanitari, comune di Ancona2 U.o. diagnostica per immagini Asl Fermo (AP)3 U.o. diagnostica per immagini Asl Modena4 U.o. diagnostica per immagini Asl Macerata

venne poi fortemente contestato dalmondo accademico perché non avevauna giustificazione scientifica basatasull’evidenza e perché ritenuto troppoelevato per poter permettere al radio-logo universitario di offrire una buonaqualità clinica e l’esecuzione degli im-pegni non-clinici essenziali all’inter-no del tempo contrattuale (BFCR-RCR, 2002). Nonostante le critiche, ilRCR ha raccomandato, anche per il1999, un carico di lavoro che è appros-simativamente simile a quello del1993, con la sola variante che è costi-tuita dal generico richiamo alla neces-saria considerazione al mix delle pre-stazioni (RANCZ, 2001).

Nel 1997 la sezione neozelandesedell’Associazione dei radiologi au-straliani e neozelandesi (RANCZ) haraccomandato un carico di lavoro perun radiologo a tempo pieno di7.500/15.000 procedure per anno; ilparametro più elevato ricorre in pre-senza di un una bassa complessità delmix di lavoro, mentre l’indice più bas-so ricorre in presenza di un operatoreuniversitario o di un’attività radiologi-ca di alta complessità. Questo signifi-ca, assumendo 250 giorni lavorativiper anno, una attività per radiologo di30-60 procedure al giorno o di circa35-70 al giorno assumendo 220 giornilavorativi per anno (RANCZ, 2001).

In Italia è stato addirittura un orga-no interministeriale, il CIPE (Comita-to interministeriale per la programma-zione economica), che nel 1984 ha in-dicato il carico di lavoro dei radiologicome pari a 8.500/9.000 esami/annoper radiologo (media ponderata) edanche quello dei tecnici di radiologianella misura di 4.000 esami/anno perfigura professionale. Per i radiologiuniversitari veniva invece previsto uncarico di lavoro mediamente più bassodel 40% circa, presumibilmente perpermettere l’attività di didattica e di ri-cerca. Successivamente, nel 1992, laConferenza Stato-Regioni nel tentati-

vo di definire i livelli uniformi di assi-stenza, poi fallito perché l’atto non èmai stato approvato, confermava neldocumento istruttorio i due ultimi pa-rametri.

Rileviamo dunque che solo in trepaesi sono stati stabiliti, soprattuttodalle società scientifiche, dei carichidi lavoro di riferimento che presenta-no peraltro significative disomoge-neità. Trasferire questi parametri an-che negli altri paesi appare non corret-to dato che la produttività ottimale èstrettamente correlata al mix delle ti-pologie di prestazioni eseguite che va-ria molto da un paese all’altro (Pesare-si et al., in corso di pubblicazione).

Per l’Italia inoltre si pone anche ilproblema di aggiornare un parametroche, essendo stato elaborato ben 18anni fa, non riflette più le profondetrasformazioni tecnologiche ed orga-nizzative che hanno attraversato ladiagnostica per immagini in questi an-ni.

Recentemente, una ricerca del Mi-nistero della salute italiano ha calcola-to il carico di lavoro effettivo del per-sonale ospedaliero di radiologia attra-verso una ricerca che ha valutato l’at-tività di 1.017 ospedali pubblici e pri-vati su 1.419 (Ministero della salute,2002a). Dal punto di vista della dispo-nibilità dei dati si tratta della ricercapiù importante mai realizzata in Italiasull’attività delle radiologie, che haperò il difetto di utilizzare, non aven-done altre a disposizione, l’inadeguatametodologia di ripartire in modo in-differenziato le prestazioni fra il per-sonale dipendente.

La ricerca ha evidenziato che negliospedali italiani il carico di lavoro me-dio è pari a 5.723 prestazioni annueper medico. La variabilità fra le regio-ni è molto ampia vedendo, da un lato,la Sardegna con un carico di lavoroper medico pari a 3.689 prestazioni ra-diologiche annue e, dall’altro lato, laprovincia autonoma di Bolzano i cui

medici realizzano 10.809 prestazionil’anno (tabella 1). Occorre notare cheuna differenza di 1 a 3 non appare inalcun modo giustificata dalle differen-ti organizzazioni ospedaliere o da unadiversa composizione interna delleprestazioni, a meno che non sia moti-vata da un qualche problema nella ri-levazione dei dati. La ricerca del Mi-nistero ha calcolato anche il carico dilavoro dei tecnici di radiologia in2.823 prestazioni medie annue persingolo tecnico. Nel calcolo non sonocomputate le ecografie che sono effet-tuate dal personale medico.

Ma, se quella appena indicata è laproduttività media dei medici radiolo-gi ospedalieri, più elevata sembra es-sere quella di tutti i radiologi italianiospedalieri ed extraospedalieri. Infat-ti, se dividiamo tutte le prestazioni diradiologia realizzate nel 2001, che so-no pari a 50.615.863 (Ministero dellasalute, 2002b) per il numero di mediciradiologi (ultimo dato disponibile del1998), possiamo stimare una produtti-vità media per medico pari a 7.086prestazioni annue. Questi dati dovreb-bero farci presumere, se i dati a dispo-sizione sono corretti, che la produtti-vità dei medici radiologi extraospeda-lieri, per la diversa organizzazione dellavoro, è notevolmente superiore aquella dei medici ospedalieri. In realtàsappiamo che questi dati sono forte-mente influenzati dal diverso case-mix delle prestazioni che possono ri-chiedere tempi di esecuzione assai di-versi.

Il Workforce advisory board dellaRANZCR e la AMWAC radiologyworking party stimano che la mediaannuale del carico di lavoro dei radio-logi australiani è nell’ordine di13.500-14.000 procedure (conside-rando sia i radiologi a tempo pieno chequelli part-time). Questo indice è statoottenuto dai dati del MBS-HIC che in-dicano il numero delle procedure perradiologo fornitore-Medicare per an-

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no (circa 9.000 per il 1999-2000), acui è stato applicato un fattore corretti-vo che prende in considerazione il fat-to che Medicare (MBS) rappresentasolo una frazione del volume totaledelle prestazioni radiologiche realiz-zate in Australia (questa frazione è sti-mata al 65%, sebbene non ci siano da-ti completi che sostanzino questa sti-ma). La produttività del radiologo au-straliano a tempo pieno potrebbe esse-re più grande delle 13.500-14.000 pro-cedure annue già calcolate, ma questomaggior numero di prestazioni dipen-de dalla definizione di full-time. Iltempo pieno comporta approssimati-

vamente 55 procedure per 250 giornilavorativi all’anno, o approssimativa-mente 63 procedure per 220 giorni la-vorativi. Un rapporto su un ampiogruppo di radiologi privati indica unaproduttività corrente di 70-75 paziential giorno per radiologo o, approssima-tivamente, 85-90 procedure al giorno(assumendo il rapporto procedure/pa-zienti come pari a 1,2), o approssima-tivamente 19.000 procedure per anno(assumendo 220 giorni lavorativi peranno).

Il RANZCR e l’AMWAC credonoche il carico di lavoro medio stimatoannuo per radiologo, come riportato

nel rapporto 2000 del RANZCRworkforce survey, pari a circa 18.000procedure per radiologo, molto proba-bilmente rappresenti una sovrastima(tabella 2) (RANZCR, 2001).

Nel 1995-1996, negli Stati Uniti, ilcarico di lavoro medio per radiologo atempo pieno (FTE) era di 11.600 pro-cedure radiologiche per anno, con unapparente (ma non scientificamentevalidato) incremento del 5% rispettoal dato del 1991-92. Il numero mediodi procedure per anno varia sostan-zialmente in relazione alla dimensio-ne/tipologia del team di appartenenzadei radiologi. Per esempio, le proce-

Tabella 1 - Italia. Carico di lavoro del personale ospedaliero operante dei servizi di diagnostica per immagini. Anno 2000

Fonte: Ministero della salute (2002).

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dure per anno sono 13.200 per i radio-logi che appartengono a team di 2-4radiologi, mentre è di 10.300 nei grup-pi di 11 o più radiologi. La variazioneera invece ancora più grande tra i ra-diologi accademici che avevano unamedia di 8.000 (9.700-6.200) proce-

dure annue. Data la larga variabilitàdel numero annuale di procedure al-l’interno e attraverso le varie tipologiedei team, le medie calcolate possonorappresentare soltanto delle indicazio-ni che confermano comunque come ilcarico di lavoro sia aumentato rispetto

ai precedenti 4 anni (Sunshine et al.,1998).

Pochi anni dopo, nel 1998-1999, ilnumero medio delle procedure radio-logiche realizzate annualmente dairadiologi statunitensi era diventato12.800 (+ 3,4% annuo). Dentro questa

Tabella 2 - Numero annuale di procedure radiologiche per radiologo

(*) Escluse mammografie.

media ci sono dati assai differenziati,visto che il 25% dei radiologi realizza-va mediamente 9.100 esami l’anno,mentre un altro 25% ne realizzava15.600. Rilevanti differenze perman-gono anche fra il personale medico ac-cademico che realizzava 9.400 proce-dure l’anno ed il personale non acca-demico privato che realizzava 13.600esami l’anno (Bhargavan, Sunshine,2002).

I dati disponibili sul carico di lavorocalcolato con le procedure/radiolo-go/anno presentano, nel mondo, datidi grandissima difformità (cfr. tabella2). Si passa dalle 5.535 procedure al-l’anno della Svezia alle 18.500 dellaprovincia canadese del Manitoba (lamedia dei paesi studiati nella tabella 2,per quanto possa essere poco signifi-cativa, è di 13.500 procedure). In que-sto quadro l’Italia sembra registrareun carico di lavoro tra i più bassi, an-che se occorre ripetere che questi ulti-mi dati relativi all’Italia, così comequelli degli altri Paesi non sono im-mediatamente comparabili, rifletten-do un’attività radiologica realizzata inanni diversi e con una diversa compo-sizione (per tipologia di prestazione)nei vari Paesi.

Per contro, tali dati non vannoneanche sottovalutati perché, rappre-sentando i contenuti della letteraturainternazionale, sono comunque in gra-do di evidenziare differenze e tenden-ze che meritano una presa d’atto, unavalutazione e i necessari approfondi-menti. Da questo punto di vista occor-re cercare di comprendere se il caricodi lavoro che la tabella 2 assegna ai ra-diologi italiani è rappresentativo dellaeffettiva realtà, se esso si avvicina omeno ad un carico di lavoro ottimaleed infine quali sono le cause che sem-brerebbero collocare l’Italia tra le na-zioni con il più basso carico di lavorodei propri radiologi.

In questi anni, in molti paesi comel’Australia (cfr. tabella 3), il Canada,

il Regno Unito e gli USA, il volumedel carico di lavoro dei radiologi è cre-sciuto superando la produttività deglianni ’80 ed inoltre questa crescita èstata accompagnata anche da un au-mento della complessità del lavoro(RANZCR, 2001).

In conclusione, si può dire che il pa-rametro delle procedure per radiologoper anno utilizzato per evidenziare ilcarico di lavoro degli operatori, sep-pur molto utilizzato in letteratura, rap-presenta un indicatore grezzo ed inap-propriato per calcolare la produttività,perché considera allo stesso modoprocedure che richiedono tempi edimpegno del radiologo assai diversi.Ciononostante, i dati a disposizionesono in grado di evidenziare un caricodi lavoro crescente e una grande diver-sità nel carico di lavoro dei radiologidei vari paesi che richiede ulteriori ap-profondimenti per verificarne le cau-se.

2. Il Foresterhill

Il sistema Foresterhill è stato svi-luppato in Aberdeen ed usato in Sco-zia per la stima del carico di lavoro fi-no agli anni novanta. Il sistema è basa-to sul calcolo del tempo di coinvolgi-

mento dei radiologi nelle singole pro-cedure. Queste sono state ripartite incinque classi ad ognuna delle quali èstato assegnato un numero di unità chevariano da 7 a 90 secondo l’ammonta-re medio del tempo necessario per laprocedura. Il numero totale di proce-dure per classe è registrato, valutato econvertito in unità totali e questo datooffre il carico di lavoro quotidiano omensile. Il sistema permette di defini-re il carico di lavoro radiologico totaledel reparto realizzato durante l’orariodi lavoro normale, tenendo conto deiturni, delle chiamata di emergenza edegli eventuali spostamenti tra ospe-dali che possono essere richiesti aglioperatori. Per il referto di una radio-grafia del torace è stato stabilito untempo di 3 minuti per cui sono stati in-dicati approssimativamente in 75 i re-ferti per una sessione di 3,5 ore (1NHD) del medico radiologo. Altre ca-tegorie di refertazione come le ecogra-fie, gli esami con il bario, le TAC, gliesami con la RMN, le procedure di in-terventistica e le altre indagini sonostate introdotte successivamente permezzo di ulteriori pesi temporali basa-ti sull’unità di tempo dell’RX del tora-ce. I gruppi così formati hanno per-messo la definizione di un numero

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Tabella 3 - Produttività dei radiologi australiani. Anni 1996-1998

Fonte: nostra elaborazione su dati RANZCR, 1999.

standard di esami per unità di tempo.Gli ultimi dati raccolti nei primi anni’90 hanno evidenziato che i radiologiscozzesi realizzavano, in media, circail 30-50% di esami in più rispetto alcarico di lavoro standard. L’estrapo-lazione di questi dati proponeva unamedia 48 ore di lavoro teorico per set-timana per ogni radiologo.

3. Il Management informationsystems (MIS)

Recentemente il Canada ha appro-vato ed ora sta implementando un si-stema informativo per la gestione delServizio sanitario denominato MIS(Management information systems)che ha lo scopo di misurare e compa-rare l’uso delle risorse in relazione al-le attività attraverso l’integrazione deidati finanziari, di attività e clinici. Frale varie funzioni del sistema vi è anchequella della misurazione del carico dilavoro degli operatori sanitari. Il siste-ma di misurazione dei carichi di lavo-ro considera il tempo necessario aglioperatori riguardo all’adempimentodelle funzioni della loro unità operati-va. L’unità di misura utilizzata è quel-la dei minuti che riflette il tempo che èstato utilizzato per mettere in atto lesvariate attività dell’unità operativa acui si riferisce. I dati del carico di la-voro possono essere utilizzati per:

— la valutazione della prestazionedella unità operativa;

— avere uno strumento informativosu cui fondare l’utilizzo del personale;

— supportare i processi di pianifi-cazione e bilancio;

— condurre analisi comparativedentro e tra i servizi sanitari.

Il MIS è costruito per moduli relati-vi alle singole discipline sanitarie. Ilsistema per la rilevazione del carico dilavoro in radiologia è operativo dal 1°aprile 2002. Secondo le linee guidadel MIS, il principio base da ricordarequando si sviluppa un tempo standard

è che c’è da determinare quanti minutiin media si utilizzano per eseguire unaparticolare attività. Il tempo calcolatodeve essere il tempo medio che il for-nitore del servizio medio impiega percompiere l’attività in circostanze me-die per il destinatario medio del servi-zio.

Per condurre uno studio sul tempostandard per le attività ogni unità ope-rativa/fornitore:

— designa un membro dello staffesperto dell’attività che sia responsa-bile di cronometrare l’attività prepa-rando una documentazione relativa,etc.;

— determina i compiti compresidentro ogni attività includendo la pre-parazione, l’intervento, la pulizia e iltempo di refertazione;

— cronometra il differente perso-nale che esegue tutti i compiti relativiad una attività in differenti giorni dellasettimana e in differenti orari. Includesolo il tempo produttivo escludendo iltempo di attesa o altri tempi improdut-tivi;

— cronometra tutte le fasi con tantitempi quanti richiesti (il numero dellemisurazioni dipenderà dalla variabi-lità di tempo di ogni fase). Se i tempivariano marcatamente, esegue ulterio-ri misurazioni. Se una attività è ese-guita raramente, è accettabile comple-tare e documentare la misurazione unavolta sola;

— fa la media dei valori di tempoper determinare il tempo standard perl’attività;

— archivia tutta la documentazionerelativa allo studio dei tempi per unafutura consultazione;

— riconduce lo studio nel tempoper confermare la validità degli stan-dard determinati. Questo deve esserefatto quando anche quando il persona-le ritiene che lo standard non riflettepiù la pratica corrente, quando l’unitàoperativa inizia a fornire servizi di dif-ferente tipo, quando sono implemen-

tati nuovi dati sui carichi di lavoro,etc.

Queste procedure si realizzano uti-lizzando un programma elaborato ereso disponibile da una agenzia gover-nativa, il Canadian institute for healthinformazion (CIHI). L’esperienza ècosì recente che non ci sono ancoradati per valutare l’efficacia e la sensi-bilità del sistema adottato, ma ciò cheva rilevato, e che caratterizza l’origi-nale esperienza canadese, è che esso sibasa:

— su una iniziativa promossa dalgoverno ed accettata dalle provincecanadesi e che, quindi, si sta diffon-dendo su tutto il territorio nazionale;

— calcola il carico di lavoro di tuttele unità operative tenendo conto, perognuna, delle specificità delle singolediscipline;

— si basa su una metodologia e suun software uguali in tutto il territorionazionale;

— mette a disposizione uno stru-mento predisposto per un utilizzo fles-sibile e diversificato nelle varie realtà.

4. Il College Points

Il Royal College of Radiologists(RCR), nel tentativo di valutare il tem-po speso dai radiologi per le varie ti-pologie di esami, ha introdotto un si-stema denominato dei College Points.Questi individuano il lavoro necessa-rio per i diversi esami di radiologia at-traverso la definizione di una serie dipesi. I tempi vanno da meno di 4 mi-nuti (un punto) a più di 80 minuti (25punti). Il sistema non riferisce né lacomplessità dell’investigazione nél’esperienza necessaria del radiologo,ma solamente il tempo direttamenteassociato con la procedura radiologi-ca. Sulla base dei College Points, lostesso RCR ha proposto il carico di la-voro ottimale per ogni radiologo che,utilizzando i punti (ognuno dei qualivale 4 minuti), prevede il raggiungi-

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mento di 50 punti per ogni sessione dilavoro/NHD e di 350 punti per ognisettimana di lavoro per ogni radiolo-go. Ogni sessione ha una durata di 3ore e mezzo. In questo modo si può as-segnare un carico di lavoro e poi valu-tarne l’esecuzione indipendentementedal tipo di mix di prestazioni eseguiteda ogni singolo radiologo. Il limiteprincipale del sistema è che esso è sta-to elaborato utilizzando unità di radio-logia non reclutate su base nazionale esenza validare i dati in un grande stu-dio multicentrico.

I dati di carico di lavoro proposti so-no basati sui tempi di esecuzione delleprocedure radiologiche, inclusa la re-fertazione e il suo controllo. Essi noncomprendono, invece, le interruzionitelefoniche, le discussioni con medicie le altre attività cliniche o ammini-strative che possono avere un effettosignificativo sulla produttività di unasessione di lavoro/NHD. Inoltre, i datinon riflettono l’impatto che l’insegna-mento al personale più giovane puòavere sulla produttività con effetto ne-gativo sul numero di procedure realiz-zate in una sessione/NHD.

Secondo il Royal College ofRadiologists questo metodo (che con-sidera il tempo per esame per radiolo-go) dovrebbe essere usato nella piani-ficazione del lavoro di ogni radiologoanche per ripartire in modo equo i ca-richi di lavoro all’interno di ogni ser-vizio. Pertanto, la somma dei piani dilavoro dei singoli radiologi:

— fornisce un’indicazione realisti-ca del carico di lavoro di tutta l’unitàoperativa di diagnostica per immagi-ni;

— è in grado di dare indicazionisulle necessità di personale medicoper far fronte alle prestazioni richieste.

Il carico di lavoro proposto dalRCR per uno specialista radiologo èindicato nella tabella 4 in relazione al-le specifiche prestazioni radiologiche.

Occorre però ricordare che i pesidel College Points non tengono in al-cun conto le interruzioni, le consulta-zioni con gli altri colleghi o le telefo-nate con i medici di base, attività que-ste che possono essere frequenti e cheincidono sulla produttività degli spe-cialisti. Tali attività di collaborazionee di relazione con gli altri medici sonoperò una parte importante ed inscindi-bile del lavoro e della responsabilitàdel radiologo che, proprio con essa,contribuisce alla gestione dei proble-mi clinici e diagnostici e alla conti-nuità di cura del paziente. Occorrereb-be pertanto considerare anche questotempo di lavoro e di conseguenza mo-dificare i carichi di lavoro standard.

Il carico di lavoro annuale per ognispecialista può essere identificato coni parametri indicati dalla tabella 4 evarierà dipendendo dal numero di ses-sioni/NHDs e dal tipo di prestazionieseguite. Le differenze quantitativepossono anche essere rilevanti a paritàdi carico di lavoro. Per esempio, un ra-diologo che fa principalmente routine,con una quota di ecografie ed una seriedi fluoroscopie, potrebbe fare 13.948esami in sette sessioni/NHDs, mentreun radiologo interventista, con sola-mente una sessione/NHD di referta-zione generale e due sessioni diRMN/TAC o ultrasuoni, potrebbe ese-

guire solamente 4.576 esami circa nel-lo stesso anno. Per queste valutazionisi è considerato un anno lavorativocomposto da 44 settimane di lavoroeffettivo tenendo conto delle ferie, deipermessi di studio, ecc. degli operato-ri inglesi. È interessante rilevare cheuna attività radiologica più equilibratanella tipologia di prestazioni da ese-guire e che include sessioni di referta-zione, ecografie, TAC e fluoroscopiasviluppate in sette sessioni di lavoro,produrrebbe un carico di lavoro similealla raccomandazione del 1993 delRCR pari a 12.500 esami per anno.

Secondo il Royal College ofRadiologists il confronto fra il numerodelle prestazioni effettivamente ese-guite dai radiologi e il numero di quel-le proposte nelle raccomandazionidello stesso RCR evidenziano un ec-cessivo carico di lavoro dei radiologiinglesi non realizzabile all’internodelle 10 sessioni/NHD previste dalcontratto di lavoro per i medici a tem-po pieno. Questo restringe significati-vamente la possibilità dei radiologi dicontribuire agli altri aspetti della pro-fessione come la consulenza e la colla-borazione con gli altri medici, la con-tinuità della cura, lo sviluppo profes-sionale e le altre attività per migliorareil servizio fornito dal reparto ai pa-zienti.

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Tabella 4 - Carichi di lavoro suggeriti dal RCR per un radiologo

Fonte: ns. elaborazione su dati BFCR-RCR, 1999.

Il RCR raccomanda che i parametriindividuati vengano utilizzati in modotale da assicurare un appropriato equi-librio tra carico di lavoro e operatori adisposizione. A questo proposito:

— la metodologia che utilizza iltempo/esame dei radiologi dovrebbeessere usata nello sviluppo del pro-gramma di lavoro dei singoli radiolo-gi;

— il carico di lavoro generaledovrebbe essere diviso fra tutti i ra-diologi dell’unità operativa, dandoun appropriato riconoscimento allesub-specialità organizzate all’internodelle unità di Diagnostica per imma-gini;

— tutti i piani di lavoro dovrebberoessere rivisti annualmente;

— sessioni/NHDs dedicate dovreb-bero essere previste per la radiologiagenerale (convenzionale) nel piano dilavoro;

— il tempo utilizzato per le consu-lenze e le collaborazioni con gli spe-cialisti di altre discipline deve essereconsiderato come parte dello standarddel carico di lavoro di sessione;

— il numero di sessioni/NHDs perreperibilità deve riflettere l’impegnorichiesto e l’intensità di lavoro;

— il carico di lavoro dell’unità ope-rativa di radiologia deve essere previ-sto all’interno delle sessioni/NHDspreviste dal contratto. Il dipartimentodi diagnostica per immagini dovrebbeidentificare le sessioni aggiuntive ne-cessarie per realizzare il completa-mento del lavoro e garantire queste ul-time previo un nuovo accordo econo-mico con l’Azienda sanitaria;

— una formula matematica do-vrebbe essere sviluppata e perfezio-nata per calcolare l’incidenza dellosviluppo di altre specialità sul lavorodella radiologia medica (BFCR,RCR, 1999).

Nella stessa direzione del lavoro delRCR va, probabilmente, anche la re-cente relazione della «Commissione

per lo studio delle problematiche deiservizi di diagnostica per immagini»,istituita dal Ministero della sanità, cheha proposto dei carichi di lavoro, illu-strati nella tabella 5, definendo, perciascun tipo di apparecchiatura, il nu-mero minimo di esami attesi per turnodi lavoro e le unità di personale (medi-co, tecnico e infermieristico) necessa-rie al funzionamento delle apparec-chiature, tenuto conto anche dei turnidi ferie del personale. Al personalenon va computata la trascrizione delreferto e le attività amministrative perle quali deve essere previsto un perso-nale ad hoc (Ministero della sanità,2001).

La stessa Commissione ministerialenon ha però illustrato il percorso, lefonti o le ricerche effettuate per arriva-re alla citata determinazione, né le mo-dalità di utilizzo della tabella stessa.

Abbiamo dunque registrato almenoquattro sistemi di determinazione del

carico di lavoro che tengono contoesclusivamente del tempo di lavorodi ogni tipologia di prestazione: ilForesterhill, il MIS, il College Pointse la tabella della Commissione del Mi-nistero della sanità italiano. Di questiperò il Foresterhill è già stato abban-donato, il MIS canadese è partito dapochissimi mesi, mentre la tabella mi-nisteriale non è stata ancora applicata,per cui l’unico sistema abbastanzasperimentato appare essere il CollegePoints proposto dal Royal College ofRadiologists, anche se anche questosistema presenta un grande limite. Es-so infatti non tiene conto del tempoextra-esame del radiologo, che pureimpegna lo specialista in incarichi ge-stionali, nel lavoro di consulenza ecollaborazione con gli altri medici aifini diagnostici e terapeutici nonchénel contatto reiterato con i pazienti an-che ai fini della continuità assistenzia-le.

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Tabella 5 - Scheda bozza carichi di lavoro e personale

Fonte: Ministero della sanità (2001).

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5. Il numero dei pazienti per radio-logo

In Italia, la ricerca di un sistema perla determinazione del carico di lavoroha portato all’elaborazione del mo-dello SNR-SAGO-SIRM per la misu-razione dell’attività del radiologo,che utilizza l’indicatore peso/pazientecombinando il contributo di tempo edi professionalità individuali necessa-rie per ogni singolo paziente in rela-zione alla procedura radiologica pre-scritta.

Nel 1994 è stato pubblicato il no-menclatore SIRM-SNR, che esponeanaliticamente in 716 voci tutte le pre-stazioni erogabili in ambiente radiolo-gico, sia per la diagnostica che perl’interventistica. Per ogni voce vengo-no riportati:

— i tempi necessari per il personalemedico e paramedico e, quindi, i rela-tivi costi riferiti al valore del salariodel tempo;

— il costo dell’ammortamentomacchine più le spese generali;

— il costo dei materiali di consu-mo.

Per superare la relatività temporaledei prezzi veniva introdotto il concettodi peso adimensionale, ottenuto divi-dendo il costo relativo della singolaprestazione per il valore arbritario dilire 20.000. Per esempio il peso delpersonale medico per una data presta-zione per la quale sono necessari 20minuti veniva così ottenuto:

— tempo necessario 20' x 1.200 lireminuto = 24.000 lire;

— peso adimensionale = 1,2(24.000 : 20.000).

In questo caso era stato elaborato untempario analitico per tutte le singoleprestazioni, riferito a radiologi, tecni-ci, personale infermieristico e ammi-nistrativo. Si trattava, però, di tempinon sperimentati sul campo e non vali-dati su un grande numero di servizi e,nel caso di prestazioni multiple, si ot-

tenevano tempi standard molto lun-ghi. Inoltre, il nomenclatore era gesti-bile con difficoltà a causa dell’alto nu-mero di voci (Il Radiologo, 3/1994).

Nel 1995 veniva presentato un nuo-vo progetto SNR-SIRM che prevede-va la semplificazione, con recuperodei dati in macroaggregati omogeneied il calcolo, in via sperimentale, deicarichi di lavoro riferiti a tali ma-croaggregrati, su tutto il territorio na-zionale. Veniva costituita una com-missione di esperti SNR-SIRM e veni-va coinvolta, per l’assistenza tecnica estatistica, la Sago (società di ricercaper la organizzazione sanitaria). La ri-cerca si sviluppò in due fasi. La primafase si svolse tra il 1996 ed il 1997 econsentì di identificare:

— una classificazione di sintesi del-le prestazioni radiologiche, ottenutadall’aggregazione di prestazioni omo-genee, prendendo a riferimento il no-menclatore del 1994, in 8 voci;

— i punti/prestazione, intesi come itempi medi in minuti del radiologo perle prestazioni accorpate come da rile-vazione sperimentale (la maggior par-te delle prestazioni di radiologia tradi-zionale registrava un tempo/radiologodi 10 minuti e solo per poche tipologieveniva previsto un tempo maggioreper cui il tempo medio risultava 10,7);

— il rapporto prestazioni/paziente,inteso come il numero medio di pre-stazioni effettuate per ogni paziente.Esso permette di evitare le disomoge-neità nel conteggio degli esami che so-no consentite dal nomenclatore del1994, ma anche dal nomenclatore mi-nisteriale;

— i punti/paziente, intesi come ilprodotto dei due precedenti fattori eche rappresentano i minuti di impegnodel radiologo per quella tipologia dipaziente, considerando però che leprestazioni successive alla prima (ef-fettuate nella stessa sessione diagno-stica) richiedono mediamente un im-

pegno del radiologo pari al 50% dellaprestazione singola;

— i punti/paziente (relativo), corri-spondente ai minuti precedentementecalcolati divisi per 10 e quindi trasfor-mati in peso dimensionale (Panoramadella Sanità, 33/1996).

Nella tabella 6 è riportata la classifi-cazione di sintesi delle prestazioni ed icorrispondenti sistemi di punteggi(punti prestazione e punti paziente) ot-tenuti dalla ricerca. Il case-mix utiliz-zato si riferisce all’attività di un mese(novembre 1995) svolta nei servizi ra-diologici di 34 ospedali che hanno uti-lizzato il citato nomenclatore dellaSIRM. Nel campione erano presentianche i servizi di neuroradiologia.

Nella seconda fase dello studio(condotta nel periodo maggio-ottobre1997) veniva poi determinata la pro-duttività effettiva in un nuovo campio-ne di 27 centri italiani, tra i quali veni-vano ricompresi molti dei precedenti34, che mettevano a disposizione i da-ti dell’anno 1996 per un totale di datirelativi ad oltre 1.234.000 pazienti.Considerando tutta l’attività radiolo-gica programmabile, con esclusionedell’attività di pronto soccorso radio-logico in guardia attiva, secondo que-sta ricerca la produttività annua effet-tiva media ottenuta a livello comples-sivo risultava pari a:

— 8,7 punti medi per ora di lavoromedico (nell’ipotesi della detrazionedelle 4 ore settimanali per l’aggiorna-mento: totale 1.350 ore annuali);

— 7,7 punti medi per ora di lavoromedico (nell’ipotesi senza detrazionedelle 4 ore settimanali per l’aggiorna-mento: totale 1.558 ore annuali).

Ogni punto corrisponde ad un im-pegno medio di circa 7-8 minuti. Lavariabilità degli indici di produttivitàoscilla di circa il 30% in più e in menoattorno al valore medio (SNR, SAGO,SIRM, 1998). I dati raccolti denotanouno scostamento rilevante rispetto al

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comportamento medio effettivo deiservizi radiologici.

L’idea di realizzare un sistema dimisurazione delle prestazioni cheprende in considerazione i pazienti in-vece delle singole prestazioni è inno-vativa nel panorama internazionale,anche se non c’è evidenza che essopossa rispondere meglio di altre impo-stazioni alle domande del settore. Pe-raltro, non essendo i nomenclatori(utilizzati) univoci in tutta Italia, la so-la entità misurabile senza equivoci è ilpaziente (nel 1996, in alcune regioni,l’adozione del tariffario regionale hamodificato significativamente il nu-mero delle prestazioni a parità di nu-mero dei pazienti). Inoltre tale sistemaè in grado di disincentivare natural-mente gli esami radiologici inutili, maha un punto debole laddove assegnaun «peso» predeterminato alle presta-zioni plurime nel singolo paziente ri-sultante dalla media del campione, mache potrebbe differire notevolmentenei vari centri.

Questo sistema non si è molto diffu-so nelle unità di radiologia perché noncorrisponde al tariffario del Ssn, non è

utilizzabile (senza transcodifica) ai fi-ni contabili per il pagamento delle pre-stazioni, richiede un software specifi-co per un utilizzo che interessa l’unitàoperativa ma non l’azienda sanitaria. Idati calcolati mantengono un rangetroppo elevato di approssimazione pa-ri al 30% in più o in meno. Tutti questielementi richiedono l’elaborazione diun sistema che sappia diffondersi intutte le realtà italiane fornendo l’ade-guato supporto al management radio-logico.

6. Le Körner Units

Le Körner Units vennero introdottein Inghilterra e nel Galles per offrireun metodo di calcolo del carico di la-voro che tenesse conto del case-mixdelle prestazioni radiologiche. Il siste-ma venne progettato per valutare lacomplessità degli esami raggruppan-do gli stessi in sei categorie in base alcosto, mentre il contributo del radio-logo veniva misurato su una basestandard del 20% senza tener contodella complessità e del tempo necessa-

ri allo specialista per l’esame stesso(cfr. tabella 7).

Le Körner Units, per un certo perio-do, sono state utilizzate a livello ospe-daliero come guida per la determina-zione del carico di lavoro, poi la lorol’importanza si è notevolmente ridot-ta, soprattutto con l’avvento delle pro-cedure con immagini computerizza-te e con tecniche interventistiche. LeKörner Units, infatti, non riflettonoaccuratamente i costi delle prestazionie la durata del coinvolgimento dei ra-diologi in queste prestazioni che tantopeso hanno invece nel lavoro attualedelle radiologie. Lo stesso Serviziosanitario inglese (NHS) non raccogliepiù i dati ad esse relative anche se al-cuni reparti continuano ad usarle.Inoltre, continuano ad essere usate inalcune ricerche per misurare e compa-rare la produttività e i costi delle pre-stazioni radiologiche. Recentementela Audit Commission ha potuto verifi-care un costo medio per Körner Unitsdel 14% più bassa nei grandi ospedalirispetto a quelli piccoli. Questo po-trebbe voler dire che nelle grandistrutture si riesce meglio ad ammortiz-

Tabella 6 - Classificazione di sintesi delle prestazioni radiologiche e sistemi di punteggi elaborato dalla SNR-SAGO-SIRM

Fonte: SNR, SAGO, SIRM (1998).

zare gli alti costi fissi delle apparec-chiature e si realizza un livello più ele-vato di efficienza (Audit Commission,2002).

7. Il Relative Value Scale (RVS)

Negli Stati Uniti si utilizza, dal1992, un nuovo meccanismo di paga-mento di tutte le prestazioni mediche,la «scala di valori relativi basata sullerisorse utilizzate» (Resource BasedRelative Values Scale - RBRVS), cheè un meccanismo di pagamento pro-spettico dei medici simile al Drg, mache è volto a riflettere il valore delle ri-

sorse richieste per fornire la prestazio-ne. Il sistema è particolarmente inte-ressante perché interviene sia sulleprestazioni ambulatoriali che su quel-le mediche ospedaliere.

Il meccanismo precedente, in vigo-re fino al 1991, lasciava ampia auto-nomia ai medici nella definizione del-le tariffe relative alle loro prestazioni,che, anche in ospedale, sono di tipo li-bero-professionale. Questo aveva por-tato ad un aumento delle spese medi-che (crescita doppia rispetto al PIL nei20 anni precedenti) e ad uno scarsocontrollo, sia sulla quantità che sullaqualità/intensità delle prestazioni rim-

borsate dal programma Medicare. Ilnuovo sistema RBRVS, avviato nel1992, è invece un indice relativo dellerisorse assorbite per erogare le 7.500prestazioni che sono state catalogate eche comprendono quasi tutte le atti-vità mediche e chirurgiche. I «costimedi» di queste prestazioni tengonoconto:

— del lavoro impiegato per fornireogni singola prestazione;

— dei costi generali relativi all’e-sercizio della professione medica;

— dei costi relativi al periodo di ad-destramento del medico.

La scala non viene definita con deivalori monetari ma con degli indici.Spetta al Congresso USA, annualmen-te, stabilire il valore delle tariffe attra-verso l’approvazione di un fattore diconversione degli indici. I valori rela-tivi sono poi aggiustati in base ad unindice di costo geografico, per tenereconto dei diversi costi per l’eserciziodella professione medica nelle diverseparti degli USA.

Questo sistema, nella sua prima fa-se, ha incontrato opposizioni fortissi-me che hanno portato il Congresso aduna sua applicazione graduale. Le cri-tiche sono dovute al fatto che il nuovosistema ha radicalmente mutato il si-stema tariffario, penalizzando note-volmente le prestazioni ad alto conte-nuto tecnologico ed alcune prestazionichirurgiche, mentre ha valorizzatoquelle di medicina di base e le visiteambulatoriali.

Ciononostante la «scala di valori re-lativi basata sulle risorse utilizzate» harappresentato, al momento della suaintroduzione nei primi anni novanta,un passo avanti perché finalmente hamesso a disposizione un sistema tarif-fario unico basato anche sull’impegnodi lavoro. Il sistema RBRVS è oggiutilizzato per la remunerazione delleprestazioni erogate per conto del pro-gramma Medicare, ma la classifica-zione è ancora poco equilibrata nei

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Tabella 7 - Categorie, prestazioni e pesi delle Körner Units

Fonte: Audit Commission, 2002.

«pesi» assegnati alle singole presta-zioni ed è inadeguata nella parte relati-va alla qualità delle prestazioni.

All’interno di questo sistema validoper tutte le discipline si sono inveceapprovate delle regole particolari pertre settori che sono l’anestesia, il labo-ratorio d’analisi e la radiologia, affin-ché si tenesse conto delle loro specifi-cità. Per la radiologia tutto questo hasignificato approvare un proprio spe-cifico sistema denominato RelativeValue Scale (RVS).

Nella professione radiologica, laRVS è stata sviluppata nel corso di di-versi anni. Nel 1965 l’American Col-lege of Radiologists (ACR) ha decisodi sostituire lo schema precedente ba-sato sui valori relativi con dei valoribasati sul tempo e sull’impegno dedi-cati dal radiologo per ogni singola pre-stazione (Moorefield, 1993). Nel 1988l’ACR ha sviluppato una Scala di va-lore relativo per le procedure radiolo-giche anche per rispondere alle pres-sioni del Governo federale sul conte-nimento dei costi. La scala rifletteva illavoro medico e i costi di esecuzionedi ogni singola procedura. La RVS ri-sultante è stata poi accettata dal pro-gramma Medicare che, con qualcheaggiustamento e correzione, ne ha fat-to il sistema di pagamento delle pre-stazioni radiologiche.

Successivamente l’ACR ha sceltodi utilizzare tre indagini per raccoglie-re i dati utili per una valutazione dellavalidità della Scala di valore relativo.La prima indagine ha misurato la com-plessità di una procedura in termini ditempo, impegno mentale, abilità tec-nica, controllo di qualità ed assicura-zione e danno potenziale della proce-dura al paziente. Una metodologia dicomparazione è stata scelta invece perdefinire il livello di complessità di 45procedure, mentre una altra ricerca èstata portata a termine per stabilire ilcosto delle 740 procedure radiologi-che, coinvolgendo 400 unità operative

di radiologia. Per valutare i dati vennecostituito un Panel di consenso checomprendeva un comitato di coordi-namento (16 radiologi) e sette panelsspecializzati. Questi ultimi venneroincaricati di verificare, sulla base deidati pervenuti, le discrepanze princi-pali fra il vecchio sistema RVS basatosul valore e il nuovo RVS basato sultempo e l’impegno del radiologo. Ingenerale poche discrepanze sono stateidentificate; tuttavia le inadeguatezzepiù rilevanti sono state rilevate per leprocedure più complesse. Ciò era do-vuto al fatto che quando i valori sonostati stabiliti molte nuove procedure«high-tech» si stavano usando da pocoe i radiologi non avevano ancora unaadeguata conoscenza di queste. Con iltempo, queste procedure sono diven-tate più ordinarie e, quindi, diversa-mente dal passato, diventava più faci-le effettuare una corretta valutazionedi grandezza delle prestazioni stesse.Inoltre i panels hanno rilevato che èdifficile valutare la differenza nell’im-pegno fra una procedura molto sem-plice e una molto difficile. Anche seuna comparazione delle procedure èstata utilizzata, i processi di valutazio-ne di grandezza tendono a comprime-re la differenza fra le procedure sem-plici e quelle complesse, con il risulta-to che le prime ne escono sopravvalu-tate e le seconde sottostimate. Sullabase dei dati raccolti e delle valutazio-ni del comitato di coordinamento e deipanel specializzati, vennero comun-que apportate delle modifiche alloschema di RVS che venne completatodefinitivamente nel 1988. La RelativeValue Scale risultante contiene oggitre insiemi di RVS: la RVU (relativevalue unit) globale, la RVU professio-nale e la RVU tecnica. La prima è lasomma delle altre due.

Nel 1992, la RVS formulata dal-l’American College of Radiologistsvenne incorporata nel sistema sta-tale di pagamento delle prestazio-

ni Medicare. L’agenzia governativaHealth Care Financing Administration(HCFA), che provvede al pagamentodelle prestazioni, ha diviso la compo-nente professionale della RVS in treparti: lavoro, spese di esecuzione espese per il rischio di errore medico(malpractice), sulla base delle percen-tuali storiche di costo di esecuzioneper radiologi che non possiedono laloro propria apparecchiatura (BFCR,RCR, 1999).

La componente professionale dellaRVS (PCWRVU) viene usata solita-mente come lo strumento base per mi-surare il prodotto del lavoro dei radio-logi statunitensi attraverso l’elabora-zione di una serie di indici specificicome l’indice di produttività/rendi-mento, l’indice di disponibilità e l’in-dicatore di intensità illustrati nella ta-bella 8.

Le formule per il calcolo degli indi-ci sono destinate a stabilire una meto-dologia per misurare la performancedella pratica e a valutare la sua effi-cienza relativamente alla produzionedel lavoro. Per stabilire una base sucui confrontare pratiche diverse e ren-dere possibile una comparazione neltempo e con un mix di procedure di-verse, si è scelto di usare la compo-nente professionale del lavoro dellaRVU (PCWRVU) come lo standarddi misura. La RVU offre un piano co-mune su cui basare tutte le proceduredove la quantità di lavoro richiesto perrealizzare ogni indagine è confrontatacon il lavoro richiesto per leggere unesame del torace (dove la componenteprofessionale del lavoro RVU è ugua-le a 0,19).

L’indice di rendimento (cfr. tabella8) è derivato tabulando tutte le proce-dure effettuate moltiplicando il codicedi ogni procedura per il relativo pesoin termini di fattore lavoro che perl’appunto si chiama PCWRVU (cfr.tabella 9).

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Quando i PCWRVU totali per tuttele procedure sono stabiliti, quel nume-ro viene diviso per le ore fornite dispo-nibili totali (TASH). TASH è il totaledel tempo che i radiologi mettono a di-sposizione per il lavoro con esclusionedelle ferie, delle ore di chiamata nonsul luogo, delle ore per l’ECM, delleriunioni del personale, delle conferen-ze, ecc. Non è sempre necessario com-parare l’indice di rendimento con altreunità operative o con altre realtà. Se,per esempio, ci poniamo la domandase sia necessario aggiungere un altroradiologo al personale, si può compa-rare l’indice di rendimento attuale conquello degli anni precedenti. Questopotrebbe dimostrare se c’è stato un au-mento del carico di lavoro. Il vantag-gio dell’uso di standard sviluppati al-l’interno della pratica è che essi con-frontano più direttamente il diversomodo di funzionare delle diverse unitàoperative. Naturalmente il confrontopuò portare a situazioni imbarazzantiper chi deve prendere decisioni, datoche ci sono unità che possono aver de-ciso di avere un passo veloce ed altre

Tabella 8 - Indici ed indicatori usati per misurare il lavoro dei radiologi statunitensi

Fonte: Radiology business management association, sito web.

Tabella 9 - Definizioni standard utilizzate per misurare il rendimento dei radiologi statuni-tensi

Fonte: Radiology business management association, sito web.

che possono aver deciso di averlo me-no serrato.

L’indice di disponibilità si calcoladividendo il TASH per il numero dimedici a tempo pieno equivalente(FTE) e rivela un valore che può esse-re confrontato con altre unità operati-ve per determinare il tempo utilizzatonella pratica radiologica.

L’indicatore di intensità è usato perstabilire la quantità media di unità dilavoro derivate dalla pratica per pro-cedura. Questo contribuirà a determi-nare il carattere del lavoro, dato che,se il numero è molto elevato, una am-pia quantità di elevati PCWRVU è sta-ta realizzata, come per esempio gliesami di RMN. Se il numero è moltobasso, vorrà dire invece che tantissimepiccole procedure di PCWRVU sonostate realizzate, come per esempio gliesami del torace. Nella maggior partedei casi si ottengono dei numeri inter-medi che rivelano una miscela mediadi procedure di alto e di basso valore(RBMA, sito web).

Con l’introduzione di questo siste-ma la letteratura statunitense si è con-quistata il ruolo di referente principaleper la misurazione della produttivitàdel radiologo con la misura del «lavo-ro medico della RVU per radiologoper anno» (BFCR, RCR, 1999).

Pertanto degli studi sulla produtti-vità dei radiologi americani si trovanocon una relativa facilità per cui è statoverificato, per esempio, che il caricodi lavoro, nel 1992, non è differito so-stanzialmente dalle medie calcolateper il 1989 o il 1986. La media delleprocedure di radiologia diagnosticaaveva un valore relativo (RVU) di2,45, mentre l’unità di valore relativoper radiologo a tempo pieno era me-diamente di 27.000 unità (RVU/FTE)(BFCR, RCR, 1999). Successivamen-te, invece, il carico di lavoro dei radio-logi americani, calcolato con il siste-ma RBRVU, è aumentato mediamentedel 4% annuo, soprattutto per l’au-

mento degli esami più impegnativi co-me quelli di TAC, RMN ed interventi-stici (Conoley, 2000; Bhargavan, Sun-shine, 2002).

8. Valutazioni

La produttività dei radiologi variamoltissimo fra un Paese e l’altro maanche all’interno di uno stesso Paese.L’Audit Commission inglese ha veri-ficato, nel 2002, un rendimento assaidiverso fra i vari dipartimenti di ra-diologia, fra radiologi, fra tecnici diradiologia e fra ospedali. L’indagineha evidenziato anche che i radiologiconsultant che lavorano negli ospeda-li di insegnamento sono i più produtti-vi ma questo è probabilmente dovutoall’ampio utilizzo dei medici in for-mazione che non viene contabilizzato(Audit Commission, 2002). La stessacosa avviene in Italia dato che, nel so-lo anno accademico 2001-2002, gliiscritti alla scuola di specializzazionein Radiologia sono stati 406 (in asso-luto al primo posto tra le varie Scuo-le). I medici specializzandi segnalanodi «lavorare negli ospedali universita-ri anche più di 50 ore a settimana».(A.M.S.C.E. - Associazione medicispecialisti della Comunità europea especialisti in formazione). In sostan-za, i medici che frequentano i corsi dispecializzazione in radiologia, lavo-rando a tempo pieno nelle strutturesanitarie per 4 anni, dovrebbero esse-re inquadrati diversamente, megliodistribuiti tra strutture universitarie edel Servizio sanitario regionale e, fat-te salve le specifiche esigenze di ap-prendimento, considerate una risorsadi cui tener conto. Ad esempio il lorocontributo alla produttività, tolto l’an-no iniziale, potrebbe essere valutato(in dieci ore settimanali).

Le differenti produttività sono cau-sate da diversi fattori. Ci sono fattori,per esempio, che limitano la precisio-ne della misura della produttività, co-

me la corretta attribuzione del peso as-segnato al case-mix delle prestazioniche deve riflettere l’intensità delle ri-sorse utilizzate per ogni esame. Tutta-via l’ampia variazione nella produtti-vità dei vari tipi di ospedali richiededelle ulteriori indagini, quanto menoper comprendere come mai e per qualiaccorgimenti organizzativi taluni di-partimenti di radiologia hanno unaelevata produttività (Audit Commis-sion, 2002).

Non è facile valutare il carico di la-voro ovvero la produttività dei radio-logi nonostante che da vari anni e invarie parti del mondo si stiano speri-mentando vari sistemi di valutazione.La ricerca di un sistema che possa an-dare bene è stata resa fino ad oggi im-praticabile dalla diversità delle singo-le esperienze nazionali. Pensiamo peresempio al diverso sistema di remune-razione dei radiologi nel mondo o alloro orario di lavoro. Ebbene, per limi-tarci a questo ultimo aspetto, i radiolo-gi generalmente lavorano per un nu-mero di ore superiore rispetto a quantoprevisto nel contratto di lavoro. Que-sto è stato dimostrato in un ricerca cheha evidenziato che il tempo di lavoromedio per settimana dei radiologi in-glesi era 48 ore contro una previsionecontrattuale di 10 sessioni (NHDs) di3,5 ore per un medico a tempo pieno(BFCR-RCR, 2002). I radiologi au-straliani lavorano mediamente 48,6ore per settimana. I maschi 49,9 orementre le femmine 42,2 ore per setti-mane. Le ore di lavoro settimanali so-no più elevate nella fascia di età 35-54anni (RANZCR, 2001). Su questi datiinfluisce anche la presenza femminiledato che è quella che più frequente-mente utilizza il part-time. Infatti, il28% circa delle radiologhe australianesono in part-time, per cui, in genere,lavorano meno di 35 ore settimanali.Le radiologhe sono comunque in cre-scita (tra gli specializzandi rappresen-tano in genere tra il 30% e il 41% degli

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iscritti totali) mentre oggi rappresen-tano tra il 13% come in Belgio e il27% come nel Regno Unito del tota-le dei radiologi. La media nei paesiindustrializzati è invece del 20%(RANZCR, 1999).

I dati in nostro possesso induconoinfine a richiedere un ulteriore ap-profondimento sulla produttività deiradiologi italiani. I dati grezzi elabora-ti a questo proposito indicherebberoun basso carico di lavoro dei radiologiitaliani rispetto ai colleghi delle altrenazioni; indicazione questa che va ve-rificata ed eventualmente indagatanelle sue cause.

Anche per questo oggi è assoluta-mente indispensabile disporre di unosperimentato e rigoroso sistema di va-lutazione del lavoro in radiologia siaper le aziende sanitarie che per glioperatori stessi. La carrellata sui varisistemi di valutazione ha evidenziatol’assenza di un modello che possa sod-disfare tutte le esigenze. Probabilmen-te vale la pena di abbandonare l’ideadi trovare un modello universale giàbello e pronto. L’inventario dei varisistemi serve invece a darci utili indi-cazioni sul modello di valutazione cheserve in Italia. Da questo punto di vi-sta alcune indicazioni sorgono sponta-nee. Innanzitutto il modello america-no delle RVS essendo basato soprat-tutto sul costo delle prestazioni non èutilizzabile in Italia dove i medici nonsono pagati a prestazione. Così comenon si può utilizzare il sistema del nu-mero di prestazioni per medico radio-logo perché non tiene conto dell’im-pegno che richiedono prestazioni as-sai diverse. Il modello più appropriatoin Italia appare dunque essere quellodel peso/tempo da assegnare alle pre-stazioni. Un sistema, per intenderci,che parta dall’esperienza dei CollegePoints ma che consideri nel tempodelle prestazioni anche il tempo medioche i medici utilizzano per la clinicalgovernance e per i compiti gestionali.

Uno strumento rigoroso e validato chepossa essere utilizzato facilmente intutte le diagnostiche per immagini ita-liane e che pertanto abbia anche le se-guenti caratteristiche:

— semplicità di uso;— uniformità di applicazione in tut-

to il territorio nazionale;— basso costo di gestione;— totale integrazione nel sistema

informativo dell’azienda sanitaria.Questo significa che lo strumento

per il calcolo del carico di lavoro deiradiologi deve fondarsi sul sistemainformativo delle aziende sanitarie eda queste deve essere gestito in modoautomatico nel momento stesso in cuivengono registrate le singole presta-zioni. Ciò comporta che il sistema divalutazione del carico di lavoro deveessere agganciato al nomenclatore na-zionale e valutare le singole prestazio-ni e non il carico di lavoro per singolopaziente. Naturalmente a questa impo-stazione di carattere generale potran-no essere apportati dei correttivi (sem-plici ed automatici) nei casi in cui sierogano più prestazioni per lo stessopaziente, dato che i tempi di esecuzio-ne si riducono notevolmente (peresempio, la seconda prestazione effet-tuata sullo stesso paziente potrebbe«pesare» la metà della prestazione in-tera).

Questo potrebbe essere lo standardbase a cui si deve poi aggiungere unaquota percentuale di lavoro per impe-gni non legati all’esecuzione dellaprestazione radiologica. Essa può va-riare in relazione al ruolo del medico.Il peso del lavoro manageriale sarà peresempio più ampio per un direttore diunità o di dipartimento e meno per glialtri medici. Tale percentuale potreb-be essere indifferenziata a livello na-zionale o (meglio ancora in questa fa-se iniziale) stabilita a livello azienda-le, previa trattativa tra radiologi e dire-zione generale per tener conto dellerealtà locali aziendali e degli impegni

di cui devono farsi carico i singoli ra-diologi.

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N. 48 - Sez. 1a 53

SOMMARIO: Introduzione - 1. Le relazioni tra pubblico e privato nella dottrina economico-aziendale - 2. Le relazioni di collaborazio-ne tra pubblico e privato in sanità nell’evoluzione del contesto istituzionale di riferimento - 3. Obiettivi e schema analitico della ricer-ca - 4. Metodologia della ricerca - 5. Risultati - 6. Discussione e conclusioni.

This paper aims to investigate the collaborative relationships among public, private and non-profit actors within the health sector.The underpinning assumption of this paper is that interorganizational relationships are developed in order to pursue strategic goals,mostly in the single firm’s perspective. Accordingly, this paper examines different kinds of collaborative relationships created byproviders (hospitals, academic centers, etc.) in the Regional Health Service of Lazio Region (Italy). Evidence show that thoserelationships could/may assume various forms, although the number of actual managerial experimentation is still narrow (ref.«sperimentazioni gestionali, ex art. 9 bis D.L.vo 502/92»).

Introduzione

L’evoluzione del contesto istitu-zionale nel quale operano gli istitutititolari di funzioni pubbliche in ambi-to sanitario ha permesso alle aziendedel settore di ridisegnare i propri con-fini rispetto all’ambiente di riferimen-to. Il sistema di obiettivi e vincoli at-tribuiti all’azienda sanitaria e la rela-tiva autonomia della quale gode ilmanagement sanitario in ordine allescelte di estensione spaziale, verticalee orizzontale delle combinazioni eco-nomiche hanno favorito lo sviluppo dirapporti interaziendali nuovi per tipo-logia e intensità con una pluralità diattori economici e sociali. Dalla pre-valenza di relazioni interaziendali im-postate secondo la logica transaziona-le con il settore privato si è giunti allosviluppo di rapporti basati sulla logi-ca relazionale con l’attivazione di for-me di collaborazione di carattere du-raturo in grado di incidere sugli asset-ti e sul governo delle aziende sanitarie

interessate. I legami di tipo «forte», incui la relazione tra le aziende si strut-tura fino a configurare la nascita dinetwork formali o di nuovi soggettigiuridici, si stanno progressivamenteaffiancando ai tradizionali legami ditipo «debole», quali i rapporti discambio. Anche le relazioni di tipodiadico, che pur mantengono il loropeso, sembrano assumere un signifi-cato e un potenziale strettamente con-nesso alla rete di relazioni in cui gliattori sono inseriti (Anderson et al.,1994).

La stretta correlazione esistente traobiettivi aziendali e relazioni intera-ziendali instaurate e l’importanza as-sunta dalla collaborazione tra pubbli-co, privato e non profit nella creazionedi valore economico-relazionale sug-gerisce di approfondire l’analisi delcomplesso tessuto di relazioni di col-laborazione sviluppate dalle aziendesanitarie per il perseguimento degliobiettivi prefissati.

1. Le relazioni tra pubblico e pri-vato nella dottrina economico-aziendale

Il tema delle relazioni tra le diverseclassi di aziende è stato studiato da nu-merose discipline con finalità e ap-procci diversi. Partendo dal presuppo-sto che le relazioni interaziendali con-tribuiscono a generare valore per l’a-zienda (Doz e Hamel, 1998), i diversicontributi tendono a riflettere la plura-lità di motivazioni e obiettivi alla basedel loro sviluppo. Le diverse spie-gazioni sono state ricondotte ad alcu-ni paradigmi teorici fondamentali:la teoria dei costi di transazione(Williamson, 1975, 1985, 1991), lateoria della dipendenza delle risorse(Pfeffer e Salancik, 1978; Scott,1987), la strategic choice theory(Jarillo, 1989; Kogut, 1988) la teoriadegli stakeholder (Jensen e Meckling,1976; Axelrod et al., 1995; Freeman,1984, 1994) la teoria dell’apprendi-mento organizzativo (Hamel, 1991;

LE RELAZIONI TRA PUBBLICO, PRIVATO E NON PROFITIN AMBITO SANITARIO E SOCIO-SANITARIO:

UNA RICERCA EMPIRICA NELLA REGIONE LAZIO

Manuela Samantha MacinatiFacoltà di Economia - Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma

Kogut, 1988; Mowery et al., 1996) ela teoria istituzionale (Di Maggio ePowell, 1983; Baum e Oliver, 1991).

La dottrina aziendalistica italiana,nel tentativo di spiegare i rapporti del-l’istituto con l’ambiente, ha trattatocon particolare attenzione il tema del-le relazioni fondamentali che collega-no tra loro le varie aziende. Tradizio-nalmente, tuttavia, tale studio si è con-centrato sull’analisi delle relazioni discambio, in particolare quelle discambio monetario di carattere com-petitivo, attuato dalle aziende di pro-duzione. Partendo dal modello socio-logico dell’interdipendenza struttura-le, la dottrina aziendalistica classicaindividua nello scambio lo strumentoper la realizzazione della complemen-tarità tra tutte le classi di azienda (1) invirtù dell’assunto in base al quale «icosti, i ricavi e i redditi e i patrimonidelle aziende di ogni ordine siano mi-surati univocamente partendo da valo-ri monetari corrispondenti a tali scam-bi» (Airoldi et al., 1994). Nonostantela focalizzazione sulle relazioni discambio di carattere competitivo, an-che la dottrina classica sottolinea la ri-levanza di altre tipologie di rapportiinteraziendali e, in particolare, dellerelazioni di collaborazione poiché co-me scrive Ferrero (1968) «in virtù ditali relazioni economiche interazien-dali — relazioni intese in senso lato, aldi là dei limiti segnati dagli scambi dimercato — possono aversi aziendeoggettivamente interdipendenti». Iltema della collaborazione tra le diver-se classi di aziende «quale strumentoper un dialettico rapporto tra impresa eambiente» (Azzini, 1974) viene tutta-via trattato dall’economia aziendaleclassica allo scopo di enucleare le pos-sibili forme di relazioni che trovanonelle aziende di produzione (2) il pro-prio punto di riferimento.

Notevole impulso allo studio dellerelazioni di collaborazione da partedella dottrina aziendalistica italiana

derivano dallo sviluppo della teoriadegli stakeholder. Solo in tempi relati-vamente recenti rispetto a quanto ac-caduto a livello internazionale, la let-teratura economico-aziendale italianaha iniziato dunque a studiare le rela-zioni non competitive di cooperazionein maniera autonoma come fenomenodal quale discendono implicazioni dicarattere strategico e organizzativo dipreminente rilievo.

A partire dagli anni ’80, si è assisti-to al passaggio dalla logica dimensio-nale (la grande azienda che sottomettealla sua gerarchia tutte le fasi del cicloproduttivo integrale) a quella relazio-nale, basata sulla sistematica collabo-razione nella catena del valore, allaquale possono riconnettersi beneficiin termini di efficienza e di creazionedel valore (Cavalieri, 1999). Nelle re-lazioni di cooperazione, infatti, non sieffettua un «gioco a somma zero» do-ve l’aumento di risorse ottenute da unpartner si traduce in una riduzionedelle risorse disponibili per l’altro.L’obiettivo cui si tende è quello di ac-crescere il valore prodotto, sfruttandole «potenzialità realizzabili solo me-diante l’integrazione delle attività edelle risorse controllate da ognuno»(Ferrero e Cherubini, 1999). Le rela-zioni non competitive tra le aziende sisostanziano in una pluralità di formedi aggregazione che la dottrina ha va-riamente classificato a seconda degliscopi perseguiti. Tuttavia è possibileindividuare alcuni tratti caratteristicidei rapporti di collaborazione. Essi,fondati su una convergenza di interes-si e finalizzati al conseguimento dicongiunti obiettivi, presuppongonoun significativo coinvolgimento deipartner in termini di apporto e scam-bio di risorse umane, competenze di-stintive, risorse finanziarie e tecnolo-giche, capacità manageriali e impren-ditoriali (Zuffada, 2000).

Nel contesto delle relazioni noncompetitive si collocano anche le rela-

zioni di collaborazione tra soggettipubblici e tra queste e le aziende pri-vate. Secondo Rondo Brovetto(1996), «la collaborazione tra impresee amministrazioni pubbliche implicauna relazione attraverso la quale cia-scuna delle due parti trovi più agevoleil raggiungimento dei propri fini [...] e,per quanto i fini di ciascuna aziendasiano eterogenei, gli interessi sonoconvergenti o addirittura comuni». Lacollaborazione, dunque, consente siaalle amministrazioni pubbliche che al-le aziende private di perseguire le pro-prie finalità. Tale eventualità si verifi-ca, a ben vedere, anche nei rapporti discambio. Tuttavia, mentre in quest’ul-timo caso gli specifici interessi sonodivergenti e contrapposti, il presuppo-sto per lo sviluppo di relazioni di col-laborazione è il perseguimento diobiettivi comuni che non potrebberoessere realizzati in modo altrettantoefficiente se non attraverso la collabo-razione. Altri presupposti per lo svi-luppo di relazioni di collaborazionetra aziende pubbliche e private sonorelativi all’esistenza di condizioni am-bientali tali affinché la convergenza diinteressi si consolidi e alla capacità digestione della relazione da parte deisoggetti coinvolti (Rondo Brovetto,1996).

2. Le relazioni di collaborazione trapubblico e privato in sanità nel-l’evoluzione del contesto istitu-zionale di riferimento

Ispirandosi al movimento del NewPublic Management e facendo propriol’approccio economico-aziendale allaPubblica amministrazione, i decreti diriforma del Servizio sanitario nazio-nale (Ssn) (D.L.vo 502/92 e 517/93)hanno esaltato la dimensione azienda-le degli erogatori sanitari quale mezzoper il perseguimento delle finalità ge-nerali di istituto. Lo spazio economicooccupato dalle aziende sanitarie, la

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cui ampiezza dipende dall’intensità(quantità e qualità) delle relazioni chele aziende sono sollecitate ad attivare(Cavalieri, 1999), si è progressiva-mente ampliato in funzione dell’evo-luzione degli obiettivi e dei vincoli at-tribuiti alle stesse dal contesto istitu-zionale di riferimento e dei rinnovatispazi di autonomia concessi al mana-gement sanitario per la gestione dellecombinazioni economiche.

Il passaggio da logiche di integra-zione orizzontale e verticale, tipichedel periodo che va dagli anni ’80 aglianni ’90, a quelle di deintegrazione,delineate dai decreti di riforma del Ssn(D.L.vo 502/92 e D.L.vo 517/93), haindotto le aziende sanitarie a persegui-re prioritariamente i vantaggi derivan-ti della specializzazione istituzionale egestionale-organizzativa (Del Vec-chio, 2003). La tendenza verso la spe-cializzazione, limitando l’autonomiadelle aziende sanitarie neo-costituite,ha creato le condizioni per un intensosviluppo di relazioni interaziendalicon altri soggetti pubblici, privati enon profit. In questo contesto, la pos-sibilità da parte del management sani-tario di effettuare delle scelte autono-me rispetto all’estensione verticaledelle combinazioni economiche, hadato notevole impulso alle relazioniinstaurate con soggetti privati per l’e-sternalizzazione di alcune funzioni e,in particolare, quelle ancillari (lavan-deria, mensa, pulizie ecc.) (Gasparri eMacinati, 2003) che permettessero ilcontenimento dei componenti negati-vi di reddito e la sostituzione dei costifissi con costi variabili. Si tratta, tutta-via, di relazioni ancora informate auna logica transazionale basata, inmassima parte, sulla sostituibilità del-la controparte e sulla reciproca auto-nomia. Differente è il tipo di rapportoinstaurato per l’esternalizzazione diservizi di maggior rilievo ai fini delconseguimento delle finalità istituzio-nali e dell’efficienza gestionale. Nel-

l’esternalizzazione di servizi qualiquelli informativi e informatici o in-fermieristici è possibile scorgere i trat-ti caratteristici dell’outsourcing colla-borativo contraddistinto da una note-vole interazione tra le parti, fiducia econdivisione del know-how (Suarez-Villa, 1998). In questi casi, la logicache guida lo sviluppo delle relazioniinteraziendali non è più di tipo pura-mente transazionale; ad essa si affian-ca, o addirittura si sostituisce, un’otti-ca di tipo relazionale.

Un significativo impulso allo svi-luppo di relazioni interaziendali più«evolute» rispetto a quelle di puroscambio è offerto dalla recente pro-gressiva introduzione di logiche digovernance nell’esercizio delle fun-zioni e dei poteri pubblici. Il supera-mento dell’ottica intra-istituzionale,tendente al conseguimento dell’ef-ficienza dell’organizzazione, e il pas-saggio a quella inter-istituziona-le, tendente al conseguimento dellapolicy effectiveness (Newmann, 2002;Kickert, 1997), richiede lo sviluppo diuna serie di relazioni cooperative conaltri soggetti pubblici e privati chepossono contribuire alla creazione divalore per la collettività. In questoquadro di più ampio respiro, viene adelinearsi una ulteriore fase di evolu-zione del Ssn dominata dalla ricerca disinergie e razionalità a livello di siste-ma (Del Vecchio, 2003). Simile impo-stazione, accolta dal legislatore in di-versi provvedimenti normativi, nascedalla constatazione delle interdipen-denze esistenti tra i soggetti diretta-mente o indirettamente impegnati nelprocesso assistenziale e costituisce ilpresupposto per la costruzione di unsistema capace di conseguire obiettividi salute univoci e convergenti. Inquesta fase, il problema prioritario di-viene il governo della rete di relazioniche si instaurano tra soggetti diversiper finalità specifiche e cultura azien-dale.

Il tema della collaborazione trapubblico e privato nel Ssn è statoper la prima volta affrontato dallaL. 412/91 attraverso l’introduzionedell’istituto della sperimentazione ge-stionale. Senza fornirne una precisadefinizione, l’articolo 4 di detta leggesi riferisce in termini generici alla pos-sibilità di attuare forme di collabora-zione tra pubblico e privato, anche inderoga alla normativa vigente, finaliz-zate all’acquisizione di risorse finan-ziarie, di conoscenza e di esperienza.Questa norma sembra riflettere la lo-gica di deintegrazione che ha caratte-rizzato il settore sanitario negli anni’90. Attraverso la previsione di unospecifico istituto giuridico, la speri-mentazione gestionale, il legislatoreaccoglie l’idea che alla specializzazio-ne non possa non corrispondere un au-mento del grado di interdipendenza tral’azienda sanitaria e altri soggetti pub-blici e privati. Sebbene sottoposto adiverse limitazioni, l’istituto dellasperimentazione gestionale è stato ri-preso sia dal D.L.vo 502/92 (art. 9 bis)che dal successivo D.L.vo 229/99 (art.10). La legge 405 del 2001 intervienesuccessivamente a modificare l’arti-colo 9 bis del D.L.vo 502/92 sottraen-do le sperimentazioni gestionali al-l’autorizzazione della ConferenzaStato-Regioni e rimettendole alla solavolontà regionale. La Regione Lazio,contesto nel quale il lavoro di ricercasi sviluppa, non ha ancora emanatospecifiche norme in tal senso.

L’esaltazione della dimensioneaziendale degli organismi sanitari e lanecessità di sviluppare relazioni inte-raziendali con soggetti privati si rin-vengono altresì nella Legge finanzia-ria 2002. L’articolo 29 prevede la pos-sibilità per le pubbliche amministra-zioni di acquistare sul mercato servizioriginariamente prodotti al proprio in-terno, a condizione di ottenere econo-mie di gestione, attraverso la costitu-zione di soggetti di diritto privato cui

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affidare lo svolgimento di tali attivitào attraverso l’attribuzione di tali servi-zi, attraverso gara pubblica, a soggettidi diritto privato già esistenti.

Il tema delle relazioni di collabora-zione tra i soggetti del Ssn è altresì au-spicata dal Piano sanitario nazionale2003-2005 che, per la gestione di par-ticolari categorie di pazienti, prevedela creazione di sistemi reticolari tra or-ganizzazioni sanitarie pubbliche, sog-getti privati e terzo settore (obiettivo2). Dalla lettura della norma sembraemergere la tendenza verso il supera-mento della fase di deintegrazione el’avvicinamento a un sistema sanitariointegrato «virtualmente» che tenta disfruttare le sinergie che naturalmenteintercorrono tra soggetti impegnati,direttamente o indirettamente, nel pro-cesso assistenziale. In questa prospet-tiva, le relazioni di collaborazionecontribuiscono non solo al consegui-mento degli obiettivi istituzionali delSsn, ma anche all’integrazione di inte-ressi e finalità divergenti dei quali so-no portatori le istituzioni, le forze so-ciali, il mondo imprenditoriale e fi-nanziario.

L’interesse per lo sviluppo di formedi collaborazione tra settore pubblicoe privato in campo socio-sanitario ètestimoniato anche dal crescente nu-mero di iniziative in tal senso. Perquanto riguarda le sperimentazionigestionali, nel quadriennio 1993-1997furono approvati nove progetti speri-mentali, tra i quali la partnership tra ildipartimento interaziendale Civico-Cervello di Palermo e il MedicalCenter di Pittsburgh per la realizzazio-ne di un dipartimento di trapianti d’or-gano a Palermo attraverso la costitu-zione di una società mista a responsa-bilità limitata. Spunti di riflessione in-teressanti emergono da una recente ri-cerca dell’Agenzia per i servizi sanita-ri regionali (Assr) che nel 2002 ha ef-fettuato una ricognizione sistematicadello stato di attuazione dei rapporti di

collaborazione rientranti nella disci-plina dell’articolo 9 bis del D.L.vo502/92 in tema di sperimentazioni einnovazioni gestionali e delle iniziati-ve di collaborazione riconducibili al-l’autonoma iniziativa delle aziendesanitarie. Delle 135 iniziative censite,il 29% si sostanziano nella costituzio-ne di nuovi soggetti giuridici, realiz-zati prevalentemente attraverso la so-cietà mista pubblico/privato, aventicome oggetto lo svolgimento di atti-vità sanitaria. Assumono un rilievo si-gnificativo anche le collaborazioniche prevedono l’adozione di strumen-ti innovativi, tra le quali si registranonove casi di project financing, spessoconnessi alle concessioni di costru-zione e gestione, e otto esperienze diglobal service.

Il crescente interesse per lo svilup-po di relazioni di collaborazione consoggetti privati in ambito sanitarionon è un fenomeno esclusivamenteitaliano. Esperienze analoghe si regi-strano ad esempio in Gran Bretagna,dove si è avuta un’intensa prolifera-zione di nuove forme di collaborazio-ne tra pubblico e privato nella gestionedella sanità e degli enti locali. NelNational Health Service (NHS) ingle-se le forme di collaborazione — de-finite nel linguaggio internazionalePublic - Private Partnerships (PPPs)— hanno assunto, a partire dal 1992,soprattutto la forma della PrivateFinance Initiative (PFI), che prevedel’impiego di capitali privati per la rea-lizzazione di infrastrutture e la forni-tura di servizi collettivi agli organismipubblici. Nonostante i pareri contra-stanti circa l’efficienza delle PFI (3),esse rappresentano a tutt’oggi il mez-zo principale di finanziamento deimaggiori investimenti nel NHS ingle-se. Il superamento della tradizionaledicotomia tra pubblico e privato è evi-dente anche in sistemi sanitari di altriPaesi quali la Spagna e la Svezia, chepresentano un assetto istituzionale,

modalità di finanziamento e sistemi diprogrammazione simili a quelli adot-tati nel Ssn. In questi Paesi, i meccani-smi di concorrenza tra erogatori pub-blici e privati sono stati sostituiti daforme di collaborazione, o sperimen-tazioni gestionali, che assumono for-me variegate. Tra le più significative èpossibile ricordare il caso delle Fon-dazioni pubbliche sanitarie (FPS) inGalizia (Spagna) e quello dell’accor-do di gestione di un ospedale pubblicoda parte di una impresa privata quota-ta in borsa in Svezia.

3. Obiettivi e schema analitico dellaricerca

La rilevanza assunta dal fenomenodella collaborazione tra istituti diversiper finalità istituzionale e la carenza distudi sistematici relativi al settore sug-gerisce di approfondire l’analisi dellerelazioni di collaborazione sviluppatetra le aziende sanitarie e l’ambiente diriferimento.

Partendo dall’assunto dell’esistenzadi un vincolo di causalità tra obiettiviaziendali e relazioni interaziendali in-staurate, il presente lavoro si proponedi individuare e analizzare le relazionidi collaborazioni sviluppate dalleaziende sanitarie pubbliche ed equipa-rate con altri soggetti pubblici, privatie non profit nella Regione Lazio. L’au-tonomia gestionale e imprenditorialeconcessa al direttore generale dai de-creti di riforma consente di definire, at-traverso l’atto aziendale di diritto pri-vato (ex art. 3 D.L.vo 229/99), l’orga-nizzazione e il funzionamento dell’a-zienda per il perseguimento dei proprifini istituzionali. Inoltre, attraverso ilpiano strategico aziendale, vengonodefiniti gli obiettivi strategici di carat-tere economico-finanziario, organiz-zativo e istituzionale. Gli accordi inte-raziendali stipulati dovrebbero riflette-re la tensione dell’organizzazione ver-so il conseguimento degli obiettivi

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prefissati che, da enunciazioni di prin-cipio, si traducono in comportamenti(Buschor e Schelder, 1992).

L’indagine, pur contemplando unaparte generale circa i rapporti di colla-borazione ritenuti significativi per ilconseguimento dei risultati aziendali,si sofferma anche sulle eventuali rela-zioni di collaborazione realizzate a ti-tolo di sperimentazione gestionale (exart. 9 bis D.L.vo 502/92 e successivemodifiche) e di progetti di integrazio-ne socio-sanitaria.

La ricerca esplorativa intende dun-que rispondere a quattro domande.

1) Quali sono gli obiettivi strate-gici perseguiti dalle aziende sanitariepubbliche o equiparate (Aziende sani-tarie locali, Aziende ospedaliere, Isti-tuti di ricovero e cura a carattere scien-tifico, Policlinici e Aziende universi-tarie) presenti nel territorio laziale?

2) Quali sono le tipologie di rap-porti di collaborazione realizzati dalleaziende sanitarie nel contesto regiona-le considerato?

3) Quali sono le aree di sviluppodei rapporti di collaborazione? (Qualiaree aziendali sono interessate? Qualiattività formano oggetto di rapporto dicollaborazione?).

4) Quali sono state le modalitàseguite per la progettazione e la realiz-zazione della relazione di collabora-zione?

All’indagine di carattere esplorati-vo il presente lavoro affianca uno stu-dio di tipo descrittivo. Assumendo co-me punto di vista privilegiato quello diuno specifico attore istituzionale, ilDirettore generale di azienda sanita-ria, l’indagine descrittiva si proponedi verificare le motivazioni alla basedello sviluppo della relazione di colla-borazione. Tuttavia, un comporta-mento coerente con gli obiettivi azien-dali per intensità e direzione dellosforzo potrebbe non produrre risultatisoddisfacenti per l’esistenza di osta-coli interni ed esterni all’azienda con-

siderata. Le ipotesi di ricerca e le va-riabili impiegate si propongono anchedi verificare le difficoltà incontratenella successiva fase di gestione delrapporto. Inoltre, in considerazionedella tesi avanzata dalla letteratura in-ternazionale in tema di eccessivo otti-mismo relativo ai benefici attesi dallarelazione interaziendale (Doz e Ha-mel, 1998; Hatfield e Pearce, 1994), laricerca descrittiva si propone di con-frontare i risultati attesi con i risultatieffettivamente conseguiti.

4. Metodologia della ricerca

Gli obiettivi di ricerca sono statiperseguiti attraverso la predisposizio-ne e l’invio di un questionario ai Diret-tori generali delle Aziende ospedalie-re (Ao), delle Aziende sanitarie locali(Asl), dei Policlinici/Aziende univer-sitari/e e degli Istituti di ricovero e cu-ra di carattere scientifico (Irccs) consede legale nel territorio laziale. Ilquestionario si articola in quattro di-verse aree di indagine: gli obiettivistrategici aziendali, le relazioni di col-laborazione ritenute significative al fi-ne del raggiungimento degli obiettiviaziendali, le relazioni di collaborazio-ne avviate a titolo di sperimentazionegestionale (ex art. 9 bis D.L.vo502/92) e le relazioni di collaborazio-

ne realizzate con il Comune ai fini del-l’integrazione socio-sanitaria.

Gli accordi interaziendali di colla-borazione sono stati indagati non soloverificando la quantità e la tipologia dirapporti instaurati da ciascuna aziendanelle aree prima indicate, ma ancheapprofondendo l’analisi dei tre mo-menti fondamentali di una relazionecollaborativa (Zuffada, 2000):

— la progettazione, con riferimentoalla definizione degli attori coinvolti,degli obiettivi generali, dei contenutispecifici e delle modalità di regolazio-ne del rapporto;

— la gestione, con riferimento allosvolgimento dell’attività prevista daparte dei diversi attori e l’adozione daparte di questi ultimi dei comporta-menti attesi;

— l’eventuale cessazione dell’ac-cordo interaziendale e/o riposiziona-mento dello stesso.

Per l’analisi delle relazioni di colla-borazione ritenute significative ai finidel raggiungimento degli obiettiviaziendali e per le sperimentazioni ge-stionali, il questionario è stato struttu-rato in modo da indagare alcune varia-bili di carattere quali-quantitativo rite-nute significative sia per l’analisi di ti-po esplorativo che per quella di tipodescrittivo. Tali variabili impiegatesono sintetizzate in tabella 1.

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Tabella 1 - Le variabili indagate nelle relazioni di collaborazione e nelle sperimentazioni ge-stionali

Soggetti coinvolti

Modello giuridico adottato

Area aziendale interessata

Motivazioni

Obiettivi

Caratteristiche del partner

Modalità di progettazione e controllo dell’iniziativa

Problematiche attuative

Risultati conseguiti

Le relazioni di collaborazione rea-lizzate con il Comune in ambito socio-sanitario sono state indagate soprattut-to allo scopo di evidenziare le diffi-coltà che si frappongono alla reale in-tegrazione (indagine descrittiva). Ciònonostante, sono stati formulati diver-si quesiti volti alla rilevazione di datiquantitativi e qualitativi relativi allecaratteristiche delle iniziative (indagi-ne esplorativa).

Il questionario contenteva domandeaperte, domande a scelta multipla (allequali era possibile fornire più risposte)e domande alle quali il rispondente èstato chiamato fornire il proprio gradodi accordo attraverso una scala Likert1-5. La pluralità di formule impiegate,sebbene possa aver «appesantito» lafruibilità del questionario, è apparsaindispensabile per il conseguimentodegli obiettivi di ricerca.

Il questionario, dopo una fase pilo-ta, è stato inviato alla totalità dellestrutture sanitarie pubbliche ed equi-parate con sede legale nel territorio la-ziale. Il tasso di ritorno è stato del65,4%; dei 17 rispondenti, tre sonoAo, due sono Policlinici universitari,cinque sono Irccs e sette sono Asl (ta-bella 2).

5. Risultati

La quantità e la qualità dei dati rac-colti grazie alla somministrazione delquestionario (dati al giugno 2003) si èprestata allo sviluppo di analisi quan-titative e valutazioni qualitative coe-renti con gli obiettivi perseguiti dalpresente lavoro.

In virtù dell’assunto dell’esistenzadi una relazione causale tra obiettivi erelazioni di collaborazione instaurate,la prima sezione del questionario èstata dedicata all’individuazione degliobiettivi perseguiti dalla specificaazienda. I rispondenti sono stati chia-mati a indicare i propri obiettivi strate-gici attraverso una scala Likert 1-5. In

figura 1 sono riportate le medie degliobiettivi dichiarati dai rispondenti di-stinti per tipologia di azienda conside-rata. Il miglioramento del livello qua-litativo della prestazione offerta è unobiettivo particolarmente sentito datutte le aziende rispondenti. Tuttaviaesso risulta prioritario per i policlinici(media: 5) e per le Asl (media: 4.7).Gli stessi Policlinici e gli Irccs consi-derano prioritario il divenire centro dieccellenza nel trattamento di talunepatologie (media: 5 per entrambe leaziende) mentre l’incremento dei vo-lumi di attività è un obiettivo strategi-co delle sole Asl (media: 4.3). Per

quanto riguarda il vincolo del pareg-gio di bilancio, l’esigenza del conteni-mento dei costi è sentita dalle Ao (me-dia: 4.7) e in misura nettamente infe-riore dalle altre aziende; l’incrementodei ricavi è significativo esclusiva-mente per le Asl (media: 4.1) e per ipoliclinici (media: 4). Per le Asl que-sta risposta è coerente con l’obiettivodell’innalzamento dei volumi di atti-vità, mentre per i Policlinici, che nonconsiderano quest’ultimo un obiettivoprioritario, essa potrebbe essere ricon-dotta all’obiettivo di divenire un cen-tro di eccellenza nel trattamento di pa-tologie maggiormente remunerative.

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Tabella 2 - I rispondenti

Figura 1 - Gli obiettivi strategici perseguiti (media)

Coerentemente con le finalità asse-gnate dall’assetto istituzionale, lo svi-luppo della ricerca è dichiarato unobiettivo strategico prioritario dagliIrccs (media: 5) e dai Policlinici uni-versitari (media: 4,5).

La seconda sezione del questionariosi proponeva di indagare i rapporti dicollaborazione ritenuti rilevanti al finedel raggiungimento degli obiettivi pre-fissati. A tale proposito, due risponden-ti, e in particolare due Irccs, hanno di-chiarato di non ritenere particolarmen-te significativa, al momento della ri-sposta al questionario, alcuna relazionedi collaborazione. Una delle due azien-de ha tuttavia sottolineato che alcunirapporti di collaborazione funzionali alperseguimento degli obiettivi strategicierano in quel periodo in via di defini-zione. Tali aziende sono state esclusedalle elaborazioni che seguono.

Dal punto dei vista dei partner scel-ti dalle aziende sanitarie per lo svilup-po di relazioni di collaborazione, i ri-sultati sono mostrati in figura 2. Nonsussistono, da questo punto di vista,differenze significative tra le diversetipologie di aziende. La scelta delpartner, inoltre, si è rivelata difficol-tosa solo per una delle aziende rispon-denti.

Per quanto riguarda il contributo at-teso dal partner, un’azienda non hafornito indicazioni in tal senso. Il100% delle rimanenti ha indicato diaver scelto un determinato partner infunzione dell’apporto di competenzespecialistico-professionali. In quattrocasi l’apporto atteso è anche di tipogestionale mentre in uno il contributodesiderato è anche di tipo finanziario.

I modelli contrattuali adottati per losviluppo delle relazioni di collabora-zione sono indicati in figura 3. Nel35% dei casi segnalati, il modello con-trattuale adottato è quello della con-venzione con soggetti privati di parti-colare rilevanza nell’area sanitaria. Si-gnificativo è anche il ricorso a contrat-

ti per l’esternalizzazione di alcunefunzioni. Da segnalare l’esperienza diun Ircss di diritto privato che ha parte-cipato alla costituzione di un nuovosoggetto giuridico, una fondazione,per il perseguimento delle proprie fi-nalità di ricerca.

In tabella 3 sono riportati i modelliadottati per tipologia aziendale. LeAsl sono state le aziende che hannoadottato la gamma più vasta di model-li per la formalizzazione delle relazio-ni di collaborazione.

Le aree aziendali interessate dairapporti di collaborazione risultano

numerose. In figura 4 è indicato il nu-mero di aziende che hanno dichiaratodi aver attivato rapporti di collabora-zione nelle diverse aree aziendali(area dei servizi sanitari a pagamento,area dei servizi socio-sanitari, area deiservizi ausiliari generali ecc.). Le Asl,seguite dalle Aziende ospedaliere, ri-sultano essere gli istituti che hannocoinvolto il numero maggiore di areenello sviluppo di relazioni di collabo-razione. Da notare, inoltre, che solo leAsl hanno attivato relazioni di colla-borazione nell’area dei servizi diagno-stici. La voce «Altro», indicata da un

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Figura 2 - I partner nelle relazioni di collaborazione

Figura 3 - I modelli adottati

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Irccs, è relativa a relazioni di collabo-razione sviluppate nell’area della ri-cerca scientifica.

In tabella 4 sono riportati i modelliadottati per area aziendale.

È stato chiesto alle aziende di indi-care le motivazioni alla base dello svi-luppo di relazioni di collaborazione at-traverso una domanda a scelta multi-pla che contemplava quattro diversepossibilità: «Esigenze economico-fi-nanziarie», «Esigenze strutturali»,«Esigenze connesse alla gestione dellerisorse umane» e «Altro». In figura 5sono indicati i risultati. La voce «Al-tro» è relativa a motivazioni connesseall’attività di ricerca scientifica. Il71,5% delle Asl ha indicato che le re-lazioni di collaborazione instauratesono state dettate da tutte le motiva-zioni proposte nella domanda a sceltamultipla. Il restante 28,5% ha indicatoesclusivamente esigenze strutturali.Non sussistono differenze significati-ve tra le altre tipologie di aziende intermini di motivazioni che hanno ispi-rato lo sviluppo di rapporti di collabo-razione.

Per quanto riguarda i risultati attesidalla realizzazione delle relazione dicollaborazione, coerentemente con gliobiettivi strategici dichiarati, l’85%dei rispondenti ha indicato il migliora-mento della qualità dell’assistenza.Seguono, a «pari merito», la riduzionedei costi e il miglioramento dell’effi-cienza (71%). Questi risultati sono at-tesi sia dalle aziende che hanno di-chiarato tra i propri obiettivi strategiciprioritari il contenimento dei costi, siada aziende che avevano indicato altriobiettivi aziendali. Solo una delleaziende rispondenti ha dichiarato diperseguire obiettivi di incremento deiricavi. Tre aziende hanno indicato nel-la voce «Altro» rispettivamente obiet-tivi di flessibilità aziendale, di svilup-po dell’attività di ricerca e l’offerta diprestazioni altrimenti non erogabili a

Tabella 3 - I modelli adottati per tipologia aziendale

Figura 4 - Le aree aziendali interessate dai rapporti di collaborazione

Tabella 4 - I modelli adottati per area aziendale

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causa di problematiche di caratterestrutturale.

Le relazioni di collaborazione sonostate indagate anche dal punto di vistadelle metodiche di progettazione econtrollo dell’iniziativa. Quatto azien-de non hanno fornito alcuna rispostain tal senso. Solo un’azienda ha indi-cato di non aver predisposto il pianoeconomico-finanziario annuale e plu-riennale dell’iniziativa mentre tutti irispondenti hanno dichiarato di averpredisposto degli indicatori di valuta-zione e monitoraggio della relazione.

Per quanto riguarda le problemati-che riscontrate in sede di attuazionedell’iniziativa di collaborazione, ilquestionario è stato predisposto inmodo da rilevare sia le difficoltà di na-tura giuridica, sia quelle di carattereorganizzativo interno. Dal primo pun-to di vista, solo tre delle aziende ri-spondenti hanno indicato problemati-che connesse al diritto societario, aldiritto amministrativo e al diritto dellavoro. Confrontando queste rispostecon quella relativa al modello adottatoper disciplinare la relazione di colla-borazione, è stato agevole verificareche le problematiche giuridiche sonostate riscontrate proprio da quelleaziende che hanno sperimentato for-

mule di collaborazione diverse daquelle più consuete (ad esempio leconvenzioni) come enti non lucrativi econcessione di costruzione e gestione.Per quanto riguarda le difficoltà ricon-ducibili ad aspetti interni all’aziendaconsiderata, i risultati sono evidenzia-ti in figura 6. Le aziende che hanno ri-scontrato le maggiori difficoltà sonostate le Asl, le quali, in particolare la-mentano rigidità amministrativo-bu-rocratiche. Queste ultime non sono in-

vece percepite dalle Ao che sottoli-neano, quale criticità di maggior rilie-vo, la preoccupazione presunta o ac-certata, di monitorare i risultati quali-quantitativi delle relazioni di collabo-razione instaurate.

I risultati conseguiti dalle aziendegrazie allo sviluppo di relazioni di col-laborazione in termini di «Riduzionedei costi», «Incremento dei ricavi»,«Miglioramento della qualità dei ser-vizi offerti», «Miglioramento dell’ef-

Figura 5 - Le motivazioni all’origine delle relazioni di collaborazione

Figura 6 - Le problematiche attuative riscontrate

ficacia» e «Altro» sono stati oggettouno specifico quesito al quale le azien-de sono state chiamate a rispondere at-traverso l’ausilio di una scala Likert(1-5). Quattro aziende non hanno ri-sposto alla specifica domanda (dueAo, un Policlinico, una Asl). Due diesse hanno sottolineato di non avereparametri di confronto trattandosi diservizi/attività di nuova istituzione. Infigura 7 è riportata la media dei risul-tati indicati dai rispondenti. Dai datiemerge come il miglioramento dellaqualità, risultato atteso dallo sviluppodelle relazioni di collaborazione dacirca l’85% dei rispondenti, sia statoconseguito dalle Ao, dai Policlinici edalle Asl. Non risulta particolarmentesignificativo per gli Irccs (media: 3). Ilcontenimento dei costi, risultato attesodallo sviluppo della relazione di colla-borazione da oltre il 70% delle azien-de, non sembra essere stato consegui-to se non dai Policlinici.

È stato inoltre chiesto alle aziendesanitarie di indicare quale aspetti dellerelazioni di collaborazione potevanoessere ritenuti maggiormente signifi-cativi al fine del raggiungimento degliobiettivi. Il 66,6% dei rispondenti haritenuto rilevante l’apporto di compe-tenze da parte del partner mente il55,5% degli stessi considera impor-tanti gli aspetti connessi alla riduzionedi vincoli relativi alla gestione del per-sonale. Quest’ultimo aspetto è indica-to dalla totalità delle Ao rispondenti.Solo il 22% dei rispondenti giudica ri-levante l’aspetto relativo alla riduzio-ne dei vincoli alla gestione degli ac-quisti.

Per comprendere se le relazioni dicollaborazione con altri soggetti pub-blici o privati venissero consideratedalle aziende sanitarie come un mezzoper superare vincoli istituzionali o or-ganizzativi oppure come un’opportu-nità in più per conseguire i propriobiettivi strategici è stata posta unaspecifica domanda. A tale domanda

una Asl non ha fornito risposta. Il 69%dei rispondenti dichiara di considerarele relazioni di collaborazione un’op-portunità; il restante 31% le ritieneuna condizione necessaria per il con-seguimento dei propri obiettivi strate-gici.

La terza sezione del questionario èstata dedicata alle relazioni di collabo-razione instaurate ai sensi dell’art. 9bis del D.L.vo 502/92 e successivemodificazioni. Ad essa hanno rispo-sto, indicando le sperimentazioni inatto o in fase di sviluppo, la Asl RomaD, la Asl di Viterbo. Nel caso dellaAsl Roma D, la ricerca di nuovi mo-delli gestionali si è concretizzata nellacostituzione di una società mista pub-blico/privato — una Società per azioni— per l’erogazione di servizi sanitariessenziali. La Asl di Viterbo ha indi-cato tra i progetti di sperimentazionegestionale avviati la costituzione diuna società mista, una concessione dicostruzione e gestione e un’iniziativadi project financing. Sono state inte-ressate da tali iniziative l’area dei ser-vizi diagnostici, l’area dei servizi sa-nitari connessi alle prestazioni a paga-

mento e quella dei servizi socio-sani-tari.

Le motivazioni che hanno indotto leaziende a ricorrere alle sperimentazio-ni gestionali sono riconducibili a esi-genze connesse alla gestione delle ri-sorse umane e a esigenze strutturali. Intutti i casi si è trattato di far fronte al-l’esigenza di superare i vincoli di ca-rattere normativo e/o rigidità gestio-nali conseguenti all’assetto istituzio-nale dell’azienda.

Gli obiettivi perseguiti attraverso losviluppo di sperimentazioni gestionalisono stati, in tutti i casi, il migliora-mento della qualità dell’assistenza e ilraggiungimento di più elevati livelli diefficienza; in un caso è stato indicatoanche il contenimento dei costi.

L’apporto atteso dal partner è evi-denziato in figura 8 dalla quale emer-ge che nella maggior parte dei casi lasperimentazione è finalizzata all’otte-nimento di competenze specialistico-professionali.

L’ultima sezione del questionario èstata dedicata ai rapporti di collabora-zione instaurati con il Comune nel-l’ambito dell’integrazione socio-sani-

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Figura 7 - I risultati conseguiti (media)

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taria. I dati rilevati attraverso il que-stionario sono stati successivamenteintegrati con una ricerca sui siti Inter-net delle aziende considerate e dei Co-muni interessati al fine di completarele informazioni disponibili. I progettidi integrazione socio-sanitaria cheprevedono l’attivazione di forme dicollaborazione tra le Asl e il Comune(o i Municipi del Comune di Roma)sono sviluppati in base ad appositi ac-cordi di programma e protocolli di in-tesa. Le prestazioni sociali a rilevanzasanitaria (D.P.C.M. 14 febbraio 2001)di competenza dell’Ente locale in col-laborazione con le Asl sono evidenzia-te nei Piani di zona (L. 328/2000). Learee di intervento nell’ambito dei pro-getti integrati Muncipio-Asl sono in-dicate in figura 9. Nella voce «Altro»sono inclusi i progetti realizzati a fa-vore dei minori e delle popolazioninomadi.

Inoltre nel 50% dei casi, risultanocoinvolti nell’erogazione dei servizisia i titolari di funzioni pubbliche inambito sanitario e sociale, sia i sogget-ti non profit. Marginale è il contributodelle imprese private.

Gli ostacoli alla piena integrazionetra servizi sociali comunali e Ssn e allosviluppo di relazioni di collaborazionecon i soggetti privati e non profit sonoindicati in figura 10 dalla quale emer-ge come la criticità maggiormentesentita sia la carenza di risorse finan-ziarie da parte della Asl. Segue, nel25% dei casi, la constatazione di rigi-dità di carattere burocratico.

Sebbene i progetti di collaborazionetra Ente locale e Ssn trovino il loroambito di realizzazione elettivo nel di-stretto della Asl, significativi sono tut-tavia i progetti «speciali», normal-mente avviati su iniziativa del Comu-ne, che prevedono rapporti di collabo-razione tra le altre strutture del Ssn,l’Ente locale, i soggetti privati e nonprofit. Tra questi è stato segnalato ilprogetto «Roma città del cuore». Tale

Figura 8 - L’apporto atteso dal partner

Figura 9 - Le aree di intervento nei progetti integrati

Figura 10 - Gli ostacoli percepiti alla reale integrazione

iniziativa, che si propone di migliora-re la qualità della vita dei pazienti af-fetti da patologie cardiache e a razio-nalizzare l’impiego delle risorse im-pegnate nell’assistenza sanitaria gra-zie al potenziale offerto dalla teleme-dicina, prevede la collaborazione tral’Università La Sapienza, l’UniversitàTor Vergata, le Aziende ospedaliereSan Giovanni dell’Addolorata e SanFilippo Neri, il Comune di Roma eun’azienda impegnata nella fornituradel software e dell’hardware necessa-rio per la realizzazione del servizio.Altro progetto interessante dal puntodi vista della creazione di una rete trapubblico, privato e non profit è il cen-tro «Rari ma non soli» avviato dal-l’Irccs Bambino Gesù e dal Comunedi Roma quale completamento socio-assistenzale dell’attività diagnostico-terapeutica dal noto ospedale pediatri-co nell’area delle malattie rare.

6. Discussione e conclusioni

I risultati della ricerca mostrano unpanorama vario e vasto di rapporti dicollaborazione instaurati dagli istitutititolari di funzioni pubbliche nel con-testo sanitario laziale per il consegui-mento dei propri obiettivi strategici.Gli obiettivi strategici tendono a riflet-tere le specifiche finalità attribuite aidiversi istituti del Ssn. Interessante ènotare la forte attenzione da parte ditutti i rispondenti al miglioramentodella qualità della prestazione sanita-ria rispetto a problematiche connesseal contenimento dei costi. Se con l’av-vento dei decreti di riforma l’esigenzadi gestire le combinazioni economi-che nel rispetto del principio dell’eco-nomicità veniva spesso interpretatacome mero contenimento dei costi, idati rilevati dal presente lavoro po-trebbero essere valutati come un se-gnale della maggiore attenzione daparte del management alla necessità diconiugare le esigenze di carattere eco-

nomico con quelle di creazione di va-lore.

Per quanto riguarda i rapporti dicollaborazione ritenuti funzionali alraggiungimento degli obiettivi azien-dali, è il caso di ricordare che due Irccspubblici abbiano dichiarato di nonaver attivato relazioni particolarmentesignificative in tal senso. Questo sicontrappone alla «vitalità» degli Irccsdi diritto privato, uno dei quali impe-gnato nella costituzione di una fonda-zione. Novità in tal senso per gli Irccspubblici potrebbero provenire dall’ap-plicazione delle norme contenute nelD.L.vo 288/03, che prevede la possi-bilità di trasformazione in fondazionidi rilievo nazionale aperte alla parteci-pazione di soggetti pubblici e privati.Coerentemente con gli obiettivi strate-gici perseguiti, tutte le altre aziende ri-conducono gli obiettivi dei rapporti dicollaborazione instaurati al migliora-mento della qualità della prestazione.Tuttavia non trascurabile è la percen-tuale di aziende mosse anche da obiet-tivi di contenimento dei costi. Que-st’ultima indicazione, apparentementein contrasto con gli obiettivi strategicidichiarati, potrebbe essere ricondottaalla razionalità economica che guidal’agire del management aziendale ilquale, nello stabilire il risultato attesodallo sviluppo del rapporto di collabo-razione, non trascura considerazioniconnesse al rispetto del vincolo di bi-lancio.

Il modello giuridico prevalente-mente adottato per la formalizzazionedella relazione di collaborazione è laconvenzione. La creazione di nuovisoggetti giuridici e le concessioni dicostruzione e gestione rivestono, dalpunto di vista numerico, un ruolo deltutto marginale. Sembra dunque affio-rare una certa resistenza all’adozionedi soluzioni giuridiche che darebberoluogo a forme di governo dell’attivitàeconomica intermedie rispetto a quel-

le tradizionali date dalla gerarchia edal mercato.

Per quanto riguarda le modalità diprogettazione della relazione di colla-borazione, i risultati della ricerca indi-cano una forte attenzione da parte delmanagement alla predisposizione dipiani economico-finanziari dell’ini-ziativa e di indicatori di controllo del-la relazione. Questa risposta potrebbeessere interpretata come avvicina-mento ad uno stile di direzione razio-nale e anticipatorio che ai processi de-cisionali basati sulla logica dell’incre-mentalismo privilegia il metodo dellaprogrammazione allo scopo di assicu-rare contemporaneamente la coerenzatra la dinamica dei bisogni e le risorsea disposizione e la coerenza interna tragli obiettivi perseguiti e i programmidi attività.

Dall’analisi delle problematicheconnesse allo sviluppo di rapporti dicollaborazione emergono delle inte-ressanti differenze tra i rispondenti inrelazione al modello giuridico nelquale si è sostanziata la relazione dicollaborazione e all’assetto istituzio-nale proprio della specifica azienda.Dal primo punto di vista, i risultatimostrano che le difficoltà di caratteregiuridico sono state percepite solo dal-le aziende che hanno sperimentatoformule di collaborazione innovativerispetto a quelle tradizionalmenteadottate nel settore pubblico. Questopotrebbe in parte spiegare i risultatiprecedentemente discussi, relativi allascarsa adozione di modelli di collabo-razione che prevedono la costituzionedi nuovi soggetti giuridici. Interessan-te è la risposta relativa agli ostacoli in-terni allo sviluppo di relazioni di col-laborazione. La rilevanza attribuitadalle Asl alle rigidità burocratichesembra delineare una situazione nellaquale, nonostante gli sforzi tendentialla diffusione di una cultura azienda-le nell’amministrazione pubblica, lospazio decisionale del management

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aziendale è ancora fortemente gravatodal retaggio dell’applicazione impro-pria della logica burocratica. Questodato induce a riflettere circa la pos-sibilità da parte del Direttore genera-le di esercitare pienamente l’autono-mia imprenditoriale concessagli dalD.L.vo 229/99 e di completare effica-cemente in tempi rapidi il processo diaziendalizzazione. Tuttavia la presen-za di vincoli burocratici non sembraessere rilevante per le Ao, le quali ap-paiono piuttosto preoccupate dallepresunte difficoltà di monitorare i ri-sultati quali-quantitativi conseguiticon lo sviluppo della relazione. Con-trariamente alle indicazioni prove-nienti dalla letteratura internazionale(Cuplan, 1993; Speckman et al.,1998), ciò non sembrerebbe essereimputabile alla diffidenza culturalenei confronti dei soggetti privati e nonprofit quanto piuttosto a problemati-che interne.

Estremamente interessante è notarecome i risultati conseguiti con lo svi-luppo delle relazioni di collaborazionesiano al di sotto dei risultati attesi.Questo dato, particolarmente evidentenel caso in cui l’obiettivo perseguitoera il contenimento dei costi, sembraavvalorare la tesi avanzata dalla lette-ratura internazionale in tema di ecces-sivo ottimismo relativo ai benefici at-tesi dalle aziende dal ricorso alle rela-zioni interaziendali (Doz e Hamel,1998; Hatfield e Pearce, 1994).

Alla significativa diffusione di rela-zioni di collaborazione che esulanodalla disciplina dell’articolo 9 bis delD.L.vo 502/92 e successive modifi-che, si contrappone la limitata diffu-sione delle sperimentazioni gestionali.Questo fenomeno potrebbe esserespiegato alla luce della rigidità proce-durale che è necessario rispettare perpoter essere ammessi alla sperimenta-zione nonostante la competenza auto-rizzativa, prima attribuita alla Confe-renza Stato-Regioni, sia stata succes-

sivamente assegnata alle Regioni. Inogni caso, si rileva una scarsa diffu-sione delle sperimentazioni adottatenella Regione Lazio rispetto alle altreRegioni (dati Assr). Interessante è no-tare come la disciplina del 502/92 siastata impiegata, in molti casi, per darvita a forme giuridiche (società miste,project financing, global service) cheesulano dai modelli comunementeadottati per formalizzare le relazionidi collaborazione. Inoltre, rispetto allerelazioni di collaborazione autonoma-mente sviluppate dalla generalità delleaziende sanitarie, le sperimentazionigestionali sono state realizzate solodalle Asl e si concentrano nelle areeaziendali più significative per il perse-guimento delle proprie finalità istitu-zionali (ad esempio servizi diagnosticio servizi sanitari essenziali). Ciò av-valora l’ipotesi che il ricorso alla spe-rimentazione gestionale sia limitato ainiziative particolarmente «comples-se», per le quali i soggetti coinvolti so-no disposti ad accettare un maggiorgrado di complessità procedurale. Si-gnificativo in tal senso che le azienderispondenti abbiano dichiarato essersiavvicinate alla sperimentazione ge-stionale per far fronte ai vincoli di ca-rattere normativo e/o gestionale insitinel proprio assetto istituzionale.

Nell’area dell’integrazione socio-sanitaria, le comuni finalità istituzio-nali perseguite dall’Ente locale e dalleaziende sanitarie in termini di miglio-ramento dello stato di salute della po-polazione di riferimento, suggerirebbeun intenso ricorso alla collaborazionetra le diverse istituzioni. Tuttavia, i ri-sultati della ricerca mostrano come losviluppo di relazioni di collaborazioneda parte delle aziende sanitarie sianoostacolate principalmente dalla caren-za di risorse finanziare da dedicare al-la realizzazione di progetti comuni econdivisi con l’Ente locale.

Nonostante i limiti derivanti dal-l’osservazione di una realtà circoscrit-

ta, e l’impiego dello strumento delquestionario che può dar luogo a ri-sposte «falsate», l’attitudine alla col-laborazione tra soggetti pubblici, pri-vati e non profit da parte dei rispon-denti potrebbe essere ricondotta a unconsolidamento delle logiche di go-vernance nell’esercizio delle funzionipubbliche e a un concreto passaggioconcezione funzionalista nel soddisfa-cimento degli interessi pubblici. Tut-tavia lo scarso ricorso all’istituto dellasperimentazione gestionale e gli osta-coli riscontrati allo sviluppo di rela-zioni di collaborazione anche in ambi-to socio-sanitario inducono a rifletteresulla necessità di interventi che, al dilà delle enunciazioni di principio,creino un ambiente normativo favore-vole allo sviluppo della collaborazio-ne interistituzionale.

(1) Secondo Ferrero (1968) «le aziende —sebbene tali per l’autonomia economica che lecaratterizza — sono tutte interdipendenti invirtù dei rapporti di scambio che esse istitui-scono e continuamente rinnovano».

(2) A tale proposito, si vedano, tra gli altri:Ponzanelli G. (1956, p. 56); Ripabelli A.(1961, p. 1710).

(3) Per una sintesi si veda Sussex J. (2001).

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SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Le patologie - 3. Metodologia - 4. Risultati della fase pilota - 5. Discussione.

This study aims at carrying out an economic evaluation of clinical pathways of patients with stroke and hip fractures, aged over 69,residents in two areas of Tuscany - Firenze’s municipality and the province of Arezzo - using administrative databases of: a) hospitaldischarge abstracts; b) outpatient rehabilitation care; c) outpatient specialist care; d) death abstracts database of causes of deaths.The subjects are followed up for six months after hospital discharge to appraise clinical pathways of patients in the two areas andhealth care utilisation adjusted by care consumption in the six months antecedent the acute episode. The results show that clinicalpathways of patients in the two areas are different. In Firenze there is a greater use of hospital even for rehabilitation than in the areaof Arezzo where there is higher outpatient care consumption, while mortality rates are similar. These differences have importanteconomic implications, since the economic value of clinical pathways in Firenze is between 2.5 and 3.4 higher than in Arezzo forstroke and between 4.5 and 10.8 for hip fracture, according to the type of care included.

1. Introduzione

Il Sistema sanitario toscano (Sst)sta cercando di individuare soluzioniorganizzative idonee a soddisfare inuovi bisogni di assistenza della po-polazione dovuti ai mutamenti demo-grafici. Infatti, l’invecchiamento dellapopolazione ha portato ad un aumentodelle patologie cronico degenerative,spesso associate alla disabilità, che ri-chiedono una assistenza continuativain una rete di servizi sanitari e sociali.

Di conseguenza, una assistenza fo-calizzata a risolvere interamente unproblema sanitario, non può più pre-scindere da un forte collegamento fra ivari livelli di assistenza sanitaria e so-ciale e dalla individuazione di percorsiassistenziali integrati.

Il Piano sanitario regionale (Psr)2002-2004 ha definito un’azione mi-rata allo sviluppo ed alla razionalizza-zione dell’offerta di servizi, avviando

un processo di analisi sui bisogni assi-stenziali, di ridefinizione dell’assettocomplessivo della rete di servizi e diconseguente valutazione delle risorsenecessarie.

I risultati di un’analisi preliminaresulle modalità di dimissione ospeda-liera degli anziani non autosufficientiin tutte le Aziende Usl della Toscanahanno evidenziato l’esistenza di unaampia variabilità nei percorsi assisten-ziali di tali pazienti, a seconda dell’a-rea di residenza. Infatti, l’assistenzapost acuta può essere erogata con mo-dalità differenti da strutture ospedalie-re pubbliche o private accreditate, dastrutture territoriali, a domicilio, negliOspedali di comunità, nelle Rsa e,spesso, da un mix di tutte queste mo-dalità.

La variabilità nei percorsi assisten-ziali risulta essere elevata anche perquelle patologie, prevalenti nella po-

polazione anziana, come ad esempiol’Ictus e la Frattura del femore, che ri-chiedono un periodo riabilitativo o as-sistenziale post-acuto finalizzato al re-cupero funzionale del paziente, per lequali la continuità assistenziale assu-me particolare rilevanza.

Conseguentemente, l’Agenzia re-gionale di sanità della Toscana ha av-viato un progetto di ricerca volto adeffettuare una valutazione dell’attualestato dell’assistenza post acuta (cosid-dette cure intermedie) nelle AziendeUsl toscane.

Il progetto si articola in due parti, laprima è finalizzata a verificare qualidei percorsi assistenziali per gli anzia-ni non autosufficienti sono attivatinella diverse aree della Toscana, con-siderando come popolazione di riferi-mento tutti i soggetti anziani che pre-sentano un bisogno di assistenza postacuta, riabilitativa e socio-sanitaria.

LA VALUTAZIONE ECONOMICA DEI PERCORSIASSISTENZIALI DEI SOGGETTI CON ICTUSE FRATTURA DEL FEMORE IN TOSCANA

Fabrizio Tediosi 1, Simone Bartolacci 2, Lorenzo Roti 3, Eva Buiatti 3

Agenzia Regionale di Sanità della Toscana1 Osservatorio di Economia Sanitaria2 Servizio centrale di Statistica3 Osservatorio di Epidemiologia

L’obiettivo di questa prima parte con-siste nell’effettuare un’analisi dell’at-tuale offerta di strutture o attività dicure intermedie, valutando le diversemodalità organizzative e funzionali.Oltre alle caratteristiche dell’offertaassistenziale e dell’attività effettiva-mente svolta dalle singole strutture, sicerca di determinare la ripartizione deicosti economici dell’assistenza fra gliattori del sistema, il Sst, il compartodell’assistenza sociale ed il settore pri-vato.

Questa parte del progetto si confi-gura come una analisi di tipo macro,necessaria per fornire un quadro sinte-tico dei percorsi della continuità assi-stenziale attualmente presenti in To-scana e per evidenziarne i punti di for-za e di debolezza a livello di sistema.Tuttavia, per informare le decisioni dipolitica sanitaria sono necessarie an-che analisi di tipo microeconomico,con valutazioni comparative di effi-cienza dei percorsi assistenziali disoggetti con un livello di bisogno sani-tario/socio-sanitario omogeneo. Diconseguenza, la seconda parte del pro-getto è focalizzata sull’analisi compa-rativa dei percorsi assistenziali digruppi di soggetti affetti da determina-te patologie.

Nell’ambito di questa fase del pro-getto, si è deciso di concentrarsi suuno studio di valutazione economicadei percorsi assistenziali realmente at-tivati in Toscana per l’Ictus e la Frattu-ra del femore; vista la complessità del-lo studio, si è avviata una fase pilota sudue aree, quella della Zona socio-sani-taria Fiorentina, comprendente tutto ilComune di Firenze, e l’area dell’A-zienda Usl 8 di Arezzo. La scelta diqueste due aree è dovuta al fatto chesono simili per dimensione della po-polazione (nel 2001 il Comune di Fi-renze aveva 374.501 abitanti e l’A-zienda Usl di Arezzo 323.365) e perstruttura per età (a Firenze la popola-zione di età maggiore o uguale a 85

anni è il 25%, nell’Azienda Usl diArezzo il 22%), ma presentano unastruttura dell’offerta notevolmente di-versa.

In questo articolo si presentano i ri-sultati della fase pilota del progetto ele considerazioni da essi derivanti perla realizzazione di analisi di valutazio-ne economica dei percorsi assistenzia-li. L’obiettivo di questa fase del pro-getto è di verificare, attraverso l’ap-profondimento delle realtà del Comu-ne di Firenze e dell’Azienda Usl diArezzo, l’utilizzabilità dei flussi cor-renti regionali disponibili per effettua-re valutazioni economiche dei percor-si assistenziali, nonché individuare ipunti di forza e di debolezza di questoapproccio per arrivare a valutazioniaccurate.

L’analisi dei percorsi assistenziali,attraverso i flussi correnti, attivatirealmente nelle diverse Zone delleAziende sanitarie toscane, dovrebbeconsentire di avviare una attività dibenchmarking fra le scelte aziendali ingrado di fornire al management delleaziende il supporto necessario per iprocessi di valutazione interni. Peral-tro, la variabilità nelle scelte aziendaliè intrinseca alla natura particolare diogni singola Azienda e di ciascunarealtà territoriale, nonché inevitabileconseguenza dell’autonomia azienda-le. Tuttavia, una conoscenza più ap-profondita dei percorsi attivati real-mente a livello locale è necessaria peresplicitare le scelte, ricercare le moti-vazioni ed individuare, eventualmen-te, le alternative potenzialmente piùefficienti.

2. Le patologie

2.1. Ictus

L’Ictus rappresenta una delle pato-logie a maggior impatto sulla popola-zione anziana sia in termini di salutesia di bisogno di assistenza. L’inci-

denza dell’Ictus aumenta progressiva-mente con l’età e negli anziani di 80anni ed oltre l’incidenza annuale è pa-ri a 24,2‰ (Di Carlo et al., 2003).Nella popolazione anziana italiana,secondo i risultati dello studio ILSA,la prevalenza è pari a 6,5%.

Circa il 30% dei soggetti colpiti daictus muore entro il primo mese (ma lamortalità si concentra nei primi 10giorni) e, tra i sopravvissuti, il 35%presenta disabilità significative ed unbisogno rilevante di assistenza nelleattività quotidiane (dati ILSA). Essorappresenta la maggiore causa di disa-bilità grave e la terza causa di morte inassoluto.

Per questa patologia sono quindiimpiegate ingenti risorse assistenzialisanitarie e sociali, sia nella fase di cu-re immediate sia continuative.

In Toscana, nell’anno 2001, i rico-veri che avevano come diagnosi di di-missione una delle patologie causa diIctus, effettuati da soggetti di età mag-giore o uguale a settant’anni, sono sta-ti più di 8.000 (circa il 3,4% dei totaledei ricoveri), per un valore tariffario dioltre 24 milioni di euro.

2.2. Frattura del femore

La Frattura del femore è una dellecause maggiori di morbosità nella po-polazione anziana (colpisce soprattut-to le donne anziane) e il suo impatto èrilevante sia per l’individuo sia per lasocietà; rappresenta un importanteproblema di sanità pubblica per l’ele-vata mortalità (nel primo anno, si re-gistra un eccesso di mortalità del15-20%), per conseguenze altamenteinvalidanti (oltre il 50% dei pazientinon recupera le capacità funzionalipre-esistenti alla frattura) e poiché isoggetti con Frattura del femore, ingenere, necessitano di una degenzalunga, un intervento chirurgico costo-so, una riabilitazione che si può pro-trarre anche per tutta la vita e un alto

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grado di invalidità permanente, concosti onerosi sia per il sistema sanita-rio sia per le famiglie. Inoltre, è unapatologia in costante crescita in tutto ilmondo, particolarmente nei paesi in-dustrializzati.

In Toscana, nell’anno 2001, i rico-veri (ordinari e in day-hospital) disoggetti di età maggiore o uguale asettant’anni che avevano come dia-gnosi principale di dimissione la Frat-tura del femore sono stati oltre 6.300(circa il 2,7% del totale dei ricoveri),per un valore tariffario di oltre 38 mi-lioni di euro (circa il 5,6% del valoretotale dei ricoveri).

3. Metodologia

La fase pilota del progetto è effet-tuata utilizzando i flussi informativicorrenti attualmente disponibili in To-scana che presentano, come identifi-cativo dei soggetti, il codice fiscale diqualità elevata.

Per individuare i percorsi reali deisoggetti con Ictus e con Frattura delfemore sono stati utilizzati i seguentiflussi informativi correnti:

— l’archivio delle Schede di dimis-sione ospedaliera (SDO) dei residentiin Toscana;

— l’archivio delle prestazioni diriabilitazione extraospedaliera dellaToscana (ex art. 26 L. 883/78, Spr);

— l’archivio delle prestazioni dispecialistica ambulatoriale (Spa);

— il registro di mortalità della Re-gione Toscana dell’anno 2001.

I soggetti inclusi nello studio sonotutti i residenti nella Zona fiorentinadell’Azienda Usl di Firenze e nell’a-rea dell’Azienda Usl di Arezzo di etàmaggiore o uguale a 70 anni che, neiprimi sei mesi dell’anno 2001, hannoeffettuato un ricovero ospedaliero conuna diagnosi principale di dimissionedi Ictus o Frattura del femore. I codiciICD IX della diagnosi di dimissioneusati per selezionare i soggetti sono:

per l’Ictus il 430, 431, 432, 433, 434 eper la Frattura del femore il 820 e 821.La tabella 1 mostra la descrizione deicodici e la figura 1 mostra il processodi selezione dei soggetti.

Nell’individuare i ricoveri dovutiad Ictus e Frattura del femore sono sta-ti considerati ricoveri ripetuti tuttiquelli effettuati entro 28 giorni dal ri-covero «indice» (il primo ricovero ef-fettuato dal soggetto nel 2001 con dia-gnosi di dimissione di Ictus o Fratturadel femore) con la stessa diagnosi (in-tesa come una diagnosi rientrante nelgruppo di quelle utilizzate per selezio-nare i soggetti affetti dalle patologie inanalisi), mentre i ricoveri avvenuti ol-tre i 28 giorni sono stati consideraticome nuovi eventi.

I ricoveri così selezionati sono ana-lizzati considerando la durata della de-genza, il valore economico, in base al-le tariffe Drg effettivamente applicatein Toscana, e le modalità di dimissio-ne.

I soggetti selezionati sono seguitiper i sei mesi successivi al ricovero, alfine di ricostruire il percorso assisten-ziale realmente seguito e stimare ilconsumo di assistenza post acuta, at-

traverso un record linkage dei datidelle SDO (tramite il codice fiscale)con gli archivi regionali della presta-zioni di riabilitazione, con quello delleprestazioni specialistiche ambulato-riali e con il registro di mortalità dellaToscana. In tal modo è stato possibilestimare la percentuale di soggetti che,successivamente al ricovero per Ictuso Frattura del femore, ha avuto acces-so all’assistenza riabilitativa ospeda-liera ed extraospedaliera, nonché adaltra assistenza ospedaliera non di ria-bilitazione, ed il valore economicodell’assistenza usufruita espresso at-traverso le tariffe della riabilitazioneospedaliera per i ricoveri ospedalieriin reparti di riabilitazione e quellederivanti dagli accordi con le Azien-da Usl per l’attività di riabilitazioneextraospedaliera.

Inoltre, poiché i soggetti inclusinello studio sono anziani e, probabil-mente, un percentuale significativa diessi presenta un’elevata comorbilità,sia per l’assistenza ospedaliera sia perquella di riabilitazione extraospeda-liera sono stati analizzati i consumianche nei sei mesi precedenti al rico-vero per Ictus o Frattura del femore; in

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Tabella 1 - Diagnosi di dimissione e codici ICD IX

tal modo è stato possibile calcolare ilconsumo di risorse sanitarie di questisoggetti, nei sei mesi successivi al ri-covero, addizionali rispetto ai sei mesiprecedenti e quindi con alta probabi-lità di essere una conseguenza dell’e-vento acuto. Nel calcolo dei sei mesiprecedenti e successivi al ricovero perIctus e Frattura del femore, i ricoveriindice sono stati individuati ovvia-mente alla data di dimissione, quellieffettuati nei sei mesi successivi sonostati considerati alla data di ammissio-ne, mentre i ricoveri effettuati nei seimesi precedenti sono calcolati dalladata di dimissione.

4. Risultati della fase pilota

Nei primi sei mesi dell’anno 2001 iricoveri per eventi acuti di Ictus e Frat-tura del femore di soggetti di età mag-giore o uguale a 70 anni sono stati 418e 396 nella zona Fiorentina e 372 e269 nell’Azienda Usl di Arezzo (ta-belle 2 e 3). Questi ricoveri rappresen-tano il 4,7 % del totale di quelli effet-tuati dai soggetti con 70+ anni a Firen-ze e il 5,3% ad Arezzo. L’età mediadei ricoverati nelle due aree è simileper entrambe le patologie, così comela percentuale dei soggetti di età mag-giore o uguale a 85 anni.

La mortalità intraospedaliera du-rante il ricovero per l’evento acuto, frai soggetti con Ictus è stata il 12,7% aFirenze e il 15,8% ad Arezzo, mentreper quelli con Frattura del femorel’1,3% a Firenze e il 3,3% ad Arezzo.

Nonostante la durata media delladegenza dei soggetti residenti nell’A-zienda Usl di Arezzo, e ricoverati perIctus, sia lievemente superiore rispettoa quella dei residenti a Firenze, il valo-re economico medio dei ricoveri èmaggiore a Firenze per entrambe lepatologie: per l’Ictus è pari a 3.020 �a Firenze e a 2.846 � ad Arezzo (dif-ferenza non statisticamente significa-tiva al 95%), mentre per la Frattura del

femore è di 6.481 � a Firenze e 5.448� ad Arezzo (differenza statistica-mente significativa al 95%); ciò po-trebbe essere dovuto alla presenza aFirenze dell’Azienda ospedaliera Ca-reggi che è caratterizzata da tariffe

della classe tariffaria alta (in Toscanale tariffe Drg sono calcolate con un co-sto per punto Drg differente a secondadella classe dell’Istituto di cura), co-munque i ricoveri per queste patologiesono più lunghi e più costosi della me-

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Figura 1 - Processo di selezione dei soggetti inclusi nello studio

dia dei ricoveri in entrambe le realtà. Ilvalore tariffario totale dei ricoveri se-lezionati è per l’Ictus pari a 1,26 mi-lioni di � a Firenze e 1,11 milioni di �ad Arezzo, mentre per la Frattura delfemore è di 2,56 milioni di � a Firenzee 1,46 ad Arezzo.

Le tabelle 4 e 5 mostrano il ricorsoall’assistenza riabilitativa ospedalieraed extraospedaliera, nei sei mesi pre-cedenti e successivi al ricovero per Ic-tus e Frattura del femore. I soggetti in-clusi nello studio potrebbero usufruiredi assistenza (anche di riabilitazione)per altri problemi sanitari non correla-ti all’evento di Ictus o della Fratturadel femore. Per questo motivo è stataanalizzata anche l’assistenza post acu-ta di cui hanno usufruito nei sei mesiprecedenti al ricovero, calcolando cosìil valore economico del percorso al«netto» dell’assistenza post acuta (diriabilitazione) di cui usufruivano pri-ma dell’evento acuto. Questo è statopossibile per la riabilitazione ospeda-liera ed extraospedaliera, ma non perquella effettuata attraverso prestazionidi specialistica ambulatoriale, che vie-ne quindi riportata al lordo dei sei me-si precedenti l’evento acuto. Inoltre,sempre nei sei successivi al ricovero isoggetti selezionati hanno consumatoassistenza ospedaliera (non in repartidi riabilitazione e lungodegenza) ad-dizionale rispetto ai sei mesi prece-denti, che viene considerata a partepoiché è solo indirettamente correla-bile all’evento acuto.

Il consumo di risorse per assistenzadi riabilitazione ospedaliera (inclusi iricoveri in lungodegenza), extraospe-daliera, nei sei mesi successivi al-l’Ictus, addizionale rispetto a quellodei sei mesi precedenti è stato pari a2.287 � a Firenze e 678 � ad Arezzo.Se si includono nell’analisi anche i ri-coveri ospedalieri non in riabilitazioneo lungodegenza, e quindi non correla-bili direttamente alla patologia, il valo-re economico dell’assistenza addizio-

nale nei sei mesi successivi al ricoverorispetto ai sei mesi precedenti diventadi 2.592 � (limiti di confidenza al95%: � 1.936-3.247) a Firenze e 1.094ad Arezzo (limiti di confidenza al 95%:� 520-1.668). Il valore dell’assistenzapost acuta a Firenze è quindi, media-mente, quasi 3,4 volte in più di Arezzose si considera solo l’assistenza diretta-mente correlabile all’evento acuto, ecirca 2,4 volte includendo i ricoveriospedalieri solo indirettamente corre-labili all’evento (e tali differenze sonostatisticamente significative al 95%).

Nel caso della Frattura del femore irisultati sono simili; il valore econo-mico dell’assistenza di riabilitazioneospedaliera (inclusi i ricoveri in lun-

godegenza), extraospedaliera, addi-zionale nei sei mesi successivi al rico-vero per Frattura del femore rispetto aisei mesi precedenti, è pari a 4.602 � aFirenze e solo 429 � ad Arezzo, conuna differenza fra le due Zone di circa11 volte. Se però si considerano anchei ricoveri ospedalieri non direttamentecorrelabili alla patologia questi valoridiventano 4.878 � per Firenze (limitidi confidenza al 95%: � 4.161-5.596)e 997 per Arezzo (limiti di confidenzaal 95%: � 529-1.468), la differenzafra Firenze ed Arezzo si dimezza (edè, comunque, statisticamente signifi-cativa al 95%).

La mortalità entro sei mesi dal rico-vero per l’evento acuto, compresa

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Tabella 2 - Analisi descrittiva dei ricoveri per Ictus (eventi) nei primi sei mesi del 2001. Zo-na fiorentina e Azienda Usl di Arezzo

* Limiti di confidenza al 95%.

Tabella 3 - Analisi descrittiva dei ricoveri per Frattura del femore (eventi) nei primi sei me-si del 2001. Zona fiorentina e Azienda Usl di Arezzo

* Limiti di confidenza al 95%.

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quella avvenuta durante il primo rico-vero per Ictus e Frattura del femore, èleggermente maggiore ad Arezzo ri-spetto a Firenze (i tassi di mortalitàgrezzi sono 273‰ ad Arezzo e 229‰a Firenze per l’Ictus, e 175‰ ad Arez-zo e 157‰ a Firenze per la Frattura delfemore). Il Rapporto di mortalità stan-dardizzato (SMR, standard: la stimadelle due aree) è 111 per Arezzo e 90,3per Firenze per i soggetti con Ictus e107,3 ad Arezzo e 95 a Firenze per laFrattura del femore ma in entrambi i

casi la differenza non è statisticamentesignificativa.

Nei sei mesi successivi all’eventoacuto i soggetti residenti nelle duearee hanno seguito percorsi assisten-ziali diversi; a Firenze si rileva un mi-nor utilizzo dell’assistenza riabilitati-va extraospedaliera e un maggior ri-corso a quella ospedaliera ed allestrutture di lungodegenza.

Le figure 2a e 3a mostrano i percor-si assistenziali reali dei soggetti resi-denti a Firenze e ad Arezzo che hanno

effettuato un ricovero per Ictus nel pri-mo semestre dell’anno 2001, nei seimesi successivi all’evento acuto. Lapercentuale dei soggetti dimessi viviche nei sei mesi successivi non usu-fruiscono di alcuna prestazione e so-pravvivono è simile nelle due realtà(65% a Firenze e 59% ad Arezzo). AFirenze, tuttavia, il 26% effettua subi-to un ricovero ospedaliero in riabilita-zione, mentre ad Arezzo solamente il10%, mentre è superiore la percentua-le dei soggetti che effettuano presta-

Tabella 4 - Assistenza ospedaliera, di riabilitazione e specialistica nei sei mesi precedenti e successivi al ricovero per Ictus (evento)

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zioni riabilitative extraospedaliere(7% ad Arezzo contro 0,8% di Firen-ze) e in specialistica ambulatoriale(13% contro 2% a Firenze). A Firenzeè maggiore anche la percentuale deisoggetti che effettua ricoveri ospeda-lieri in lungodegenza. Valorizzando ipercorsi assistenziali, attraverso le ta-riffe applicate realmente in Toscana(figure 2b e 3b), si rileva che le diffe-renze nei percorsi fra Arezzo e Firenzedanno luogo a differenze anche nei va-

lori economici. Il valore economicomedio dei percorsi dei soggetti resi-denti a Firenze è di 2.874 � mentre diquelli di Arezzo è di 963 �. Questi va-lori sono lievemente superiori a quelliriportati sopra perché sono al lordodell’assistenza usufruita nei sei mesiprecedenti.

L’ampia differenza è dovuta al fattoche a Firenze il percorso assistenzialeè più complesso; mentre la percentua-le di soggetti che dopo il ricovero per

Ictus non usufruisce di alcuna presta-zione è simile nelle due aree, a Firenzei soggetti che accedono ai servizi ven-gono trattati più a lungo, è più elevatoil ricorso all’assistenza di riabilitazio-ne ospedaliera, è sostanzialmente ine-sistente l’assistenza riabilitativa ex-traospedaliera ed alcuni soggetti acce-dono anche a strutture di lungodegen-za.

Le figure 4a e 5a mostrano i percor-si assistenziali dei soggetti, residenti a

Tabella 5 - Assistenza ospedaliera, di riabilitazione e specialistica nei sei mesi precedenti e successivi al ricovero (evento) per Fratturadel femore

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Firenze e nell’Azienda Usl di Arezzo,successivamente alla Frattura del fe-more

I percorsi seguiti dai soggetti suc-cessivamente al ricovero per Fratturadel femore a Firenze ed Arezzo seguo-no le stesse linee di quelle dei soggetti

con Ictus ma presentano differenze an-cora più marcate. Anche in questo casola percentuale dei soggetti che nei seimesi successivi al ricovero non usu-fruisce di alcuna prestazione e soprav-vive è simile nelle due aree (il 38,8% aFirenze e il 39,6% ad Arezzo).

A Firenze il percorso assistenzialesuccessivo alla Frattura del femore èestremamente complesso con un mag-giore ricorso alla riabilitazione ospe-daliera; ciò si ripercuote, ovviamente,anche sul valore economico medio delpercorso assistenziale post acuto che a

Figura 2a - Percorso assistenziale dei soggetti con Ictus residenti nell’Azienda Usl di Arezzo (nei sei mesi successivi al ricovero)

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Firenze è pari a 4.903 � mentre adArezzo è solamente di 516 � (figure4b e 5b).

Inoltre, a Firenze è maggiore ancheil ricorso all’assistenza in reparti dilungodegenza (il 18,2% dei soggettieffettua un ricovero di lungodegenza,come prima prestazione successiva-

mente all’evento acuto della Frattura),modalità di assistenza inesistente nel-l’Azienda Usl di Arezzo.

Da questa analisi emerge, quindi,come i residenti della Zona fiorentinae dell’Azienda Usl di Arezzo, succes-sivamente ad un Ictus o ad una Frattu-ra del femore, hanno accesso ad assi-stenza post acuta con modalità signifi-

cativamente differenti che danno luo-go a ripercussioni diverse anche dalpunto di vista economico.

5. Discussione

Nella fase pilota del progetto di va-lutazione economica dei percorsi as-sistenziali è stata analizzata l’assi-

Figura 2b - Percorso assistenziale dei soggetti con Ictus residenti nell’Azienda Usl di Arezzo (nei sei mesi successivi al ricovero): con valo-rizzazione attraverso le tariffe applicate in Toscana

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stenza ospedaliera acuta dei soggetticon Ictus e con Fratture del femore,quella riabilitativa, ospedaliera edextraospedaliera, nei sei mesi succes-sivi al ricovero, l’altra assistenzaospedaliera e quella specialistica am-bulatoriale.

I risultati presentati sono prelimina-ri, costituiscono una prima analisi ef-fettuata principalmente per verificarela fattibilità della metodologia, conparticolare riguardo all’integrazionedei flussi informativi. Questi risultatipreliminari indicano, comunque, che

la metodologia scelta, basata sull’inte-grazione dei flussi informativi correntiregionali, attraverso il record linkagecon il codice fiscale, funziona abba-stanza bene e consente di ricostruire ipercorsi assistenziali realmente seguitidai soggetti nel periodo successivo ad

Figura 3a - Percorso assistenziale dei soggetti con Ictus residenti nella Zona fiorentina (nei sei mesi successivi al ricovero)

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un evento acuto di Ictus o Frattura delfemore.

Le indicazioni di questo lavoromostrano che le due realtà locali han-no adottato modelli assistenziali di-versi con implicazioni economichedifferenti. In generale a Firenze c’è

un ricorso ampio all’assistenza riabi-litativa ospedaliera mentre ad Arezzoa quella territoriale. I percorsi indivi-duati nelle due realtà analizzate han-no conseguenze economiche moltodiverse. Ad esempio, un soggetto re-sidente nell’area dell’Azienda Usl di

Arezzo che ha avuto un Ictus, nei seimesi successivi può usufruire di ri-sorse sanitarie per un valore da zero aoltre 9.000 � (figura 2), mentre unodella Zona di Firenze da zero a26.000 � (figura 3), a seconda delricorso ad assistenza riabilitativa o

Figura 3b - Percorso assistenziale dei soggetti con Ictus residenti nella Zona fiorentina (nei sei mesi successivi al ricovero): con valorizza-zione attraverso le tariffe applicate in Toscana

meno, delle modalità e della tipolo-gia.

Tuttavia, questi risultati andrebberointerpretati con cautela per svariatimotivi. Ad esempio, gli archivi regio-nali includono solo una parte delleinformazioni sulle prestazioni sani-tarie effettivamente erogate dalleAziende Usl toscane, ed è anche pos-sibile che il grado di completezza dif-ferisca nelle varie zone. Infatti, in al-cune realtà locali come ad esempionell’Azienda Usl di Arezzo, l’assi-stenza post acuta viene erogata talvol-ta anche negli Ospedali di Comunità enelle Residenze sanitarie assistite, me-diante i cosiddetti ricoveri tempora-nei. Tuttavia, secondo le informazionidisponibili, di fonte aziendale, la per-centuale di soggetti che successiva-mente ad un evento di Ictus o di Frat-tura del femore ricorre a tali servizi èmolto limitata e la loro esclusione dal-l’analisi non dovrebbe inficiare i risul-tati ottenuti.

Il pregio principale di questo lavoroconsiste nell’avere utilizzato una ban-ca dati completa dei ricoveri effettuatida soggetti residenti in Toscana, edaver integrato l’archivio delle SDOcon quelli delle prestazioni di riabili-tazione extraospedaliera, di speciali-stica ambulatoriale e con il registro dimortalità della Toscana.

I limiti principali sono rappresen-tati dall’utilizzo delle tariffe Drg del-la Regione Toscana come proxy delcosto dei ricoveri e delle altre tariffeper le prestazioni riabilitative. Le ta-riffe possono divergere anche sostan-zialmente dai costi reali sostenutidalle strutture ospedaliere, tuttavia,in questo caso sono utilizzate preva-lentemente a fini comparativi e, co-munque, data la mancanza di infor-mazioni dettagliate sui costi, si ritie-ne che possano fornire informazioniutili ai fini valutativi. In secondo luo-go, le informazioni relative all’assi-stenza riabilitativa extraospedaliera,

contenute nel flusso regionale delleprestazioni riabilitative, potrebberopresentare qualche problema di com-pletezza. Infine, la Zona socio sanita-ria di Firenze (coincidente con il co-mune di Firenze) e dell’area dell’A-zienda Usl di Arezzo, pur essendoconfrontabili per numerosità e strut-tura demografica della popolazione,presentano significative diversità siaper la distribuzione della popolazio-

ne nel territorio, — l’area di Arezzoha una popolazione molto dispersacon ampie zone rurali — che per lastrutturazione dell’offerta — a Firen-ze è presente un’elevata concentra-zione di servizi sanitari nella città.Per questo motivo, le differenze rile-vate nei modelli assistenziali, almenoin parte, sono probabilmente espres-sione di situazioni territoriali com-pletamente diverse.

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Figura 4a - Percorso assistenziale dei soggetti con Frattura del femore residenti nell’AziendaUsl di Arezzo (nei sei mesi successivi al ricovero)

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L’Ictus e la Frattura del femore so-no patologie che richiedono un note-vole consumo di risorse sanitarie sianella fase acuta che in quella post acu-ta. Le differenze rilevate nelle duerealtà territoriali analizzate sono do-vute principalmente ad una diversastruttura dell’offerta; mentre a Firenzela riabilitazione è effettuata soprattut-to in ospedale e nelle case di cura, nel-l’Azienda Usl di Arezzo avviene so-

prattutto in strutture territoriali di tiporiabilitativo (ex art. 26) o residenzialeoppure domiciliare. Le due realtà stu-diate quindi hanno adottato due mo-delli assistenziali diversi; è interessan-te notare come il maggiore ricorso al-l’assistenza riabilitativa in ambienteospedaliero nella zona fiorentina, siaparzialmente compensato da una mag-giore frequenza di altri ricoveri ospe-dalieri (non di riabilitazione) nella fa-

se post acuta nei soggetti inclusi nellostudio della zona di Arezzo . Il ricorsoad altri ricoveri ospedalieri è probabil-mente attribuibile al fatto che i sogget-ti, anziani e con alto livello di comor-bilità, non potendo usufruire di curesanitarie ad elevata intensità nellestrutture di riabilitazione extraospeda-liera, sono rinviati più frequentementein ospedale per complicanza clinicoassistenziale.

Figura 4b - Percorso assistenziale dei soggetti con Frattura del femore residenti nell’Azienda Usl di Arezzo (nei sei mesi successivi al ricovero):con valorizzazione attraverso le tariffe applicate in Toscana

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Figura 5a - Percorso assistenziale dei soggetti con Frattura del femore residenti nella Zona fiorentina (nei sei mesi successivi al ricovero)

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Figura 5b - Percorso assistenziale dei soggetti con Frattura del femore residenti nella Zona fiorentina (nei sei mesi successivi al ricovero): convalorizzazione attraverso le tariffe applicate in Toscana

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In aggiunta nel confronto fra i valo-ri economici dei soggetti di Firenze edArezzo bisogna tenere conto che nel-l’assistenza di riabilitazione ospeda-liera sono incluse tutte le prestazionidiagnostiche effettuate durante il rico-vero e l’assistenza farmaceutica, noncomprese invece nei percorsi assisten-ziali territoriali; mentre le procedurediagnostiche sono recuperate nel flus-so dell’assistenza specialistica ambu-latoriale, l’assistenza farmaceuticaterritoriale non è inclusa nell’analisi.Infatti, dall’analisi dell’assistenzaspecialistica ambulatoriale si rilevache, se si includono tutte le prestazionie non solo quelle in specialità di riabi-litazione, i soggetti residenti ad Arez-zo ricorrono di più a tali servizi diquelli di Firenze (il valore medio persoggetto nei sei mesi successivi all’e-vento acuto è di circa 254 � ad Arezzoe di circa 99 � a Firenze per l’Ictus edi circa 184 � e 68 � rispettivamenteper la Frattura del femore).

Non è stato possibile approfondirel’analisi degli esiti dell’assistenza ero-gata nelle due realtà per via della bas-sa numerosità dei casi inclusi nella fa-se pilota. Le lievi differenze nei tassidi mortalità dei soggetti residenti a Fi-renze ed Arezzo non sono statistica-mente significative. È improbabileche tali differenze, come peraltro le al-tre differenze riscontrate siano da at-tribuire alla diversa gravità dei sogget-

ti. Infatti, sia a Firenze sia ad Arezzosono stati presi in esame tutti i sogget-ti ovunque ricoverati, che presumibil-mente sono espressivi dell’universodei casi di Ictus e Fratture del femorenelle due aree nel periodo temporaleconsiderato. Secondo il parere degliesperti e della letteratura scientifica lamortalità per Ictus e Frattura del femo-re sembra essere influenzata molto li-mitatamente dal percorso assistenzia-le post acuto (Langhorne e Duncan,2001; Roder et al., 2003), essendo al-tri fattori, clinici e organizzativi, imaggiori determinati dell’esito — adesempio per l’Ictus la tempestivitànell’accesso alle «Stroke Unit» (TheCochrane Library, 2000) e nella Frat-tura del femore la distanza fra l’eventoe l’intervento chirurgico, la profilassiantibiotica e tromboembolica, la presain carico da parte di un team multidi-sciplinare (Clague et al, 2002; Todd etal., 1995; Parker et al., 2000). Ancheper questo motivo, sembra necessarioproseguire l’analisi avviata, miglio-rando la metodologia, approfondendol’aspetto relativo al consumo di risor-se, ed ai conseguenti costi, e una valu-tazione più approfondita degli esiti sa-nitari.

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Management ed economia sanitaria

MECOSANItalian Quarterly of Health

Care Management, Economics and Policy

edita sotto gli auspici del Ministero della salute

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SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La valutazione di nuove tecnologie in Diagnostica per immagini: il tempo, l’accuratezza di giudizio,la necessità di una pronta operatività - 3. Mammografo digitale e mammografo analogico a confronto - 4. L’esperienza del Diparti-mento di Diagnostica per immagini del Policlinico universitario di Tor Vergata - 5. Conclusioni.

1. Introduzione

Un campo nel quale il progressotecnologico ha comportato mutamentivelocissimi è certamente la Diagnosti-ca per immagini: ogni anno vengonopresentate apparecchiature nuove,sempre più sofisticate, che permetto-no, sempre con l’ausilio dell’«occhio»umano, un’accuratezza diagnosticamaggiore. Queste apparecchiaturecomportano costi altissimi, legati allaloro sofisticatezza. Considerando ivincoli esistenti sulle risorse da desti-nare alla sanità, è importante poter da-re un giudizio sulle nuove tecnologie,guardando sia alla loro valenza tecni-co/scientifica, sia alla convenienzaeconomica del loro utilizzo.

Obiettivo dell’analisi che segue èquello di analizzare se tali apparec-chiature, nonostante l’elevato costodell’investimento iniziale, possano es-sere utilizzate dal Sistema sanitarionazionale poiché i vantaggi tecnicoorganizzativi sono tali da compensarea sufficienza lo sforzo economico ini-ziale.

La nuova tecnologia di cui parlere-mo è il mammografo digitale.

Partendo dall’ipotesi, supportatadall’esperienza del Dipartimento didiagnostica di riferimento e dai risul-

tati riportati in letteratura, di una effi-cacia del mammografo digitale pari,se non superiore, a quella dell’analo-gico, il nostro studio evidenzierà co-me per un’Azienda ospedaliera, dovela diagnostica senologica è praticatasu larga scala, possa risultare vantag-gioso utilizzare il mammografo digi-tale rispetto all’analogico poiché i mi-nori costi di gestione dovuti alla sem-plificazione dell’iter clinico del pa-ziente e dell’organizzazione del lavo-ro controbilanciano largamente ilmaggior investimento iniziale richie-sto per l’acquisto.

2. La valutazione di nuove tecnolo-gie in Diagnostica per immagini:il tempo, l’accuratezza di giudi-zio, la necessità di una prontaoperatività

L’impostazione più corretta per po-ter dare un giudizio su nuove tecnolo-gie nel campo della diagnostica perimmagini è il cosiddetto approcciogerarchico alla valutazione (hierar-chical approach) che si serve di indicidi accuratezza diagnostica e terapeuti-ca. Tali indici permettono di analizza-re gli effetti prognostici, di valutarel’efficacia sia per il paziente sia per lasocietà e di valutare il rapporto co-

sto/efficacia. L’approccio gerarchico,certamente completo e fondato su so-lide basi teoriche, ha il limite di esseretime - consuming poiché, se i vari ele-menti vengono valutati in successio-ne, il tempo richiesto per portare a ter-mine l’operazione di valutazione ècertamente lungo.

Come rappresentato nella figu-ra 1 le fasi dell’approccio gerarchi-co, come inizialmente proposto daFryback e Thornbury (1991), sono sei.All’estremo superiore troviamo le fasirelative alla efficienza, o efficacia dia-gnostica, all’estremo inferiore trovia-mo le fasi di valutazione della tecnolo-gia in termini del suo valore per la so-cietà.

I livelli di valutazione vengono or-dinati secondo un ordine di rilevanza.L’efficacia di una tecnologia diagno-stica non deve necessariamente esseredimostrata ad ogni livello, ma se l’ef-ficacia è debole ad un livello certa-mente risulterà debole nei seguenti li-velli.

PROGRESSO TECNOLOGICONELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI.

IL MAMMOGRAFO «DIGITALE»: COSTI E BENEFICI

Anna Micaela Ciarrapico 1, Elsa Cossu 2, Chiara Adriana Pistolese 2

1 Dipartimento di Sanità Pubblica - Facoltà di Medicina - Università di Roma «Tor Vergata»2 Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radiologia Interventistica - Policlinico Universitario «Tor Vergata» - Roma

I paragrafi 2 e 4.2 sono da attribuirsi ad An-na Micaela Ciarrapico. I paragrafi 3 e 4.1 sonoda attribuirsi ad Elsa Cossu e Chiara AdrianaPistolese. L’introduzione e le conclusioni sonofrutto di un lavoro comune.

Comunque, il tempo richiesto dal-l’espletamento dell’approccio gerar-chico, per dare un giudizio sulla vali-dità di una nuova tecnologia, spesso siscontra con la realtà di un mercato sulquale appaiono continuamente nuoviprodotti tecnologici che diventanooperativi non appena sono disponibili.Sono allora auspicabili metodologiedi valutazione più agili anche se menorigorose.

Hunink e Krestin (2002) evidenzia-no come la necessità di rendere opera-tive nuove tecnologie in tempi rapidipossa far sì che il giudizio di valuta-zione si fondi su esperienze soggetti-ve, basate su un numero limitato di ca-si. La generalizzazione di esperienzesoggettive, basate su di un numero li-mitato di casi, è possibile se la selezio-ne del gruppo di pazienti rappresenta-tivo, con riferimento al problema dia-gnostico sotto esame, è effettuata cor-rettamente (Pocock, 1983) e se tali pa-zienti sono assegnati in modo casuale(at random) alla nuova ed alla vecchiastrategia diagnostica.

Le informazioni che Hunink eKrestin ritengono rilevanti per potervalutare se passare alla operatività diuna nuova apparecchiatura diagnosti-ca e che devono essere raccolte nelcorso della pratica clinica (e non otte-nute in uno scenario sperimentalestrettamente controllato ma probabil-mente irreale), sono quelle utili a veri-ficare se la nuova tecnologia diagno-stica faciliti il processo clinico deci-sionale a parità di, o con migliori, ri-sultati clinici per il paziente, e a valu-tare se i costi di investimento e di ge-stione connessi alla nuova apparec-chiatura risultino «sostenibili» ed in-feriori a quelli relativi alla tecnologiache esse va a sostituire.

Come evidenziato nella figura 2, ledue impostazioni, quella basata sulcriterio gerarchico e quella basata suesperienze soggettive, rappresentanopercorsi diversi per raggiungere l’o-

biettivo rappresentato dal poter valu-tare, in senso tecnico ed economico,nuove tecnologie di diagnostica perimmagini prima di renderle operative.

Il conflitto tra la necessità di utiliz-zare uno schema gerarchico di valuta-zione, prima di rendere operativa unacerta tecnologia, e la necessità di ren-

dere operativa tempestivamente taletecnologia può quindi essere risolto,come evidenziato da Hunink e Krestin(2002), tramite una metodologia dianalisi in cui i tre momenti (sviluppo,valutazione e operatività di una tecno-logia di diagnostica per immagini)non sono visti come passaggi succes-

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Figura 1 - Varie fasi dell'approccio gerarchico

Figura 2 - Metodologie di valutazione a confronto

sivi e sequenziali del processo di valu-tazione, ma come un unico stadio.

Nei paragrafi che seguono cerche-remo quindi di delineare i vantaggidella nuova tecnologia tenendo contodelle varie «dimensioni» del processodecisionale clinico-economico.

Gli obiettivi che il nostro studio siprefigge sono i seguenti:

1) poter dimostrare che la nuovatecnologia diagnostica presenti deivantaggi in termini di efficienza dia-gnostica e di organizzazione del lavo-ro tali da rendere più agevole il pro-cesso clinico decisionale;

2) dimostrare che il più alto costodi acquisto della nuova tecnologia dia-gnostica sia più che compensato dal ri-sparmio in termini di costi di gestionedovuto alle caratteristiche della nuovaapparecchiatura.

L’analisi che segue riguarda, quin-di, la convenienza a diffondere sulmercato il «mammografo digitale»,apparecchiatura che si contrappone, edovrebbe nel tempo sostituire, ilmammografo analogico.

3. Mammografo digitale e mammo-grafo analogico a confronto

Il continuo sviluppo della diagno-stica per immagini negli ultimi due de-cenni è direttamente correlato all’a-vanzamento tecnologico ed alla dispo-nibilità di apparecchiature sempre piùsofisticate. Tale sviluppo deve quindinecessariamente integrarsi con un’ag-giornata cultura professionale e conrinnovate modalità organizzative dichi opera nel campo radiologico.

Attualmente, per quanto riguardala diagnostica senologica, l’indaginestrumentale più affidabile ed utizzatacorrentemente nella diagnosi precocedel tumore della mammella è la mam-mografia che, seppure effettuata dapersonale medico e tecnico dedicato,ha una percentuale di tumori non dia-gnosticati del 10-20%.

Gli apparecchi mammografici at-tualmente utilizzati nel nostro Paesesono quasi esclusivamente analogici espesso obsoleti (tabella 1).

L’utilizzo di mammografi obsoletipuò comportare un’esposizione alleradiazioni ionizzanti eccessiva condose elevata per le utenti (pazienti).

Negli ultimi anni, grazie ai notevoliprogressi della tecnologia sono stateproposte e successivamente introdottenella pratica clinica apparecchiaturedigitali altamente sofisticate che, oltrea produrre immagini di elevata qualità,consentono, tramite la rielaborazionedei dati acquisiti durante l’esposizio-ne, di ottenere ulteriori informazioniutili ai fini diagnostici e interpretativi.

3.1. Caratteristiche tecniche del mam-mografo digitale ed analogico

La principale differenza tra sistemaanalogico e sistema digitale è dovutaalla presenza, nel digitale, del detetto-

re, cioè dell’oggetto che raccogliel’immagine.

Nella mammografia analogica, lapellicola racchiude l’acquisizione e lavisualizzazione dell’immagine, alcontrario della tecnica digitale in cui,dall’acquisizione iniziale possono es-sere effettuate rielaborazioni che por-tano all’ottimizzazione dell’immagi-ne con la possibilità di identificare ul-teriori elementi diagnostici separata-mente ed indipendentemente dall’e-sposizione iniziale. In questo modo èpossibile modificare i dati espositivi,correggendo la luminosità e il contra-sto per favorire la visione dell’imma-gine, o tramite la rielaborazione, conl’utilizzo di algoritmi di ricostruzioneper l’analisi dei dati (zoom elettronici,inversione bianco-nero dell’immagi-ne, misure, ecc.), senza dover ripeterel’esposizione come accade nell’acqui-sizione analogica. La gestione del-l’immagine digitale è dunque più ver-satile di quella analogica.

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Tabella 1- Obsolescenza dei mammografi presenti sul territorio italiano

Fonte: Ministero della sanità (2002), Indagine sui servizi di diagnostica per immagini in strutture di ricovero e curapubbliche e private.

Box 1

La mammografia analogica è un sistema schermo-pellicola (SFM = Screen FilmMammography). Le radiazioni ionizzanti emesse dal tubo radiogeno del mammografo at-traversano la mammella e vanno ad impressionare la pellicola. In un sottile schermo di fo-sfori, l’ossisolfuro di Gadolinio attivato da cristalli di Terbio assorbe e converte i fotoni Xin luce e trasferisce l’immagine su un film monoemulsione. Il film è dunque processatoper rendere visibile e stabile l’immagine. Nel processo il film ha funzioni molteplici (de-tezione, visualizzazione, archiviazione).

Nella mammografia digitale l’immagine viene ottenuta in tempo reale. I raggi X ven-gono convertiti dal detettore digitale in cariche elettriche.

I sistemi al Silicio Amorfo effettuano una duplice conversione: da raggi X a fotoni lu-minosi (che si ottengono tramite uno schermo scintillatore allo ioduro di Cesio) e da foto-ni luminosi a cariche elettriche. I sistemi al Selenio amorfo effettuano una conversione di-retta di energia da raggi X a cariche elettriche.

Il mammografo digitale, oltre allarielaborazione con post processing, dàla possibilità di utilizzare elementi ag-giuntivi come ad esempio il «CAD»(Computer Aided Detection), ovverola diagnosi assistita dal computer attra-verso l’impiego di intelligenza artifi-ciale, che permette di incrementare lasensibilità dell’esame mammograficoaiutando il radiologo nella lettura del-l’esame sia nella diagnostica clinicache in alcuni studi applicati ai program-mi di screening dove può essere utiliz-zato in sostituzione del primo lettore.

4. L’esperienza del Dipartimento didiagnostica per immagini del Po-liclinico universitario di Tor Ver-gata

Per poter dare un giudizio riguardoil rendere operativo su larga scala ilmammografo digitale e quindi auspi-care la sostituzione dei «vecchi»mammografi analogici con «nuovi»mammografi digitali non faremo rife-rimento al metodo gerarchico (inquanto i dati necessari non sono anco-ra tutti disponibili) bensì utilizzeremol’impostazione basata sulla nostraesperienza soggettiva.

Nel Dipartimento di diagnostica perimmagini, cui è riferita l’esperienzasoggettiva di seguito riportata, sonodisponibili:

1) mammografia analogica (SFM)di ultima generazione, con doppiofuoco, doppia pista anodica (Mo, Rh).

2) sistema digitale diretto(FFDM = Full Field Digital Mammo-graphy).

Nella nostra analisi valutativa cer-cheremo di raccogliere tutte le infor-mazioni disponibili, sia dal punto divista tecnico/scientifico sia dal puntodi vista della convenienza economica,ritenute rilevanti al fine di poter espri-mere un giudizio sull’auspicabilità diuna veloce diffusione della mammo-grafia digitale.

In generale, per poter confrontaredue tecnologie anche in termini eco-nomici si fà riferimento o all’analisicosto efficacia o al metodo della mini-mizzazione dei costi.

La nostra analisi utilizzerà il meto-do della minimizzazione dei costi chesi basa sull’ipotesi di uguale efficaciadelle due apparecchiature e che porta apreferire quella delle due apparecchia-ture che rappresenta un minor costo.

Inizieremo, quindi, nell’analizzarese è possibile affermare che il mam-mografo digitale abbia uguale/supe-riore efficacia rispetto all’analogico.Evidenzieremo, quindi, i vantaggi tec-nici, organizzativi ed economici cheporteranno a preferire la mammogra-fia digitale rispetto all’analogica.

4.1. L’efficacia diagnostica del mam-mografo digitale

Al fine di formulare giudizi sull’ef-ficacia delle singole indagini devonoessere valutate la sensibilità e specifi-cità delle metodologie diagnostiche.

La sensibilità e la specificità defi-niscono l’affidabilità dell’indagine,quantificandone la capacità rispettiva-mente di identificare la presenza di

malattia per la prima e l’assenza di ma-lattia per la seconda. In particolare lasensibilità indica la frequenza con laquale l’indagine risulta positiva in unapopolazione di soggetti che hanno lamalattia cercata; la specificità indica,invece, la frequenza con la quale l’esa-me risulta negativo nella popolazionedi soggetti che non sono affetti dallamalattia. Altro indice quantitativo, cheriassume sensibilità e specificità in unvalore, è rappresentato dall’accuratez-za diagnostica intesa come capacitàmedia di un’indagine di individuare lapresenza o l’assenza di malattia.

Nell’ambito della diagnostica perimmagini tali parametri dipendonostrettamente dai requisiti tecnici e dal-la qualità delle immagini che grazie alcontinuo progresso tecnologico è incontinuo miglioramento.

Il confronto di due tecnologie in ter-mini di efficacia diagnostica basatasulla qualità delle immagini presuppo-ne l’esecuzione di ogni esame, sia in-tero che parte di esso, con entrambi isistemi, analogico e digitale, con du-plice esposizione delle pazienti alleradiazioni.

Numerosi Autori (box 2) riportano irisultati ottenuti da questa valutazione

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Box 2

Fisher et al. (2000), in base ai risultati ottenuti su un campione limitato (55 pazienti),affermano che con il mammografo digitale la sensibilità, la specificità e l’accuratezza dia-gnostica raggiungono valori rispettivamente del 95%, 53% e 68%, rispetto al 90%, 47% e63% dell’analogico.

Lewin-D’Orsi-Hendrick (2002), asseriscono che la tecnica digitale è, in termini di ef-ficacia uguale a quella analogica. Nel loro lavoro vengono riportati i risultati del confron-to tra 6736 esami mammografici di screening eseguiti sia con apparecchio digitale cheanalogico. Gli autori concludono di non aver riscontrato significative differenze tra le duetecniche utilizzate nell’individuazione del carcinoma mammario, anche se a favore del di-gitale grava un minor numero di approfondimenti diagnostici.

Nello studio condotto su 10895 donne di età compresa tra i 50 e 60 anni e in 7849 don-ne con fascia di età da 45 a 49 anni, Skaane et al. (2002) riscontrano una migliore identi-ficazione con il mammografo digitale rispetto all’analogico per il carcinoma invasivo(57% contro il 39%) e per il carcinoma duttale in situ (22% contro 14%).

Nella esperienza clinica diagnostica del Dipartimento di diagnostica per immagini delPoliclinico universitario di Tor Vergata è stata riscontrata uguale sensibilità tra digitale edanalogico (80%).

comparativa e si trovano in accordonell’affermare che il sistema digitaleha performance paragonabili, se nonin alcuni casi superiori, a quelle otte-nute con il sistema analogico.

Basandosi il confronto dell’effica-cia del sistema digitale rispetto a quel-lo analogico essenzialmente sulla va-lutazione di caratteristiche tecniche esulla qualità dell’immagine, si deve, anostro giudizio, evidenziare l’impor-tante ruolo del CAD che, come abbia-mo già accennato, rappresenta un sofi-sticato programma di analisi compute-rizzata in grado di riconoscere analiz-zare e segnalare aree sospette, distor-sioni strutturali e cluster di microcal-cificazioni che possono sfuggire al ra-diologo durante l’interpretazione del-l’immagine. L’interpretazione dei ra-diogrammi è soggetta infatti ad unaampia variabilità che si traduce in unavariazione di accuratezza diagnostica;il CAD potrebbe essere utile per aiuta-re il radiologo a ridurre questa variabi-lità (Makey - Lo - Floyd, 2002; Feig etal., 2001).

Nel grafico 1 si riporta la stima delbeneficio del CAD nella pratica mam-mografica clinica riportato in Feig etal. (2001). I risultati evidenziano chela sensibilità dell’interpretazione del-l’esame mammografico ad opera delsingolo radiologo è dello 80%. L’uti-lizzo del CAD consente di recuperareuna percentuale di lesioni omesse. Lalettura dell’esame mammografico conl’ausilio del CAD (radiologo + CAD)permette dunque di incrementare finoal 96% la quota di lesioni individuate.

Nell’esperienza del Policlinico uni-versitario di Tor Vergata il confrontotra lettura delle mammografie del soloradiologo e lettura del radiologo +CAD evidenzia un aumento della sen-sibilità diagnostica dell’esame mam-mografico interpretato dal radiologocon l’ausilio del CAD del 15%, in ac-cordo con i dati della letteratura (Feig,

2001; Castellino et al., 2002; Free-Ulissey, 2001).

4.2. I vantaggi tecnici e organizzativi

In questo paragrafo presenteremo ivantaggi del mammografo digitale ri-spetto all’analogico dovuti a parame-tri tecnici, e che quindi sono «univer-sali», ed i vantaggi che sono stati ri-scontrati nell’organizzazione del la-voro e nell’iter del paziente nell’espe-rienza considerata.

4.2.1. I vantaggi tecnici

Per quanto concerne i vantaggistrettamente correlati a catratteristi-che tecniche dell’apparecchio, unvantaggio importante del mammo-grafo digitale è che tale apparecchio,mediante l’utilizzo di sistemi di de-tenzione ottimizzati (accoppiamento

Rodio/Rodio), consente di ottenere,come illustrato nel grafico 2, immagi-ni di elevata qualità con una riduzionedi circa il 30% della dose delle radia-zioni emesse con apparecchi analogi-ci.

I diagrammi riportati nel grafico 2rappresentano le dosi assorbite dallepazienti sottoposte ad acquisizione inproiezione CC con mammografo digi-tale ed analogico. La riduzione delladose di radiazioni con l’analogico èpari al 31%.

Il sistema digitale risulta, inoltre,essere la tecnica migliore per archi-viare, richiamare e consultare le im-magini. Queste possono essere an-che trasmesse a distanza in tempo rea-le, tramite sofisticati sistemi infor-matici PACS (Picture Archiving andComunication System) - DICOM ingrado di supportare tutte le operazio-ni, rendendo possibile l’effettuazione

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Grafico 1 - Beneficio del CAD nella pratica mammografia clinica

Fonte: Feig (2001).

di attività di teleconsulto tra centri«qualificati» e centri «periferici» sucasi particolarmente complessi.

4.2.2. I vantaggi clinico-diagnostici edorganizzativi nell’esperienza consi-derata

Dal maggio 2002 al maggio 2003,presso il Dipartimento di diagnosticaper immagini del Policlinico universi-tario di Roma «Tor Vergata», è statamessa a confronto l’attività clinicaeseguita su un apparecchio digitalecon quella svolta con un apparecchioanalogico, nello stesso numero digiorni e ore lavorative. Si è quindi pro-ceduto al confronto tra numero degliesami eseguiti, comprese proiezioniaggiuntive ed esami ecografici com-plementari e relativi costi.

Dal confronto dell’attività clinicasvolta con apparecchio digitale e ana-logico sono emersi dati interessanti siadal punto di vista clinico diagnosticoche organizzativo.

Le caratteristiche tecniche delmammografo digitale fanno sì che sipossa ottenere una migliore organiz-zazione del lavoro. Notiamo, infatti,che il lavoro effettuato con apparec-chio digitale, riferito a numero di esa-mi eseguiti a parità di turni lavoratividel mammografo analogico, è signifi-cativamente maggiore (9150 esamicon apparecchio digitale e 6100 conl’analogico). Questo è conseguente alrisparmio di circa 4-5 minuti ad esamedovuto alla visualizzazione «real ti-me» sul monitor delle immagini otte-nute che, al contrario della tecnicaanalogica, non necessitano di sviluppo(processo che impiega 3 minuti a pel-licola).

Per quanto riguarda il tempo di let-tura degli esami su soft e hard copynon sono state da noi riscontrate signi-ficative variazioni se l’esame ottenutocon tecnica digitale viene refertato di-rettamente sul monitor.

Altro vantaggio, di interesse sia or-ganizzativo che tecnico diagnostico, èla riduzione delle proiezioni aggiunti-ve, intese come esami sia ad ingrandi-mento diretto di immagine che a com-pressione mirata, che sono state ne-cessarie per l’interpretazione dei segnimammografici con l’utilizzo della tec-nica digitale.

La percentuale di proiezioni ag-giuntive eseguite per chiarimenti dia-gnostici è stata del 10% per la tecnicadigitale e del 14% con quella analogi-ca. Questo è dovuto principalmentealla possibilità di ricavare informazio-ni diagnostiche senza dover effettuareulteriori esposizioni mediante la riela-borazione delle immagini con la workstation dell’apparecchio digitale, tra-mite ad esempio zoom elettronici, au-mento del contrasto e inversione ne-gativo/positivo (bianco/nero) dell’im-magine che aumentano l’accuratezzadiagnostica dell’esame mammografi-co già con le tre acquisizioni standarde conseguente ulteriore riduzione del-la durata dell’esame.

La possibilità di gestire le immagininel post processing consente, attraver-so diversi procedimenti di rielabora-zione, di migliorare la visualizzazio-ne, secondo le necessità interpretativedel lettore, sia di segni mammograficispecifici che delle mammelle densedifficilmente valutabili con il solo esa-me mammografico eseguito con tecni-ca analogica. In particolare dal nostrostudio comparativo si osserva una ri-duzione degli esami ecografici com-plementari alle indagini mammografi-che condotte su apparecchi digitali del24% (tabella 2).

4.2.3. I risultati del confronto, in ter-mini di vantaggi tecnico-organizza-tivi, tra mammografo digitale edanalogico

Nella tabella 3 vengono riportatitutti i vantaggi, sia tecnici che orga-nizzativi, del mammografo digitale ri-spetto all’analogico.

La minor durata degli esami per-mette di effettuare complessivamente

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Grafico 2 - Confronto della dose di radiazioni per le pazienti utilizzando il mammografoanalogico (SFM) ed il mammografo digitale (FFDM)

più esami; la maggior facilità di archi-viazione permette di semplificare l’or-ganizzazione del lavoro; il minor nu-mero di proiezione e di esami comple-mentari semplifica l’iter clinico delpaziente; la minor dose di radiazioni èun beneficio per il paziente stesso; lamaggiore accuratezza diagnostica e lamaggiore sensibilità, quando la letturaè affidata al radiologo + CAD, concor-rono a garantire un’efficacia uguale senon superiore del mammografo digi-tale rispetto all’analogico.

Possiamo quindi affermare, con ri-ferimento agli obiettivi che la nostraanalisi si è prefissata, che il mammo-grafo digitale presenta dei vantaggi intermini di efficienza diagnostica e diorganizzazione del lavoro rispetto almammografo analogico e quindi faci-lita il processo decisionale clinico.

4.3. Vantaggi economici

Nella valutazione dei vantaggi eco-nomici dobbiamo tener conto sia deicosti che dei ricavi presunti o indicati-vi connessi all’utilizzo delle due appa-recchiature, mammografo analogico emammografo digitale.

Per quanto riguarda i costi inizialidelle due apparecchiature ci sonosenz’altro significative differenze. Ilcosto di acquisto del sistema digitale èdi circa 450.000 euro, IVA compresa,con costo annuo di ammortamento, sesi ipotizza di ammortizzare tale mac-chinario in 5 anni, di 90.000 euro l’an-no. Il costo del contratto di manuten-zione full risk annuale è pari a 36.000euro. Tale cifra è calcolata conside-rando che per il primo anno l’apparec-chio è coperto da garanzia e che per isuccessivi 4 anni il costo annuale dimanutenzione è pari al 10% del valoredell’apparecchio. La cifra complessi-va per la manutenzione dei successivi4 anni è stati quindi risuddivisa sui 5anni che corrispondono al periodo diammortamento.

Il mammografo analogico ha costiiniziali più contenuti, 90.000 euro,IVA compresa, con costo annuale, perun ammortamento in 5 anni di 18.000euro; il costo del contratto di manuten-zione full risk annuale è pari a 7.200euro IVA compresa.

I costi di acquisto e manutenzionerisultano, quindi, significativamente asvantaggio del sistema digitale. Dob-biamo, però, considerare anche i costiconnessi all’ottenimento e alla gestio-ne delle immagini sia per il mammo-grafo analogico che per il mammo-grafo digitale.

Ricordando quanto precedente-mente esposto, le caratteristiche delsistema digitale rendono possibile lavisualizzazione e la valutazione del-l’esame mammografico con le even-tuali rielaborazioni delle immagini al

monitor, al contrario dei sistemi ana-logici in cui l’unica possibilità inter-pretativa è legata alla necessità di svi-luppare su pellicole radiografiche leinformazioni ottenute durante l’espo-sizione. Questo elemento comportauna notevole differenza dal punto divista dei costi delle due tecniche con-frontate.

Il sistema analogico,rispetto al digi-tale, necessita per la visualizzazionedelle immagini mammografiche di ap-parecchi e di materiali aggiuntivi. Gliapparecchi sono la sviluppatrice il cuicosto di acquisto è pari a 40.000 euro,IVA inclusa, più il contratto di manu-tenzione pari al 10% del valore del-l’apparecchiatura.

I materiali, invece, consistono es-senzialmente nelle pellicole radiogra-fiche e nei liquidi di sviluppo. Per lo

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Tabella 2 - I risultati dell’esperienza considerata

Tabella 3 - I vantaggi «tecnici» ed organizzativi del mammografo digitale rispetto all’analo-gico

sviluppo di ogni esame mammografi-co eseguito con apparecchio analogi-co si utilizzano in media 7 pellicole.Inoltre viene considerato un 14% diproiezioni aggiuntive sul totale degliesami eseguiti (854 proiezioni aggiun-tive) e considerando che ad ogniproiezione corrisponde l’uso di unapellicola, complessivamente sono sta-te usate 43.554 pellicole. Il costo diogni pellicola risulta pari a 1,60 euro(prezzo di listino – 30% di sconto).

Al contrario, con la tecnica digitalel’esame può, quando richiesto dallepazienti, essere masterizzato su sup-porto CD (1,30 euro) con azzeramentodei costi relativi ai materiali e alle ap-parecchiature deputate alla realizza-zione delle pellicole radiografiche sul-le quali viene prodotta l’immaginemammografica. Altro elemento daconsiderare, seppur di minore rilievonella riduzione dei costi derivante dal-l’utilizzo dei CD, è la possibilità di eli-minare le buste contenenti i radio-grammi e le cartelline in cui vengonoraccolti i dati anamnestici.

Inoltre, la disponibilità delle imma-gini digitali permette di cambiare ra-dicalmente le modalità di archiviazio-ne consentendo la creazione di archiviinformatici completi, comprendentisia tutte le notizie cliniche riguardantile pazienti sia la relativa documenta-zione iconografica. La gestione delleimmagini digitali richiede, quindi,minor impiego del personale addettoallo sviluppo e all’archiviazione e ri-tiro degli esami con ulteriore riduzio-ne delle spese di gestione. Abbiamoipotizzato che il tempo dedicato dalpersonale amministrativo per l’archi-viazione delle immagini, per il nume-ro di esami mammografici annualieseguiti con mammografo analogicodal Dipartimento di diagnostica perimmagini dell’Università di Tor Ver-gata, è pari a metà dell’orario contrat-tuale annuale di un impiegato ammi-nistrativo «d’ordine», mentre il tem-

po necessario allo sviluppo delle im-magini equivale a metà dell’impiegocomplessivo di tempo di un tecnico diradiologia.

L’eliminazione delle pellicole ra-diografiche e la possibilità di maste-rizzare le immagini su supporti infor-matici (almeno dieci casi per singoloCD) che occupano meno spazio e pe-sano molto meno delle radiografie,porta all’ottimizzazione degli spazinecessari per l’archiviazione degliesami obbligatoria per legge.

Nella tabella 4 sono riportati prima icosti fissi (acquisto e manutenzioneapparecchi) e, quindi, i costi variabili(personale e materiali) connessi alledue apparecchiature. Si può notare chei costi fissi sono superiori nel caso delmammografo digitale mentre i costivariabili sono superiori per il mammo-grafo analogico.

Nella tabella 5 sono riportati i datirelativi al costo medio (ad esame) diuna mammografia eseguita con mam-mografo analogico e con mammo-grafo digitale relativi all’esperienzadel Dipartimento di diagnostica perimmagini dell’Università di Tor Ver-gata.

Nella tabella 6, nelle prime due ri-ghe, sono riportati il numero degli esa-mi eseguiti nel periodo sotto analisi ela tariffa regionale per esame mam-mografico (34,86 euro), che è la stessasia che l’esame sia eseguito con mam-mografo analogico che con mammo-grafo digitale.Tale tariffa, che può va-riare da regione a regione, rappresentaquanto il sistema di finanziamento re-gionale riconosce alle Aziende ospe-daliere e alle strutture accreditate perogni esame effettuato e dovrebbe cor-rispondere al costo standard dell’esa-

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Tabella 4 - Costi annui complessivi: apparecchio digitale e apparecchio analogico a con-fronto

me stesso. Parlare di «ricavi» nonè quindi perfettamente appropriato.Quello che si ottiene quando moltipli-chiamo il numero di esami effettuatiper la tariffa regionale, e che noi indi-chiamo come «ricavi totali presunti»,altro non è che la valorizzazione delprodotto a tariffe regionali.

Notiamo che sia nel caso del mam-mografo analogico che del mammo-grafo digitale, nell’esperienza del Di-partimento di diagnostica per immagi-ni dell’Università di Tor Vergata, latariffa regionale, o costo standard, èmaggiore del costo medio. Il margine,inoltre, è maggiore nel caso degli esa-mi effettuati con mammografo digita-le.

Come mostra il grafico 3, poi, ilpunto di break-even si verifica in cor-rispondenza di un minor numero diesami nel caso del mammografo digi-tale.

Quello che si evince dai dati ripor-tati è che, nell’esperienza considerata,l’innovazione tecnologica ha portatoad un abbassamento dei costi e, quin-di, teoricamente, la tariffa regionaledovrebbe essere rivista alla luce del ri-sparmio di risorse che la nuova tecno-logia permette.

Con riferimento agli obiettivi che ilnostro studio si è prefissato, abbiamoinvece dimostrato che i costi connessialla nuova tecnologia diagnostica rap-presentata dal mammografo digitale,sono inferiori a quelli della tecnologiache tale apparecchio va a sostituire(mammografo analogico).

5. Conclusioni

Obiettivo dell’analisi svolta è statoquello di evidenziare come il mammo-grafo digitale, oltre ad avere caratteri-stiche tecniche che permettono di otte-nere migliori risultati diagnostici ri-spetto al mammografo analogico, pos-sa risultare anche economicamente«più conveniente».

I vantaggi dovuti a parametri tecni-ci sono stati individuati nel minoretempo di esecuzione dell’esame, nelminore numero di proiezioni aggiun-tive e di esami complementari richie-

sti, nel minore impiego di personaleaddetto allo sviluppo e all’archivia-zione; nella minore dose di radiazionie nella maggiore accuratezza diagno-stica. Se si fa uso anche del CAD, ai

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Tabella 5 - Costo ad esame nell’esperienza del Dipartimento di diagnostica per immaginidell’Università di Roma Tor Vergata

Tabella 6 - Ricavi presunti, annui complessivi: apparecchio digitale e apparecchio analogicoa confronto

Grafico 3 - Il break-even

vantaggi citati si aggiungono quellidi una maggiore sensibilità e specifi-cità.

Le caratteristiche dell’acquisizio-ne digitale consentono di visualizza-re le immagini in tempo reale con ri-duzione della durata dell’esame econseguente aumento del numero diprestazioni eseguite per turno lavora-tivo.

Il post processing e l’utilizzo disoftware di rielaborazione consentonodi modificare i dati acquisiti durantel’esposizione, permettendo di ottenereimportanti informazioni diagnostichee ridurre il numero delle proiezioni ag-giuntive e degli esami ecografici com-plementari.

La possibilità della tecnica digitaledi diminuire la dose di radiazioni ne-cessaria per l’esecuzione dell’esamemammografico di circa il 30%, rap-presenta un notevole vantaggio socia-le sia per l’impatto psicologico sullepazienti, consentendo una maggioreaccettazione dell’indagine, che per lariduzione della dose effettivamenteassorbita.

La versatilità delle immagini digita-li rende possibile la creazione di archi-vi informatici, disponibili su soft-copy, in cui la qualità delle immagininon è soggetta a deterioramento neltempo, al contrario di quanto accadeper quelle realizzate su pellicole ra-diografiche che possono determinareproblemi interpretativi legati al con-fronto degli esami precedentementeeseguiti.

Le immagini ottenute con tecnicadigitale possono inoltre essere tra-smesse a distanza rendendo possibileil teleconsulto tra centri «qualificati»e centri «periferici» qualora sia ri-chiesta dalla complessità interpretati-va.

Per quanto riguarda, invece, i van-taggi economici del mammografo di-gitale rispetto all’analogico, a frontedi un investimento iniziale e di un co-

sto di manutenzione notevolmentemaggiore, i costi di «produzione» egestione delle immagini risultano no-tevolmente inferiori.

Possiamo, quindi, dire che i costifissi sono superiori per il mammo-grafo digitale mentre i costi variabilisono maggiori per il mammografoanalogico. La convenienza economicadel mammografo digitale è quindi le-gata al «ritmo» di utilizzazione di taleapparecchiatura. Se il mammografoviene utilizzato intensamente, i costifissi si ammortizzano e non pesano ec-cessivamente sul conto economicodell’apparecchio.

I dati relativi all’esperienza del Di-partimento di diagnostica per immagi-ni dell’Università di Tor Vergata evi-denziano un punto di break-even per ilmammografo digitale in corrispon-denza di un numero di esami pari a cir-ca 4.000.

Se impiegato efficientemente ilmammografo digitale risulta quindiessere un «buon investimento» sia dalpunto di vista dei vantaggi diagnosticiche dal punto di vista economico eduna sua diffusione sembra, allora, au-spicabile.

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Management ed economia sanitaria

MECOSANLa rivista trimestraledi saggi e ricerche, documenti e commentiper il governo manageriale della sanità

edita sotto gli auspici del Ministero della salute

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Titolo e autori

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Titoli dei paragrafi

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Tabelle, grafici e figure

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Si devono effettuare con il sistema autore-data (e non con i numeriprogressivi) nel corpo del testo o in nota. Le indicazionicorrispondenti si devono riportare alla fine dell’articolonella bibliografia, dopo le note, in ordine alfabetico, secondoil seguente esempio:— per testi: richiamo: (Clerico, 1984); indicazione: CLERICO G.

(1984), Economia della salute, Franco Angeli, Milano.— per articoli: richiamo: (Volpatto, 1990); indicazione: VOLPATTO

O. (1990), «La privatizzazione dei servizi pubblici», AziendaPubblica, 2: pagg. 243-252.

I testi non citati nell’articolo che eventualmente si vorrannosegnalare dovranno essere inseriti in una bibliografia separata.

I testi

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Gli articoli pervenuti saranno sottoposti al vaglio dei referentiaccreditati e qualora risultassero disattesi i requisiti suindicatipotranno essere scartati o integrati dalla redazione.

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SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Obiettivo dell’indagine e metodologia utilizzata - 3. Risultati - 4. Considerazioni e prospettive.

1. Introduzione (1)

Negli ultimi anni è andata crescen-do in sanità l’attività di valutazionedella soddisfazione dei cittadini-utentirelativa ai servizi fruiti. Essa fa segui-to al cambiamento di natura culturalein cui le persone sembrano esseresempre più consapevoli ed interessateai propri problemi di salute, meno di-sposte a delegare ad altri la loro solu-zione ed appare rilevante più che inpassato il perseguimento dei propri di-ritti e dell’importanza attribuita allapartecipazione al progetto di cura. At-traverso la valutazione sul servizio ri-cevuto, l’utente diventa attore princi-pale del processo assistenziale, è coin-volto in prima persona nel suo miglio-ramento, diviene co-artefice insiemealla struttura, di una nuova culturacentrata sul concetto di qualità. L’atti-vità di valutazione della soddisfazionedei cittadini-utenti diminuisce il ri-schio della standardizzazione e sper-sonalizzazione delle cure sanitarie,problema particolarmente sentito at-tualmente in un contesto economicofocalizzato sulla scarsità di risorse.

Per le aziende sanitarie questi mo-menti di verifica possono rappresenta-re un elemento essenziale della politi-ca e dell’organizzazione all’interno di

un nuovo modello di management chesi caratterizza per essere costumerdriven e per una visione della qua-lità come «meeting or exceedingcustomer expectation» (Loiudice,1995). Le ricerche sulla qualità perce-pita possono essere strumenti che aiu-tano le aziende sanitarie ad individua-re e sviluppare le caratteristiche dei lo-ro servizi sulla base delle aspettativedegli utenti, definire e migliorare leloro modalità di erogazione, motivaree far crescere il personale di contatto,diffondere una cultura aziendale cen-trata sul cliente, sulla persona e suisuoi bisogni complessivi.

L’indagine presentata si inseriscenell’ambito delle rilevazioni della«qualità percepita» e prende in consi-derazione una patologia, quella diabe-tica, che si sta sempre più diffonden-do, determinando anche nel nostroPaese rilevanti problemi a livello indi-viduale e sociale, richiedendo nuoveriflessioni circa la necessità di un ade-guamento delle modalità di progetta-zione ed erogazione dei servizi.

Attenzione alla malattia, al suo co-stante monitoraggio, all’individuazio-ne di ambiti nuovi per effettuare atti-vità di prevenzione e gestione, vieneespresso anche dal Piano sanitario na-zionale 2002-2004.

Da alcuni anni è stato avviato a li-vello aziendale un progetto di riorga-nizzazione dell’assistenza e cura aipazienti diabetici. Il progetto, coordi-nato da una Commissione provincialein cui sono rappresentati gli specialistidiabetologi dell’Azienda ed i medicidi Medicina generale (2) prevedeva:

— promozione dell’educazione sa-nitaria delle persone con diabete;

— miglioramento dell’attività didiagnosi precoce, di assistenza di basee specialistica con particolare riguar-do alla prevenzione delle complicanzee della ospedalizzazione;

— omogeneità sul territorio provin-ciale della erogazione dei farmaci e di-stribuzione dei presidi;

— utilizzo di protocolli diagnosticie terapeutici condivisi e omogenei;

— aggiornamento su tutto il territo-rio dei medici di Medicina generale;

— applicazione di strumenti di ve-rifica dell’efficacia degli interventimessi in atto;

— informazione capillare agli uten-ti sulla nuova organizzazione.

Questo progetto di riorganizzazio-ne si è basato principalmente sull’inte-grazione tra specialisti diabetologi-Mmg e presidi ospedalieri. In partico-lare il protocollo prevedeva:

ATTRAVERSO GLI OCCHI DEI CITTADINI:UNA VALUTAZIONE SULL’ASSISTENZA SANITARIA

AI PAZIENTI DIABETICI MODENESI

Monica Dotti 1, Viola Damen 1, Patrizia Guidetti 2, Giorgio Mazzi 3

Azienda Usl di Modena1 Sistema Qualità2 Distretto di Carpi3 Direzione Sanitaria

— che i pazienti insulinodipendentio insulino-trattati ambulabili conti-nuassero ad essere seguiti dai Centridiabetologici;

— che i pazienti insulinodipendentio insulino-trattati non ambulabili ve-nissero presi in carico dai Mmg e che icentri svolgessero il ruolo di consu-lenti specialisti agli Mmg;

— che i pazienti diabetici di tipo IInon insulino-trattati compensati po-tessero essere presi in carico per lorolibera scelta dai Mmg aderenti all’ac-cordo con l’Azienda, con sempre unamaggiore apertura alla libera decisio-ne del paziente.

Dopo alcuni anni dall’attivazionedel protocollo, nell’autunno del 2001,su mandato della Commissione pro-vinciale, il Sistema Qualità aziendaleha coordinato un’indagine per misura-re la qualità percepita dai cittadini dia-betici residenti nel territorio dell’A-zienda Usl di Modena, sui servizi rela-tivi alla cura della patologia offerti daimedici di Medicina generale (Mmg) edai Centri diabetologici (CAD).

Questa ricerca, condotta in collabo-razione con l’Associazione diabeticimodenesi (3), con i medici di Medici-na generale e con i Centri diabetologi-ci ha coinvolto 7273 diabetici in etàadulta assistiti dai servizi dell’Azien-da Usl di Modena.

2. Obiettivo dell’indagine e metodo-logia utilizzata

— Conoscere e migliorare la «qua-lità» dell’assistenza sanitaria offerta aicittadini diabetici.

— Verificare la soddisfazione nel-l’ottica di un processo assistenziale in-tegrato.

2.1. Costruzione del questionario

Per realizzare l’indagine sono staticostruiti due questionari da sommini-strare, attraverso la modalità postale

con la garanzia dell’anonimato, a duecampioni di cittadini scelti casual-mente tra la popolazione diabetica se-guita dai medici di Medicina generalee tra i pazienti seguiti dai Centri diabe-tologici dell’Azienda Usl di Modena.Gli strumenti redatti hanno presospunto da alcune indicazioni compar-se in recenti pubblicazioni in tema diaccreditamento delle strutture diabe-tologiche (4), dal modello canadeseSequs di analisi della qualità percepita(1999) (5) e dall’Istituto di ricerca Eu-risko di Milano (6). I questionari sonostati sottoposti a verifiche specifichesull’attendibilità e la validità dellostrumento utilizzato.

La costruzione dei due questionari èavvenuta partendo da precise premes-se: obiettivo dell’indagine non eraquello di comparare il gradimento deidue servizi coinvolti, diversi fra loroper tipologia di pazienti e di prestazio-ni erogate, quanto quello di scattare«un’istantanea» dell’offerta sanitariacomplessiva presente al momento del-la rilevazione, evidenziando gli ele-menti di debolezza e di eccellenza egli ambiti di miglioramento dei dueservizi.

Per quanto riguarda il primo puntoappare opportuno effettuare una preci-sazione:

1) L’organizzazione

L’orario di apertura dei servizi og-getto dei due questionari è diversa: inparticolare, l’orario di apertura deiCAD è vincolato dall’effettuazione diuna serie di prestazioni (es. esame delsangue, attesa dei risultati, visita me-dica, visite specialistiche).

L’orario di visita dei pazienti diabe-tici che afferiscono agli ambulatori deimedici di Medicina generale è quellodefinito nella loro carta dei servizi, epresso lo studio del medico non ven-gono direttamente eseguiti esami dilaboratorio completi.

I due questionari, seppur specificirispetto al tipo di prestazione ricevutadal paziente, hanno condiviso la tipo-logia e l’ordine delle domande, le ca-tegorie di risposta e i diversi aspetti diqualità percepita indagati.

2.2. Aree esplorate

Ripercorrendo l’itinerario compiutodal paziente nel suo contatto con il ser-vizio, sono state esplorati gli ambiti re-lativi all’accessibilità al servizio stesso(segnaletica, barriere architettoniche,orari di accesso ecc.), la relazione colpersonale sanitario (cortesia, informa-zioni fornite, ecc.), la valutazione circail conseguimento di un eventuale cam-biamento/benessere percepito in se-guito alle prestazioni sanitarie ricevu-te, i tempi di attesa, il rispetto della ri-servatezza ed alcune informazioni ana-grafiche.

Nella redazione del questionario èstata rivolta particolare attenzione altipo di linguaggio utilizzato: si è deci-so di adottarne uno semplificato, inmodo tale che le domande risultasserocomprensibili anche a persone anzia-ne e/o con bassa scolarità, e al fine diverificare la sua effettiva comprensi-bilità, è stato preventivamente sommi-nistrato ad un piccolo campione disoggetti di diversa età e scolarità. So-no state utilizzate sia domande a rispo-sta chiusa che richiedevano di indicarecon una croce la risposta scelta, che al-cune domande a risposta aperta chepresentavano il vantaggio di offrire aicittadini la possibilità di esprimere ilproprio punto di vista. Per quanto ri-guarda la lunghezza del questionario,per non appesantirne la compilazione,non sono state superare le 30/35 do-mande.

Per misurare la rilevanza di alcuniquesiti posti, è stata offerta l’opportu-nità di numerare il grado di importan-za attribuita alle aree indagate, in lineacon una recente tendenza in uso ad in-

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dagini che esplorano la qualità perce-pita.

È apparso interessante conoscere,non solo le percezioni e le aspettativeespresse dai cittadini diabetici relati-vamente ai servizi sanitari utilizzati,ma anche gli aspetti da loro segnalati egraduati in base ad un’attribuzione diimportanza, utile anche alla program-mazione di future azioni di migliora-mento dei servizi. L’utilizzo del que-stionario postale ha permesso di rile-vare le percezioni dei cittadini diabeti-ci in un momento non contiguo allaprestazione del servizio, evitando cosìeffetti di «compiacenza» nelle rispo-ste.

2.3. Campionamento

Si è deciso di utilizzare come meto-dologia di campionamento quella ca-suale stratificata rispetto alla scelta as-sistenziale: in altre parole il campioneha tenuto conto solo della differenzia-zione tra cittadini seguiti dai Mmg equelli afferenti ai CAD.

Per calcolare la numerosità delcampione su cui effettuare l’indagine,si è applicata la procedura di significa-tività statistica (errore accettato al 5%)attraverso il programma statisticoSTATCAL di EPIINFO. Una volta in-dividuata la numerosità del campionesu cui effettuare l’indagine si è proce-duto all’estrazione del campione stes-so.

In pratica, considerato che alcunicittadini sono seguiti dal proprio me-dico di base (Mmg) mentre altri so-no seguiti dai Centri diabetologici(CAD), il campione è stato estratto ca-sualmente dall’elenco anagrafico deicittadini esenti dal ticket per diabete estratificato rispetto alla composizionedella popolazione dei cittadini diabeti-ci in base all’afferenza ai CAD o aiMmg. Mancando, però, una banca da-ti informatizzata ed aggiornata sui pa-zienti diabetici, si è reso necessario in-

tegrare la procedura sopra citata con laraccolta manuale dei nominativi daglischedari cartacei situati presso i diver-si centri diabetologici nei vari distrettidell’Azienda Usl di Modena e conti-nuamente aggiornati dagli operatoristessi.

Dopo la fase di estrazione dei nomi-nativi, questi sono stati «ripuliti» e ri-selezionati eliminando quelli dellepersone decedute e quelli dei mino-renni. Sono state quindi ricalcolate lenumerosità dei due campioni da inter-vistare. Queste quantità sono statemoltiplicate per un coefficiente suffi-ciente (7) a garantire il rientro di unnumero di questionari adeguato al rag-giungimento dell’obiettivo di ottenerestime valutate con un errore del 5% edun’affidabilità del 95% come inizial-mente pianificato. Il numero ottenutodi questionari da inviare è stato suddi-viso in modo proporzionale al numerodi assistiti per distretto. Questo tipo diripartizione del numero delle personeda contattare, ha migliorato ulterior-mente l’efficienza delle stime.

Infine, si è proceduto all’estrazionecasuale dei nominativi dei partecipan-ti all’indagine e delle fasi successivenecessarie fino all’invio postale deiquestionari.

L’indagine ha coinvolto 7273 per-sone, di cui 3476 diabetici assistiti daimedici di Medicina generale e 3797seguiti dai CAD dell’Azienda Usl diModena.

2.4. Modalità di somministrazionedello strumento

Il questionario è stato inviato al do-micilio dei cittadini coinvolti nell’in-dagine, insieme ad una breve lettera dipresentazione dell’indagine firmatadal Direttore sanitario, contenente al-cune informazioni sulle modalità di ri-sposta al questionario e una bustapreaffrancata per poterlo rispedire alSistema Qualità. Si è ritenuto opportu-

no mettere a disposizione dei cittadinicoinvolti dall’indagine, per il periododi durata della stessa, un servizio dicall center da cui, in una certa fasciaoraria, è stato possibile fornire infor-mazioni a richiesta, sulla compilazio-ne del questionario.

Considerato il carattere provincialedella rilevazione e i suoi obiettivi, èstato dato rilievo all’esperienza utiliz-zando i canali interni all’Azienda ed imezzi di comunicazione locali: gior-nali, radio locali ecc. ed è stata fornitaampia diffusione all’indagine attra-verso locandine da affiggere presso glistudi dei medici di Medicina generale,i Centri diabetologici ed i Cup.

2.5. Analisi dei dati: pre-test e indagi-ne pilota

In un primo tempo, si è procedutoad un pre-test del questionario, per in-dividuare errori di interpretazione del-le domande, eventuali domande su-perflue o mancanti, domande difficilio imbarazzanti, doppie, ambigue o pi-lotanti, per valutare la correttezza del-l’ordine dei quesiti, l’adeguatezza del-le modalità di risposta, l’esistenza delground (8), del ceiling effect (9), ledifficoltà di lettura derivanti da unaimpaginazione poco chiara ed il tem-po presumibile richiesto per la compi-lazione. Si è trattato di un’intervistaapprofondita che ha riguardato anchele componenti semantiche e linguisti-che dello strumento che si andava adutilizzare.

Il pre-test è stato somministrato adun campione ristretto di cittadini.

È stata poi attuata un’indagine pilo-ta per scegliere la modalità di rispostapiù adeguata (a 4 o 10 alternative) edecidere se vi fossero domande da to-gliere perché ridondanti, ambigue osuperflue e se era il caso di aggiungerequesiti che non erano stati previsti.

L’indagine pilota ha riguardato ildistretto di Pavullo: sono state coin-

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volte 373 persone diabetiche, di cui247 seguite dai Centri diabetologici e126 seguite dai medici di Medicinagenerale.

Dopo l’indagine pilota, in cui è sta-ta confermata con l’analisi fattoriale lascelta di una scala a 4 alternative, si èproceduto alla spedizione dei questio-nari ai restanti 6900 cittadini diabeticiassistiti dall’Azienda Usl di Modena.

2.6. Elaborazione dei dati

Una ditta esterna si è occupata del-l’immissione dei dati, mentre la loroelaborazione è stata curata dal SistemaQualità che ha utilizzato il pacchettoinformatico Spss ed ha effettuatoun’analisi di contenuto sulle domande«aperte» e sui «suggerimenti» inviati.

3. Risultati

I questionari restituiti sono stati3572, corrispondenti al 52,1% dei cit-tadini afferenti ai CAD e al 45,85 diquelli che si recano agli ambulatori deiMmg.

Solo per semplificazione espositivasi evidenziano in parallelo i risultaticonseguiti.

Tra i rispondenti ai questionari, lepersone che accedono ai CAD sonosoprattutto uomini (54,5%), mentrequelli seguiti dai medici di Medicinagenerale per problemi legati al diabe-te, sono per lo più donne (52,1%). Ipazienti seguiti dai Mmg risultano es-sere più anziani di quelli dei Centridiabetologici, la fascia più rappresen-tata è quella compresa tra i 71-80 anni,mentre tra i frequentatori dei CAD lapiù rappresentata è quella tra i 61-70anni.

La periodicità di contatto eviden-ziata per entrambi i servizi rileva ge-neralmente una frequenza di accessocompresa tra i 2-4 mesi.

L’anzianità di presa in carico èmaggiore nei CAD: il 78% delle per-

sone è seguita da un periodo di temposuperiore ai 2 anni e mezzo, mentrequelle che si recano dai Mmg eviden-ziano un’anzianità inferiore.

Gli insulinodipendenti sono più nu-merosi tra coloro che accedono aiCAD (19%), rispetto alle persone chesi rivolgono agli ambulatori dei Mmg(3,9%).

Nel rispondere al questionario so-no apparse più autonome le personeche si recano ai CAD (61,1%), rispet-to a quelle che afferiscono ai Mmgche risultano essere la metà del cam-pione.

L’accesso alle sedi in cui sono ero-gate le prestazioni non ha posto diffi-coltà al 51,4% dei pazienti dei CAD,né al 76,3% di quelli che si rivolgonoai Mmg, il 47,3% dei rispondenti chesi rivolgono agli studi dei medici di

Medicina generale dichiarano di re-carvisi a piedi o in bicicletta.

I tempi di apertura degli ambulato-ri dei Mmg e dei CAD sono ritenutiadeguati rispettivamente dal 70,8% edal 58,7% dei rispondenti ai questio-nari.

Le visite avvengono soprattutto perappuntamento, ciò è stato evidenziatodal 94,5% dei pazienti CAD e dal75,3% di quelle seguiti dai Mmg.

Le visite di controllo sono program-mate di volta in volta, ciò è segnalatoper il 98,7% dei pazienti CAD e dal77% di quelli afferenti ai Mmg.

I cittadini intervistati hanno attri-buito un elevato livello di importanzaalle domande sugli orari ed i tempi diattesa, il valore medio delle risposte èstato di 3,30 (la scala di riferimentoandava da 1 a 4). Il 75% di tutti i pa-

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Grafico 1- CAD: l’età del campione

Grafico 2 - Mmg: l’età del campione

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zienti sembra essere soddisfatto degliorari in cui si accede ai servizi, il13,9% di quelli seguiti dai CAD vor-rebbe recarvisi un’ ora dopo rispetto aquanto accaduto fino al momento del-la rilevazione.

Per quanto riguarda il tempo di atte-sa, pur considerando, come è già statoaffermato nella premessa, la diversitàtra i due servizi presi in esame rispettoall’organizzazione ed erogazione del-le prestazioni, dall’indagine effettuatasi evince che il 43,8% dei pazienti deiCAD attende circa 2 ore tra il prelievodel sangue e la visita medica e questotempo è ritenuto accettabile dal 32,1%delle persone, mentre un’uguale per-centuale lo considera inaccettabile oscarsamente accettabile.

Il tempo di attesa presso gli ambula-tori dei Mmg è ritenuto inferiore ai 15minuti dal 39,4% delle persone ed èconsiderato accettabile dal 68,5% delcampione.

Riguardo alla riservatezza, il73,1% dei pazienti seguiti dai Mmg eil 48,9% di quelli dei CAD ritengonoche questo aspetto sia tenuto in grandeconsiderazione.

La valutazione complessiva riguar-do al servizio utilizzato rileva un gra-dimento elevato, espresso dal 95,7%degli intervistati seguiti dai Mmg e dal96,1% delle persone afferenti ai CAD.La percezione del servizio «del tuttosoddisfacente» viene manifestata dal71,5% del campione Mmg considera-to.

Le motivazioni che sostengono que-ste percezioni fanno riferimento allaprofessionalità e all’attenzione alla re-lazione rilevata dai fruitori di entram-bi i servizi.

Se la continuità assistenziale è unelemento ricorrente nella valutazionepositiva per i CAD, l’ubicazione èquello che caratterizza il servizio of-ferto dai Mmg.

Le motivazioni circa le percezioninegative, sono riferite per i CAD al-

Grafico 3 - CAD: gli orari in cui i pazienti si recano o vorrebbero recarsi ai CAD

Grafico 4 - Mmg: gli orari in cui i pazienti si recano o vorrebbero recarsi agli ambulatori

Grafico 5 - CAD: i tempi di attesa tra prelievo sangue e visita medica

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l’organizzazione di tipo strutturale omeglio logistica: «bisogna recarsi alCentro molto presto (...), c’è moltagente, non ci sono sufficienti sedie persedersi (...) si devono fare diverse file(...) le persone che lavorano devonoperdere quasi un’intera giornata di la-voro (...)» e ai tempi di attesa «bisognaaspettare molto tempo tra il prelievo ela visita (...)».

Per i Mmg le valutazioni negativefanno riferimento ad una percezionedi professionalità talora disattesa (...)«mi vengono fornite scarse informa-zioni per il controllo della malattia (...)è una semplice routine per la prescri-zione di farmaci (...)» e all’organizza-zione di tipo professionale «(...) do-vrebbero essere riservate delle fasceorarie o delle giornate solo per il con-trollo dei diabetici (...), i controlli do-vrebbero essere più frequenti (...)».

Relativamente alla fidelizzazione alservizio, il 98,3% delle persone segui-te dai CAD e il 93,8% di quelle deiMmg evidenzia fiducia nel servizio ri-cevuto, dichiarando che in caso di bi-sogno consiglierebbe ad amici e pa-renti di rivolgersi allo stesso servizio.

Per quanto riguarda le percezioni inseguito alle prestazioni, i due gruppidi persone intervistate sono accomu-nate dalla sensazione di aver acquisitomaggiori informazioni per il controllodella loro condizione, di aver potutoorganizzare gli esami e le visite spe-cialistiche da espletare e di sentirsicomplessivamente meglio.

I suggerimenti. Diverse sono statele indicazioni per il miglioramento deiservizi cui afferiscono i cittadini dia-betici. Nel corso dell’indagine 2.389sono stati complessivamente i sugge-rimenti riportati da 831 pazienti segui-ti dai Mmg e da 1.282 dei CAD.

È stato possibile classificarli indivi-duando delle macro categorie definitein base alla frequenza delle indicazio-ni riportate.

Grafico 6 - CAD: accettabilità/inaccettabilità tempi di attesa

Grafico 7 - Mmg: i tempi di attesa prima di entrare in ambulatorio

Grafico 8 - Mmg: accettabilità/inaccettabilità tempi di attesa

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Per quanto riguarda i CAD i sug-gerimenti espressi sono stati i seguen-ti:

— ridurre i tempi di attesa: «effet-tuare meno attesa esterna nei centriche non permettono l’accesso al matti-no alle 6 (...) ridurre il tempo di attesatra il momento del prelievo e la visita(...), ridurre l’attesa per i risultati pro-venienti dai laboratori (...)»;

— aumentare il numero degli ope-ratori;

— offrire la possibilità di effettuarevisite anche con altri specialisti;

— individuare orari specifici: «(...)stabilire tempi specifici solo per lepersone che lavorano affinché nonperdano tutta la giornata di lavoro (...)individuare giornate in cui possanoaccedere solo i lavoratori (...)»;

— offrire maggiori informazioni;— migliorare l’accoglienza del-

l’ambiente: «(...) individuare localipiù ampi per evitare il sovraffollamen-to delle persone (...), mettere a dispo-sizione un maggior numero di sedie,offrire riviste da leggere nell’attesa(...), separare il locale in cui si effettuail prelievo di sangue dalle zone in cuiavvengono altre attività (...)».

I suggerimenti indicati sono statitalvolta l’occasione per i cittadini perelogiare la professionalità e l’atteggia-mento di disponibilità rilevati nella di-namica relazionale con i singoli pro-fessionisti dei CAD.

Per quanta riguarda i medici di Me-dicina generale, i suggerimenti sonostati per alcuni intervistati, un’occa-sione di riflessione sul vantaggio, acausa del rapporto consolidato e delleconoscenze già acquisite sulla propriasituazione sanitaria complessiva, cherisiede nel farsi seguire dal propriomedico di base per la patologia diabe-tica con una conseguente sensazionedi tranquillità e garanzia.

Anche per i suggerimenti espressidalle persone seguite dai Mmg sonostate utilizzate le stesse macro catego-

Grafico 9 - CAD: il rispetto della riservatezza

Grafico 10 - Mmg: il rispetto della riservatezza

Grafico 11 - CAD: valutazione complessiva riferita al servizio erogato

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rie già individuate per i pazienti deiCAD ed in termini di frequenza sonoemerse le seguenti indicazioni di mi-glioramento:

— offrire maggiori informazioni:«(...) sulle attuali conoscenze medicheriguardo a questo tipo di patologia(...), sulle complicanze (...), sulle tera-pie più recenti (...)»;

— maggiore competenza professio-nale: «(...) effettuare più frequenti cor-si di aggiornamento (...), lasciare me-no sola la persona di fronte a questapatologia (...)»;

— agevolare l’effettuazione di ulte-riori visite: «inviare più frequente-mente i pazienti ad effettuare visitespecialistiche (...), indirizzarli versocentri specializzati (...), offrire indica-zioni sulle possibilità di effettuarecontrolli in regime di day hospital»;

— individuare orari specifici: «incui effettuare controlli non frettolosiai pazienti diabetici (...), aumentare itempi di ambulatorio per il loro tratta-mento»;

— maggiori rapporti con i CAD: «ilmedico di base deve mantenere unostretto contatto con i centri specialisti-ci riguardo alla patologia diabetica(...) deve essere mantenuto una stabilee continuativa relazione con i CAD ri-guardo l’aggiornamento permanentesul trattamento del diabete, sulla posi-tività delle ultime terapie individuate esulle più recenti scoperte in generale(...), in caso di necessità deve essererapido il collegamento con i CAD(...)».

4. Considerazioni e prospettive

L’indagine ha fatto emergere comela distribuzione dei pazienti tra i Cen-tri diabetologici ed i medici di Medici-na generale non faccia riferimento ingenere solo alla classificazione dellamalattia, ma di frequente intervenga-no anche altri fattori ad orientare e de-terminare le scelte. Tra essi è possibile

Grafico 12 - Mmg: valutazione complessiva riferita al servizio erogato

Grafico 13 - CAD: impressioni dei pazienti dopo le prestazioni

Grafico 14 - Mmg: impressioni dei pazienti dopo le prestazioni

sottolineare l’orario di accesso ai ser-vizi, l’ubicazione degli stessi, la conti-nuità assistenziale, la percezione delcontesto di riservatezza entro cui sonoerogate le prestazioni.

Si conferma come la possibilità of-ferta al paziente di scegliere il propriopercorso assistenziale sia molto im-portante in termini di soddisfazionepersonale e che solo una forte integra-zione tra gli attori sanitari coinvolticonsenta un’elevata qualità tecnico-professionale e l’appropriatezza delleprestazioni erogate.

Le interessanti indicazioni offertedagli intervistati per il miglioramentocomplessivo dei servizi che ha caratte-rizzato la parte qualitativa rilevantedell’indagine, hanno messo in luce bi-sogni ed aspettative che sollecitanouna maggiore integrazione tra le atti-vità dei medici di Medicina generale ei Centri diabetologici, l’attivazione dinuove proposte operative tra cui la co-stituzione di gruppi di self help pressoi CAD e la programmazione di incon-tri che coinvolgano le istituzioni sco-lastiche per educare ed informare lenuove generazioni sulla patologia dia-betica e i suoi rischi.

L’indagine, pur rilevando un eleva-to gradimento da parte dei cittadinidiabetici riguardo ai servizi fruiti, haevidenziato anche alcune criticità,quali un maggior bisogno di riserva-tezza, l’accesso ai servizi ad orari rite-nuti più accettabili ed un minore tem-po d’attesa per la fruizione delle pre-stazioni.

Anche se su questi ambiti sono incorso ulteriori approfondimenti di ti-po strutturale ed organizzativo, glistakeholder che hanno collaborato al-la realizzazione della ricerca e ai qua-li sono stati restituiti i risultati, hannoritenuto necessario pianificare alcunicambiamenti e miglioramenti nell’or-ganizzazione della rete dei servizi of-ferti, a partire da una comune focaliz-zazione sugli aspetti relazionali, «per

lasciare meno solo il paziente di fron-te alla patologia...», e dell’attenzioneal tema della riservatezza sollevatonell’indagine, per arrivare ad unacondivisa modalità di approccio al pa-ziente.

4.1. Le priorità su cui costruire per-corsi di miglioramento: l’integra-zione CAD-Mmg, la formazione al-la relazione e l’ elaborazione di li-nee guida

La dimensione relazionale ed edu-cativa nei confronti del cittadino dia-betico che si rivolge ai Centri diabeto-logici e ai medici di Medicina genera-le è stata ritenuta essere l’area di par-tenza per introdurre altri migliora-menti. Parallelamente si è ritenuto ne-cessario agire per favorire un’integra-zione tra le figure professionali deidue servizi.

La progettazione e realizzazionedi un intervento formativo è stataconsiderata essere uno dei supportiessenziali per una condivisa (opera-tori sanitari) acquisizione di compe-tenze. Ugualmente importante si è ri-velata l’interazione con i rappresen-tanti dell’Associazione diabetici peraffinare le competenze sulla comuni-cazione medico/operatore sanitario-paziente.

La formazione è stata così articola-ta:

1) formazione specifica dei Mmgche prendono in carico pazienti diabe-tici nei 7 Distretti sanitari;

2) formazione trasversale per iMmg, gli operatori CAD, i pazienti,sull’educazione terapeutica del diabe-te mellito;

3) formazione strumentale, rivol-ta ai CAD, per l’utilizzo della cartellainformatica per il monitoraggio deipazienti diabetici;

4) formazione destinata ai rap-presentanti dell’associazione dei pa-zienti diabetici e costruzione/valida-

zione condivisa di un opuscolo infor-mativo «ABC del diabete» per i pa-zienti.

Obiettivo del corso è stato l’ap-profondimento comune degli aspettiinsiti nell’approccio terapeutico: ilcontatto, la comunicazione, la rela-zione con il paziente diabetico e l’at-tenzione ai bisogni di cui egli è porta-tore.

Ciò ha permesso di condividere laconsapevolezza che fin dall’esordiodella patologia è necessario impostareun progetto di lavoro a sfondo educati-vo-terapeutico che coinvolga il pa-ziente, i familiari e gli stessi operatorisanitari in una relazione efficace. In-fatti, la motivazione attiva e la parteci-pazione del paziente al piano terapeu-tico all’interno di un lavoro coordina-to di team assieme a diversi speciali-sti, sono il prerequisito necessario perottenere l’efficacia della terapia a lun-go termine e l’autogestione della ma-lattia da parte del paziente.

Un gruppo tecnico multidisciplina-re nominato dalla commissione pro-vinciale del progetto diabete dell’A-zienda Usl di Modena ha elaboratodelle linee guida la cui implementa-zione è affidata ai membri della stessacommissione e ai distretti (ospedale +territorio).

L’obiettivo delle linee guida è l’ot-timizzazione del trattamento e dellagestione dei pazienti con diabete mel-lito della provincia di Modena, sia inconsiderazione dell’aumentato rischioper il paziente diabetico, soprattutto ditipo 2, di sviluppare nel corso della vi-ta complicanze di tipo microvascola-re, sia delle caratteristiche e del profi-lo di trattamento farmacologico deidiabetici modenesi da mettere a puntoalla luce delle prove di efficacia dellaletteratura scientifica. Rappresentantidell’Associazione diabetici modenesihanno partecipato all’elaborazionedelle linee guida.

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4.2. L’integrazione con i pazienti e iloro rappresentanti

L’indagine realizzata ha evidenzia-to come il punto di vista dei cittadinirivesta un ruolo cruciale per l’AziendaUsl di Modena nella pianificazione,valutazione e riprogettazione dei ser-vizi.

I cittadini e i loro rappresentantipossono essere portatori di nuove vi-sioni e proposte di lavoro riguardo aspecifici temi di salute e solamente at-traverso un loro reale coinvolgimentopuò essere rimodellato il sistema di re-te territoriale delle prestazioni, perrenderlo più flessibile e più efficace.

Devono essere anche ripensate e ri-strutturate le modalità di coinvolgi-mento dei cittadini, proponendo la co-stituzione di tavoli permanenti per lapianificazione dei percorsi di valuta-zione e la progettazione dei servizi incui sia riconosciuta ai cittadini e ai lo-ro rappresentanti una funzione attivadi partnership con l’istituzione sanita-ria.

(1) L’ indagine è stata realizzata insieme adun team di professionisti del Sistema Qualitàdiretto dalla dott.ssa F. Novaco e composto da:Barbara De Cicco, Monica Pivetti, Daniela Lu-gli, Sara Piombo.

(2) Componenti gruppo provinciale: dott.A. Baldini, dott. M. Bevini, dott. C. Carapezzi,

dott. R. Cavani, dott. A. Ciardullo, dott. G. Fel-tri, dott. F. Ghini, dott. G. Macrì, dott. A. Mes-sori, dott. N. Michelini, dott. D. Novi, dott. C.Silvestri.

(3) Si ringraziano per la collaborazione ilsig. Salvatore Bruno e gli altri rappresentantidell’Associazione che hanno contribuito allarealizzazione dell’indagine.

(4) Si veda Associazione medici diabetolo-gici (1999), «Manuale di accreditamento dellestrutture diabetologiche».

(5) Ci si riferisce ad una indagine condottanei servizi di pronto soccorso degli ospedali diLugano. Anno 1999.

(6) Si veda l’indagine riportata nel testo acura di M. Trabucchi (1996) ed i rapporti a cu-ra dell’Istituto Eurisko: «I percorsi assistenzia-li degli anziani in Emilia-Romagna. La qualitàpercepita dei servizi sanitari territoriali»(2000) e « La qualità percepita dei servizi sani-tari delle Asl dell’Emilia-Romagna» (1999).

(7) In varia letteratura sul tema, in particola-re C. Cipolla (1998) e T. Guala (2000) si affer-ma che per essere attendibile, il tasso di ritornodei questionari deve attestarsi sul 30%.

(8) Effetto pavimento: troppe risposte convalore basso.

(9) Effetto soffitto: troppe risposte con va-lore alto.

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1. La sfida del cambiamento orga-nizzativo per le Aziende sanitarie

Il percorso di «aziendalizzazione»che da diversi anni sta interessando leaziende sanitarie ha modificato il fun-zionamento delle stesse e in parte ri-dotto la distanza tra i modelli di ge-stione proposti dalla teoria economicae quelli reali (1).

Dovendo tracciare un bilancio delleesperienze in atto, senza pretesa diesaustività, si può affermare che ilpercorso di cambiamento si è delinea-to seguendo alcuni filoni preferenzialiche hanno portato a sviluppare mag-giormente alcuni strumenti lasciandoindietro invece altre aree che necessi-tano ancora oggi di profondi interven-ti.

Il punto di attacco del cambiamentoè avvenuto nel versante degli strumen-ti di misurazione economica: il pas-saggio dalla contabilità finanziaria aquella economica, l’implementazionedelle contabilità analitiche e l’attiva-

zione dei sistemi di budget e controllodi gestione sono stati i progetti su cuile aziende sanitarie nei primi anni del-l’aziendalizzazione hanno lavoratocon maggior impegno traendone risul-tati di pregio specialmente in alcunerealtà.

La prima parte del percorso ha pri-vilegiato lo sviluppo del capitale eco-nomico e ha quindi utilizzato in preva-lenza il linguaggio dei costi, degli in-vestimenti, dei ricavi, a tal punto daidentificare il processo di cambiamen-to con gli strumenti del bilancio e delcontrollo.

Da alcuni anni a questa parte, si stainvece osservando in molte aziende sa-nitarie un nuovo fermento attorno allelogiche manageriali, svolta che po-tremmo etichettare come il completa-mento del processo di cambiamento asuo tempo avviato. Le parole su cuiconvergono oggi gli sforzi sono la co-municazione, la qualità, lo sviluppodelle risorse umane, l’analisi strategi-ca, i sistemi di reporting bilanciati

(Kaplan, Norton, 1996) e altri stru-menti e modelli che stanno dimostran-do di avere le carte in regola per affian-care gli «attrezzi» del management giàattivati. Provando a individuare alcunipunti chiave del percorso evolutivo in-dicato, possiamo evidenziare i seguen-ti elementi.

1. In prima battuta dobbiamo regi-strare uno sviluppo nell’ambito deglistessi strumenti del capitale economi-co, terreno da cui è partito il processodi aziendalizzazione. In particolareemerge come i sistemi di programma-zione e controllo, raccogliendo ancheil testimone di sperimentazioni nelmondo privato, abbiano scoperto chele tradizionali misure economico-fi-nanziare sono indicatori parziali (avolte anche fuorvianti) della qualitàdella gestione: da qui il bisogno di in-tegrare tali variabili con misure di na-tura qualitativa (esito di salute, appro-priatezza, soddisfazione dell’utenza,del personale), di profilo operativo(quali indicatori di efficienza, di pro-

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SOMMARIO: 1. La sfida del cambiamento organizzativo per le aziende sanitarie - 2. Sviluppo organizzativo all’Asl 20 di Alessandria eTortona - 3. La riorganizzazione delle funzioni amministrative e di staff: i principi guida e il gruppo di lavoro - 4. Le fasi del progetto- 5. Verso la nuova struttura organizzativa: le alternative possibili - 6. La nuova configurazione organizzativa: il Dipartimento dellaprogrammazione e dello sviluppo - 7. Conclusioni.

Il cambiamento è la cosa più difficile a causa dell’incredulitàdegli esseri umani, i quali non credono veramente in qualcosa di nuovo

finché non l’hanno sperimentato.

Niccolò Machiavelli

LA RIORGANIZZAZIONE DELL’AREA AMMINISTRATIVAE DI STAFF DELL’ASL 20 DI ALESSANDRIA E TORTONA

Stefano Manfredi 1, Paolo Michelutti 2, Salvatore Nieddu 3, Bruno Vogliolo 4

1 Dipartimento della Programmazione e Sviluppo - Asl 20 - Alessandria e Tortona2 Consulente aziendale3 Scuola Universitaria di Management d’Impresa - Università degli Studi di Torino4 Direzione Generale - Asl 20 - Alessandria e Tortona

cesso) o con indicatori d’innovazionee sviluppo (Donna, Nieddu, Bianco,2001).

2. Anche il tema del capitale orga-nizzativo con i suoi strumenti operati-vi sta vivendo esperienze di sviluppo.È interessante lo sforzo con cui molteaziende stanno ad esempio rivedendola propria organizzazione attraverso ladefinizione dell’atto aziendale, utiliz-zato in chiave gestionale. Spesso la sa-nità e le pubbliche amministrazionihanno utilizzato gli strumenti organiz-zativi sotto il profilo strettamente for-male: pensiamo alle esperienze legatea dotazioni e piante organiche, all’in-dividuazione dei carichi di lavoro, aimansionari e così via. Tutte occasioniin cui la definizione dell’organizza-zione ha privilegiato, nella miglioredelle ipotesi, principi amministrativi eburocratici (tacendone altri) lasciandoil buon senso organizzativo ai marginidelle decisioni. Oggi, anche per i vin-coli economici stringenti che rendonoil principio dell’efficienza un impera-tivo cogente, si osservano sforzi di ra-zionalizzazione delle strutture e ride-finizione dei carichi di lavoro, così co-me sono sempre più numerosi i casi direvisione dei processi con l’obiettivodi migliorare efficienza e soddisfazio-ne dell’utenza.

3. Un altro segnale interessante è losviluppo dei sistemi di gestione e va-lutazione del capitale umano. Valuta-zione delle posizioni e delle prestazio-ni, formazione, sviluppo delle compe-tenze iniziano a svilupparsi in manieradiffusa anche con l’aiuto dato dallenorme e dalle disposizioni contrattua-li. Sebbene siano ancora rilevanti glispazi di miglioramento di tali sistemi,è incoraggiante vedere che, a distanzadi qualche anno dall’introduzione dimeccanismi di misurazione economi-ca, si inizino a valutare, misurare emonitorare i comportamenti organiz-zativi, le conoscenze professionali, lecompetenze manageriali e si parli di

percorsi di formazione e sviluppo del-le risorse umane non solo in teoria manella pratica di ogni giorno.

4. È positivo rilevare anche un ge-nerale cambiamento nell’approccioall’utilizzo degli strumenti manage-riali consistente nel passaggio dallafase «tecnicistica» (ancorata a stru-menti operativi, schede, prospetti,procedure) a quella di presa di co-scienza dell’importanza delle variabili«soft» (o «calde») dell’organizzazio-ne, quali la motivazione, la comunica-zione e il coinvolgimento del persona-le. Queste variabili fanno parte di unaltro importante asset aziendale che èil capitale relazionale. La consapevo-lezza della sua importanza è stataspesso guadagnata «sul campo» aprezzo di insuccessi che hanno mo-strato quanto i sistemi di gestione pri-ma indicati (programmazione e con-trollo, valutazione delle risorse, qua-lità e soddisfazione degli utenti) sianoinefficaci se non supportati dalla moti-vazione, dal coinvolgimento e dallacomunicazione interna, campi in cuile nostre aziende non hanno partico-larmente brillato negli ultimi anni.

5. In coerenza con quanto appenadetto, s’iniziano a intravedere progettidi cambiamento orientati ai valori ealla cultura aziendale, elementi allabase dei comportamenti di ogni perso-na all’interno dell’organizzazione.Tanti progetti (riusciti o falliti) di ge-stione del cambiamento ci insegnanoche non si cambia senza fare perno suivalori e sulla cultura esistenti in azien-da. Un esempio su tutti: se un valoresentito e premiato in azienda è il ri-spetto della procedura e della norma, ènaturale che i comportamenti del per-sonale, a prescindere dai valori e dalleinclinazioni individuali, saranno gui-dati da tale valore. Qualsiasi strumen-to manageriale, come il budget o la va-lutazione delle prestazioni, che vogliaspingere verso la responsabilizzazio-ne e l’autonomia, troverà difficoltà a

farsi accettare proprio a causa di valo-ri apertamente in contrasto con le fina-lità che quegli strumenti vogliono in-trodurre.

6. Un ulteriore tassello nel quadrodi cambiamento qui accennato fa rife-rimento all’interesse maturato attornoalla variabile della strategia. Le azien-de sanitarie non possono permettersi,in un contesto sempre più dinamico, direlegare la strategia nell’ambito delleaffermazioni formali e di principio,invece che interpretare la stessa comestrumento di mobilitazione per i com-portamenti e le azioni del proprio per-sonale e come riferimento per gli stes-si strumenti manageriali di gestione(Porter, 1980).

7. Altro aspetto di novità è la presadi coscienza, anche in questo caso dif-fusa in modo diverso nelle diverseaziende, di come i diversi tasselli delmanagement relativi al capitale eco-nomico, umano, organizzativo e rela-zionale debbano sempre più essere in-tegrati e coordinati tra loro. Pensiamoal raccordo necessario tra il controllodi gestione, gli strumenti di misura-zione della qualità e i sistemi di valu-tazione del personale, tra il piano diorganizzazione e la strategia azienda-le, o come infine i sistemi di comuni-cazione e motivazione del personalenon possano non far perno sui valoriaziendali.

Tirando le fila di quanto esposto,possiamo individuare almeno tre pun-ti caratterizzanti il percorso che i pro-cessi di cambiamento stanno seguen-do nelle aziende sanitarie:

— il completamento dello sviluppodegli strumenti del capitale economi-co e organizzativo;

— la nascita di interesse e la presadi coscienza dell’importanza del capi-tale umano e relazionale, dei valori edella cultura aziendale con conse-guente sviluppo degli strumenti aiquali è stato dedicata meno attenzionesino ad ora;

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— l’integrazione dei diversi sistemitra loro e il raccordo di questi ultiminei confronti della strategia, della cul-tura e dei valori aziendali.

Il tema dell’integrazione dei pro-cessi e dei sistemi manageriali richia-ma anche quello dell’integrazione del-le strutture organizzative. È ovvio in-fatti che dovendo raccordare il con-trollo di gestione, il sistema di valuta-zione e sviluppo delle risorse umane,il sistema qualità, il sistema informati-vo e il sistema di comunicazione sidebba risolvere il nodo di dove collo-care nell’organizzazione e come rac-cordare gli uffici che presidiano taliprocessi. Dove posizionare l’ufficiocontrollo di gestione e il servizio svi-luppo risorse umane? In staff alla Di-rezione generale, o in line al pari di al-tri servizi amministrativi? Sono do-

mande su cui la teoria organizzativa siconfronta da tempo e che oggi diven-tano attuali anche per le aziende sani-tarie (Del Vecchio, 2000; Bergama-schi, 2000).

Nella prospettiva appena tracciatarisultano due le sfide all’orizzonte del-le Aziende sanitarie: la prima relativaallo sviluppo di alcuni sistemi mana-geriali ancora deboli, la seconda ine-rente l’integrazione degli stessi. Il pre-sente articolo ha l’obiettivo di analiz-zare l’esperienza di cambiamento or-ganizzativo che l’Asl 20 di Alessan-dria e Tortona ha vissuto nell’ultimoanno in merito ai temi indicati. In par-ticolare i prossimi paragrafi approfon-diranno i quesiti organizzativi da cui siè sviluppato il progetto, la metodolo-gia e il percorso seguito, le soluzioniadottate.

2. Sviluppo organizzativo all’Asl 20di Alessandria e Tortona

L’Asl 20 di Alessandria e Tortonaserve circa 180.000 cittadini residentie dispone di circa 1.200 dipendenti. Ilterritorio è diviso in due distretti e l’o-spedale Civile di Tortona (200 postiletto) è gestito direttamente. L’ospe-dale di Alessandria è, invece, Aziendaautonoma.

L’Asl 20 di Alessandria e Tortona,durante la sua esperienza di trasforma-zione in azienda, ha seguito un percor-so assimilabile a quello tracciato nellepagine precedenti. Sotto lo spinta deidettati normativi, dal ’95 è stato avvia-to un percorso di modernizzazione cheha investito i sistemi di gestione eco-nomica dell’Azienda con l’introdu-zione, dapprima, del sistema di conta-

Figura 1 - Il modello del cambiamento organizzativo

bilità economica, poi della contabilitàanalitica e, infine, con la costituzionedel sistema di budget e del controllo digestione.

In particolare, il Servizio di pro-grammazione e controllo di gestione,in staff alla Direzione generale, ha am-pliato via via le proprie competenze eil proprio raggio d’azione, passandodall’elaborazione di analisi contabili equantitative a temi inerenti la qualitàdelle prestazioni erogate e la loro va-lutazione. Tale svolta ha contribuitonotevolmente a migliorare la capacitàprogrammatoria e di governo da partedella Direzione strategica.

Tale percorso non trovava ancoraperò un corrispettivo nello sviluppodegli altri sistemi di gestione azienda-le, in particolare delle risorse umane,della comunicazione e della qualità.Tali funzioni, infatti, soffrivano, nelcontesto in cui erano inserite, di un ef-fetto di «annacquamento»: il serviziodel Personale, inserito nel Diparti-mento amministrativo, era quasi deltutto finalizzato alle attività di ammi-nistrazione, relegando le attività piùgestionali alla sola risoluzione forma-le degli istituti contrattuali e delegan-do le attività di sviluppo (essenzial-mente formazione) agli Affari genera-li; le funzioni di Comunicazione equalità, formalmente in staff alla Dire-zione, nella pratica non riuscivano atrovare spazi di sviluppo fatta eccezio-ne che per qualche tentativo di istituireGruppi di miglioramento della qualità(esistenti sulla carta ma poco incisivinella pratica) e con l’istituzione di unservizio di rilevazione della Qualitàpercepita che sicuramente necessitavadi una maggiore strutturazione.

L’Azienda così strutturata incontra-va però alcuni limiti, tra cui i principa-li riguardavano:

— la mancanza di meccanismi e deirelativi strumenti dedicati a risolverele questioni oggi rilevanti per leAziende sanitarie, tra cui la valorizza-

zione e la crescita dei propri dipenden-ti e il miglioramento dei servizi eroga-ti; in alcuni casi tali meccanismi, sep-pur esistenti, non erano sviluppati co-me avrebbero dovuto per affrontare lenuove sfide;

— la debolezza o la totale carenzad’integrazione e coordinamento tra idiversi sistemi gestionali e tra gli stru-menti da questi utilizzati;

— la localizzazione di servizi e fun-zioni in staff alla Direzione generaleche richiede in prima battuta un note-vole coinvolgimento e uno sforzo dicoordinamento che la Direzione nonsempre riesce a fornire, almeno nellamisura necessaria affinché tali funzio-ni si sviluppino.

In particolare, le questioni più criti-che e rilevanti riguardavano la gestio-ne e lo sviluppo delle risorse umane.Da tempo era infatti sentito come prio-ritario in Azienda il bisogno di un si-stema di gestione che, da una parte, sa-pesse integrare la pura amministrazio-ne del personale, sviluppando tecni-che e tematiche quali la formazione, losviluppo manageriale e professionale,la valorizzazione delle persone in baseal loro potenziale, la valutazione, lamotivazione e l’incentivazione; dal-l’altra, invece, fosse in grado d’inte-grare questi aspetti in unico approcciocapace di fornire a tutta l’Azienda unavisione chiara e un punto di riferimen-to stabile delle strategie che essa in-tendeva adottare in tema di politichedel personale.

A questo si devono aggiungere lecarenze nei sistemi di miglioramentodella qualità del servizio, intesa sia co-me qualità tecnica che qualità percepi-ta.

Questi motivi hanno portato l’Asl20, nel 2002, a promuovere un proget-to di cambiamento organizzativo cheponesse rimedio ai problemi eviden-ziati e potesse completare il percorsodi sviluppo manageriale avviato. In

particolare il progetto, tuttora in corso,si pone i seguenti obiettivi:

— implementare e potenziare i si-stemi gestionali non in linea con le esi-genze aziendali;

— definire modalità d’integrazionee coordinamento tra i sistemi di ge-stione (programmazione e controllo,valutazione del personale, qualità, co-municazione ecc.) attraverso la ridefi-nizione del modello organizzativo de-gli staff aziendali.

Tale programma di innovamento ecambiamento ha nelle sue premessel’intenzione di incidere profondamen-te sulle variabili organizzative più cri-tiche e bisognose di intervento: lastruttura organizzativa, i sistemi ope-rativi, le persone.

Da una parte, infatti è stato ritenutofondamentale rendere la struttura or-ganizzativa coerente con le esigenzedi sviluppo manageriale, cercando didisegnare configurazioni che rispon-dessero sia alla necessità di potenziarestrumenti e competenze, sia al biso-gno di rendere quelle stesse configura-zioni flessibili e adatte al cambiamen-to, con particolare attenzione, comegià citato, al loro coordinamento e allareciproca integrazione, nell’ottica diuna organizzazione sempre più «piat-ta» e dinamica.

D’altra parte, è stato sottolineatoquanto importante fosse rafforzare isistemi operativi, lavorando sulla ca-pacità dei processi, ma anche deglistrumenti, di soddisfare le esigenze dirinnovamento. Sempre più, infatti, ènecessario progettare meccanismi «adhoc», orientati al risultato e non al ruo-lo, alla qualità e non all’adempimento,coesi e coerenti con le strutture e capa-ci di produrre innovazione.

Infine, è stata riconosciuta qualepunto fondamentale la possibilità didotarsi di persone competenti, forma-te e aggiornate, capaci soprattutto diadattarsi alle innovazioni in atto pro-ponendosi come agenti del cambia-

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mento. Non tanto «persone giuste neiposti giusti», quanto persone che sap-piano innescare cambiamento e con-tribuire attivamente a disegnare e farcrescere «il posto giusto».

Il progetto di change managementlavora proprio su questi tre fronti at-traverso una metodologia e un proces-so di sviluppo che si vuole brevemen-te discutere in questo articolo.

I risultati fin qui raggiunti riguarda-no il lavoro svolto sul primo dei tre«pilastri», ovvero la struttura organiz-zativa. Attraverso un’opera di analisisi è infatti pervenuti a individuare unanuova struttura ritenuta più adatta inrelazione alle esigenze evidenziate.Nei prossimi paragrafi analizzeremopiù in dettaglio le modalità, le proce-dure, i presupposti nonché l’esito delprogetto di riorganizzazione.

3. La riorganizzazione delle fun-zioni amministrative e di staff:i principi guida e il gruppo di la-voro

L’esigenza di trovare soluzioni or-ganizzative coerenti con i nuovi svi-luppi che le aziende sanitarie devonooggi affrontare ha trovato una rispostain un progetto di riorganizzazione del-le funzioni amministrative e di staffche ha avuto l’obiettivo di individuareun nuovo assetto organizzativo per leprincipali funzioni di sviluppo dell’A-zienda: personale, controllo di gestio-ne, comunicazione e qualità.

Come primo passo per ridefinire ilmodello organizzativo degli staffaziendali la Direzione ha individuatouna serie di principi organizzativi chefungessero da guida durante il proces-so di riorganizzazione e che potesserofar fronte alle esigenze di integrazionee coordinamento tra i sistemi di ge-stione (programmazione e controllo,valutazione del personale, qualità, co-municazione ecc.).

Innanzitutto, è stato individuatoquale punto cardine attorno cui co-struire il nuovo assetto gestionale ilprincipio di responsabilizzazione:ognuno, cioè, deve essere consapevo-le «di ciò che deve fare» e delle suespecifiche responsabilità all’internodell’Azienda. Spesso, infatti, si è la-mentata la mancanza di chiarezza inrelazione alle proprie aree di influenzae la poca consapevolezza del proprioruolo all’interno dell’Azienda con ri-percussioni negative sia sui risultatidell’Azienda sia sul clima organizza-tivo (se non vi sono chiare e definiteresponsabilità, oltre all’impossibilitàdi intervenire «chirurgicamente» peril miglioramento e lo sviluppo degliaspetti critici, si creano anche sacchedi demotivazione per insufficienza distimoli e caos organizzativo).

Oltre alla cognizione del proprioruolo e delle proprie funzioni, è fonda-mentale che tutti le persone abbiamola coscienza di ciò che fanno anche icolleghi e le altre persone coinvoltenei processi di cui la persona è parte.In questo senso, è stato definito il prin-cipio dell’integrazione secondo cui losviluppo e il successo dell’Azienda sibasa sulla sensibilità e conoscenza ditutti i dipendenti delle procedure e deiprocessi di base gestiti dai servizi.Proprio in questa prospettiva l’analisiorganizzativa e la conseguente revi-sione delle attività doveva essere con-cepita in un’ottica di organizzazioneper processi, e non più secondo unalogica di omogeneità per «funzione».

L’integrazione tra i processi e, diconseguenza, tra i sistemi e le struttu-re, non può verificarsi se non è accom-pagnata da comunicazione. La logicadei processi, infatti, deve favorire lacomunicazione, intesa soprattutto co-me comunicazione interna, che è allabase della cooperazione e della colla-borazione dei dipendenti a raggiunge-re i traguardi aziendali. In questo sen-so, la comunicazione funge da collan-

te tra i diversi sistemi e costituisce unlubrificante naturale per i processiaziendali.

Infine, la gestione, anche ordinaria,dell’Azienda, deve passare attraversopolitiche chiare di sviluppo integratecon principali processi, in particolarmodo, quelli riguardanti le Risorseumane (formazione, valutazione, svi-luppi di carriera). Tale principio si so-stanzia nel concetto di sviluppo.

Tali principi guida hanno così costi-tuito il punto di partenza del processodi rinnovamento, che si è articolato indistinte fasi di lavoro, illustrate nel pa-ragrafo successivo.

Per la realizzazione del progetto,l’Asl 20 di Alessandria e Tortona hacostituito un Gruppo di lavoro, di cuihanno fatto parte risorse interne edesterne, costituitesi in due sottogrup-pi: un Comitato guida e un Nucleooperativo. Mentre il Comitato guida,composto da rappresentanti della Di-rezione e da dirigenti ha avuto la re-sponsabilità complessiva del raggiun-gimento degli obiettivi, il Nucleo ope-rativo, composto da personale internodel comparto, ha avuto l’obiettivo direalizzare, nei tempi e nei modi previ-sti, il programma dei lavori assegnati,applicando la metodologia proposta,potendo contare su specifiche compe-tenze sviluppate attraverso un «trai-ning» specifico effettuato all’iniziodel progetto.

4. Le fasi del progetto

Le fasi del progetto hanno seguitole indicazioni fornite dalla metodolo-gia di riorganizzazione e ridisegnodelle funzioni. Esse si sono quindistrutturate secondo i punti seguenti.

1. Il percorso di cambiamento è par-tito dall’analisi delle attività tali qualierano organizzate, gestite e strutturatein quel momento in Azienda. Quest’a-nalisi ha coinvolto i responsabili deiservizi amministrativi e alcuni loro

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collaboratori i quali hanno fornitoinformazioni relative alle proprie areedi responsabilità, evidenziandonecompiti, principali procedure esegui-te, output forniti e supporti strumenta-li utilizzati.

2. Le informazioni raccolte sonostate elaborate dal Nucleo operativo esulla loro base, coinvolgendo i re-sponsabili dei servizi amministrativi,sono stati ricostruiti i principali pro-cessi di cui le attività analizzate face-vano parte. La ricostruzione dei pro-cessi esistenti ha messo in luce diversecriticità e aree di miglioramento possi-bili. Alle indicazioni avanzate in que-sto senso dal Nucleo operativo si sonoaggiunti i contributi dei responsabilinell’evidenziare i punti deboli dei di-versi percorsi di attività. Sulla baseanche di tali segnalazioni è stata pro-posta la «reingegnerizzazione» deiprocessi più critici, sviluppando cioèle attività più carenti, aggiungendonedi nuove dove il processo lo prevede-va ma non erano in realtà presenti o ri-configurando il flusso complessivo.

3. Dalle ipotesi dei nuovi processicosi riconfigurati si è passati al loro in-quadramento nel contesto organizzati-vo. Si è cioè disegnata una nuovastruttura organizzativa che sapesse ge-stire al meglio le funzioni e i processiriprogettati. In questo senso, lo sforzodi riorganizzazione è stato duplice: dauna parte, sono state definite nuovestrutture adibite alla gestione dei pro-cessi più innovativi e sono state ridi-mensionate vecchie strutture o raffor-zate altre già esistenti ma inadeguatead affrontare le nuove sfide; dall’altraparte, sono stati definiti nuovi conte-nitori organizzativi finalizzati a coor-dinare al meglio le strutture così comeridefinite.

4. Alla macro strutturazione ha fat-to seguito la definizione della microorganizzazione. Sono state individua-te attività e aree di responsabilità daassegnare alle nuove strutture orga-

nizzative. Alcune strutture hannomantenuto sostanzialmente le prece-denti aree di responsabilità. Altre in-vece hanno delegato alcune funzioniverso strutture definite ex novo oppureverso strutture prima in versione em-brionale e ora con un ruolo più rile-vante.

5. Una volta disegnate le nuovi fun-zioni e le relative strutture organizza-tive, non è rimasto che «riempire» talistrutture con le persone «giuste». Taleprocesso è stato portato a termine at-traverso un duplice sforzo: da una par-te, sono stati tratteggiati i profili idealipensando a quali fossero le competen-ze richieste per ricoprire le posizioniche si erano venute a costituire; dal-l’altra parte, sono state selezionate lepersone che più aderivano ai quei pro-fili. Per questo processo la teoria pre-vede l’utilizzo di metodologie e stru-menti sofisticati di valutazione del po-tenziale e analisi delle competenze, fi-nalizzati a determinare «la personagiusta per la posizione giusta». Inrealtà tali tecniche risultavano tropposofisticate alla luce del contesto azien-dale: il bacino di riferimento era infat-ti costituito dai dipendenti e non ilmercato del lavoro esterno. Per cui èstato possibile sfruttare le conoscenzedirette dei diversi responsabili dei ser-vizi per selezionare le persone. Si èpreferito, quindi, procedere attraversouna valutazione di massima, in modocomunque da garantirsi persone moti-vate e predisposte al cambiamento,che già avevano mostrato capacità diapprendimento, innovazione e orien-tamento ai risultati.

6. Alla fine delle fasi sopra descrit-te, il disegno della nuova configura-zione organizzativa era completato: iprocessi erano stati rivisti, corretti e inalcuni casi arricchiti o costituiti ex no-vo; le strutture erano state di conse-guenza ridefinite; erano state, infine,individuate le persone ritenute appro-priate a ricoprire le nuove posizioni.

Tutto ciò però era ancora definito a li-vello formale. Serviva, a questo pun-to, un «piano di migrazione» tra lavecchia struttura e la nuova, in manie-ra di passare all’implementazione delnuovo assetto organizzativo. Se nonviene gestita efficacemente tale fasepuò compromettere tutto il lavorosvolto in precedenza. Si è trattato didefinire le procedure per il passaggiodi consegne tra le strutture, piani diformazione per il personale, soprattut-to per quello coinvolto nei nuovi pro-cessi. Si tratta ora di attivare i nuovimeccanismi operativi.

In sintesi, nell’intero progetto di re-visione organizzativa si è quindi se-guita una doppia logica: di decompo-sizione «top-down» dalle funzioni alleattività e, successivamente, di una ri-composizione «bottom-up» dei pro-cessi e delle responsabilità.

Analizziamo ora nel dettaglio i pro-dotti realizzati durante le fasi primaindicate. La prima fase del progetto, dicarattere più operativo, ha visto impe-gnato, come detto, il Nucleo operativoche, dopo aver definito il perimetrod’indagine e condiviso la metodologiad’intervento, ha eseguito l’analisi del-le funzioni, dei ruoli, delle procedure edelle attività di tutte le unità di staff eha prodotto come risultato:

— la rilevazione dei dati e dei flussiesistenti;

— il censimento delle funzioni edelle procedure applicate nell’area og-getto di analisi;

— la mappatura delle macro-atti-vità in essere;

— i diagrammi di flusso delle prin-cipali macro-procedure;

— gli organigrammi di massimadelle diverse unità organizzative;

— le tabelle dei carichi di lavoro diogni unità organizzativa.

In un secondo momento, attraversouna seconda serie di colloqui di ap-profondimento, sono stati ricostruiti iprincipali processi delle funzioni am-

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ministrative e di staff, evidenziandonele criticità più rilevanti e proponendo-ne, laddove necessari, una riprogetta-zione. In particolare i processi identi-ficati sono indicati nella tabella 1.

Le principali criticità evidenziate inquesta prima fase riguardavano la ge-stione delle risorse umane, il sistemainformativo e le capacità di coordina-mento e integrazione tra i servizi.

In particolare, nell’ambito delle ri-sorse umane è risultata carente l’inte-grazione dei sistemi di valutazione ri-spetto al sistema di controllo di gestio-ne, al servizio di formazione profes-sionale e manageriale, al sistemainformativo e informatico, ai piani disviluppo organizzativo. Sempre suquesto tema, le debolezze più rilevantiriguardavano da una parte, la mancan-za di un’adeguata cultura della valuta-

Figura 2 - Il percorso di analisi e riconfigurazione organizzativa all’Asl 20

Tabella 1 - I principali processi analizzati

zione, che sapesse inquadrare talestrumento in un contesto di valorizza-zione e crescita del personale e nonpiù in un’ottica di adempimento buro-cratico o, nel peggiore dei casi, di stru-mento vendicativo e punitivo; dall’al-tra parte, si scontava la mancanza diuna adeguata pianificazione nello svi-luppo delle risorse umane. Infine, co-me già detto, risultavano poco chiarela definizione e la consapevolezza del-le responsabilità nell’attribuzione del-le posizioni.

In relazione, invece, al sistemainformativo sono state evidenziate al-cune lacune riguardanti:

— le informazioni trattate dal siste-ma di reporting;

— la necessità di un maggior coor-dinamento tra sistema informativo eprogrammazione;

— la gestione del personale, in par-ticolare per i dati relativi alle assenze;

— la mancanza di una procedura ef-ficace di gestione delle richieste di in-tervento al CED (tipo help-desk) peridentificare al meglio le priorità di in-tervento;

— le difficoltà di comunicazionetra CED e sistema elaborazione sti-pendi.

In generale, quindi, sono state evi-denziate necessità di coordinamento eintegrazione tra i diversi processi, traquesti e i sistemi gestionali, tra i siste-mi e gli strumenti gestionali, tra cui:

— mancanza di raccordo tra strate-gie aziendali, politiche del personale estrumenti gestionali;

— poca coerenza tra il piano di atti-vità annuale e il sistema di budget;

— necessità di una maggiore colla-borazione tra i servizi.

5. Verso la nuova struttura organiz-zativa: le alternative possibili

La terza fase ha presupposto il dise-gno di una nuova struttura organizza-tiva che rispondesse alle esigenze e al-

le indicazioni individuate durante lefasi precedenti. Sulla base degli ele-menti raccolti in sede di analisi dellefunzioni e dei processi si è in grado dioptare per una nuova configurazionestrutturale dalla quale dipenderannopoi nuove aree di responsabilità, nuo-ve attività gestite, profili di personalein parte differenti. Proprio per la suacriticità, la scelta di una nuova confi-gurazione dev’essere effettuata concautela valutando le alternative possi-bili. Dalla discussione sui risultati sca-turiti dall’analisi sono emerse tre al-ternative di sviluppo per le funzioniamministrative e di staff.

1. La prima possibilità che si pro-spettava consisteva nel semplice po-tenziamento delle competenze chiaveinerenti le aree da sviluppare lascian-do però intatta la struttura organizzati-va. Si tratta di un approccio soft alcambiamento, i cui vantaggi sono si-curamente rilevanti. Infatti, interve-nendo solo sullo sviluppo delle com-petenze professionali e non sulla strut-tura, l’operazione risulta semplice darealizzare e meno «onerosa». È pro-babile che anche da parte delle perso-ne coinvolte vi siano minori opposi-zioni, poiché non vengono intaccateprofondamente modalità e rapporti dilavoro. Il coinvolgimento nell’opera-zione risulta più semplice e con mino-ri ostacoli.

D’altra parte, trattandosi di un ap-proccio soft, il principale difetto con-siste nell’efficacia solo parziale cheesso può generare sull’organizzazio-ne. Soprattutto in realtà che necessita-no di un rinnovamento più profondo odove le persone, per indole e cultura,sono ostili al cambiamento, tale ipote-si rischia di indurre effetti limitati.Inoltre, la stessa teoria organizzativasconsiglia interventi di questo tipo, inquanto un rinnovamento delle compe-tenze professionali e della culturaaziendale deve trovare riscontro sianella mission e vision dell’Azienda,

sia nella struttura organizzativa, laquale non può essere «sganciata» dal-le variabili organizzative soft (compe-tenze, know how, comportamenti, cli-ma, motivazione, ecc.).

2. La seconda alternativa consistevanello sviluppare la struttura organiz-zativa in coerenza con lo sviluppo del-le competenze necessarie per rispon-dere alle esigenze evidenziate, rifor-mulando l’organizzazione degli staff edel dipartimento amministrativo.

Rispetto alla prima ipotesi, questointervento prevedrebbe di interveniresulla struttura organizzativa, anche senon in maniera energica. Si tratta in-fatti di riorganizzare alcune unità or-ganizzative alla luce delle criticità evi-denziate dall’analisi, lasciando peròintatta l’organizzazione di coordina-mento di livello superiore. Quindi, si-gnificherebbe riorganizzare le unitàall’interno dello staff e le funzioni am-ministrative all’interno del diparti-mento amministrativo, non rivedendola suddivisione tra dipartimento estaff. Un tale tipo di intervento, inci-dendo sulle variabili hard dell’orga-nizzazione, risolve parzialmente lecriticità dell’approccio soft. Allo svi-luppo delle competenze professionalisi accompagna infatti una parzialeriorganizzazione del lavoro e delleunità organizzative. Questo rende ilcambiamento virtualmente più effica-ce, anche se in realtà aziendali partico-larmente bisognose di interventi talelivello di riorganizzazione potrebbenon risultare sufficiente.

Inoltre, aumentando il grado di «in-vasività» dell’intervento aumentanole difficoltà legate al coinvolgimentodelle persone. Aumentano i diffidentie i detrattori del cambiamento, lo scet-ticismo potrebbe rendere inefficacequalsiasi iniziativa. Per superare que-sti ostacoli è necessario prevedere«potenti e continui» momenti di co-municazione: riunioni, momenti di di-scussione, seminari formativi e altre

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azioni che aumentino il coinvolgi-mento. Questo significa anche un au-mento dell’investimento.

3. Infine, è stata presa in conside-razione l’idea di riorganizzare inprofondità la struttura organizzativadelle funzioni amministrative, in coe-renza con lo sviluppo delle competen-ze necessarie per rispondere alle esi-genze evidenziate, proponendo la rior-ganizzazione e la strutturazione in di-partimento di alcune attività di staff.Rispetto all’alternativa precedente, lariorganizzazione risulta più completa.Non ci si limita infatti a riorganizzarele unità all’interno di un dipartimento,ma si fornisce un diverso assetto dicoordinamento, attraverso nuove mo-dalità di aggregazione dipartimentale.

Questa è la soluzione più «energi-ca», la più rischiosa ma anche quellapotenzialmente più efficace. Un simi-le processo di cambiamento richiede ilpiù ampio coinvolgimento possibile:la Direzione aziendale deve essereconvinta e il più possibile unita sullanecessità del cambiamento, sulle mo-dalità di conduzione del processo e suirisultati che si perseguono; la compo-nente dirigenziale deve essere an-ch’essa coinvolta operativamente nelprogetto, cercandone il più ampioconsenso. Ai livelli gerarchici più bas-si è utile ricercare la partecipazione at-tiva al processo da parte delle personee avere continuamente il «polso» dellasituazione. Un simile impegno signifi-ca, però, costi alti e maggiori rischi nelcondurre al termine con successo ilpercorso di cambiamento.

6. La nuova configurazione organiz-zativa: il Dipartimento della pro-grammazione e dello sviluppo

Dalla disamina di benefici e svan-taggi delle diverse possibilità di rior-ganizzazione dei servizi amministrati-vi e di staff, si è deciso di optare per la

terza ipotesi, dettagliata nei seguentipunti.

— Separazione tra attività ammini-strative di line e attività amministrati-ve di staff.

— Individuazione di quattro rile-vanti aree di attività, tra le attività am-ministrative di staff:

1) programmazione e controllodi gestione;

2) strategia, organizzazione, co-municazione e qualità;

3) sviluppo risorse umane;4) sistema informativo e CED.

— Costituzione di un dipartimentodi staff denominato «Programmazionee sviluppo» nel quale riunire questequattro aree, così da favorirne lo svi-luppo integrato.

— Prevedere un unico dipartimentoamministrativo di line denominato«Servizi amministrativi», con una di-stinzione tra aree tecnico-logistiche earee amministrative.

— Mantenere, per alcune funzionidi staff, una posizione esterna allastruttura dipartimentale.

Il Dipartimento di programmazio-ne e sviluppo nasce dall’aggregazionedi compiti e responsabilità in partenuove, in parte già presenti (prima incapo al Dipartimento amministrativoe in staff alla Direzione generale) e co-munque da sviluppare. Si tratta di fun-zioni strategiche, fortemente legate al-la pianificazione e alla realizzazionedella mission aziendale che s’intendo-no aggregare, in un’ottica di processo,proprio per governarne appieno lo svi-luppo e l’implementazione all’internodell’Azienda.

In particolare il nuovo Dipartimen-to si articola nelle seguenti unità orga-nizzative:

— Programmazione e controllo digestione (struttura complessa);

— Sviluppo organizzativo, comu-nicazione e qualità (struttura sempli-ce);

— Gestione e sviluppo risorse uma-ne (struttura complessa);

— Sistema informativo (strutturacomplessa);

— CED (struttura semplice);— Assistenza giuridico legale

(struttura complessa).Nel Dipartimento operano quattro

dirigenti (responsabili delle strutturecomplesse) e 25 operatori di cui tre ti-tolari di posizioni organizzative. Dueoperatori sono transitati dal Diparti-mento dei servizi amministrativi in se-guito alla riorganizzazione.

A valle della definizione della nuo-va configurazione si è proceduto adidentificare per ogni unità organizzati-va nuove aree di responsabilità, di atti-vità e di conseguenza anche il profiloatteso, in termini di competenze e ca-pacità, delle persone che dovranno ri-coprire le nuove posizioni.

Le unità che maggiormente risulta-no modificate rispetto alla precedenteconfigurazione sono tre.

1. L’unità organizzativa «Program-mazione e controllo di gestione», pri-ma in staff alla Direzione generale, oraè posta all’interno del Dipartimento. Ilcontrollo di gestione rappresenta in-fatti la funzione cardine attorno cui sidipana tutto il processo di program-mazione delle attività aziendali e delcontrollo direzionale. Spostare la rela-tiva Unità organizzativa dallo staff alDipartimento significa riconoscernel’importanza e definirne chiaramentele responsabilità configurandole in uncontesto organizzativo più appropria-to.

2) L’unità organizzativa «Sviluppoorganizzativo, comunicazione e qua-lità», di nuova costituzione, ha l’obiet-tivo di sviluppare funzioni già presen-ti in Azienda ma ancora in fase em-brionale, volte al miglioramento del-l’efficacia delle attività aziendali. Lefunzioni di sviluppo organizzativo,prima inserite in staff nell’ambito del-la struttura semplice «Organizzazione

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e procedure gestionali», contribuisco-no al miglioramento delle proceduregestionali adottate e propongono con-figurazioni organizzative che rispon-dano in maniera più consona ai princi-pi di efficacia ed efficienza. La fun-zione di comunicazione, sia internache esterna, prima gestita dalla strut-tura di «Relazioni esterne, marketinge qualità» in staff alla Direzione gene-rale, ha l’obiettivo, all’interno, di faci-litare la condivisione e l’applicazionedelle politiche aziendali e di favorireun buon clima organizzativo; all’e-sterno, invece, l’obiettivo è di far co-noscere le attività svolte dall’Azienda,nonché di mantenere i rapporti coi di-versi soggetti istituzionali. La funzio-ne «qualità», infine, dovrà svilupparein Azienda il concetto di migliora-mento della qualità tecnica dei servizierogati, oltre che presidiare le attivitàrelative alla qualità percepita.

3. L’unità organizzativa «Gestionee sviluppo risorse umane» nasce conlo scopo di governare lo sviluppo dinuove funzioni gestionali e fornireuna risposta alla sfida del passaggiodall’amministrazione del personalealla gestione delle risorse umane.Sempre più, infatti, le persone non de-vono solo essere amministrate ma, alpari delle altre risorse aziendali, valo-rizzate e sviluppate. Si tratta di un ri-conoscimento sostanziale del ruoloche le risorse umane ricoprono nellacreazione del valore dell’Azienda.Rientrano nei compiti di questa unitàla gestione della dotazione organica,le relazioni sindacali, i processi di va-lutazione (posizioni, prestazioni, inca-richi), la formazione professionale emanageriale, ecc. L’unità «Gestione esviluppo risorse umane» nasce cosìcon il compito di governare funzioniprima assegnate ad altre unità. La lorointegrazione in un unico contenitoreorganizzativo risponde alle esigenzedi coordinamento e sviluppo già evi-denziate.

Il Dipartimento dei servizi ammini-strativi nasce come fusione di due pre-cedenti dipartimenti, quello ammini-strativo e quello tecnico-logistico, ag-gregando così i servizi a supporto di-retto delle attività produttive. L’obiet-tivo è di fornire un coordinamento atutti i servizi di supporto secondo unalogica di strumentalità dell’azioneamministrativa rispetto ai processiproduttivi, ma anche di rivitalizzarel’area amministrativa potenziandonele competenze gestionali e professio-nali. Il Dipartimento dei servizi ammi-nistrativi aggrega le seguenti unità or-ganizzative:

— Amministrazione del personale(struttura complessa);

— Gestione economica del perso-nale (struttura semplice);

— Ispettorato (struttura semplice);— Contabilità generale e dei costi

(struttura complessa);— Gestione unificata del materiale

(struttura complessa);— Gestione tecnico-patrimoniale

(struttura complessa);— Gestione patrimoniale (struttura

semplice);— Provveditorato (struttura com-

plessa).

Nel Dipartimento dei servizi ammi-nistrativi operano tre dirigenti (e dueposti di dirigenza dovrebbero esserericoperti a breve) e 108 operatori, dicui 8 titolari di posizioni organizzati-ve.

In particolare, l’unità organizzativaAmministrazione del personale ha su-bito le maggiori variazioni rispetto al-la configurazione precedente. Infatti,parte delle funzioni prima attribuitesono ora passate alla nuova unità orga-nizzativa «Gestione risorse umane».In compenso, l’Amministrazione delpersonale si è arricchita della funzioned’ispettorato. In ogni caso le due unitànecessiteranno di un raccordo che per-metta di allineare i diversi meccani-smi.

Nella nuova configurazione orga-nizzativa rimangono direttamente instaff alla Direzione generale quattrodirigenti (di cui tre medici) e 22 opera-tori, che si occupano delle seguentifunzioni:

— Segreteria e affari generali;— Servizio sovrazonale di epide-

miologia;— Medico competente;— Servizio di prevenzione e prote-

zione.

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Figura 3 - Il nuovo Dipartimento di programmazione e sviluppo

7. Conclusioni

Il progetto descritto ha avuto comeprincipale esito la definizione dellanuova configurazione delle struttureorganizzative amministrative dell’A-zienda e il ridisegno di alcuni dei rela-tivi processi.

Il risultato fin qui raggiunto ha ri-guardato quindi la struttura organizza-tiva aziendale: una struttura che si vo-leva più snella, flessibile e adeguataallo sviluppo di alcuni sistemi gestio-nali ritenuti fondamentali per la cre-scita di tutta l’Azienda. Risorse uma-ne, qualità, comunicazione marketing,programmazione e controllo e sistemainformativo sono state così raggrup-pate sotto un unico tetto con l’idea dicreare un incubatore in cui far cresceretali funzioni.

Probabilmente ora è presto per va-lutare la bontà delle scelte operate. So-lo col tempo si potrà affermare se lesoluzioni organizzative adottate sa-ranno state all’altezza delle intenzioni.Sicuramente la scelta effettuata trovauna giustificazione e un senso soprat-tutto in relazione al tessuto storico,umano e «culturale» Asl 20 di Ales-sandria e Tortona. Si è cercato infattidi trovare e implementare soluzioniche fossero coerenti con le competen-ze e con le persone presenti in Azien-da. La logica, quindi, con cui è statodeciso di raggruppare le funzioni am-ministrative più innovative in un uni-co contenitore deriva direttamentedalla consapevolezza delle caratteri-stiche e delle qualità distintive delle ri-sorse umane a disposizione. Agendoin questo modo si è evitato il rischio diprogettare una struttura efficace sullacarta ma di difficile attuazione.

Queste accortezze non hanno co-munque preservato il cambiamentoorganizzativo da critiche e problemidall’interno dell’Azienda. Anzi, unadelle principali difficoltà di attuazionedel modello disegnato ha riguardato

proprio le resistenze incontrate nellarealizzazione della nuova configura-zione organizzativa. Mentre, infatti,com’era auspicabile, le persone indi-viduate per rilanciare e sviluppare lefunzioni amministrative strategichehanno accettato questa sfida con entu-siasmo, chi è stato privato delle atti-vità più di sviluppo ha vissuto questamanovra come una perdita di respon-sabilità.

Tale criticità, di cui si era fin dall’i-nizio consapevoli, inizialmente è stataaffrontata coinvolgendo nel processodi cambiamento le persone attraversola partecipazione diretta ai processi inmodo che si sentissero parte attiva epropositiva dello sviluppo e non frui-tori passivi di un progetto a loro estra-neo. Anche per i responsabili e glioperatori di line si è posta l’enfasi sulcambiamento e la chiarezza del ruolo,cercando di evitare una interpretazio-ne basata su logiche di rendite di pote-re.

Spesso infatti, i progetti di tale por-tata, anche se condotti su base teorichesolide, non raggiungono gli obiettivisperati a causa delle troppe resistenzeche incontrano nel loro percorso disviluppo. È fondamentale, quindi,condurre tali interventi avendo cura ditutti gli aspetti che, potenzialmente,possono provocare il fallimento delprogetto di cambiamento (Kotter,1995).

Tanti, infatti, sono gli errori in cui sirischia di incorrere. Spesso, per esem-pio, dirigenti e dipendenti non com-prendono le necessità del cambiamen-to o non ne hanno chiare le vere ragio-ni. Per questo non vi partecipano atti-vamente e considerano ogni soluzionecome imposta «dall’alto». È chiarocome tale situazione possa facilmentedegenerare in disinteresse e indiffe-renza che farà ben presto naufragarequalsiasi progetto di rinnovamento.

Altre volte, invece, vi è il coinvolgi-mento attivo di almeno una parte del-

l’Azienda ma sono poco chiare qualisono le intenzioni della Direzioneaziendale, perché non le sa comunica-re oppure perché anche al suo internovi sono resistenze che indebolisconola coalizione di governo favorevole alcambiamento. È necessario, invece,un impegno forte e chiaro da parte del-la Direzione che fornisca all’interoprocesso una spinta motivazionaleinequivocabile.

Allo scopo di evitare tali impasse, ilprogetto di cambiamento organizzati-vo all’Asl 20 si sta realizzando con at-tenzione anche a questi aspetti.

Per esempio, fondamentale per labuona riuscita di questa prima partedel progetto è stato il lavoro di squa-dra, che ha coinvolto responsabili e di-pendenti e cui ha fatto da riferimento ilforte appoggio fornito dalla Direzioneaziendale, che fin da subito ha fatto in-tendere di contare molto sull’iniziati-va.

Fondamentali sono stati poi i mo-menti di discussione e condivisionedella strategia e degli obiettivi che sivolevano raggiungere. Attraverso riu-nioni del gruppo di lavoro e incontri dianalisi, tra cui un convegno in cui sisono presentati i risultati del progettoconfrontati con altre esperienze analo-ghe, si è contribuito a comunicare la«visione del cambiamento» (Kotter,1996) e le nuove strategie.

A questo punto, per rafforzare i ri-sultati fin qui ottenuti e proseguire nelpercorso di sviluppo, sarà necessarioagire su nuovi progetti, formando ilpersonale, coinvolgendo le persone«che più ci credono» in modo da ac-crescere la credibilità della strategiaperseguita e che sia chiaro il segnaleche quello che finora è stato fatto avràun seguito.

(1) Il presente paragrafo rielabora Nieddu(in corso di pubblicazione).

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SOMMARIO: 1. Descrizione dell’ASS 2 - 2. La strategia di gestione - 3. Le criticità - 4. Come il modello BSC può risolvere le criticità -5. Lo sviluppo degli indicatori per il miglioramento dell’assistenza - 6. Come si sta sviluppando il BSC - 7. Le quattro prospettive diintervento - 8. Alcuni esempi delle schede - 9. Conclusioni.

1. Descrizione dell’ASS 2

L’Azienda per i servizi sanitari n. 2Isontina si trova nella Regione Friuli-Venezia Giulia ed il suo territorio cor-risponde alla Provincia di Gorizia. Lapopolazione residente è di poco infe-riore ai 140.000 abitanti con il 22,5%di anziani; le attività prevalenti riguar-dano il commercio, l’industria (Can-tieri navali di Monfalcone), i servizi el’agricoltura.

La dotazione di servizi per la popo-lazione ed il tessuto sociale presenta-no indicatori nel complesso miglioridi quelli nazionali anche se il tenore divita è leggermente inferiore. Oltre alleproblematiche correlate con la note-vole presenza di anziani, i problemi disalute riguardano soprattutto i tumori,gli incidenti stradali e quelli sul lavoroche presentano incidenza e mortalitàsuperiori alle medie nazionali e regio-nali.

Sono presenti 2 ospedali (Gorizia eMonfalcone) dotati entrambi dellefunzioni di base e di alcune funzionispecialistiche organizzate in forma in-tegrata tra le due sedi. I volumi di atti-vità sono simili (circa 10.000 ricoveriall’anno per ciascun ospedale), essi ri-spondono per il 72,5% ai bisogni diassistenza ospedaliera dei residenti ol-

tre ad esercitare un’attrazione versoterritori limitrofi o extraregionali parial 18,6% della propria attività. L’atti-vità in day hospital rappresenta il 25%dell’attività totale.

Il territorio è organizzato in due di-stretti (che hanno le funzioni di RSAe di assistenza domiciliare), un Di-partimento di prevenzione, uno per lasalute mentale ed uno per le dipen-denze.

Il tasso di ospedalizzazione è passa-to negli ultimi 8 anni dal 243 per milleall’attuale 160 per mille (compresi i ri-coveri in day hospital, quelli in altriospedali pubblici privati regionali edextraregionali).

Il personale con contratto pubblicoè di poco superiore alle 2.000 unità, ilricorso a personale convenzionato èscarso, sono esternalizzati: mensa, la-vanderia, pulizie e riscaldamento.

Negli ultimi 8 anni l’Azienda ha re-cuperato il disavanzo tra finanziamen-to regionale definito con la quota capi-taria pesata e corretta ed i costi struttu-rali. Il bilancio di esercizio 2002 hachiuso con un utile di 475.000 euro;anche il 2003, in base alle previsionifatte il 30 settembre, dovrebbe chiu-dersi con un piccolo utile. Il patrimo-nio netto ammonta a 143.486.638 euroed è incrementato negli ultimi 3 anni. I

costi complessivi del 2002 sono stati209.268.969 euro.

Con il 1997 è stata introdotta la ge-stione per budget e con il 1998 è stataintrodotta la contabilità economica.

2. La strategia di gestione

Nel 2001 con l’insediamento dellanuova Direzione strategica aziendale,è stato definito un piano strategico chesi propone di definire il ruolo dell’A-zienda sanitaria nello sviluppo dellapolitica di promozione della salutedella popolazione di riferimento, iden-tificandone i principi ispiratori, gliobiettivi e le principali direttrici d’in-tervento. Questo piano strategico vie-ne attuato attraverso la programma-zione annuale che definisce le azionioperative necessarie a realizzare gliobiettivi di salute.

La strategia di sanità pubblicaaziendale è stata quindi orientata ver-so le seguenti azioni che fanno riferi-mento alla teoria della promozionedella salute.

1) Sviluppare le capacità personali

L’azione di sviluppo delle capacitàpersonali è in grado di determinare ri-levanti cambiamenti degli stili di vita

L’INTRODUZIONE DEL BALANCED SCORECARDNELL’AZIENDA SANITARIA ISONTINA

Danilo Spazzapan, Giovanni Pilati, Aldo MariottoAzienda per i servizi sanitari n. 2 Isontina

della popolazione con un impatto sullasalute potenzialmente molto elevato.

2) Creare ambienti favorevoli

Gli effetti dell’ambiente fisico sullasalute umana sono noti da tempo e co-stituiscono un’importante area di atti-vità dei Dipartimenti di prevenzionedelle Aziende sanitarie. Non è inveceancora sufficientemente valorizzato ilruolo degli ambienti sociale e organiz-zativo nel determinare gli stili di vitadegli individui e le loro modalità diutilizzo dei servizi, nonché le conse-guenti ricadute sulla salute.

3) Riorientare i servizi sanitari

Le principali azioni di riorienta-mento, non solo di semplice riorga-nizzazione dei servizi, che l’ASS 2 hamesso in atto ed intende perseguirenel 2002, riguardano lo sviluppo del-l’assistenza primaria, il miglioramen-to dell’efficacia e dell’appropriatezzadei processi assistenziali, il persegui-mento dell’efficienza operativa el’assunzione del ruolo di modello po-sitivo e di difesa della causa della sa-lute.

4) Rafforzare l’azione della comunità

È necessario sviluppare il rapportodi fiducia tra i cittadini e l’Azienda sa-nitaria territoriale che ha la funzionedi rispondere ai loro bisogni di salute,assicurando la qualità dei servizi of-ferti, in termini di:

— efficacia e appropriatezza assi-stenziale;

— umanizzazione, comfort e acces-sibilità;

— correttezza amministrativa.Queste garanzie vanno perseguite

mediante:— il coinvolgimento dei cittadini e

dei loro rappresentanti nelle decisioni

organizzative a più alto impatto assi-stenziale ed emotivo;

— la definizione dei diritti del citta-dino in relazione ai livelli di serviziodisponibili, alla loro qualità e alla loroaccessibilità;

— la certificazione, il controllo e lavalutazione di qualità relativi a pro-grammi assistenziali specifici, indicatidalla Regione;

— la pubblicazione e la socializza-zione dei risultati.

3. Le criticità

Nella prima parte del 2003, dopoaver chiuso in attivo il bilancio e rela-zionato sui risultati della gestione del2002, a fronte dell’andamento positi-vo del primo monitoraggio del 2003,sono stati analizzati i principali ele-menti di criticità gestionale da affron-tare nel 2004.

Il personale lamentava uno scarsocoinvolgimento nella definizione de-gli obiettivi aziendali, chiedeva unamaggiore incisività gestionale dei di-rigenti e giudicava deteriorato perquesti ed altri motivi il clima azienda-le.

La notevole mole di dati raccoltidalla programmazione e controllo riu-sciva a rappresentare bene e tempesti-vamente i fenomeni di attività e di co-sto, ma non era possibile una integra-zione tra essi e, soprattutto, non erapossibile incrociare questi dati con gliindicatori di esito e di impatto sulla sa-lute della popolazione.

I Sindaci rappresentavano le lamen-tele dei concittadini riguardo alle pos-sibili dimissioni precoci ed alla man-cata risposta a bisogni non consideratiprioritari da parte di alcune Unità ope-rative aziendali.

I dirigenti comprendevano male lanecessità aziendale di erogare un mag-giore numero di prestazioni richiestedai cittadini (ad esempio ecocolordop-pler, visita cardiologia ecc.) perché

erano orientati prioritariamente ad at-tività più qualificanti (ad esempio ledegenze in unità coronarica o gli im-pianti di pace-maker) e non considera-vano prioritario erogare le visite car-diologiche che avevano tempi di atte-sa molto lunghi.

I risultati in termini di salute soddi-sfacevano pienamente le direttive re-gionali (18 obiettivi di salute indivi-duati dalla Regione per il 2004) ma,alla verifica sulle cartelle cliniche ef-fettuata per alcune situazioni indice, èemerso che i clinici non sempre adot-tano i principi della EBM nella praticaquotidiana e, talvolta, sono stati docu-mentati comportamenti diagnosticoterapeutici non sostenuti da provescientifiche.

Nel 2002 è stata effettuata una rile-vazione sulle performance secondo lametodica EFQM che ha evidenziato lemaggiori aree di criticità nella gestio-ne del personale ed in particolare mo-do nel livello di coinvolgimento nellastrategia aziendale.

4. Come il modello BSC può risolve-re le criticità descritte

La documentazione disponibilein letteratura riguardo il modelloBalanced scorecard (BSC) introdottoKaplan e Norton nel 1990 ed i risultatiottenuti dalle aziende private e pubbli-che con l’adozione di questa logicaper la programmazione e la gestione,hanno evidenziato la possibilità di af-frontare e risolvere attraverso questomodello la maggior parte delle criti-cità segnalate per l’ASS 2.

In sintesi, il modello BSC prevedela costruzione di una mappa strategi-ca che, partendo dalla definizionedella mission e vision dell’Azienda,esplicita la strategia e la modalità concui tradurre la strategia in azioni. Nel-l’ambito della mappa strategica ven-gono individuate le prospettive di in-tervento (di solito sono 4) che riguar-

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dano la prospettiva finanziaria, laprospettiva del cliente, la prospettivainterna e la prospettiva di innovazio-ne ed apprendimento. Da queste pro-spettive vengono individuate le areechiave di performance ed infine ven-gono definiti i relativi indicatori(KPA, key performance area e KPI,key performance indicator).

Il maggiore coinvolgimento delpersonale nella definizione e conse-guimento degli obiettivi aziendaliavviene nel modello BSC attraver-so la esplicitazione della strategiaaziendale e nel bilanciamento delleperformance da conseguire nelle di-verse aree chiave a livello delle singo-le unità operative. Appare scontatoche si ottengono migliori risultati se,una volta definiti i principi, i valori ela strategia, è il personale che indivi-dua gli obiettivi e le azioni per contosuo, piuttosto che se questi vengonodefiniti ed imposti dall’alto. Questomodello partecipativo, attraverso il bi-lanciamento dei risultati da ottenereed attraverso la negoziazione delleKPA e KPI, consente comunque uncontrollo centrale sugli obiettivi nego-ziati.

In associazione alla diffusione deimodelli BSC nelle Aziende, si sonosviluppati nuovi hardware e softwarein grado di assicurare la gestione dellenuove complessità introdotte con que-sto modello. Sul mercato sono dispo-nibili diversi programmi che legano imolteplici KPI e sono in grado di co-struire «cruscotti» direzionali se op-portunamente alimentati con i datiprevisti. Si possono individuare 3grandi aree di intervento del sistemainformativo: il datawarehouse, il«cruscotto» e la diffusione della co-municazione via web.

Il Datawarehouse consente di inter-rogare molteplici e diverse banche da-ti aziendali, di validare e controllare idati e depositarli secondo un ordinepredefinito in aree di integrazione in

cui essi possono essere ulteriormenteelaborati al fine di fornire informazio-ni complesse. Questo significa perun’Azienda sanitaria avere costante-mente in linea e con aggiornamentimensili o trimestrali, informazioni in-tegrate sui ricoveri, sull’attività ambu-latoriale, sulla mobilità attiva e passi-va, sui consumi di materiali delle unitàoperative, sulla dotazione di persona-le, sui tempi di attesa, sull’attività ter-ritoriale, sulle convenzioni, sul consu-mo di farmaci sul territorio ecc. Nellamaggior parte dei casi tutti questi ele-menti sono già raccolti in database di-versi che non sono facilmente elabora-bili ed integrabili tra loro. Una voltacreati i collegamenti con le banche da-ti, tutti questi elementi sono facilmen-te elaborabili per serie storica, per va-riazioni rispetto a standard predefinitio rispetto ad un altro dato raccolto equesta integrazione avviene a livellodi «cruscotto».

Il «cruscotto» è la parte più impor-tante di tutto il sistema in quanto servea rappresentare:

— l’articolazione delle responsabi-lità a livello aziendale (individua no-me e cognome dei responsabili);

— i KPI (carta di identità dell’indi-catore) con i relativi standard attesi edi risultati dei monitoraggi periodici;

— il bilanciamento delle KPA eKPI nelle varie unità operative;

— i momenti di sintesi nella rappre-sentazione dei risultati a livello diunità operativa, dipartimento edazienda attraverso elementi grafici diimmediata comprensione;

— le regole con cui sono rappresen-tati i risultati;

— i link per l’accesso alle banchedati con cui sono stati costruiti gli in-dicatori;

— i dati raccolti con il data-warehouse.

Un valore aggiunto del nuovo siste-ma è la pubblicabilità via web del«cruscotto» in quanto ciò facilita la

comunicazione con i responsabili del-le unità operative che, attraverso po-che e semplici «videate», sono imme-diatamente e tempestivamente infor-mati sui risultati raggiunti nel corsodell’anno e quindi possono costante-mente orientare la loro funzione dire-zionale al risultato finale. Il web puòvenire utilizzato anche nella fase dipredisposizione delle scorecard inquanto la definizione delle KPA e KPIpuò avvenire on line anche attraversoforum di discussione sulla strategia,sugli obiettivi e sugli indicatori da ela-borare. Poiché tutti possono vederetutto ciò che avviene in azienda, vienefavorita l’integrazione delle informa-zioni e la costruzione di una «bancadati» di indicatori a disposizione delleunità operative.

Una costante delle prospettive di in-tervento nei modelli della BSC è lasoddisfazione del cliente/utente. Nelleaziende sanitarie pubbliche questacomponente è stata ulteriormente va-lorizzata ed istituzionalizzata nelD.L.vo 229/99 che ha definito nuoviruoli di programmazione sanitaria e divalutazione dei Direttori generali aiSindaci. L’aspetto sociale nella ge-stione di un’azienda, anche per quelleprivate che non sono soggette ai vin-coli legislativi, sta diventando negliultimi anni una questione sempre piùimportante ed è svincolato dagli obiet-tivi di bilancio e di profitto. Numeroseaziende private e pubbliche, anche sa-nitarie, hanno redatto il bilancio socia-le che ha lo scopo di rappresentare co-me la gestione ed i risultati raggiuntidall’Azienda rispondono alle esigenzedella società e dell’ambiente che li cir-conda. A regime, annualmente, do-vrebbero essere individuati obiettivicondivisi con gli stakeholder e con lasocietà; l’Azienda dovrebbe fare ilmonitoraggio annuale su questi obiet-tivi ed a fine anno dovrebbe relaziona-re a questi soggetti esterni sui risultatiraggiunti. Una volta definita nel mo-

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dello BSC la prospettiva di interventosulla soddisfazione degli stakeholder,diventa inevitabile definire con leunità operative le KPA ed i KPI relati-vi a questo tema ed ogni unità operati-va, in base al peso o «bilanciamento»dell’indicatore, sarà orientata a defini-re ed a perseguire l’obiettivo modifi-cando la propria organizzazione o l’at-tività.

5. Lo sviluppo degli indicatori per ilmiglioramento dell’assistenza

Il piano gestionale dell’Azienda sa-nitaria «Isontina» si propone il rio-rientamento dei servizi secondo i prin-cipi della promozione della salute edel trasferimento delle evidenzescientifiche di efficacia nella praticaclinica.

Lo scorso anno è iniziata un’energi-ca azione per sviluppare coerentemen-te la qualità dell’assistenza sanitariasecondo tre principali direttrici: la for-mazione del personale, lo sviluppo diprogetti per il miglioramento e il con-solidamento del sistema aziendale perla gestione della qualità.

Innanzitutto in Direzione sanitaria èstata decisa la strategia e sono state in-dividuate le aree prioritarie di inter-vento (poi condivise con i responsabi-li delle unità operative) attraverso unasintesi di: epidemiologia nel territorioisontino, prove scientifiche disponibi-li, esperienze esistenti di rilievo, attesadi miglioramento e fattibilità del mo-nitoraggio.

In linea con i CMS (Centers forMedicare and Medicaid Services), sisono utilizzate misure di processo enon di esito clinico in quanto, nono-stante l’onerosità nella raccolta dati,vi è un maggior consenso scientificosulla loro identificazione, utilizzazio-ne e miglioramento degli indici diperformance.

Sono stati identificati processi cli-nici di provata efficacia e fortemente

proxies agli esiti di salute. Esemplifi-cativa è l’esperienza nell’area cardio-logica per quanto attiene l’infarto acu-to del miocardio e lo scompenso car-diaco del ventricolo sinistro. Le misu-re di processo, con l’aggiunta delcounselling dietologico, sono state so-stanzialmente derivate dall’iniziativaamericana «A Public Resource on Ho-spital Performance» elaborata dallaJoint Commission in collaborazionecon le assicurazioni federali Medicaree Medicaid. Due medici della Direzio-ne sanitaria hanno condotto un’analisiretrospettiva delle cartelle cliniche ditutti i primi casi di infarto del miocar-dio e di scompenso cardiaco sinistroche si sono ricoverati presso le unitàoperative di medicina e di cardiologiadegli ospedali di Gorizia e Monfalco-ne. Le controindicazioni prese in con-siderazione erano le stesse utilizzatenell’esperienza nazionale americana.

Il baseline 2002 ha consentito difissare le misure di performance pergli obiettivi del 2° semestre 2003, dioperare un’azione di audit and feed-back, nonché di organizzare delleoutreach visits mirate. Queste azioni

organizzative che puntano al miglio-ramento delle performance hanno evi-denza di efficacia.

La tabella 1 mostra il baseline delprimo monitoraggio del II semestre2002. È stato fatto un secondo monito-raggio nel luglio 2003 ma la scarsa nu-merosità della casistica impedisce ditrarre conclusioni circa la significati-vità del trend che appare comunquemolto positivo. Le criticità sembranoessere: che la storia passata ha dimo-strato, in genere, modesti risultati intermini di modifica degli stili prescrit-tivi; il dubbio circa l’entità degli in-centivi; il timore, infine, della traspa-renza. Gli aspetti favorevoli sono: lametodologia multifaccettata impiega-ta che ha prove di funzionamento inletteratura; la coerenza della politicadirezionale che dà credibilità rispettoalle intenzioni; il clima amichevolecoi medici coinvolti; e, poi, il princi-pio positivo che il modello remunera imedici per fare «la cosa giusta», cioèquella per cui possediamo prove di ef-ficacia.

Le prospettive future sono di conso-lidamento dell’esperienza, di verifica

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Tabella 1 - Misure di performance clinica nell’ASS 2 «Isontina» riferite all’infarto del mio-cardio e allo scompenso cardiaco del ventricolo sinistro secondo semestre 2002

della tenuta, di estensione dell’inizia-tiva verso circa 50 indicatori già incontrattazione budgetaria, di account-ability rispetto alla comunità.

6. Come si sta sviluppando il BSC

Avendo ben chiare le criticitàaziendali, avendo approfondito le co-noscenze sul BSC ed avendo presentile potenzialità di questo modello nelsupportare la soluzione dei problemipresenti in ASS 2, si è aperta una fasedi riflessione sulla possibilità di adot-tare o no la logica BSC per la pro-grammazione e gestione dell’Azien-da. Questa fase ha coinvolto innanzi-tutto la Direzione generale ed è statasuccessivamente estesa al Collegio didirezione che è formato da organismidi staff del Direttore generale, dai Re-sponsabili delle strutture operative(ospedali, distretti, dipartimento diprevenzione, dipartimento di salutementale, dipartimento per le dipen-denze) e dai Responsabili dei diparti-menti ospedalieri. Sono stati formatianche gruppi di lavoro che hanno si-mulato l’impatto dell’adozione delnuovo modello nelle strutture azien-dali e sulle modalità di gestione. An-che i rappresentanti del comparto (re-ferenti infermieristici di struttura ope-rativa e di dipartimento) sono staticoinvolti nei gruppi di lavoro.

Nell’ambito di queste discussioni èemerso chiaro che l’esigenza del cam-biamento non proveniva dalla neces-sità di cambiare le schede di budget odi adottare un nuovo sistema informa-tivo in quanto questi erano solo stru-menti per introdurre e gestire il cam-biamento verso il BSC che, al limite,poteva essere introdotto anche senzala disponibilità di un nuovo sistemainformativo, purché fosse limitato apochi indicatori. Il cambiamento in-trodotto, invece, modificava la gestio-ne dell’azienda e si associava allo svi-luppo di una nuova modalità per rea-

lizzare le strategie definite dall’Azien-da ed era necessario il pieno coinvol-gimento degli operatori nella defini-zione e nel conseguimento degli obiet-tivi. È stato considerato anche il tem-po necessario per la realizzazione delprogetto che è stato stimato il 2-3 anni.

Infine, al termine dell’estate 2003 èstata assunta la decisione di adottare ilnuovo sistema di programmazione egestione basato sul modello BSC e dalCollegio di direzione sono state indi-viduate le 4 prospettive di interventoper l’anno 2004 che sono:

— risultati relativi alla valorizza-zione e soddisfazione del personale;

— risultati relativi alla soddisfazio-ne degli stakeholder;

— risultati di salute;— risultati economici ed organizza-

tivi.Queste 4 prospettive di intervento

sintetizzano le linee di sviluppo dellastrategia aziendale ed hanno ricadutesulle strutture operative (gli ospedali, idistretti ecc.) e sulle unità operative.Per ognuna delle linee di sviluppo,nell’ambito del Collegio di direzione,sono stati raccolti e studiati elementidi dettaglio e simulazioni sulle ricadu-te in generale nell’ASS 2 che sono sta-ti tradotti in pagine di approfondimen-to messe a disposizione di tutti. Il pas-so successivo è stato quello di indivi-duare a livello di azienda e di ciascunastruttura operativa i macrobiettivi spe-cifici che derivano dalla applicazionedelle 4 prospettive nelle diverse realtàperiferiche. Questa operazione è statacondotta nel corso di confronti tra Di-rezione generale e Responsabili distruttura operativa in cui sono stateanalizzate, per ognuno dei 4 temi dicui sopra, le problematiche specifichedella struttura operativa. In questa se-de sono emerse le modalità con cui lestrategie aziendali potevano essererealizzate e le modalità con cui rap-portarsi con i Dipartimenti ospedalierie le Unità operative. Queste due ulti-

me organizzazioni hanno successiva-mente approfondito nelle loro unitàelementari tutto il processo aziendaleche ha portato all’utilizzo della BSC enel corso delle settimane centrali delmese di novembre, hanno elaborato,con un percorso di tipo bottom-up, leloro balanced scorecard che sono sta-te poi negoziate a livello di diparti-mento e di struttura operativa. Nei pri-mi giorni di dicembre 2003 la Direzio-ne generale ha avuto a disposizioneper ciascuna struttura operativa gli in-dicatori specifici per le 4 prospettivedi intervento di tutte le unità operativeafferenti.

Come negli anni scorsi, a questopunto è avvenuto il consolidamentodegli indicatori a livello aziendale te-nendo conto degli obiettivi assegnatidalla Regione, dell’esito degli incontricon la Conferenza dei Sindaci e dellecompatibilità di bilancio. Questi ele-menti costituiscono la base per la re-dazione del Programma annuale per lagestione dell’Azienda che ogni anno èstato adottato dal Direttore generaleentro il 31 dicembre.

Nel mese di gennaio 2004 è avve-nuta la negoziazione finale con leUnità operative per definire gli ultimiritocchi agli indicatori e per derivareda essi gli indicatori «traccianti» chevanno ad alimentare il sistema pre-miante che ha un percorso paralleloagli obiettivi di budget con schede emonitoraggio separati.

Un elemento di novità associato al-la introduzione del BSC in Azienda èstata la elaborazione di un sistema perla compilazione on line delle schededi budget che è attivo da ottobre 2003.Utilizzando il sito web aziendale, so-no state e predisposte pagine web spe-cifiche di Unità operativa con la pos-sibilità di compilare e pubblicare mo-duli corrispondenti a indicatori per le4 prospettive di intervento individua-te. Il sistema consente la pubblicazio-ne successiva e ripetuta di indicatori,

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di modifiche e di osservazioni sui variindicatori proposti e consente anchedi scrivere proposte di indicatori peraltre unità operative segnalando criti-cità ed esigenze specifiche. Molto in-teressante è stata ritenuta la possibi-lità di proporre indicatori anche per leschede relative alle Unità operativedei servizi amministrativi centrali (inparticolare per provveditorato e siste-ma informativo). Nel controllare e re-digere la propria scheda di budget ilresponsabile trova on line tutte le pro-poste pervenute per la sua Unità ope-rativa. La negoziazione può avvenireanche senza stampare nessuna sche-da, semplicemente scorrendo nel cor-so di una riunione tutte le proposte egli indicatori pervenuti decidendoquale di questi tenere, o modificare,cosa aggiungere e compilando, sedutastante, la scheda definitiva negoziata.È stato anche attivato un gruppoaziendale di discussione on line in cuicommentare sia gli aspetti tecnici chequelli di strategia o di metodo. La Di-rezione generale ed il Responsabile distruttura operativa possono teneresotto controllo l’intero processo con-sultando attraverso pagine di sintesitutto quello che sta avvenendo nelleUnità operative, intervenendo even-tualmente su specifici problemi o sug-gerendo la modifica di indicatori noncondivisi.

In parallelo allo sviluppo ed alla ne-goziazione delle schede di budget, se-condo la nuova metodologia, è statoacquisito il software per la realizza-zione del «cruscotto» e per la raccoltadei dati dalle diverse banche (datawa-rehouse). Rispetto alle diverse solu-zioni offerte sul mercato (analizzabilianche attraverso la rete in cui sono di-sponibili benchmark) la scelta azien-dale si è orientata verso il prodot-to della SAS Strategic performancemanagement (SPM) che è stato instal-lato con il mese di ottobre 2003. Gliaspetti più qualificanti del prodotto

sono a nostro giudizio la dinamicitàdella rappresentazione grafica e lapubblicabilità delle schede sul web.Per contro, nelle prime fasi di avvio èrisultata discretamente lunga e mac-chinosa l’impostazione nel sistemadell’articolazione aziendale e la co-struzione delle singole schede. La fa-se successiva prevede, utilizzando ildatawarehouse (sempre SAS), la rea-lizzazione dei collegamenti con le di-verse banche dati aziendali attraversocui, successivamente, sarà possibile,mensilmente, alimentare in manieraautomatica il cruscotto.

L’SPM consente di rappresentare illivello di performance a livello di sin-gola struttura operativa. Questa ha adisposizione sul web il proprio cru-scotto e, attraverso opportuni collega-menti, può andare ad esaminare neldettaglio la fonte dei dati con cui è sta-to rappresentato il livello di realizza-zione degli indicatori specifici.

7. Le quattro prospettive di inter-vento

a) Valorizzazione e motivazione delpersonale

Tenendo conto che le attività checreano valore in un’organizzazionenon sono correlate solo con il bilancioo i beni materiali, ma soprattutto con ilvalore che risiede nelle idee delle per-sone che ci lavorano, nelle relazioniche si creano tra clienti e fornitori, nel-la lettura dei dati, nella cultura dell’in-novazione e nella qualità dei processiinterni, l’ASS 2 ha definito un pro-gramma per sviluppare le capacità in-terne del personale e migliorare le pro-prie performance.

Un primo elemento critico rilevatoè la mancanza del senso di apparte-nenza del personale all’Azienda: glioperatori non si riconoscono nel-l’ASS 2, non sono fieri di appartener-vi; tutt’al più si riconoscono all’inter-

no della struttura operativa o dell’a-rea geografica di appartenenza (Gori-zia e Monfalcone); solo raramente sisentono appartenere all’Unità opera-tiva.

In termini generali i principali de-terminanti negativi del clima internoaziendale sembrano essere le continuelamentele, l’insoddisfazione, gli at-teggiamenti critici, i conflitti, le conti-nue richieste di trasferimento, l’esage-rata domanda di part-time, il fenome-no dell’assenteismo; elementi tutti cheinsorgono a causa della mancata riso-luzione di problemi interni cronici nelgruppo.

In termini specifici nel corso deiFocus group condotti con il personaledel comparto e con quello dirigente,sono emersi i seguenti punti critici:

— gestione del sistema premianteda migliorare (progetti obiettivo in-centivati e autovalutazione) in quantocausa insoddisfazione;

— difficoltà e carenza nella comu-nicazione interna (verticale ed oriz-zontale) con il frequente verificarsi disituazioni in cui vengono poste do-mande a cui nessuno dà risposta;

— necessità di migliorare il consen-so sulle motivazioni delle scelte stra-tegiche aziendali attraverso una mi-gliore comunicazione delle stesse econ maggiore trasparenza delle deci-sioni;

— criticità del ruolo dei responsabi-li, referenti, dirigenti e coordinatori dacui è attesa una maggiore capacità difare squadra, di gestire i conflitti inter-ni, di creare benessere all’interno delgruppo, di far lavorare anche chi nonlavora;

— mancanza di procedure interneche consentano di assicurare la conti-nuità di servizio anche quando il Diri-gente è assente o impegnato in altrefunzioni;

— necessità di una completa assun-zione delle responsabilità che compe-tono al ruolo ricoperto per evitare che

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chi ricopre ruoli gerarchici inferioridebba mettere in atto interventi vicariper non compromettere il livello assi-stenziale;

— non è stato ancora fatto comple-tamente il grande passo della diparti-mentalizzazione (che pure è iniziatanel 1998 e formalmente il processo èconsiderato concluso). Il processo,pur condiviso ed attuato in teoria,non è serenamente e compiutamenteadottato e fatto proprio nella prati-ca giornaliera per difficoltà e resi-stenze;

— lontananza dei dirigenti rispettoalle decisioni centrali ed incompletapadronanza sia degli accordi con le or-ganizzazioni sindacali che degli stru-menti giuridici di gestione del perso-nale;

— rarità del fenomeno in cui tutti icomponenti di un gruppo hanno deci-so qualcosa di buono per l’Azienda oper gli utenti da fare insieme, hannocondiviso gli obiettivi, le azioni e gliindicatori, hanno faticato per attuare ilprogetto ed hanno raggiunto i risultaticon grande soddisfazione personaleper quanto fatto.

Da queste considerazioni è statasviluppata una strategia aziendale perla valorizzazione delle risorse umane icui punti salienti sono i seguenti:

1) dare valore a coloro che dannovalore al lavoro e all’azienda;

2) premiare la voglia di impararedel management di ogni ordine e gra-do;

3) fare del gioco di squadra l’u-nità costitutiva del sistema organizza-tivo;

4) agevolare la navigazione stru-mentale;

5) fare della formazione un inter-vento mirato a raggiungere obiettivimisurabili;

6) trasformare il turn over in op-portunità;

7) dare visibilità all’orientamen-to al cliente (interno ed esterno);

8) fare della formazione e consu-lenza uno strumento premiante;

9) sviluppare un sistema pre-miante «creativo» e legato alla qualitàdelle prestazioni.

Sono state inoltre esemplificate unaserie di azioni possibili per ognunadelle nove linee guida indicate maogni unità operativa è stata stimolataad identificare e proporre interventipersonalizzati di intervento rispetto alcensimento delle criticità interne.

b) Soddisfazione degli Stakeholder(portatori di interessi nella comu-nità)

È sempre più necessario che un’or-ganizzazione sanitaria garantisca disoddisfare le esigenze e le aspettative(esplicite e implicite) dei propri clientie di tutte le altri parti interessate. At-tualmente il concetto di «cliente» èmolto ampio e comprende non solo lapersona che riceve un servizio, ma tut-te le persone o le organizzazioni chericevono a qualsiasi titolo un bene ma-teriale o un servizio da un fornitore.Nel caso delle aziende sanitarie sonoda considerarsi clienti i pazienti segui-ti a domicilio, in ambulatorio o inospedale, i genitori dei bambini davaccinare, i cittadini che si rivolgonoagli sportelli per prenotare una presta-zione o pagare il ticket, i sindaci chechiedono i pareri edilizi e numerosi al-tri sono i soggetti che ricevono un ser-vizio dalle aziende stesse. Oltre aiclienti esterni all’organizzazione, visono anche clienti interni: ad esempio,molte unità operative ricevono servizidal laboratorio, dalla radiologia, dal-l’anatomia patologica, dalla farmacia,dal magazzino. Inoltre, anche le atti-vità amministrative possono essere vi-ste come sequenze di scambi tra forni-tori e clienti.

Il cliente, ovvero chi riceve un beneo un servizio da una organizzazione èsolo una delle parti interessate al buon

funzionamento dell’organizzazionesanitaria: oltre ai clienti hanno inte-ressi e aspettative nei confronti del-l’organizzazione anche, i dipendenti,i fornitori di beni e servizi, i partner,la comunità, i finanziatori del siste-ma (nel nostro caso la Regione).Con l’espressione «parti interessate»(stakeholder) s’intendono quindi tuttii soggetti che in qualche modo inve-stono valore in un’organizzazione at-traverso l’investimento in risorse ma-teriali e professionali e, in cambio, siaspettano una qualche forma di bene-ficio: la risposta a problemi di salute,la remunerazione del proprio impe-gno lavorativo, la crescita professio-nale, il miglioramento della propriareputazione, ecc. Alla base del rap-porto tra un’organizzazione e la co-munità vi è quindi la capacità di ri-spondere in modo equilibrato alleaspettative delle parti interessate e disoddisfare i bisogni avvertiti dai variinterlocutori.

A titolo di esempio si riportano quidi seguito alcune categorie di interlo-cutori (stakehoder) con i quali l’A-zienda sanitaria e le unità operativedovranno intrattenere rapporti:

— amministrazioni comunali;— associazioni dei pazienti;— tribunale per i diritti del malato;— cittadini/pazienti;— associazioni professionali;— organizzazioni sindacali;— associazioni di volontariato;— compagnie di assicurazione;— fornitori di beni e di servizi;— amministrazione regionale;— mass media.

c) Risultati di salute

La promozione della salute — stra-tegia sulla quale si basa la program-mazione aziendale — trova nella pre-venzione e nella medicina basate sul-l’evidenza i principi che ispirano gliinterventi da mettere in atto per il rag-

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giungimento degli obiettivi di saluteprioritari. La promozione di prassi ba-sate su evidenze scientifiche deveguidare sempre di più gli operatori sa-nitari nella pianificazione degli inter-venti.

A tal fine le migliori prove di effica-cia esistenti devono essere coerente-mente tradotte in raccomandazionipratiche. Una corretta metodologiascientifica prevede di prendere in esa-me la letteratura esistente (revisionisistematiche, metanalisi, studi rando-mizzati e controllati di buona qualità)o di affidarsi a valutazioni effettuateda organismi scientifici che operinorevisioni sistematiche della letteratu-ra (es. Clinical Evidence, CochraneLibrary, Effective Health CareBullettins, ecc.). In assenza di eviden-ze scientifiche è accettabile l’adesionea linee guida internazionalmente vali-date secondo rigidi criteri di valuta-zione. In generale la forza delle provedi efficacia è correlata direttamentecon la forza delle raccomandazioni ediversi organismi scientifici propon-gono di associare ad un livello decre-scente di evidenze, diversi gradi diraccomandazione, che vanno dallaraccomandazione forte (o interventoutile, o raccomandazione grado «A»)alla prova di inefficacia o danno.

Nel sistema di indicatori propostodall’azienda ne sono stati inseriti alcu-ni che misurano interventi già a regi-me da tempo: si tratta dei progetti in-seriti nel programma regionale di pro-mozione e valutazione della qualità,dell’appropriatezza e dei risultati dellecure. Altri indicatori sono stati sceltiper il monitoraggio di interventi pre-ventivi e terapeutici già avviati o daavviare, suscettibili di miglioramentoe per i quali è già disponibile la base-line.

L’auspicio è che ogni articolazioneoperativa elabori, sulla base dei criteripredefiniti, interventi preventivi/dia-gnostici/terapeutici/riabilitativi, basa-

ti su raccomandazioni forti e/o lineeguida validate, al fine di operare effi-caci cambiamenti, ove possibile, nellaquotidiana pratica clinica, alla lucedelle più moderne evidenze scientifi-che.

Alle unità operative è stato fornitoun allegato che contiene una serie diindicatori, le prove scientifiche a so-stegno della necessità di intervento, irisultati ottenibili adottando i compor-tamenti proposti e la situazione al tem-po zero in Azienda per ciascuna situa-zione. Le unità operative sono statesensibilizzate a verificare la realizza-bilità delle proposte e ad identificareventuali altri campi di intervento spe-cifico.

d) Risultati economici ed organizza-tivi

Come già detto, in ASS 2 il proces-so di budget è stato introdotto nel 1997ed era orientato prevalentemente agliaspetti economici (intesi come consu-mi). Nel corso degli anni successivi icontenuti si sono ampliati e sono stateintrodotte nuove variabili di analisiche sono state oggetto di programma-zione e monitoraggio (obiettivi orga-nizzativi, attività, obiettivi di salute,investimenti in edilizia, formazioneecc.).

Su questi argomenti le Unità opera-tive hanno già esperienza di program-mazione e di gestione. Le variabili inesame per il 2004 sui temi economicied organizzativi non sono sostanzial-mente diverse da quelle degli anniscorsi.

Gli indicatori finanziari servono perevidenziare le conseguenze economi-che delle scelte operate e per eventualicorrezioni al fine di salvaguardare l’e-quilibrio di bilancio. In queste aree sa-ranno valutate anche le iniziative dimiglioramento organizzativo e strut-turale finalizzate a incrementare l’ef-ficienza operativa e la produttività.

Ulteriori aree di sviluppo sono l’evo-luzione professionale e le nuove re-sponsabilità orientate verso nuovi ser-vizi e soprattutto verso nuovi mecca-nismi operativi.

Elemento nuovo lanciato per il2004 è la realizzazione di connessioniinformatiche tra le Unità operativeaziendali. Si tratta di fissare e comu-nicare appuntamenti, consultare i re-ferti di esami eseguiti, accedere a ban-che dati aziendali, gestire on line lelettere di dimissione ecc. Lo sviluppodi queste tematiche richiede investi-menti in attrezzature e programmi masoprattutto la disponibilità degli ope-ratori.

Di seguito sono riportati alcuniesempi di aree chiave di performanceoggetto di interesse per il 2004.

— Consumi in termini di quantità edi valore (specifici per singolo prodot-to) dei più costosi prodotti sanitari enon sanitari, valore economico com-plessivo dei consumi.

— Consumi specifici per alcuni fat-tori (es. spesa farmaceutica, assistenzafarmaceutica integrativa regionale,ossigenoterapia domiciliare ecc.) peralcune unità operative.

— Dotazione di personale.— Convenzioni.— Attività di ricovero, ambulato-

riale o specifica dell’Unità operativa.— Mobilità attiva e passiva.— Degenza media.— Drg chirurgici.— Utilizzo del DH.— Rispetto dei LEA.— Unificazione/razionalizzazione

di segmenti di attività dipartimentale enon.

— Attività dell’assistenza domici-liare.

— Numero di sedute operatorie set-timanali.

— Orario di apertura degli ambula-tori.

— Entrate proprie (a livello di strut-tura operativa).

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— Appropriatezza dei ricoveriospedalieri valutata con Pruo.

— Puntualità nella compilazione edinserimento delle schede nosologichedi dimissione.

— Corretto inserimento di tutti i da-ti di attività ambulatoriale nel sistemainformativo regionale.

— Ottimale gestione degli ordini,delle giacenze e degli scarichi di ma-gazzino.

8. Alcuni esempi delle schede

Vedi tabelle 2, 3, 4 e 5.

9. Conclusioni

Il progetto descritto è attualmentein fase di attuazione, i primi risultatisono favorevoli in quanto ad accetta-zione e collaborazione del personale

coinvolto. Elementi fondamentali so-no stati il forte coinvolgimento dellaDirezione generale che ha proposto ilmodello BSC per la programmazionee controllo e la chiara definizione del-la strategia aziendale.

Importante è stata la fase di condi-visione del progetto con i gruppi di la-voro che hanno simulato i nuovi sce-nari ed hanno compiuto le scelte dellequattro prospettive definendo anche iprimi indicatori.

Prerequisiti per l’avvio del proces-so sono la disponibilità di un sistemainformativo in grado di produrre datiattendibili, tempestivi che siano ingrado di fornire informazioni utili algoverno dell’azienda e la presenza diuna programmazione e controllo digestione evoluta e flessibile.

I tempi di realizzazione non sonobrevi e la fase di avvio deve essere ben

preparata condividendo il progetto atutti i livelli.

Le balanced scorecard ed il cru-scotto rappresentano solo una piccolaparte del cambiamento introdotto inAzienda da questa nuova logica di ge-stione.

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Tabella 2 - Valorizzazione e motivazione del personale (*)

(*) Ogni obiettivo ha indicata anche la data entro la quale deve essere raggiunto.

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Tabella 3 - Soddisfazione degli stakeholder (portatori di interessi nella comunità) (*)

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(segue) Tabella 3 - Soddisfazione degli stakeholder (portatori di interessi nella comunità) (*)

(*) Ogni obiettivo ha indicata anche la data entro la quale deve essere raggiunto.

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Tabella 4 - Risultati di salute (*)

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(segue) Tabella 4 - Risultati di salute (*)

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(segue) Tabella 4 - Risultati di salute (*)

(*) Ogni obiettivo ha indicata anche la data entro la quale deve essere raggiunto.

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Tabella 5 - Risultati economici ed organizzativi (*)

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(segue) Tabella 5 - Risultati economici ed organizzativi (*)

(*) Ogni obiettivo ha indicata anche la data entro la quale deve essere raggiunto.

Management ed economia sanitaria

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Si devono effettuare con il sistema autore-data (e non con i numeriprogressivi) nel corpo del testo o in nota. Le indicazionicorrispondenti si devono riportare alla fine dell’articolonella bibliografia, dopo le note, in ordine alfabetico, secondoil seguente esempio:— per testi: richiamo: (Clerico, 1984); indicazione: CLERICO G.

(1984), Economia della salute, Franco Angeli, Milano.— per articoli: richiamo: (Volpatto, 1990); indicazione: VOLPATTO

O. (1990), «La privatizzazione dei servizi pubblici», AziendaPubblica, 2: pagg. 243-252.

I testi non citati nell’articolo che eventualmente si vorrannosegnalare dovranno essere inseriti in una bibliografia separata.

I testi

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SOMMARIO: 1. Problematica - 2. Strategie di integrazione verticale nell’industria farmaceutica - 2.1. La gestione dell’informazione -2.2. Stabilizzazione delle vendite - 2.3. Potere del mercato - 3. Conclusioni - 4. Glossario.

1. Problematica

Nel corso degli anni ’90, si è assisti-to nel settore farmaceutico ad un vastomovimento di concentrazione vertica-le, in cui le imprese farmaceutichehanno assunto il controllo di una cre-scente porzione dell’attività di distri-buzione gestita tradizionalmente daiPharmacy Benefits Manager (PMB,vedi glossario).

Tale strategia si fondava sia su ac-quisizioni che su accordi verticali.

Nel luglio ’93, la Merck ha acqui-stato Medco per 6,6 miliardi di dollari,seguita da SmithKline Beecham(SKB) che, nel maggio ’94, è entratain possesso di Diversified Pharma-ceutical Services (DPS - 14 milioni diassicurati) versando la somma di 2,3miliardi di dollari e da Eli Lilly che,nel luglio ’94, ha comprato PCS (51milioni di assicurati) al prezzo di 4 mi-liardi di dollari.

Parallelamente, altre grandi casefarmaceutiche sono intervenute suiservizi forniti tradizionalmente daiPBM.

Nel 1994, Caremark, un altro PMB,allora indipendente, ha negoziato ac-cordi con altre quattro imprese: RhônePoulenc-Rorer, Bristol Myers Squibb,Pfizer (che nel 1994 aveva simili ac-cordi con Value Rx) e Eli Lilly (tabel-

la 1). La Value Rx si è associata allostesso modo alle case farmaceuticheSandoz e Johnon & Johnson, opera-zioni che sono sfociate di vere e pro-prie filiere del farmaco, dalla ricercaalla preparazione, sino alla produzio-ne e distribuzione.

Circa dieci anni dopo, la maggiorparte di questi accorpamenti verticaliè stata smantellata (Eli Lilly/PCS;SmithKline Beecham/DPS) o è sulpunto di esserlo (Merck/Medco).

Allo stesso modo, dopo che nel1994 Caremark aveva concluso accor-di con quattro case farmaceutiche(RPR, BMS, Pfizer e Eli Lilly) è stataassorbita (1999) da Medpartners,un’altra organizzazione di ManagedCare (Physician ManagementGroup) (1)

Quali sono state le motivazioni allabase di tali strategie di integrazionee/o di quasi-integrazione a valle cheassociavano grossisti-distributori ecase farmaceutiche?

Per quale ragione queste acquisi-zioni e accordi verticali, definiti «ilpiù grande smacco strategico degliultimi anni» (Hamdouch, Depret,2001, p. 166), non hanno consentitoalle imprese di ottenere i vantaggisperati?

2. Strategie di integrazione verticalenell’industria farmaceutica

Le integrazioni verticali consistononell’acquisizione di attività connessetra loro che permettono ad un operato-re di gestire la catena dalla materia pri-ma ai prodotti finiti.

Tali strategie includono le integra-zioni a monte (acquisizioni di fornito-ri) e a valle (acquisizioni di produttori,distributori e clienti).

Per quanto concerne gli accordiverticali, questi rappresentano un’al-ternativa rispetto sia alle transazioni dimercato tra fornitori e clienti, sia allaintegrazione verticale completa.

Si tratta, dunque, di un’integrazioneparziale: l’impresa, nel momento incui non dipende esclusivamente dafornitori o clienti esterni, non cercapiù di diventare essa stessa un produt-tore o di internalizzare i propri clienti(Dussauge, Garette, 1995).

2.1. La gestione dell’informazione

Le integrazioni verticali (sia per ac-quisizione di un’impresa posta a valle,

INTEGRAZIONE A VALLE, CONTROLLODELL’INFORMAZIONE E STRATEGIE COMPETITIVE

NELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA AMERICANA

Daniel SimonetNanyang Business School

L’Autore ringrazia la Wharton University eil Leonard Davis Institute of Health Econo-mics per la documentazione sull’industria far-maceutica statunitense.

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sia attraverso gli accordi) vengono quianalizzate dal punto di vista della stra-tegia industriale (Porter, 1998).

Nell’assicurarsi il controllo di atti-vità poste a valle della loro principalefonte di produzione, le imprese mira-no a conquistare diversi vantaggicompetitivi. Innanzitutto l’integrazio-ne verticale può avere come obiettivola gestione dell’informazione (Mor-van, 1991; Spengler, 1950). Optandoper un’integrazione verticale, un’im-presa può ridurre la necessità di racco-gliere le informazioni sui mercati:queste, infatti, circolano più libera-mente all’interno di una aggregazioneverticale di quanto non avvenga trauna serie di attori economici indipen-denti che agiscono in assenza di alcunaccordo.

Nell’industria farmaceutica, poichéla messa a punto di un farmaco richie-de anni di ricerca, la necessità di alli-neare l’offerta alla domanda non siesprime sul breve termine.

Di contro, integrandosi, le impresefarmaceutiche hanno cercato di ridur-re i costi d’informazione e, in partico-lare, di ridurre i costi connessi alla rac-colta di informazioni a lungo terminesui mercati (sui prodotti, le abitudinidi consumo e prescrizione).

Infatti, il livello di informatizzazio-ne che caratterizzava i PBM avrebbedovuto consentire alle imprese farma-ceutiche integrate di acquisire l’infor-mazione clinica direttamente dallecartelle dei pazienti.

Ne sarebbero risultati due tipi divantaggi competitivi:

— in primo luogo, l’impresa avreb-be potuto utilizzare queste statisticheper conoscere l’efficacia dei propriprodotti, ma anche per accrescerne laqualità e verificarne gli effetti terapeu-tici durante la fase di farmacovigilan-za: infatti, i PBM procedono ad unarevisione (retrospettiva o prospettica)dell’utilizzazione dei farmaci («DrugUtilization Review» o DUR), definitacome un programma formale di rac-colta dei dati clinici sul loro consumoallo scopo di ridurne gli sprechi e otti-mizzarne l’uso. I programmi retro-spettivi DUR intervengono dopo lafornitura e il pagamento delle prescri-zioni: identificano le prescrizioni nonopportune e le controindicazioni ri-scontrate. Quanto ai programmi pro-spettici DUR, essi consistono nella re-visione di prescrizioni individuali alloscopo di identificare quelle controin-dicazioni che possono essere corretteprima della distribuzione;

— in secondo luogo, una impresaintegrata avrebbe potuto accedere alleinformazioni sui pazienti: si offriva intal modo la possibilità di analizzare ilprofilo delle patologie (antecedenticlinici, interazioni con altri farmaci,ecc.) dei pazienti che erano ricorsi aduno stesso farmaco, di conoscere iconsumi ambulatoriali e ospedalieri,le condizioni di osservanza del tratta-mento e, in particolare, sapere se unpaziente sospendeva il proprio tratta-mento e/o se esso aveva creato proble-mi di controindicazione, di duplica-zione, di dosaggio inappropriato o diassociazioni farmacologiche danno-se (2). Dopo l’acquisizione di Medco,proprietaria di un immenso databasesul consumo e l’uso di farmaci, Merckha individuato informaticamente i pa-zienti colpiti da malattie croniche, co-me asma e ipertensione, che interrom-pevano la terapia farmacologia nelcorso dell’anno. I suoi farmacisti te-lefonavano così al medico per infor-marlo (3). Infine Merk, dopo l’acqui-sizione di Medco, ha condotto studi sucirca 90.000 diabetici che figuravanosulla sua lista di pazienti per determi-nare se la qualità del trattamento po-tesse essere migliorata e il suo costoridotto. Inoltre, Medco ha inviato ma-teriale educativo ai pazienti di diabete

Tabella 1 - Classsificazione dei PBM

Fonte: Pharmacy Benefit Management (1998).

iscritti al programma di gestione tera-peutica, per stimolarli a condurre unavita più sana e amministrare la propriadose di insulina da soli. L’accordo traPfizer e Caremark, ma anche ValueHealt per il diabete («Rx for Success»,CIO, July 1995, pp. 48-56) circa lacondivisione delle informazioni far-macologiche sono validi esempi in talsenso: Caremark ha sviluppato deiprogrammi di Disease Manage-ment (4) nel trattamento dell’emofilia,della fibrosicistica, delle sclerosi mul-tiple e delle ulcere (Levy, 1999).

Ciononostante i risultati non sonostati pari alle aspettative: innanzituttoil procedimento riscuote poca popola-rità, meno del 30% dei datori di lavoroe un numero ancor più basso di HealthMaintenance Organizations (HMO,vedi glossario) che costituiscono iprincipali clienti dei PBM, ricorronoai programmi di Disease Management(Novartis Pharmacy Benefit Report,1997). Inoltre, l’integrazione delleprescrizioni nei database dei PBM e illoro collegamento con i dati clinici,necessari per la misurazione dellaqualità dei trattamenti farmacologici,procede a ritmo lento (Kreling et al.,1996; Novartis Pharmacy Benefit Re-port, 1997).

L’efficacia dei prontuari, portatadalle imprese farmaceutiche a giustifi-cazione della connessione con i PBMè altrettanto controversa: non è dimo-strato che il consumo di determinatifarmaci può migliorare i risultati clini-ci e diminuire le spese totali per la sa-lute (prescrizioni ma anche ospedaliz-zazione, cure nei pronto soccorsi,ecc.).

Per quanto prontuari restrittivi pos-sano effettivamente diminuire le spesefarmaceutiche in un primo momento,ciò non è sufficiente per affermare cheessi offrano risultati ottimali a regime(risultati che includono non solo ilconsumo di farmaci in ambulatorio,ma anche ospedalizzazione, visite

specialistiche, accessi al pronto soc-corso) (Reardon, 1997). In alcuni casisono addirittura emersi risultati sfavo-revoli all’assicurato: per esempio,Horn et al. (1996) riportano che, pergli HMO dotati di prontuari restrittivi,si aveva un maggior consumo di pre-stazioni, costi più elevati e visite piùfrequenti (dal medico, al pronto soc-corso, all’ospedale) rispetto agli HMOche disponevano di un prontuarioaperto (5).

C’è da aggiungere che i dati cliniciottenuti presso il PBM sono di pro-prietà esclusiva della casa farmaceuti-ca. Ne deriva che ogni comparazioneobiettiva dei differenti programmi diDisease Management delle case far-maceutiche per organismi terzi (ospe-dali, assicuratori, ecc.) risulta impos-sibile.

2.2. Stabilizzazione delle vendite

Oltre all’acquisizione di informa-zioni consentita dalla concentrazioneo dagli accordi con strutture del gene-re PBM, le imprese che optavano perun’integrazione a valle si aspettavanoaltri vantaggi, in particolare una mag-giore stabilizzazione delle vendite(Bernhardt, 1977). Infatti, l’associa-zione verticale con un partner o il con-trollo di esso avrebbe dovuto consen-tire non solo una migliore program-mazione favorita dalla stabilizzazionedegli approvvigionamenti e delle ven-dite, ma anche una efficacia dei pro-cessi di gestione interna maggiore diquella derivante dalla negoziazionecon un distributore indipendente(Morvan, 1991).

Inoltre, l’integrazione avrebbe do-vuto ridurre i rischi connessi alle deci-sioni commerciali e in particolarequelle legate al lancio di nuovi prodot-ti. Gli accordi con le società di distri-buzione avrebbero dovuto infatti per-mettere alle imprese farmaceutiche dibeneficiare delle azioni di promozione

che queste rivolgevano agli assicurati,come l’invio di materiale educativo aipazienti, di co-pagamenti inferiori perun prodotto generico o un farmaco in-serito nel prontuario.

Nel 1993, Value Health dovevapromuovere i prodotti Pfizer presso isuoi assicurati tra i quali rientravanopotenzialmente i lavoratori di cin-quanta imprese americane compresetra le principali 250.

Altro esempio è la sostituzione delProzac di Eli Lilly allo Zoloft di Pfizernel prontuario di PCS, che nel 1998doveva fruttare, in parte grazie aglisforzi commerciali di PCS, un giro diaffari di 171 milioni di dollari (Hilzen-rath, 1997) (6).

D’altro canto, l’integrazione a valledovrebbe permettere di essere megliopreparati ad affrontare il mercato, inparticolare in caso di sovrabbondanzadell’offerta.

In agricoltura, ad esempio, le inte-grazioni verticali delle tre principaliimprese del settore (Gargill/Monsan-to, ConAgra, Novartis/ADM) sonopartite dalle imprese di biotecnologie(e semenze) per estendersi fino allaproduzione e alla trasformazione deiprodotti grezzi in alimenti lavorati: lemultinazionali dell’agrochimica han-no acquistato le imprese di semenze(Monsanto, con l’acquisizione dellacompagnia britannica PBI specializ-zata nel grano ibrido, ne è un esempio)e dei prodotti fitosanitari allo scopo dicontrollare i bisogni dei produttori (inuovi geni non consentono ai semiraccolti di generare, impedendo all’a-gricoltore di riseminare il proprio rac-colto). Questa integrazione che è nefa-sta per il produttore può, tra l’altro, ri-durre le possibilità di scelta offerte alconsumatore.

Nel settore farmaceutico, un PBMintegrato, rispetto ad uno indipenden-te, potrebbe decidere di destinaremaggiori risorse alla promozione diprodotti dell’impresa da cui dipende.

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Allo scopo di stimolare la vendita deipropri farmaci, potrebbe escludere dalprontuario i farmaci delle case concor-renti, con potenziali danni per l’assi-curato.

In effetti, i pazienti curati in ambu-latorio sono spesso malati cronici equando un PBM sostituisce un farma-co del prontuario alla prescrizione ori-ginale, ciò può non corrispondere aglieffettivi bisogni dei pazienti. Il medi-co può essere indotto a preferire unfarmaco il quale, diversamente daiprodotti generici, può basarsi su unprincipio attivo differente che può in-fluenzare i risultati clinici (Keating,1997).

Per contenere questa tendenza, laFederal Trade Commission (FTC)ha imposto, dopo l’accorpamentoEli Lilly/PCS, un Pharmacy andTherapeutics Committee indipenden-te, che deciderà secondo criteri ogget-tivi, quali prodotti, ivi compresi quellidi imprese concorrenti, dovranno es-sere inclusi in un prontuario «aperto».

In secondo luogo, l’integrazioneavrebbe dovuto facilitare la costituzio-ne di poli (soprattutto per i prodotti ge-nerici) nell’ambito della filiera con, adesempio, la concentrazione delle strut-ture distributive (raggruppamenti diunità di stoccaggio e di distribuzione),l’attivazione di programmi che coin-volgono direttamente il consumatore(Disease Management, possibilità dirichiedere un rinnovo di prescrizionetramite un sito web), il rafforzamentodelle attività di assistenza ai clienti edi logistica. Dopo l’acquisizione diMedco, Merk ha consolidato la sua of-ferta di vendita per corrispondenza(VPC), ha acquistato una posizionedominante nel mercato dei farmaci ge-nerici (la sua filiale specializzata WestPoint Pharma approvvigionava Med-co di prodotti generici), ha rafforzatole proprie competenze nelle malattiecroniche come diabete e ipertensione(Medco ha aumentato del 50% la quo-

ta di prodotti Merk tra quelli che avevain distribuzione) e si è avvantaggiatadi un accesso diretto a nuovi pazienti,con un incremento da 38 milioni di pa-zienti nel 1993 a 53 milioni nel 2000(con 300 milioni di prescrizioni l’an-no).

Infine, in caso di eccedenza futura odi offerta massiccia (generici, prodottisenza prescrizione, OTC, ecc.) le casefarmaceutiche avrebbero potuto posi-zionarsi più facilmente su segmenti(specialisti, generalisti, ecc.) o su mer-cati trainanti (definiti su base geogra-fica, secondo la penetrazione dei PBMnei diversi Stati).

Nella scelta delle società di distri-buzione, la ricerca di complementa-rietà, in particolare dei prodotti, è stataun criterio determinante: così RhônePoulenc Rorer si è associata (1993)con Caremark (18 milioni di assicura-ti) che metteva in campo una rete dierogazione di servizi sanitari specia-lizzata nell’assistenza oncologica do-miciliare (7), offrendo uno sbocco in-teressante per i suoi prodotti antiemo-filici e antitumorali.

Similmente, nel 1993 Bristol MyersSquibb (BMS) si è alleata con il distri-butore Axion Pharmaceuticals, spe-cializzato nel commercio di prodottiantitumorali (8), uno degli assi tera-peutici prioritari di BMS (Axion è sta-ta successivamente acquisita daBMS).

La complementarietà sembra, infi-ne, essere stata essenziale nel manteni-mento delle relazioni a lungo termine.Eli Lilly all’inizio del ’99 ha infatti ce-duto la sua filiale PCS (dopo aver ver-sato 1,6 miliardi di dollari per coprirnei debiti) alla catena farmaceutica RiteAid, incassando 1,5 miliardi di dollarimeno di quanto avesse speso, a causadi un grado di complementarietà giu-dicato insufficiente. PCS era infattispecializzata nella gestione delle pre-scrizioni, un settore meno trainante deiprogrammi di Disease Management o

dell’elaborazione e gestione di pron-tuari. Al contrario, la complementa-rietà tra i nuovi prodotti di Merk (de-stinati alle malattie croniche) e la VPCdi Medco i cui clienti sono sempre piùmalati cronici era ben evidente.

Le complementarietà ricercate era-no anche di natura geografica, perchél’integrazione a valle doveva facilitarela conquista di nuovi mercati, soprat-tutto all’estero. Grazie in particolarealle assicurazioni integrative, le im-prese farmaceutiche americane hannostretto accordi con società europee didistribuzione di farmaci e servizi sani-tari, anche se a causa della quasi totaleassenza di catene di farmacie in Euro-pa, queste operazioni non hanno avutola stessa dimensione di quelle speri-mentate negli Stati Uniti.

In Francia, la Merk si è accordata(1995) con la Mutualité Française cheha aperto delle trattative con i mediciper definire in che misura fosse loropossibile migliorare il rapporto co-sto/efficacia delle prescrizioni nellaprospettiva del Disease Management.Ma tale accordo ha suscitato una leva-ta di scudi da parte della Confédéra-tion des Syndicats Médicaux Français(CSMF) e della Caisse Nationaled’Assurance Maladie (CNAM). Infat-ti, i medici temevano che l’accordoviolasse il segreto professionale per-mettendo alle case farmaceutiche diseguire l’andamento delle loro pre-scrizioni e di accedere alle informa-zioni cliniche sui pazienti. D’altra par-te la Commission Nationale Informa-tique et Liberté (CNIL) ha proibito al-le imprese di utilizzare gli strumentiinformatici per la raccolta di informa-zioni. Infine, Rhône Poulenc, fortedella sua esperienza americana conRorer e della sua alleanza con Care-mark, ha lanciato la propria strutturadi distribuzione, adattata alle caratteri-stiche del sistema sanitario francese,ha acquisito il distributore Cooper nel1994 e possiede, inoltre, un altro di-

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stributore: Pharmaservices (Hoechstha fatto lo stesso in Germania con Di-striphar).

Nei Paesi Bassi, i PBM (Caremark,ecc.) si sono sviluppati con il tacitobenestare del governo, che aveva giàautorizzato la vendita per corrispon-denza dei farmaci. Caremark ha con-cluso un accordo con Zilveren KruisGroup, il più importante organismoassicurativo, secondo cui avrebbe for-nito servizi di vendita per corrispon-denza ai 2,5 milioni di assicurati diZilveren Kruis (Sardinha, 1997). Taleprogramma si è rivolto nello specificoa quei pazienti cronici che potevanoricevere le loro prescrizioni a domici-lio, in ufficio o nei luoghi di vacanza.

In Inghilterra, poche imprese han-no perseguito strategie di integrazionea valle. Tuttavia, l’organizzazionedella distribuzione è stata modificata,con un avvicinamento delle farmaceu-tiche al segmento della distribuzione.Glaxo in particolare ha imposto(1991) ai distributori un nuovo circui-to: infatti, fino a quel momento, i gros-sisti britannici acquistavano dai pro-duttori i farmaci, realizzando un mar-gine commerciale del 12,5% sulletransazioni, e li rivendevano ai farma-cisti con possibilità di sconti dell’ordi-ne dell’8%.

L’impresa farmaceutica inglese haaggirato questo circuito tradizionalestipulando con 29 distributori britan-nici contratti che ne definivano il ruo-lo in termini non più di intermediariindipendenti ma di agenti incaricatiessenzialmente di distribuire fisica-mente ai luoghi di vendita o sommini-strazione. Così le transazioni si svol-gevano non più tra il distributore e lafarmacia, ma direttamente tra il pro-duttore e le farmacie (limitando lacompetizione sui prezzi tra i vari gros-sisti). I grossisti sono insorti controquesto sistema, minacciando anche dinon distribuire più i prodotti dellaGlaxo e di favorire l’incremento delle

importazioni parallele e dei prodottigenerici, fatto che testimonia fra l’al-tro il timore che altri produttori potes-sero seguirne l’esempio scavalcandoil circuito tradizionale della distribu-zione farmaceutica (un certo numerodei grossisti ha chiesto alle autoritàbritanniche di condannare l’iniziativadella Glaxo).

Infine Medco (laboratori Merk) siè proposta (1994) per gestire la spe-sa farmaceutica del National HealthService, l’equivalente britannico dellaCaisse Nationale d’Assurance Mala-die (CNAM).

2.3. Potere del mercato

Attraverso tali acquisizioni, le im-prese hanno tentato inoltre di limitareil potere di mercato loro imposto dastrutture del genere PBM (infatti Med-co, DPS, PCS, Value Rx e Caremark, iprimi cinque PBM, rappresentavanol’80% di tutti i PBM).

Con l’aumento della propria quotasulle vendite delle imprese farmaceu-tiche, queste organizzazioni avrebbe-ro potuto conquistare un potere mono-psonistico sufficiente per ottenere ri-duzioni sui prezzi definiti dai produt-tori: avrebbero inoltre potuto interve-nire a proprio vantaggio sui costi d’ap-provvigionamento (9) e rafforzarecollettivamente la propria posizionenei confronti del settore (imprese e al-tri PBM). Di contro, per le case farma-ceutiche, vantaggi e svantaggi di taleconcentrazione dovevano essere ana-lizzati in relazione alla struttura delmercato.

Infatti, nella misura in cui il merca-to mondiale dei prodotti farmaceuticiè diviso in un rilevante numero di pro-duttori, la concentrazione degli acqui-sti da parte di strutture del generePBM condurrebbe probabilmente aduna concorrenza distruttiva, escluden-do dal mercato le imprese che nonpossono praticare sconti significativi

sui loro prodotti. Ciò potrebbe com-portare la scomparsa di un certo nu-mero di produttori così come una ridu-zione nella varietà di prodotti offerti.

D’altronde, la pressione esterna chequeste organizzazioni esercitavanosulle attività di R&D delle aziende far-maceutiche, negoziando ad esempiodelle riduzioni sul prezzo dei farmacied imponendo delle sostituzioni conprodotti generici quando possibile, ri-schiava di causare un abbassamentodel livello di investimenti che esse po-tevano destinare alle attività di ricercae sviluppo. Così, acquistando le so-cietà di distribuzione, le case farma-ceutiche hanno tentato di prevenireuna situazione che avrebbe potuto es-sere per loro nefasta (If you can’t beatthem then buy them).

Probabilmente, per le farmaceuti-che la ricerca di quasi-integrazioni e leacquisizioni di PBM non erano moti-vati solo dalla ricerca di vantaggiocompetitivo nelle attività di R&D, co-me precedentemente descritto. Infatti,l’attività di ricerca e sviluppo di nuovemolecole è un processo relativamentelungo che fa molto più ricorso alle co-noscenze delle istituzioni scientifiche(istituti di ricerca, agenzie governati-ve, ecc.) di quanto non ne faccia alleinformazioni basate sul profilo patolo-gico dei pazienti. Inoltre, anche seun’impresa farmaceutica integrata èmessa in grado di utilizzare informa-zioni sulle caratteristiche delle perso-ne iscritte al PBM di cui è proprietaria,bisognerebbe, per poter affermare cheil controllo di un PBM costituisce unvantaggio competitivo in R&D, chetali informazioni abbiano un impattodiretto sulla produttività delle attivitàdi R&D (McGahan, 1994). Ora questonon è ancora stato dimostrato. Infine,bisognerebbe che le altre aziende delsettore non abbiano accesso a taliinformazioni.

La teoria dei mercati contestabilifornisce una spiegazione più plausibi-

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le alle strategie di integrazione verti-cale (Baumol et al., 1982; Bailey,Baumol, 1984). Secondo questa teo-ria, perché un mercato sia «contestabi-le», l’ingresso su questo mercato deveessere perfettamente libero. Ora, l’a-nalisi del mercato farmaceutico ame-ricano mostra che il possesso o il con-trollo di un PBM può aiutare ad eserci-tare un controllo su tale mercato, ca-pace di generare delle distorsioni nelfunzionamento del processo concor-renziale e di mettere in questione la«contestabilità» dei mercati farma-ceutici. Infatti, l’associazione con deiPBM fornisce alle case farmaceuticheuno strumento per esercitare indiretta-mente un potere di controllo sui medi-ci, dunque sul mercato: con il progres-so della scienza, la possibilità di sceltasui farmaci è diventata considerevolee, piuttosto che lasciare che i medici el’HMO cerchino con i propri mezzil’informazione relativa ad un farmaco(che potrebbero ottenere rivolgendosidirettamente alle case farmaceutiche),i PBM hanno elaborato, oltre a pro-grammi del tipo Drug UtilizationReview, delle liste ristrette di medici-nali («prontuari»). Dunque, i medicivengono sollecitati ad orientare le loroprescrizioni, soprattutto rispetto a pro-dotti della concorrenza.

Il processo di distorsione concor-renziale appare qui sotto forma di stra-tegie di esclusività. L’assunzione delcontrollo della società Medco (38 mi-lioni di iscritti nel 1993) da parte dellaMerk ne fornisce un esempio: conl’acquisizione di Medco, Merk ha cer-cato di crearsi un mercato captive diassicurati con gli impiegati delle im-prese clienti della Medco, cioè il per-sonale di circa 500 grandi aziendeamericane (General Electric, Ford,ecc.). Per impedire poi che altre casefarmaceutiche concorressero con ipropri prodotti e per accrescere la pro-pria quota nella distribuzione farma-ceutica della Medco, Merk ha aumen-

tato il numero dei suoi prodotti inclusinel prontuario della Medco con l’ag-giunta del Vasotec, del Prinivil, delMevacor, dello Zocor, del Prinzide,del Vaseretic e del Pepcid, quando pri-ma vi figurava solo il Proscar. Nel di-cembre 1994, i prodotti Merk rappre-sentavano circa il 12% delle venditedella Medco contro il 10% precedentel’acquisizione del luglio 1993. Sullaquestione, un rapporto della FTC sot-tolinea che Medco aveva soppressodei farmaci in concorrenza con quellidella Merk tra i prodotti cardiovasco-lari e ipolipidemici (mentre, nel setto-re antipertensivo e degli H2antagoni-sti, ai prodotti della Merk continuava acontrapporsi una forte concorrenza).

Strategia simile è stata seguita daPfizer che, dopo un accordo conclusonel 1993 con un distributore specializ-zato, la società Value Health, ha usu-fruito di un mercato di 11,1 milioni dipersone tra cui i dipendenti di alcunetra le più grandi aziende americane(American Airlines, Chrysler Corpo-ration, ecc.). Per Pfizer la strategiaconsisteva nell’assicurarsi una partecrescente dei prodotti distribuiti daValue Health e, in tale disegno, nell’e-sclusione dei prodotti della concorren-za dai contratti che questa proponevaalle aziende sue clienti.

Infine, dopo il suo avvicinamento aEli Lilly, PCS ha soppresso lo Zoloft,un antidepressivo della Pfizer e lo hasostituito con uno dei suoi prodottidella stessa classe terapeutica, il Pro-zac, seppure molto più costoso (Pfizerha denunciato PCS per la rottura delcontratto).

Tali sostituzioni sono tanto più faci-li quando, nel caso di PBM, i prontua-ri fanno riferimento a farmaci sottobrevetto, cosa che vieta ad un organi-smo terzo (HMO, ospedale, ecc.) divalutare l’obiettività di una decisionesull’inclusione (o esclusione) di unfarmaco.

Un fattore aggravante della si-tuazione è costituito dal fatto che,ad eccezione della FTC, della Foodand Drug Association (FDA) e del-l’American Medical Association(AMA), pochi tra i clienti si interessa-no dei criteri adottati dai PBM stessinel definire i prontuari (Schulman etal., 1996).

Questa mancanza di trasparenza hasuscitato perplessità. L’uso dei pron-tuari nella creazione di un potere dimercato riveste chiaramente tanta piùimportanza quanto più debole è laconcentrazione del settore farmaceuti-co. In effetti, la quota di mercato con-trollata dalle quattro principali impre-se era del 17,5% nel 1998 contro il16,11% nel 1996 e l’11,4% nel 1989(Hamdouch, Depret, 2001) che rima-ne un debole grado di concentrazioneal confronto con altri settori industria-li come quello automobilistico e del-l’aeronautica, dove le spese per la ri-cerca nello sviluppo sono similmenteelevate.

Oltre alla concessione di una posi-zione privilegiata nei prontuari, glisforzi allo scopo di orientare i com-portamenti da parte dei PBM include-vano le telefonate di farmacisti ai me-dici per raccomandare una determina-ta sostituzione, l’invio di una copia delprontuario del PBM stesso, la diffu-sione di brochure a carattere apparen-temente scientifico, la visita personaledi informatori preparati dal PBM, in-centivi economici ai medici le cui pre-scrizioni erano in linea con le racco-mandazioni del prontuario (10).

In effetti, grazie ai programmi diDUR, i PBM possono identificare imedici potenzialmente destinatari deipremi (Mitchell, 1999). Ma tali inizia-tive promozionali, in particolare le te-lefonate degli informatori e le pressio-ni ad aderire a diversi prontuari, godo-no di scarsa popolarità presso i medicie le loro associazioni (American Me-dical Association) (11). Cosa ancor

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più grave, il PBM non li esonera dalleloro responsabilità in caso di un erroredi prescrizione: infatti il prontuarioprevede quasi sempre una clausola se-condo cui non si fa mai divieto di unaprescrizione, qualunque essa sia, né siinterviene sul parere medico, il cheequivale a far gravare l’intera respon-sabilità (clinica e legale) sui medici. Indefinitiva, il PBM può condizionare leprescrizione del medico senza rispon-dere delle conseguenze, specialmentelegali, derivanti ad esempio da unaprescrizione che abbia avuto effetticollaterali negativi.

La creazione di un potere di merca-to si manifestava anche attraversole politiche di controllo dei prezzi.Per esempio, a partire dall’accordoAxion/BMS, il distributore AxionPharmaceuticals ha beneficiato dellafornitura di prodotti di Bristol MyersSquibb a prezzi inferiori a quelli chel’impresa abitualmente pratica (i pro-dotti BMS rappresentano il 25% dellevendite. Nello stesso modo nell’accor-do PCS/Pfizer, PCS si era impegnata afare in modo che i prodotti di Pfizercomparissero nei prontuari di organi-smi terzi (assicurazioni) e di fornitoridi prestazioni (Hilzenrat, 1997) e Pfi-zer si era impegnata a offrire deglisconti se le assicurazioni clienti diPCS avessero inserito sette dei suoiprodotti nei loro prontuari (12).

Ugualmente, in cambio di prezzipiù bassi, Caremark ha accettato diampliare lo spazio concesso ai prodot-ti Pfizer sul suo prontuario (Laskoski,1994). Da quest’episodio tutti i distri-butori desiderosi di inserirsi in questosegmento della filiera rischiano di es-sere costretti ad approvvigionarsi acondizioni meno favorevoli (Morvan,1991). In definitiva, il vantaggio com-petitivo che giustifica tale tipo di strut-tura riguarda le attività commerciali,molto più che la R&D.

Infine, poiché sono necessari capi-tali rilevanti (Merk ha acquisito Med-

co per un importo di 6 miliardi di dol-lari), l’integrazione a valle ha aumen-tato le barriere all’entrata. Inoltre, ob-bligava tutti i nuovi entranti a penetra-re simultaneamente a livello di produ-zione (impresa farmaceutica) e di di-stribuzione (PBM) (Balto, 1997; Mit-chell, 1999) e solamente le impresepiù importanti avrebbero potuto farvifronte. Per di più, il Disease Man-agement necessita di investimentimassicci in informatica: la dimostra-zione che un trattamento farmaceuticopuò contenere le spese ospedaliere ri-chiede tempo e l’impiego di personalequalificato. Così l’attivazione di que-sti programmi è essa stessa fin dall’i-nizio fonte di spese supplementari,fatto che esclude immediatamente leimprese, e in particolare i nuovi en-tranti, che non avrebbero i mezzi pergarantirsi questo tipo di struttura e lepesanti spesanti spese che queste com-portano nel periodo iniziale.

D’altra parte, le autorità federaliamericane si sono impegnate nel con-trastare tali vantaggi. Il caso dell’inte-grazione PCS/Eli Lilly suscettibile diviolare l’articolo 7 del Clayton Acte l’articolo 5 del Federal TradeCommission Act (che proibisce le pra-tiche commerciali sleali) ne è un chia-ro esempio. Nel 1995 la FTC ha stabi-lito un insieme di restrizioni tese a ga-rantire il libero accesso delle impreseconcorrenti alle attività di PCS, impe-dendo così una situazione di verticalforeclosure. In particolare PCS ha do-vuto offrire ai suoi clienti la possibilitàdi un prontuario che comprendesseprodotti differenti da quelli di Lilly(PCS può comunque continuare a ge-stire un prontuario chiuso destinato apromuovere i prodotti Eli Lilly). Af-finché i propri clienti attuali e poten-ziali potessero operare una sceltainformata, l’impresa ha dovuto rende-re loro nota in modo formale la dispo-nibilità di prontuari diversi. Inoltre EliLilly non ha potuto avere accesso ai

prezzi e alle altre informazioni relati-ve ai farmaci offerte dai suoi concor-renti a PCS. Tale separazione dovreb-be aver impedito che le informazioni(sui prezzi, sulla qualità, ecc.) risalga-no fino ad Eli Lilly che in caso contra-rio avrebbe probabilmente potuto of-frire condizioni più vantaggiose deisuoi concorrenti nelle gare di forni-tura. È stato similmente vietato (percinque anni) di concludere un accor-do di distribuzione esclusiva conMcKesson senza l’autorizzazione del-la FTC.

Infine, restrizioni simili sono stateimposte a Merck/Medco nel 1998,mentre il raggruppamento SmithKlineBeecham/DPS ne è stato esentato.

3. Conclusioni

Quasi dieci anni dopo, queste inte-grazioni a valle erano fondate? In ef-fetti, con l’acquisizione delle societàdi distribuzione, le aziende farmaceu-tiche hanno cerato di rafforzare il loropotere di mercato nelle negoziazioniche le contrappongono ai PBM e alleassicurazioni Managed Care (HMO,IPA, PPO). In effetti, queste ultimepagano i PBM per gestire le spese far-maceutiche dei loro pazienti (in parti-colare le richieste di rimborso), assi-curare la distribuzione dei farmaci,specialmente per corrispondenza, e re-digere i prontuari che definiscono lalista dei farmaci da prescrivere priori-tariamente (figura 1).

Secondo SMG Market Letter(2000), nel 2000, il 90% degli HMOaveva un contratto con un PBM controil 58% nel 1994. Tenuto conto dei vo-lumi di acquisto rappresentati dalle as-sicurazioni Managed Care (secondola Pharmaceutical Research andManufacturing Association, PhRMA,queste controllavano il 50% del mer-cato americano del farmaco nel 1995),esse avrebbero dovuto ottenere dei si-gnificativi sconti sui prodotti farma-

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ceutici acquistati dalle imprese.Ora, le assicurazioni Managed

Care non sono mai arrivate a costitui-re un potere di mercato forte: le spesedestinate ai farmaci etici non sono di-minuite, come temevano le imprese.La quota di spesa farmaceutica sul to-tale della spesa sanitaria è, in realtà,passata dal 5,8% nella prima metà de-gli anni ’90 all’8,2% nel 1999 (tabella2). E benché la crescita dei prezzi deifarmaci abbia conosciuto una certastabilizzazione tra il 1995 e il 1996(tabella 4), ciò non è durato: le spesedestinate ai farmaci etici hanno ripre-so una crescita sostenuta alla fine de-gli anni ’90 (+ 4,7% nel 1998). Unaspiegazione possibile è che la fram-mentazione dei PBM e degli HMOavrebbe loro impedito di «pesare» suf-ficientemente sulle dinamiche dellespese farmaceutiche.

Infine, quando le imprese hannooptato per delle strategie d’integrazio-ne verticale allo scopo di contrastare ilpotere di mercato dei PBM, l’equili-brio di potere tra le farmaceutiche, iPBM e le catene di farmacie non èevoluto in una direzione favorevolealle prime. In effetti, alla fine degli an-ni ’90 i fornitori di servizi (ospedali) ei loro clienti (per esempio, i datori dilavoro che assicurano direttamente iloro dipendenti senza passare attraver-so gli HMO) le farmacie, di cui alcune(per esempio, New Eckerd HealthServices, Walgreens) possedevano iloro propri PBM, hanno costituito deiraggruppamenti d’acquisto dei pro-dotti farmaceutici. Il loro potere dimercato nei confronti delle imprese si

è allora rafforzato. Inoltre, i PBM e lecatene di farmacie si sono avvicina-ti (13) obbligando le aziende farma-ceutiche a fare lo stesso allo scopo difronteggiare la nuova situazione dimercato oltre che per la necessità benconosciuta di raggiungere dimensionicritiche in relazione alla R&D.

La logica industriale di queste inte-grazioni a valle suscita degli interro-gativi. Infatti, gli investimenti destina-ti all’acquisizione dei tre principaliPBM hanno superato i 10 miliardi didollari, una cifra che avrebbe potutoessere utilizzata per le attività di R&D(la stessa cifra corrisponde alla messain commercio da 30 a 40 nuove mole-cole). L’integrazione non ha inoltrepermesso alle imprese di accrescere leloro quote di mercato. Infatti, i pazien-ti non sono stati orientati a vantaggiodelle imprese integrate verticalmente:durante il primo semestre 1997, laquota di prescrizioni di Eli Lilly in se-

no a PCS è calata dell’8% in relazioneai due anni precedenti (la quota dellealtre imprese era nel frattempo au-mentata dell’8%). Per di più Eli Lillyaveva sottostimato la difficoltà di con-vincere i medici ad adottare praticheprescrittive di sostituzione. Quanto aSmithKlime Beecham, non ha potutoottenere dall’integrazione con Diver-sified Pharmaceutical Services (DPS)i benefici attesi, le sue prescrizioni,gestite da DPS, sono aumentate delsolo 33% (tra il 1995 e il 1997) controil 60% di quelle delle altre imprese.Inoltre, i tassi di crescita e i margini diprofitto di DPS sono stati ben al di quadelle attese. Sul piano finanziario, talioperazioni si sono rivelate onerose: leimprese hanno rivenduto questi distri-butori a prezzi ben più bassi dei lorocosti di acquisizione. Nel febbraio del1999 SmithKline Beecham ha cedutoDPS ad Express Scripts per 700 milio-ni di dollari, cioè un terzo del prezzo

Figura 1 - Organizzazione dei mercati sanitari e relazioni tra attori

Fonte: adattato da Di Chiara R., Pesanello P., Cappelino E. (1997), «Tug-of-War over Rebates», American Druggist,May.

Tabella 2 - Spese per farmaci etici

Fonte: Institute for Health and Socio-Economic Policy (IHSP).

pagato nel 1994. Eli Lilly ha cedutoPCS alla catena farmaceutica RiteAid, al prezzo di 1,5 miliardi di dolla-ri, cioè 2,5 miliardi in meno di quantol’aveva pagato.

Solo Merk ha mantenuto sotto ilproprio controllo Medco che ha soddi-sfatto i suoi obiettivi di sviluppo. Ilnumero di clienti di Medco è passatoda 33 milioni nel 1993 a 95 milioni diricette, cioè 4 miliardi di dollari dispesa, a 47 milioni alla fine del 19958170 milioni di ricette). Tale crescita èproseguita nella seconda metà deglianni ’90: il numero dei suoi pazienti èsalito a 53 milioni nel 2002 (300 mi-lioni di ricette l’anno), poi a 65 milio-ni nel 2001 pari a 30 miliardi di dollaridi spesa farmaceutica. D’altra parte,Merk era riuscita ad acquisire un pote-re di mercato rilevante, perché Medcoaveva una rete molto sviluppata di far-macie: mentre in media un PBM e as-sociato ad una rete di 42.000 farmacie(Peat, 1999), Medco era collegata a57.000 farmacie (cioè il 98% delle far-macie presenti sul territorio degli StatiUniti). Inoltre, il servizio di venditaper corrispondenza di Medco facilita-va il funzionamento dei prontuari re-strittivi (14). Di conseguenza, il PBMè diventato uno strumento di controllodella spesa farmaceutica. In più, ha fa-cilitato i pagamenti alle imprese el’accesso a dei nuovi mercati pubblicicome quello dei pazienti non abbienti(Medicaid) e dei pazienti anziani abasso reddito (Medicare).

In definitiva, le imprese farmaceuti-che avrebbero dovuto orientarsi versostrategie di quasi-integrazione, menoonerose delle integrazioni totali. Inol-tre, l’informazione sull’efficacia deifarmaci, necessaria ai programmi diDisease Management, avrebbe potutoessere acquisita altrimenti, per esem-pio presso gli HMO e gli ospedali, or-ganizzazioni che presentano il vantag-gio di offrire la sequenza delle prescri-zioni in un contesto globale (cioè in

ospedale e non solo in ambulatorio) especializzato (cioè presso i professio-nisti). Tali strategie continuano ancoraoggi ma non sono nuove: nel 1996 EliLilly aveva sviluppato un programmasul Prozac con la HMO Group HealthCooperative de Seattle; DPS possede-va un sistema di raccolta di dati cliniciin collaborazione con HMO UnitedHealthcare, che permetteva di centraremeglio le terapie sui pazienti a scarsotasso di compliance e forniva al tempostesso un tableau de bord per indivi-duare i prodotti che presentano il mi-glior rapporto costo-efficacia nellaprospettiva del Disease Management.

L’acquisizione da parte di Zeneca(1997), uno dei primi produttori mon-diali di antitumorali di Salick Health-care, proprietario di 11 cliniche spe-cializzate in oncologia, è un ulterioreesempio (Rosenthal, 1997). Ma dinuovo, i rischi della distorsione con-correnziale dei processi non sonoscomparsi insieme a quelli circa l’og-gettività dei dati clinici.

4. Glossario

Health Maintenance Organization(HMO): il termine HMO identifica leorganizzazioni di Managed Care cheimpiegano medici di medicina genera-le remunerati a quota capitaria per of-

frire servizi sanitari. In cambio del-l’accettazione di una remunerazionecapitaria, ed è ciò che in parte ha moti-vato l’integrazione di professionistinelle organizzazioni di ManagedCare, viene assicurato ai professioni-sti un volume garantito di pazienti.Questi ultimi si impegnano a consulta-re i medici della HMO e a rispettaredeterminate condizioni per l’accessoalle cure o la prevenzione. Nel merca-to americano esistono HMO di tipostaff (i medici sono dipendenti dellaHMO) e Group (i medici sono a con-tratto con la HMO ma non sono di-pendenti). Esistono anche HMO di ti-po Independant Practice Association(IPA) o Network: in questi casi i medi-ci sono indipendenti dalla HMO, liberidi negoziare simultaneamente con di-verse di esse, ricevono un pagamento aprestazione (ma a tariffe ridotte) e con-tinuano a servire pazienti coperti da as-sicurazioni tradizionali (dal 20 al 30%dei loro pazienti sono coperti attraver-so HMO contro una percentuale chevaria dal 60 al 70% per i medici delleHMO di tipo group model). Le IPAhanno anch’esse un certo successo es-sendo meno onerose dei piani di coper-tura tradizionali, mentre la libertà discelta del medico curante è più ampiarispetto alle HMO di tipo group model.

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Tabella 3 - Evoluzione comparata dei prezzi dei farmaci etici e dei beni di consumo

Fonte: Levi (1999).

Pharmacy Benefit Managers: iPharmacy Benefits Managers (PBM)sono società di gestione e distribuzio-ne di prodotti farmaceutici. Rappre-sentano strutture intermedie tra le or-ganizzazioni di Managed Care(HMO, IPA, ecc.) e le imprese farma-ceutiche e sono remunerate per gestireal meglio le spese relative ai farmacidei loro clienti (essenzialmente impre-se). Intervengono principalmente neirapporti tra produttori, assicuratori eprescrittori. L’attività si fonda sullanegoziazione di sconti con le impresefarmaceutiche, il miglioramento nellagestione delle procedure amministra-tive (le reti informatizzate di farmaciepermetterebbero di ottenere dal 10%al 15% di risparmi), il ricorso alla ven-dita per corrispondenza, meno onero-sa, la redazione di prontuari che impli-cano sostituzioni terapeutiche, spe-cialmente a favore di generici. I pron-tuari definiti a partire da una scelta po-tenziale di più di 10.000 farmaci ap-provati dalla FDA, comprendono tipi-camente circa 1.000 prodotti (KeatingP., 1997).

Preferred Provider Organization(P.P.O): una P.P.O. utilizza medici eospedali remunerati a prestazione, macon tariffe ridotte. Inoltre i pazientipossono essere curati da un professio-nista esterno alla rete, ma ad un costopiù elevato.

Managed Care: la Managed Care,termine che si riferisce all’insieme distrumenti di gestione delle cure in gra-do di assicurare i migliori rapporti co-sto/efficacia, implica una suddivisio-ne del rischio e un coordinamento del-le prestazioni tra i finanziatori e glierogatori. Per esempio un erogatore(ospedale) sotto contratto a forfait(quota capitaria) con una HMO si im-pegna a fornire l’insieme delle curenecessarie al paziente quali che siano ivolumi o la gravità. L’ammontare del-la quota versata all’erogatore è fissa.Poiché essa non dipende dall’intensità

del servizio reso, l’erogatore assumein parte il rischio fino ad allora sop-portato dal finanziatore (assicurazio-ne). Tale trasferimento del rischio pre-senta degli inconvenienti per l’eroga-tore: in effetti esso viene a trovarsi nelmedesimo ruolo di un assicuratore,anche se il rischio stesso può essere at-tenuato attraverso un contratto di rias-sicurazione (pazienti ad alto rischio) oattraverso un meccanismo di poolingche ripartisca il rischio su un più ele-vato numero di erogatori. Per gover-nare il consumo di prestazioni sonostati elaborati anche altri meccanismifinanziari. Per esempio il contrattocon ritenuta (withholding) consiste neltrasferimento parziale del rischio fi-nanziario: la HMO trattiene una partedei pagamenti dovuti al fornitore in re-gime di Fee For Service. Successiva-mente vengono effettuate delle com-parazioni in relazione ad un obiettivoprefissato e gli eventuali surplus sonoriconosciuti agli erogatori (il meccani-smo inverso è quello di una sanzionefinanziaria che assume la forma di unaritenuta sull’onorario). Ciò costituisceun incentivo assai rilevante per orien-tare i comportamenti prescrittivi. Tragli altri meccanismi è opportuno citarei processi di utilization review (ex an-te, ex post o contestuali) che miranol’efficacia (costi e qualità) delle cureambulatoriali o ospedaliere. I fornitoridelle cure, ma anche i pazienti, sonoobbligati a rispettare regole pensateper offrire cure di qualità al migliorecosto: medico Gatekeeper; obbligoper l’assicurato al versamento di ticket(ad esempio per l’utilizzo di servizi inurgenza); prescrizioni prioritarie per ifarmaci presenti sul prontuario (Per-neger et al., 1996) e programmi diDisease Management.

(1) In cambio di una percentuale sugli ono-rari e talvolta sui profitti dell’ambulatorio que-sto genere di organismo fornisce servizi di ge-

stione ai medici, con il vantaggio per questi ul-timi di accresciuta efficacia (esternalizzazionedella gestione amministrativa dell’ambulato-rio) e di maggior potere contrattuale (presso gliospedali e gli assicurati).

(2) Testimony on Prescription DrugUse/Elderly Before the Special Committee onAging U.S. Senate (1996 WL 160983 Mar. 28,1996) (dichiarazione di Sarah F. Jaggar, Diret-tore di Health Financing and Public Health Is-sues, Health, Education and Human ServicesDivision, GAO).

Uno studio (Willcox et al., 1994) ha mo-strato che un anziano su quattro prende farma-ci inappropriati e che un paziente cronico (dia-betico, iperteso, ecc.) su due interrompe il pro-prio trattamento un anno dopo averlo iniziato.

La non compliance, che può essere definitaun cattivo uso dei farmaci, quale il mancato ri-spetto della durata del trattamento o della suaripetizione, la condivisione tra i membri delgruppo famigliare, può essere causa di tratta-menti più lunghi. Ciò è connesso all’attitudinedel paziente, al rapporto medico/paziente, alrapporto farmacista/paziente e alle caratteristi-che del trattamento.

(3) Un altro servizio è la «health line» gra-zie a cui un medico o un infermiere fornisceconsigli per seguire terapie più complesse. La«health line» è in grande espansione grazie aHMO, agli assicuratori, agli ambulatori asso-ciati dove può essere organizzata anche unapresenza fisica. I lavoratori assicurati dellegrandi imprese beneficiano di questo serviziogratuitamente. Le case farmaceutiche non sonosorprese dal crescente successo di questo ser-vizio: il paziente pone domande e coopera permigliorare le sue condizioni di salute.

(4) Gestione complessiva di una determina-ta patologia con l’obiettivo di migliorare il rap-porto costo/efficacia.

(5) Farmaci la cui prescrizione è consigliatae non imposta, contrariamente a prontuari detti«restrittivi».

(6) Dati raccolti al momento in cui Pfizer haintentato un processo contro PCS per rottura il-legittima del contratto dopo la sua acquisizioneda Eli Lilly.

(7) Il trattamento a domicilio, rimborsa-to essenzialmente dall’assistenza pubblica(Medicare e Medicaid) conosce, a partire daglianni ’90, la più forte crescita di settore nel si-stema sanitario statunitense. Ciò nonostante,l’industria delle cure domiciliari non è real-mente riuscita a dimostrare la propria efficacianel diminuire i costi elevati connessi all’ospe-dalizzazione che essa potrebbe spesso preveni-re. Ciò in ragione dell’assenza di un coordina-mento effettivo delle cure.

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(8) «The Oncology TherapeuticsNetwork». L’accordo riguardava 600 prodottiantitumorali.

(9) Secondo uno studio della società di con-sulenza KPMG (1996) condotta presso le 100principali imprese del settore, la pressioneesercitata dai prontuari sui prezzi dei farmaciviene al primo posto rispetto a quella esercitatadai prodotti generici, il controllo governativo ele assicurazioni.

(10) Secondo il rapporto di Marion MerrelDow sul Managed Care apparso nel 1993, il23% dei programmi di assicurazione farma-ceutica di HMO-PBM offrivano ai medici unpremio che incentivava a preferire un farmacodel loro prontuario, premio che non è illegalese è giustificato dal punto di vista costo-effica-cia.

(11) L’American Medical Association hacondannato il versamento di una commissioneai farmacisti da parte di un organismo terzo odell’impresa in caso di distribuzione di un far-maco rientrante nel prontuario. In futuro iPBM dovranno condurre i programmi DUR intempo reale, nell’ambulatorio del medico, pri-ma che la prescrizione arrivi al farmacista (No-vartis Pharmacy Benefit Report, 1997). Così lascelta del farmaco potrà essere decisa in lineadirettamente tra il medico e il PBM, senza lamediazione del farmacista.

(12) «PCS Rebates From Pfizer on Sevenproducts Totaled over $10 Million in First 21Months of 1994-1998 Contract» FDC Rep.(«The Pink sheet»), 10 Jun 1996, p. 16.

(13) JC Penney e Revco hanno rispettiva-mente acquisito le catene dei «drugstores»Eckerd e Big B. Fay’s Inc ha iniziato un avvici-namento con la filiale di JC Penney CO, ThriftDrugs. Infine, Rite Aid ha preso il controllo diThrifty PayLess.

(14) Joseph Brown (1999), «When RiskBrings No Benefit», MED. AD. NEWS, Jan.,LEXIS, News Library, Curnws File.

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Costo dell’abbonamento per l’anno 2004: �� 226,00

MECOSANCONDIZIONI DI ABBONAMENTO

L’abbonamento annuo a Mecosan, Management ed economia sanitaria, decorre dall’inizio di ciascun anno solare e da diritto, in qualunquemomento sia stato sottoscritto, a tutti i numeri pubblicati nell’annata.

Si intende tacitamente rinnovato se non perviene disdetta alla società editoriale, con lettera raccomandata, entro il 30 novembre dell’anno pre-cedente a quello, cui la disdetta si riferisce.

La disdetta può essere posta in essere solo dall’abbonato che sia in regola con i pagamenti.Per l’abbonamento non confermato, mediante versamento della relativa quota di sottoscrizione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello

cui la conferma si riferisce, la società editoriale si riserva di sospendere l’inoltro dei fascicoli alla data del 30 gennaio di ogni anno, fermo restando perl’abbonato l’obbligazione sorta anteriormente. L’amministrazione provvederà all’incasso nella maniera più conveniente, addebitando le spese relative.

In caso di mancato, ritardato e/o insufficiente pagamento, l’abbonato è tenuto a corrispondere in via automatica, ai sensi del D.L.vo 9 ottobre2002, n. 231, gli interessi di mora, nella misura mensile del tasso legale pubblicato all’inizio di ogni semestre solare sulla Gazzetta Ufficiale. Inoltretutte le eventuali spese sostenute dalla SSIIPPIISS per il recupero di quanto dovutole, ivi comprese le spese legali (sia giudiziali che stragiudiziali) saran-no a carico dell’abbonato inadempiente, che dovrà effettuarne il pagamento su semplice richiesta.

Il pagamento, sempre anticipato, dell’abbonamento, potrà essere effettuato mediante:— c.c.p. n. 72902000 intestato a SSIIPPIISS s.r.l.;— vaglia postale intestato a SSIIPPIISS s.r.l.;— assegno bancario o circolare non trasferibile intestato a SSIIPPIISS s.r.l.;— bonifico bancario (SANPAOLO IMI, Ag. n. 59 Roma, cod. BBAN: A 01025 03282, c/c 100000000178).

Il prezzo di abbonamento per l’anno 2004 è fissato in:�� 226,00 per l’abbonamento ordinario

In caso di abbonamento plurimo (più copie), si applica:per ordine di almeno 6 abbonamenti - la riduzione del 3%per ordine di almeno 12 abbonamenti - la riduzione del 5%per ordine di almeno 24 abbonamenti - la riduzione del 10%per ordine di almeno 36 abbonamenti - la riduzione del 15%

Per qualsiasi controversia è competente esclusivamente il foro di Roma.È ammesso, per i fascicoli non pervenuti all’abbonato, reclamo, per mancato ricevimento, entro 30 giorni dall’ultimo giorno del mese di riferi-

mento del fascicolo; la società editoriale si riserva di dare ulteriormente corso all’invio del fascicolo relativo, in relazione alle scorte esistenti.Decorso in ogni caso il predetto termine, il fascicolo si spedisce contro rimessa dell’importo riservato per gli abbonati (sconto del 25% sul prez-

zo di copertina).Non è ammesso il reclamo, se il mancato ricevimento sia dovuto a cambiamento di indirizzo non comunicato, per tempo, mediante lettera rac-

comandata alla società editoriale, e non sia stata contemporaneamente restituita l’etichetta riportante il vecchio indirizzo.Il prezzo di un singolo fascicolo di un’annata arretrata è pari di norma al prezzo del fascicolo dell’annata in corso, fatte salve eventuali campa-

gne promozionali.Il prezzo dell’abbonamento 2004 per l’estero è fissato come segue: � 226,00 per l’Europa unita; � 326,00 per il resto del mondo (spese posta-

li incluse).

La spesa per l’abbonamento a MECOSAN, trattandosi di rivista tecnica, potrà essere considerata costo fiscal-mente deducibile dai redditi professionali e d’impresa.

ANNATE ARRETRATE

Fino ad esaurimento delle scorte le annate arretrate saranno cedute al prezzo sottoindicato:Volume 1o, annata 1992 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 556) �� 205,00 *Volume 2o, annata 1993 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 586) �� 205,00 *Volume 3o, annata 1994 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 660) �� 205,00 *Volume 4o, annata 1995 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 540) �� 205,00 *Volume 5o, annata 1996 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 640) �� 205,00 *Volume 6o, annata 1997 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 648) �� 205,00 *Volume 7o, annata 1998 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 700) �� 205,00 *Volume 8o, annata 1999 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 664) �� 205,00 *Volume 9o, annata 2000 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 716) �� 205,00 *Volume 10o, annata 2001 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 712) �� 205,00 *Volume 11o, annata 2002 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 664) �� 226,00 *Volume 12o, annata 2003 (formato 21x28, fascicoli n. 4, pagg. 636) �� 226,00 *

Nel caso di ordine contestuale, tutte le annate arretrate saranno cedute, con lo sconto del 15%, al prezzo speciale di�� 2.126,70, anziché �� 2.502,00, e, nel caso siano richieste più copie della stessa annata, sarà praticato uno sconto particolare.

* Disponibile anche in CD-rom.

NOVITÀ BIBLIOGRAFICHE

MECOSANNovità bibliografiche ������������������ ����� ��� �

N. 48 - Sez. 6a 153

Le aziende sanitarie pubbliche sono state interessate, nell’ultimo decennio, da un processodi cambiamento che trae origine da una pluralità di fattori ed in particolare dall’accentuarsi deivincoli sulle risorse disponibili, dalla crescente competizione, dall’evoluzione delle caratteristi-che della domanda e da una sua maggiore complessità. Tra i principali fattori del cambiamentovissuto dalle aziende sanitarie locali particolare importanza riveste la «responsabilizzazione cre-scente sui risultati», la quale obbliga le organizzazioni a gestire le pressioni che si generano siaal proprio interno che all’esterno, ricomponendole nell’ambito di meccanismi operativi e scelteorganizzative assunte nell’esercizio della autonomia decisionale loro riconosciuta.

INDICE: 1. SISTEMA SANITARIO E RUOLO DELL’AZIENDA SANITARIA LOCALE - 2. L’AZIENDA SANITA-RIA LOCALE - 3. PROBLEMATICHE DI GOVERNO - 4. IL RUOLO DIRIGENZIALE: UN CAMBIA-MENTO IN ATTO - 5. ALCUNE PROBLEMATICHE DI GESTIONE STRATEGICA: LA DOMANDA E GLI

ACQUISTI - 6. IL SISTEMA DI CONTROLLO - 7. LA DIMENSIONE DELLA VALUTAZIONE.

Nell’accezione moderna la sanità viene intesa come attenzione al mantenimento dello statodi salute, oltre che alla cura della malattia con una valorizzazione delle attività di prevenzione, didiagnosi, di terapia e di riabilitazione, finalizzate non solo a garantire la sopravvivenza dell’indi-viduo, ma anche il massimo livello di qualità di vita possibile. Tutto ciò non sarebbe possibile sen-za l’uso delle tecnologie biomediche e della diagnostica in vitro da cui la sanità di oggi non puòpiù prescindere. Partendo da questi presupposti il volume sottolinea il ruolo centrale giocato dal-le tecnologie biomediche e diagnostiche nei processi sanitari evidenziando in che modo il loro co-stante processo di evoluzione abbia positivamente influenzato l’erogazione delle prestazioni sa-nitarie dal punto di vista dell’efficacia clinica, dei processi organizzativi dei servizi, del controllodei costi e della spesa sanitaria. Si dimostra in conclusione come tali tecnologie rappresentino lostrumento per garantire al cittadino alta qualità nelle prestazioni sanitarie, sempre che l’innova-zione sia accompagnata da un costante adeguamento organizzativo culturale delle strutture cuispetta di usarle e mantenerle.

INDICE: 1. TECNOLOGIE PER LA SANITÀ: UN MODELLO DI ANALISI MULTIDIMENSIONALE (E. BORGO-NOVI) - 2. LA DINAMICA NOVECENTESCA DELLA PROFESSIONE MEDICA TRA SVILUPPO TECNO-LOGICO E TRASFORMAZIONE SOCIALE (G. COSMACINI) - 3. I DISPOSITIVI MEDICI E DIAGNO-

STICI IN VITRO (C. MAMBRETTI) - 4. IL RUOLO DELLA DIAGNOSTICA IN VITRO PER LA TUTELA DELLA SALUTE (M. PLEBANI) - 5. LE TECNO-LOGIE BIOMEDICHE: ALCUNI CASI ESEMPLIFICATIVI: I DISPOSITIVI IMPIANTABILI PER CARDIOSTIMOLAZIONE (E. MALLARINI) - LE PROTESI OR-TOPEDICHE (M. MARCUCCIO) - I DISPOSITIVI MEDICI PER L’INCONTINENZA E LA RITENZIONE (E. MALLARINI, L. MAZZEI) - LAPAROSCOPIA

(M. MARCUCCIO) -6. APPENDICE: CODIFICAZIONE E CONTESTUALIZZAZIONE DELLA CONOSCENZA. NOTE SUL DISTRETTO BIOMEDICALE DI

MIRANDOLA IN PROSPETTIVA STORICA (A. COLLI).

ANTONIO BOTTI

Governo e gestionedell’Azienda sanitaria locale

CedamPadova, 2003

pagg. 246, � 19,50

ELIO BORGONOVICARLO MAMBRETTI

(a cura di)

Economia sanitariae qualità di vita

Il Sole 24 OreMilano, 2003

pagg. 190, � 19,00

MECOSAN������������������ ����� ��� � Novità bibliografiche

154 N. 48 - Sez. 6a

Nel 2003 il dibattito sulla politica sanitaria nel nostro paese è stato molto vivace. A livellomacro, il contenzioso tra Stato e regioni si è concentrato sui criteri di distribuzione del fondo sa-nitario e sulla verifica dei requisiti di efficacia della spesa. A livello micro, sono stati reintrodottidiversi strumenti di controllo diretto della spesa e, nel settore farmaceutico, si sono avute innova-zioni nei sistemi di distribuzione che hanno portato a un acceso confronto tra regolatori e impre-se. Infine, importanza crescente hanno assunto l’impatto di lungo periodo dell’invecchiamentodella popolazione sulla spesa sanitaria e i problemi di copertura del rischio di non autosufficien-za negli anziani. I contributi raccolti nel volume, si basano su rigorose analisi empiriche ed isti-tuzionali, tese a favorire la comunicazione tra cittadini e amministratori da un lato e studiosi dieconomia e politica sanitaria dall’altro

INDICE: PARTE PRIMA: IL FINANZIAMENTO DEL SERVIZIO SANITARIO TRA LIVELLIDI ASSISTENZA E INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE - 1. IL PROCESSO

DI DECENTRAMENTO SANITARIO TRA PASSATO E FUTURO - 2. I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSI-STENZA: UN CASO ITALIANO DI «POLICY INNOVATION» - 3. PROIEZIONI DEMOGRAFICHE E PO-LITICHE SANITARIE - 4. LA DOMANDA DI COPERTURA PER IL RISCHIO DI NON AUTOSUFFICIEN-ZA: UN’ANALISI EMPIRICA - PARTE SECONDA: STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE

E DI GOVERNO DELLA DOMANDA - 5. CONTRATTI PER SERVIZI OSPEDALIERI E LE ORGANIZZAZIONI DEI PRODUTTORI PRIVATI: PRO-BLEMI DI INTEGRAZIONE VIRTUALE E CONTENDIBILITÀ - 6. ANALISI ECONOMICA DEI TRAPIANTI: IL CASO ITALIANO - 7. TEMPI DI ATTESA PER

L’ACCESSO ALLE PRESTAZIONI SANITARIE: PROBLEMA DA ELEMINARE O FENOMENO DA GOVERNARE? - 8. IL COSTO DELL’INAPPROPRIATEZZA:L’IMPATTO ECONOMICO DELLE LINEE-GUIDA PER LA DIAGNOSTICA AMBULATORIALE - PARTE TERZA: INNOVAZIONE TECNOLOGICAE ORGANIZZATIVA E MERCATI DEI FATTORI PRODUTTIVI - 9. TELEMEDICINA E INTEGRAZIONE TRA ASSISTENZA PRIMARIA E

SECONDARIA - 10. UNIONI DI ACQUISTO DI FARMACI E MECCANISMI DI GARA: DALLA ESTERNALIZZAZIONE ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI

FARMACI - 11. IL CONSUMO E LA SPESA FARMACEUTICA: UNA VALUTAZIONE COMPARATA TRA REGIONI.

Il tema della gestione dei rischi di responsabilità civile nelle aziende sanitarie è emerso conforza negli ultimi anni a motivo della crescente difficoltà delle aziende nel trovare assicuratoridisposti a finanziare i rischi attraverso la stipula di appropriate polizze. I premi per dette poliz-ze sono cresciuti enormemente e le garanzie si sono sempre più ridotte. Le aziende sanitarie nonpossono più limitarsi a trasferire all’esterno la gestione dei propri rischi, ma devono intrapren-dere un percorso, culturale ed organizzativo, che consenta loro di gestire direttamente i propririschi attivando una funzione di Risk Management. L’introduzione del Risk Management nelleaziende sanitarie rappresenta la strada per consentire sia di prevenire e gestire gli eventi ogginon più assicurabili sia di definire i più efficaci ed economici strumenti e livelli di finanziamen-to dei rischi.

INDICE: 1. IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE - 2. IL FUTURO DELLE AZIENDE SANITARIE - 3. UN CA-SO DI AZIENDA OSPEDALIERA - 4. IL MIGLIORAMENTO CONTINUO DELLE CURE - 5. IL RISK

MANAGEMENT NELLA SANITÀ - 6. IL PROCESSO DI RISK MANAGEMENT - 7. L’IDENTIFICA-ZIONE DEI RISCHI - 8. IL PROCESSO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI - 9. PREVENZIONE E PROTE-ZIONE - 10. IL FINANZIAMENTO DEI RISCHI - 11. LA CREAZIONE DI VALORE NELLA GESTIONE

DEI RISCHI - 12. IL CASO DELL’AZIENDA OSPEDALIERA TREVIGLIO-CARAVAGGIO - 13. IL

CASO DELL’AZIENDA OSPEDALIERA BOLOGNINI DI SERIATE.

GIANLUCA FIORENTINI(a cura di)

I servizi sanitari in italia 2003

Il MulinoBologna, 2003

pagg. 394, � 26,50

ROCCO GREGISLODOVICO MARAZZI

Il Risk Managementnelle aziende sanitarie

FrancoAngeliMilano, 2003

pagg. 244, � 15,50

MECOSANNovità bibliografiche ������������������ ����� ��� �

N. 48 - Sez. 6a 155

Tra i diversi modelli proposti per superare le difficoltà legate al cambiamento dei sistemi so-ciali (ossia la necessità di affrontare contestualmente gli attuali aspetti di gestione e quelli di in-troduzione all’innovazione) particolarmente significativa appare la metodologia del project ma-nagement. L’autrice ritiene che questa possa rivelarsi la strada giusta per gestire il processo dimutamento all’interno delle aziende sanitarie e analizza tale metodologia. Essa permette di mo-dificare la realtà aziendale in itinere, è strumento dalle mille sfacettature ma rigoroso, trait d’u-nion fra analisi del fabbisogno di nuovi servizi e valutazione dell’impatto delle scelte per il rag-giungimento degli obiettivi. Un altro importante aspetto è la capacità di creare una interiorizza-zione della cultura aziendale: si «impara» a lavorare per progetti, a dividere il lavoro per risul-tati, a orientarsi alla cultura del gruppo e non del singolo, determinando consenso, valorizzazio-ne delle differenze e analisi dei bisogni di tutti, personale e pazienti.

INDICE: 1. L’APPROCCIO AL PROJECT MANAGEMENT: TEORIE E MODELLI - 2. IL PROJECT MANAGE-MENT NELLE AZIENDE SANITARIE - 3. SISTEMI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DEL PROGET-TO NELLE AZIENDE SANITARIE - 4. ASPETTI ORGANIZZATIVI: LA GESTIONE DEL TEAM DI PRO-GETTO NELLE AZIENDE SANITARIE - 5. L’AUDITING DI PROGETTO - 6. LA PATRIMONIALIZZA-ZIONE DEL VALORE NELLE AZIENDE SANITARIE - 7. PROGETTI INTERNAZIONALI: LOGICHE DI

PROJECT MANAGEMENT E SVILUPPO DEI FINANZIAMENTI AI SISTEMI SANITARI.

L’insieme delle considerazioni proposte nel volume non intende ambire a risolvere definiti-vamente le questioni relative alla condizione di aziendalità delle Residenze sanitarie assistenzia-li, bensì mettere in evidenza dubbi e convincimenti quali contributi ad un dibattito che assumerànegli anni a venire sempre maggiore rilievo. A tal proposito il lavoro, dopo aver analizzato ap-profonditamente la reale portata delle innovazioni, normative e sociali, che hanno caratterizzatoil settore assistenziale negli ultimi anni, delinea le principali particolarità che il management del-le nuove realtà assistenziali deve fare proprie, al fine di garantire nel tempo quella sostenibilitàche, da sola, rappresenta la vera soddisfazione dei clienti anziani afflitti da infermità fisiche e psi-chiche, spesso non sanabili.

INDICE: 1. IL SETTORE SOCIO-ASSISTENZIALE IN ITALIA - 2. VALUTAZIONI SUL GRADO DI «AZIEN-DALITÀ» DELLE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI - 3. LA RESIDENZA SANITARIA ASSI-STENZIALE QUALE AZIENDA DI SERVIZI ALLA PERSONA - 4. LA FASE ISTITUTIVA DELL’A-ZIENDA ASSISTENZIALE. ANALISI DI UN CASO CONCRETO DI START UP DI UNA RSA: LA RE-SIDENZA «LANZA DEL VASTO» DI GENOVA - LA FASE DI RILEVAZIONE NELL’AZIENDA AS-SISTENZIALE: DAL CALCOLO DEI RISULTATI PARZIALI ALL’ANALISI DEGLI INDICATORI DI

PERFORMANCE - 5. UN APPROCCIO EMPIRICO AL SISTEMA DI MONITORAGGIO DELLA GE-STIONE NELLE AZIENDE SOCIO ASSISTENZIALI. I RISULTATI DI UNA RICERCA EFFETTUATA TRA LE RSA CONVENZIONATE CON IL

COMUNE DI MILANO.

ELISA PINTUS

Il project managementper le aziende sanitarie

Scelte, strumenti, fattibilitàper il governo

di sistemi complessi

McGraw-HillMilano, 2003

pagg. 283, � 25,00

FABIO SERINI

Il grado di «aziendalità»delle residenze sanitarie

assistenziali.Economia e management

delle RSA

Giuffrè editoreMilano, 2002

pagg. 314, � 25,00

MECOSAN������������������ ����� ��� � Novità bibliografiche

156 N. 48 - Sez. 6a

Il volume si propone di fornire un panorama introduttivo e completo delle questioni etichee bioetiche in infermieristica. A una prima parte in cui vengono illustrati i termini fondamenta-li del dibattito, le teorie etiche principali e il loro rapporto con la bioetica e con la pratica in-fermieristica, segue una seconda parte di taglio più applicativo. Vengono quindi analizzate,cercando di individuarne gli aspetti rilevanti per il punto di vista degli infermieri, alcune dellepiù importanti questioni bioetiche di inizio-vita (diagnosi prenatale, fecondazione artificiale,aborto) e di fine-vita (assistenza al morente, eutanasia, trapianto di organi). Ultimo ambito diriflessione è la diversità, rappresentata dalla malattia mentale e dalla differenza culturale, oc-casione di confronto per agenti morali sempre più consapevoli della propria identità etico-pro-fessionale.

INDICE: 1. IL SIGNIFICATO DEI TERMINI - 2. NOZIONI ETICHE FONDAMENTALI - 3. BIOETICA E INFER-MIERISTICA - 4. QUESTIONI BIOETICHE ALL’INIZIO DELLA VITA - 5. QUESTIONI BIOETICHE AL-LA FINE DELLA VITA - 6. QUESTIONI ETICHE NEL RAPPORTO CON LA DIVERSITÀ - 7. CONCLU-SIONE.

ROBERTA SALA

Etica e bioeticadell’infermiere

Carocci FaberRoma, 2003

pagg. 187, � 16,90

Finito di stampare per i tipi della SSIIPPIISS nel marzo 2004